LA CORTE COSTITUZIONALE(…)
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt.
120, comma 2, e 130, comma 1, lettera b), del decreto legislativo
30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promossi con ordinanze
emesse il 19 febbraio 2002 dal Tribunale regionale di giustizia
amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, sul ricorso
proposto da Alcide Major contro il Ministero dell’interno ed altro, e il
24 giugno 2002 dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia,
sezione staccata di Brescia, sul ricorso proposto da Loris Savaresi contro
il Prefetto di Brescia, rispettivamente iscritte ai nn. 149 e 382 del
registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 15 e 36, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visti gli atti di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 febbraio
2003 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza del 19 febbraio 2002 (r.o. n. 149
del 2002), il Tribunale regionale di giustizia amministrativa del
Trentino-Alto Adige, sede di Trento, ha sollevato, in riferimento all’art.
76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt.
120, comma 2, e 130, comma 1, lettera b), del decreto legislativo
30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui -
nel loro combinato disposto - prevedono la revoca della patente nei
confronti delle persone condannate a pena detentiva non inferiore a tre
anni, quando l’utilizzazione del documento di guida possa agevolare la
commissione di reati della stessa natura.
1.1. - Il Tribunale rimettente è chiamato a
pronunciarsi sulla richiesta di annullamento di un provvedimento di revoca
della patente di guida adottato, in applicazione delle norme sopra citate,
dal Commissario del Governo per la Provincia di Trento, sulla base di una
valutazione - sorretta da un rapporto informativo della questura locale -
di probabile commissione di ulteriori reati della medesima natura da parte
del relativo titolare, già in precedenza condannato alla pena detentiva di
anni quattro e mesi quattro di reclusione per tentata rapina e detenzione
illegale di armi.
1.2. – Dando seguito a una prospettazione subordinata
formulata dal ricorrente, il giudice rimettente solleva la questione di
legittimità costituzionale sulla base della considerazione - desunta
direttamente dalla giurisprudenza costituzionale in materia: sentenze n.
305 del 1996, n. 354 del 1998, n. 427 del 2000 e n. 251 del 2001 - del
carattere limitato della delega conferita, sul punto, con la legge 13
giugno 1991, n. 190 (Delega al Governo per la revisione delle norme
concernenti la disciplina della circolazione stradale): se, infatti,
l’art. 1 di detta legge delegava in generale il Governo ad adottare
disposizioni intese a "rivedere e riordinare" la legislazione vigente in
materia di circolazione stradale, la lettera t) del successivo art.
2 della medesima legge, in particolare, autorizzava il legislatore
delegato a effettuare un mero "riesame della disciplina [...] della revoca
della patente di guida, anche con riferimento ai soggetti sottoposti a
misura di sicurezza personale e a misure di prevenzione". In tal modo,
osserva il giudice a quo, la legge delega ha identificato, quale
base di partenza dell’attività delegata, la legislazione preesistente, che
non poteva essere modificata in termini radicalmente innovativi se non in
presenza di specifiche norme abilitanti.
Ma questa condizione, osserva il rimettente, non è
soddisfatta: da un lato, le disposizioni della cui legittimità
costituzionale si tratta non hanno riscontro nella legislazione
precedente, poiché gli artt. 82 e 91 del codice della strada approvato con
il d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393 (Testo unico delle norme sulla
circolazione stradale), non consideravano in alcun modo l’ipotesi di una
revoca della patente di guida in presenza di condanna a pena detentiva non
inferiore a tre anni, quando l’utilizzazione del documento di guida
potesse agevolare la commissione di reati della stessa natura; dall’altro,
manca del tutto, nel corpo della legge di delegazione, una previsione
idonea a sostenere l’innovativa disciplina introdotta dal Governo.
Perciò, analogamente a quanto deciso dalla Corte
costituzionale nelle menzionate pronunce, anche nella specie si deve
riscontrare il vizio di eccesso di delega.
1.3. - Il rimettente conclude svolgendo alcune
considerazioni sulla natura della normativa che è oggetto della questione
sollevata.
Richiamando, anche sotto tale profilo, la
giurisprudenza costituzionale, il giudice a quo sottolinea che la
disciplina sottoposta al controllo della Corte deve intendersi quella di
rango legislativo, contenuta nei due articoli del codice impugnati,
giacché l’intervento di "delegificazione" operato con il d.P.R. 19 aprile
1994, n. 575 (Regolamento recante la disciplina dei procedimenti per il
rilascio e la duplicazione della patente di guida di veicoli), che ha
sostituito le disposizioni censurate con altre di contenuto analogo ma di
rango secondario (artt. 5 e 11), è andato oltre i limiti a esso assegnati
dalla legge abilitante - e segnatamente dall’art. 2, comma 7, della legge
24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica) - ,
regolando non solo la disciplina del procedimento, ma altresì aspetti
sostanziali della materia: pertanto, precisa il rimettente, la clausola
abrogativa delle norme anteriori di rango legislativo, contenuta nel comma
8 dell’art. 2 della stessa legge n. 537 del 1993, è da ritenersi
inoperante, e ciò consente, non essendosi perfezionato il complessivo
intervento di "delegificazione", di sollevare la questione sulla
disciplina con forza di legge.
2. - Con ordinanza del 24 giugno 2002 (r.o. n. 382 del
2002), il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione
staccata di Brescia, ha sollevato, in riferimento agli artt. 4 e 76 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 120, comma
1, del decreto legislativo n. 285 del 1992, nella parte in cui prevede la
revoca della patente nei confronti delle persone condannate a pena
detentiva non inferiore a tre anni, quando l’utilizzazione del documento
di guida possa agevolare la commissione di reati della stessa natura.
2.1. - Secondo quanto riferisce il giudice rimettente,
il giudizio principale ha per oggetto l’impugnazione di un decreto
prefettizio di revoca della patente di guida, adottato in data 15 gennaio
2001, fondato su tre concorrenti motivi: (a) le due condanne del titolare
a pene detentive di anni tre e mesi otto e di anni sette di reclusione,
per rapina e porto illegale di armi, (b) la pregressa sottoposizione a
libertà vigilata, (c) la pregressa sottoposizione a foglio di via
obbligatorio.
2.2. – Sul punto il giudice a quo rileva
preliminarmente che, alla stregua delle dichiarazioni di
incostituzionalità rese in materia dalla Corte (sentenze n. 354 del 1998,
n. 427 del 2000 e n. 251 del 2001) e dei relativi effetti, nonché alla
luce del principio della rilevabilità d’ufficio del vizio di
incostituzionalità, anche se non dedotto nell’impugnazione di merito,
l’atto amministrativo di revoca della patente contro il quale è promosso
il ricorso deve ritenersi validamente sorretto solo dal riferimento, in
esso contenuto, alla intervenuta condanna a pena detentiva superiore a tre
anni, essendo viceversa venuti meno i presupposti ulteriori per effetto
delle pronunce sopra indicate.
2.3. – Inoltre, il rimettente – con argomentazioni
analoghe a quelle formulate, sul punto, nell’ordinanza di rimessione di
cui al r.o. n. 149 del 2002 – precisa che la norma impugnata deve essere
sottoposta al vaglio della Corte costituzionale nella sua veste
legislativa. Osserva al riguardo il giudice a quo che il
regolamento (d.P.R. n. 575 del 1994) poteva disporre, secondo la legge
abilitante, solo sul piano della disciplina degli aspetti procedimentali
del rilascio della patente, ma non poteva operare alcuna innovazione di
carattere sostanziale: l’avere il regolamento medesimo disposto fuori
dell’ambito consentito rende pertanto inoperante la clausola abrogativa
delle norme di legge anteriori contenuta nel comma 8 dell’art. 2 della
legge n. 537 del 1993, con la conseguenza che, indipendentemente
dall’apparente "sostituzione" dell’intera disposizione a opera dell’atto
secondario, la norma continua a rivestire i caratteri e la forza della
legge, secondo l’originaria fonte che ha posto il testo del codice della
strada, e su di essa può quindi svolgersi il controllo di
costituzionalità.
2.4. – Affermata quindi la rilevanza della questione,
dalla cui soluzione dipende l’esito del giudizio amministrativo, il TAR
prospetta un duplice profilo di incostituzionalità.
Per un primo aspetto, la disposizione sarebbe in
contrasto con l’art. 76 della Costituzione, in relazione alla
giurisprudenza costituzionale formatasi al riguardo, che ha più volte
rilevato come la legge delega n. 190 del 1991 abbia identificato nella
disciplina preesistente la base di partenza della normativa delegata,
ammettendo la possibilità di interventi innovativi solo in presenza di un
principio o di un criterio direttivo a ciò specificamente abilitante, il
che non è dato riscontrare nella previsione del "riesame" della materia
contenuta nell’art. 2, comma 1, lettera t), della stessa legge
delega.
Poiché la previsione di una revoca della patente quale
effetto di una condanna non inferiore a tre anni di pena detentiva non ha
riscontro nella disciplina anteriore (artt. 82 e 91 del codice della
strada del 1959), ne consegue, secondo il TAR, la violazione del parametro
invocato, secondo la medesima argomentazione che ha condotto la Corte
costituzionale alla dichiarazione di incostituzionalità della disciplina
in argomento in altrettanti casi di innovazioni introdotte dal legislatore
delegato in assenza di una specifica abilitazione nella legge di
delegazione (sentenze n. 354 del 1998 e n. 427 del 2000).
Sotto altro profilo, il giudice a quo individua
un contrasto della normativa con il diritto al lavoro, garantito dall’art.
4 della Costituzione: la revoca della patente appare al rimettente una
misura eccessiva rispetto all’esigenza di protezione dell’interesse alla
sicurezza della collettività, poiché la norma sacrifica per intero la
posizione soggettiva del singolo; inoltre, data la concreta necessità
della utilizzazione del mezzo di trasporto privato in un rilevante numero
di attività lavorative, specie indipendenti, la riduzione della mobilità
che segue alla revoca della patente costituisce un reale ostacolo al
diritto-dovere di svolgere una di dette attività, con un effetto
controproducente rispetto alla finalità di reinserimento di soggetti già
condannati.
3. – In entrambi i giudizi così promossi è intervenuto
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato.
3.1. – L’Avvocatura, sulla premessa dell’oramai
avvenuta "delegificazione" della materia, ha preliminarmente dedotto
l’inammissibilità di entrambe le questioni, perché aventi a oggetto norme
di natura regolamentare.
3.2. – Nel solo giudizio di cui al r.o. n. 382 del
2002, l’Avvocatura ha inoltre argomentato nel merito l’infondatezza della
questione.
Se la scelta del legislatore di assegnare "la
prevalenza all’interesse pubblico allorché risulti chiaro e probabile che
il possesso della patente possa facilitare la commissione di reati" appare
in sé ragionevole, sarebbe comunque da escludere che la disciplina della
revoca sia in contrasto con il diritto al lavoro, che non si identifica
con l’abilitazione alla guida di veicoli e che comunque può essere
modulato in vista della tutela di altre esigenze.
Quanto alla censura di eccesso di delega,
l’interveniente ritiene che la disposizione dell’art. 2, comma 1, lettera
t), della legge n. 190 del 1991 debba essere letta nel senso della
possibilità di una parziale innovazione. Del resto, secondo l’Avvocatura,
la disciplina in questione troverebbe riscontro nel codice previgente e
precisamente nell’art. 82 del d.P.R. n. 393 del 1959, nella parte in cui
esso aveva riguardo all’ipotesi di revoca della patente nei confronti di
soggetti dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza:
l’ipotesi ora in esame della condanna a pena detentiva non inferiore a tre
anni, posta nel nuovo codice della strada, si salderebbe dunque con questa
preesistente disciplina, di cui costituirebbe uno sviluppo comunque di
segno meno restrittivo.
Considerato in diritto
1. - Il Tribunale regionale di giustizia amministrativa
del Trentino-Alto Adige, sede di Trento (r.o. n. 149 del 2002), e il
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di
Brescia (r.o. n. 382 del 2002), hanno sollevato, entrambi in riferimento
all’art. 76 della Costituzione e il solo TAR per la Lombardia altresì in
riferimento all’art. 4 della Costituzione, questioni di legittimità
costituzionale, rispettivamente, dell’art. 120, comma 1 (rectius:
comma 2) (r.o. n. 382 del 2002), e degli artt. 120, comma 2, e 130, comma
1, lettera b), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285
(Nuovo codice della strada), nella parte in cui dette norme prevedono che
il Prefetto possa disporre la revoca della patente nei confronti delle
persone condannate a pena detentiva non inferiore a tre anni, quando
ritenga che l’utilizzazione del documento di guida possa agevolare la
commissione di reati della stessa natura di quelli per i quali è stata
inflitta la condanna.
Entrambi i giudici rimettenti dubitano della
costituzionalità della disciplina sotto il profilo della violazione
dell’art. 76 della Costituzione, ritenendo, anche alla stregua di
precedenti decisioni di questa Corte in materia, che il legislatore
delegato, introducendo la menzionata ipotesi di revoca della patente di
guida, non prevista nella legislazione anteriore, sia andato oltre i
limiti posti dalla legge di delegazione 13 giugno 1991, n. 190 (Delega al
Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della
circolazione stradale).
Il solo TAR per la Lombardia, poi, denuncia di
incostituzionalità la disciplina anche per violazione del diritto al
lavoro (art. 4 della Costituzione), che risulterebbe compresso – sotto il
profilo della possibilità di svolgere una attività anche attraverso l’uso
di un mezzo personale di trasporto – in misura eccedente rispetto a quanto
sarebbe giustificato da finalità di sicurezza.
1.1. - Stante l’identità di oggetto delle questioni,
sorrette da argomentazioni in larga misura coincidenti, i relativi giudizi
possono essere riuniti e decisi con unica pronuncia.
1.2. – L’eccezione di inammissibilità delle questioni,
sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato nell’assunto del carattere
regolamentare delle norme impugnate, non può essere accolta.
Entrambi i giudici rimettenti, con argomentazioni
coincidenti, hanno ritenuto che la sostituzione delle disposizioni di
rango legislativo [art. 120, comma 2, e art. 130, comma 1, lettera b),
del codice della strada] con altre di contenuto analogo ma di natura
secondaria, in base alle previsioni degli artt. 5 e 11 del d.P.R. 19
aprile 1994, n. 575 (Regolamento recante la disciplina dei procedimenti
per il rilascio e la duplicazione della patente di guida di veicoli), non
si sia perfezionata, in quanto l’anzidetto regolamento è intervenuto su
aspetti sostanziali della disciplina della patente di guida, tra cui
quello in esame, così andando oltre i limiti della materia procedurale –
sulla quale soltanto esso era abilitato a disporre, a norma dell’art. 2,
comma 7, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di
finanza pubblica), e del relativo elenco allegato n. 4 –, risultando
perciò inoperante la clausola abrogatrice delle norme di legge anteriori,
prevista, quale effetto di "delegificazione" conseguente all’entrata in
vigore del citato regolamento, dall’art. 2, comma 8, della legge n. 537
del 1993.
La giurisprudenza costituzionale ha già chiarito che
spetta ai giudici rimettenti valutare i rapporti tra le norme con forza di
legge e le disposizioni che le riproducono o le modificano in atti di
natura regolamentare adottati fuori della materia che la legge prevede
come suscettibile di "delegificazione" (ordinanza n. 230 del 1999). Di
conseguenza, questa Corte ha dato ingresso a questioni di costituzionalità
sollevate sulle norme di rango primario, una volta che i rimettenti
abbiano motivatamente ritenuto inoperante l’effetto di sostituzione della
norma primaria a opera di quella secondaria, secondo lo schema dell’art.
17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività
di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri)
(sentenza n. 251 del 2001; ordinanze n. 440 del 2001 e n. 587 del 2000)
(mentre lo ha negato – ovviamente – nei casi di censure rivolte
direttamente ed esclusivamente nei riguardi delle norme di carattere
regolamentare: sentenza n. 427 del 2000, punto 4 del diritto;
ordinanza n. 554 del 2000).
Conformemente all’anzidetta giurisprudenza, pertanto,
non sussiste ostacolo all’ammissibilità delle questioni, essendo state
motivatamente sollevate sulle norme con forza di legge e precisamente sul
combinato disposto degli artt. 120, comma 2, e 130, comma 1, lettera b),
del decreto legislativo n. 285 del 1992, che entrambi i giudici rimettenti
ritengono essere tuttora in vigore nel testo legislativo anteriore al
regolamento.
2. - Nel merito la questione di costituzionalità degli
artt. 120, comma 2, e 130, comma 1, lettera b), del decreto
legislativo n. 285 del 1992, sollevata in riferimento all’art. 76 della
Costituzione, è fondata.
2.1. – Questa Corte ha più volte rilevato che la legge
di delegazione n. 190 del 1991, abilitando in generale il Governo ad
adottare disposizioni, aventi valore di legge, intese a "rivedere e
riordinare [...] la legislazione vigente concernente la disciplina [...]
della circolazione stradale" (art. 1, comma 1), ha identificato
direttamente, quale base di partenza dell’attività delegata, il codice
della strada previgente, cioè il testo unico delle norme sulla
circolazione stradale approvato con il d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393
(sentenze n. 305 del 1996, n. 427 del 2000, n. 251 del 2001).
Nell’ambito di una delega così configurata, la
"revisione" e il "riordino", in quanto possono comportare l’introduzione
di innovazioni della preesistente disciplina, esigono la previsione di
principi e di criteri direttivi, idonei a circoscrivere le scelte
discrezionali del Governo; relativamente alla materia della revoca della
patente di guida che qui interessa, peraltro, lo stesso legislatore
delegante ha prefigurato l’attività del legislatore delegato nei termini
di un mero "riesame" della disciplina anteriore [art. 2, comma 1, lettera
t), della legge n. 190], senza porre, sul punto, alcuna specifica
direttiva tale da giustificare un intervento di carattere innovativo sulla
stessa materia.
La lettera t) dell’art. 2 è dunque da intendersi
in un senso "minimale", cioè tale da non consentire di per sé l’adozione
di norme delegate di sostanziale modifica del quadro preesistente
(sentenza n. 354 del 1998); e, su tale premessa, questa Corte – nelle
decisioni alle quali fanno richiamo i giudici a quibus per
argomentare il dubbio d’incostituzionalità – ha più volte dichiarato
l’illegittimità costituzionale delle medesime disposizioni oggi impugnate,
per le parti in cui consideravano quali motivi di revoca della patente di
guida altrettanti casi non presi in considerazione nel previgente codice
della strada del 1959: così, l’"essere stati" sottoposti a misura di
sicurezza personale (sentenza n. 354 del 1998) o a misura di prevenzione
(sentenza n. 251 del 2001), o l’essere sottoposti alla misura del foglio
di via obbligatorio (sentenza n. 427 del 2000).
2.2. – Alla medesima conclusione deve giungersi in
relazione alla questione in esame.
Nel sistema del codice precedente, infatti, l’ipotesi
della condanna penale quale ragione del venir meno dei requisiti "morali"
di abilitazione alla guida (subordinatamente alla valutazione
dell’autorità di pubblica sicurezza circa la probabilità di reiterazione
di reati della stessa natura) non era affatto prevista in relazione al
rilascio (art. 82 del d.P.R. n. 393 del 1959) e quindi, stante il
meccanismo di rinvio, neppure in relazione alla revoca (art. 91,
tredicesimo comma, dello stesso d.P.R. n. 393) della patente.
L’unica previsione di revoca della patente direttamente
collegata alla pronuncia di una sentenza di condanna era quella, contenuta
nell’art. 91, settimo comma, della revoca disposta dall’autorità
giudiziaria per l’ipotesi di investimento di persona – tale da determinare
la morte o lesioni personali gravissime o gravi, ovvero con successiva
inottemperanza del conducente all’obbligo di fermarsi e di assistere la
persona investita – e limitatamente ai "casi di particolare gravità"; ma
questa previsione è del tutto diversa, per presupposti e ratio, e
trova ora riscontro in altre disposizioni del codice vigente (cfr. artt.
189, commi 6 e 7, 222 e 223 del decreto legislativo n. 285 del 1992).
Indipendentemente dalle ragioni che hanno determinato la scelta del
legislatore delegato, quindi, l’inclusione della condanna a pena detentiva
non inferiore a tre anni quale motivo di revoca della patente costituisce
una innovazione sostanziale, che avrebbe dovuto necessariamente essere
sorretta da una direttiva del legislatore delegante; così non essendo, la
nuova previsione è posta in violazione della legge di delegazione e dunque
dell’art. 76 della Costituzione.
2.3. – Né varrebbe, in senso contrario rispetto alla
conclusione ora detta, il rilievo dell’esistenza – anteriormente – di una
norma come quella contenuta nell’art. 84 del codice della strada del 1933
(r.d. 8 dicembre 1933, n. 1740), che, nella sua versione originaria,
considerava quale ipotesi di "indegnità", ai fini dell’ammissione agli
esami di idoneità per il rilascio della "patente di abilitazione" (e, dato
anche in questo caso un meccanismo di rinvio, altresì ai fini del "ritiro"
della patente: art. 94 del citato r.d. n. 1740), quella di chi avesse
"riportata condanna per delitto a pena restrittiva della libertà personale
per durata superiore a tre anni"; tale previsione – nel frattempo
modificata con la legge 18 febbraio 1953, n. 243 (Modificazioni al testo
unico delle norme per la tutela delle strade e per la circolazione,
approvato con regio decreto 8 dicembre 1933, n. 1740, relativamente ai
requisiti fisici e morali di cui devono essere in possesso gli aspiranti
al conseguimento delle patenti di guida e i titolari delle stesse, in sede
di revisione) – era stata infatti abrogata già dal tempo dell’entrata in
vigore del codice del 1959 (v. l’art. 145 di quest’ultimo), cosicché essa
non potrebbe in alcun caso ricomprendersi nella legislazione "vigente",
quale presa in considerazione dall’art. 1, comma 1, della legge delega n.
190 del 1991, ai fini dell’elaborazione del nuovo codice.
2.4. – Né, infine, ha pregio l’argomento
dell’Avvocatura dello Stato, circa il preteso collegamento tra la
disciplina ora censurata e le norme del codice precedente riguardanti i
casi di dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato e di
tendenza a delinquere (art. 82, primo comma, del d.P.R. n. 393 del 1959):
queste ipotesi sono infatti ora espressamente e autonomamente riprese nel
comma 1 dell’art. 120 del codice della strada vigente, e,
indipendentemente da ogni possibile rilievo circa la differenza di
contenuto, non si prestano pertanto a giustificare la distinta normativa
di riforma oggetto delle presenti questioni.
3. – La dichiarazione di incostituzionalità per
violazione dell’art. 76 della Costituzione assorbe la censura sollevata
(solo da r.o. n. 382 del 2002) in riferimento all’art. 4 della
Costituzione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt.
120, comma 2, e 130, comma 1, lettera b), del decreto legislativo
30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui
prevedono la revoca della patente nei confronti delle persone condannate a
pena detentiva non inferiore a tre anni, quando l’utilizzazione del
documento di guida possa agevolare la commissione di reati della stessa
natura.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 giugno 2003.
F.to:
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2003.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA