LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 204-bis,
comma 3, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della
strada), disposizione introdotta dall’art. 4, comma 1-septies, del
decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al
codice della strada), convertito con modificazioni nella legge 1° agosto
2003, n. 214, e dell’art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo
30 aprile 1992, n. 285, aggiunto dall’art. 7 del decreto legislativo 15
gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice
della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001,
n. 85), modificato dall’art. 7, comma 3, lettera b), del
decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151, convertito con modificazioni nella
legge 1° agosto 2003, n. 214, promossi con ordinanze dell’8 novembre 2003
dal Giudice di pace di Voltri, del 5 dicembre 2003 dal Giudice di pace di
Mestre, del 23 febbraio 2004 dal Giudice di pace di Ficarolo, del 16 marzo
2004 dal Giudice di pace di Bra, del 17 febbraio 2004 dal Giudice di pace di
Mestre, del 26 gennaio 2004 dal Giudice di pace di Montefiascone, del 30 e
del 26 aprile 2004 dal Giudice di pace di Lanciano, del 12 maggio 2004 dal
Giudice di pace di Carrara e del 10 maggio 2004 (n. 2 ordinanze) dal Giudice
di pace di Casale Monferrato, rispettivamente iscritte ai nn. 120, 267, 465,
503, 569, 575, 643, 658, 701, 721 e 722 del registro ordinanze 2004 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 11, 23, 25,
26, 32, 36 e 38, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visti gli atti di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2004
il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto in fatto
1.¾ Il Giudice di pace di Genova, sezione distaccata di
Voltri (r.o. n. 120 del 2004), ha sollevato questione di legittimità
costituzionale – per la violazione degli articoli 3, 24, primo comma, e 113,
secondo comma, della Costituzione – dell’art. 204-bis, comma 3, del
decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada),
disposizione introdotta dall’art. 4, comma 1-septies, del
decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice
della strada), aggiunta dalla legge di conversione 1° agosto 2003, n. 214.
Il medesimo giudice rimettente – ipotizzando
esclusivamente il contrasto con l’art. 3 della Costituzione – ha sollevato
questione di legittimità costituzionale anche dell’art. 126-bis,
comma 2, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992, introdotto dall’art. 7 del
decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e
correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1,
della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della
modifica apportata dall’art. 7, comma 3, lettera b), del già
segnalato d.l. n. 151 del 2003, come modificato – a propria volta – dalla
summenzionata legge di conversione n. 214 del 2003.
Il suddetto articolo 126-bis, comma 2, del d.lgs.
n. 285 del 1992 è censurato dal rimettente genovese "nella parte in cui
prevede che nel caso di mancata identificazione del conducente la
segnalazione della decurtazione del punteggio attribuito alla patente di
guida deve essere effettuata a carico del proprietario del veicolo, salvo
che lo stesso non comunichi entro 30 giorni i dati personali e della patente
del conducente".
I Giudici di pace di Mestre (r.o. nn. 267 e 569 del
2004), Ficarolo (r.o. n. 465 del 2004), Bra (r.o. n. 503 del 2004),
Montefiascone (r.o. n. 575 del 2004), Lanciano (r.o. nn. 643 e 658 del
2004), Carrara (r.o. n. 701 del 2004) e Casale Monferrato (r.o. nn. 721 e
722 del 2004), hanno, a loro volta, sollevato questione di legittimità
costituzionale – deducendo, nel complesso, la violazione degli articoli 3,
24, 25 (l’indicazione di quest’ultimo parametro apparendo, per vero, frutto
di un laspsus calami) e 27 della Costituzione – sempre dell’art. 126-bis,
comma 2 (ma, invero, la prima ordinanza di rimessione pronunciata dal
rimettente di Mestre parrebbe investire l’intero articolo), del d.lgs. n.
285 del 1992.
1.1.¾ Riferisce il primo dei rimettenti (r.o. n. 120 del
2004) di essere investito della decisione del ricorso proposto – a norma
dell’art. 204-bis del codice della strada – avverso un verbale di
contestazione di infrazione stradale, "con il quale è stata irrogata la
sanzione amministrativa pecuniaria di euro 137,55 e la sanzione
amministrativa accessoria della decurtazione di punti sei dal punteggio
attribuito alla patente di guida di veicoli a motore". Deduce, altresì, il
Giudice di pace di Genova che il ricorrente "non ha provveduto al versamento
della somma pari alla metà del massimo edittale della sanzione inflitta,
come previsto dal comma 3 del predetto art. 204-bis", evidenziando,
inoltre, che l’interessato – nel suo ricorso – ha sottolineato che "il
veicolo al momento dell’infrazione era in uso alla propria moglie".
Ciò premesso, il giudice a quo ipotizza –
innanzitutto – il contrasto dell’art. 204-bis, comma 3, del d.lgs. n.
285 del 1992, con gli artt. 3, 24, primo comma, e 113, secondo comma, della
Costituzione.
La norma di legge suddetta, infatti, violerebbe l’art. 3
della Carta fondamentale sotto il profilo della irragionevole disparità di
trattamento realizzata tra quanti adiscono le vie giudiziali per
l’annullamento del verbale di contestazione dell’infrazione stradale, e
coloro che – in alternativa – decidano o di proporre, allo stesso scopo,
ricorso amministrativo all’autorità prefettizia, ovvero impugnino
direttamente la c.d. "ordinanza-ingiunzione", giacché "l’incombente
procedurale di cui al comma 3 dell’art. 204-bis non è imposto a chi
ricorra al prefetto ai sensi dell’art. 203" del d.lgs. n. 285 del 1992,
ovvero a chi, ai sensi degli artt. 204-bis e 205, ricorra al giudice
di pace avverso l’ordinanza ingiunzione del prefetto. Un secondo motivo
d’incostituzionalità, prosegue il rimettente, sarebbe, inoltre, ravvisabile
in relazione all’art. 24, primo comma, della Costituzione, giacché
l’imposizione dell’onere procedurale previsto dalla norma impugnata
limiterebbe ingiustificatamente "la possibilità di agire in giudizio per la
tutela dei diritti", non essendo difatti "dettata da ragioni di giustizia o
di carattere processuale". Infine, conclude sul punto il rimettente, un
ulteriore autonomo profilo d’incostituzionalità dovrebbe riscontrarsi
riguardo all’art. 113, secondo comma, della Costituzione, atteso che esso
"prevede che la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica
amministrazione non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di
impugnazione".
Inoltre, il Giudice di pace di Genova solleva questione
di legittimità costituzionale anche dell’art. 126-bis, comma 2, del
medesimo d.lgs. n. 285 del 1992.
Siffatta disposizione, "nella parte in cui prevede che
nel caso di mancata identificazione del conducente, la segnalazione della
decurtazione del punteggio attribuito alla patente di guida deve essere
effettuata a carico del proprietario del veicolo, salvo che lo stesso non
comunichi, entro 30 giorni, i dati personali e della patente del
conducente", sarebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione,
configurando "un caso di responsabilità oggettiva a carico del proprietario
del veicolo", giacché questi risponderebbe "per fatto altrui". Orbene,
prosegue il giudice a quo, mentre il ricorso a tale modello di
responsabilità "può apparire corretto" nelle ipotesi previste dagli articoli
196 del codice della strada e 2054 del codice civile (poiché in tali casi la
responsabilità solidale del proprietario del veicolo, "per l’aspetto
puramente riparatorio", risponde alla duplice necessità di evitare che
"molte norme sulla circolazione stradale" restino eluse, e che i danneggiati
in sinistri stradali possano "non ottenere il giusto risarcimento"), è, per
contro, irragionevole che il proprietario del veicolo sia punito per un
fatto che non ha commesso, o che non ha neppure concorso a realizzare.
D’altra parte, osserva ulteriormente il rimettente,
l’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale),
enuncia "il principio della responsabilità personale in tema di sanzioni
amministrative di natura punitiva" (a tale categoria appartenendo la misura
della decurtazione dei punti dalla patente, dovendo essa considerarsi
sanzione accessoria avente carattere strettamente "punitivo personale"), di
talché la disposizione impugnata – nella misura in cui introdurrebbe una
deroga a tale principio – realizzerebbe "una disparità di trattamento tra i
trasgressori di alcune norme del codice della strada ed i trasgressori di
altre norme amministrative".
Infine, conclude il rimettente genovese, "poiché nel
nostro ordinamento è consentito ad una persona fisica di essere proprietario
di veicoli a motore pur non essendo titolare di patente di guida", l’art.
126-bis, comma 2, del d.lgs. n. 285 del 1992 realizzerebbe "una
disparità di trattamento tra soggetti proprietari del veicolo oggetto
dell’infrazione muniti della patente di guida e quelli che ne sono privi,
risultando di fatto punibili con la decurtazione del punteggio solo i
primi".
1.2.¾ Il Giudice di pace di Mestre, con due distinte
ordinanze (r.o. nn. 267 e 569 del 2004), ha sollevato – ipotizzando il
contrasto, nella prima ordinanza, con il solo art. 3 della Costituzione, e,
nella seconda, anche con gli artt. 24 e 27 della Carta fondamentale –
questione di legittimità costituzionale dell’art. 126-bis, comma 2
(ma, come già rilevato, la prima ordinanza di rimessione parrebbe censurare
l’intero articolo), del d.lgs. n. 285 del 1992.
1.2.1.¾ In particolare, nella prima delle due ordinanze (r.o.
n. 267 del 2004), il giudice a quo censura la disposizione suddetta
"nella parte in cui non prevede l’inapplicabilità della sanzione accessoria
della detrazione dei punti sulla patente di guida in difetto della normativa
di attuazione dei previsti corsi di recupero".
Il rimettente descrive, preliminarmente, l’oggetto del
giudizio a quo, consistente nella decisione di un ricorso
(proposto avverso verbale di contestazione di infrazione risalente al 3
luglio 2003) nel quale si "deduce l’illegittimità della norma che introduce
la sanzione accessoria della detrazione dei punti" dalla patente di guida,
atteso che "la nuova disciplina sarebbe incompleta non essendo stata
introdotta la puntuale disciplina dei c.d. corsi di recupero, che
dovrebbero, secondo il disegno del legislatore, consentire al conducente
sanzionato il recupero dei punti detratti".
Ciò premesso, il Giudice di pace di Mestre (sempre nella
prima – r.o. n. 267 del 2004 – delle due ordinanze da esso pronunciate)
deduce come "la disciplina applicabile al momento della contestata
infrazione" risulti quella prevista dal d.l. n. 151 del 2003, che avrebbe
fissato quale data di entrata in vigore del d.lgs. n. 9 del 2002 (cioè il
testo normativo recante la disciplina relativa alla "patente a punti")
quella del 1° luglio 2003. Poiché, però, soltanto con decreto ministeriale
del 29 luglio 2003 (Programmi dei corsi per il recupero dei punti della
patente di guida), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 6
agosto 2003, sono state "introdotte le norme di dettaglio
sull’organizzazione dei corsi di recupero previsti dall’art. 126-bis"
del codice della strada, emergerebbe secondo il rimettente "dalla descritta
successione di norme (…) l’impossibilità giuridica, per un trasgressore
sanzionato nel periodo dal 1° luglio al 6 agosto 2003" (tale essendo
l’evenienza ricorrente nel caso oggetto del giudizio a quo) di
"accedere al meccanismo di recupero dei punti persi".
In forza di tali rilievi, il Giudice di pace di Mestre
pone in luce come, "a fronte dell’imposizione di una sanzione, per la quale
sono previsti rimedi di natura riabilitativa", risulti "in concreto negato
al soggetto sanzionato l’accesso incondizionato ai benefici previsti, con
evidente ed ingiustificata disparità di trattamento dipendente
esclusivamente dal momento in cui la sanzione viene applicata", ciò che
renderebbe la disciplina suddetta non conforme a Costituzione.
Su tali presupposti, quindi, il rimettente – non senza
osservare, in punto di rilevanza della questione sollevata, come la stessa
"all’evidenza" risulti "pregiudiziale rispetto alla decisione della causa"
devoluta al suo esame – ha concluso per la declaratoria d’incostituzionalità
della norma impugnata.
1.2.2.¾ Con la seconda delle citate ordinanze (r.o. n.
569 del 2004), il Giudice di pace di Mestre censura sotto altro profilo –
per violazione degli articoli 3, 24 e 27 della Costituzione – l’art. 126-bis
del codice della strada.
Il rimettente – premesso di giudicare del ricorso
proposto avverso il verbale con cui la polizia municipale di Venezia
contestava al proprietario di un veicolo, "benché non conducente",
l’avvenuta violazione dell’art. 142, comma 9, del codice della strada –
deduce che il suddetto art. 126-bis violerebbe "gli artt. 3 e 27
della Costituzione in quanto prevede una sanzione amministrativa personale
in virtù di una responsabilità oggettiva" (e segnatamente nella parte in cui
stabilisce che la decurtazione del punteggio dalla patente venga effettuata
a carico del proprietario del veicolo, in caso di perdurante mancata
identificazione del conducente responsabile dell’infrazione), nonché "gli
artt. 24 e 27 della Costituzione", nella parte in cui dispone (al comma 2)
che, qualora il proprietario ometta di comunicare i dati personali e della
patente del conducente del veicolo, si applichi "a suo carico la sanzione
prevista dall’art. 180, comma 8" del medesimo codice della strada.
Con riferimento, in particolare, alla prima censura
(quella che ipotizza la violazione degli artt. 3 e 27 Cost.), il giudice
a quo assume che la previsione della decurtazione dei punti dalla
patente, a carico del proprietario del veicolo, "appare in contrasto con
l’insieme del sistema sanzionatorio" previsto per le contravvenzioni
stradali (sistema, a suo dire, "costituito da norme che applicano i principî
costituzionali"), e ciò "in quanto la solidarietà passiva del conducente e
del proprietario è prevista solo per le sanzioni pecuniarie" (giusto il
disposto dell’articolo 196 del codice della strada), risultando "non (…)
trasmissibili le sanzioni non pecuniarie (…) ad altro soggetto diverso da
quello che ha commesso la violazione" (in virtù di quanto stabilito
dall’art. 210 del medesimo codice).
Quanto, invece, alla seconda censura, e cioè il
prospettato contrasto con gli artt. 24 e 27 della Carta fondamentale, la
stessa si fonda sulla constatazione che l’impugnato art. 126-bis – là
dove fa carico al proprietario del veicolo di comunicare i dati personali e
della patente del conducente autore dell’infrazione – costringe il
proprietario del veicolo che non conosce il conducente (come nel caso di
specie, "dove il proprietario è legale rappresentante di due società, e il
ciclomotore è utilizzato dai dipendenti e dai parenti") "ad una omissione",
che ha come effetto "il pagamento di una pena pecuniaria e l’irrogazione
della pena accessoria della decurtazione dei punti della patente", quest’ultima
essendo destinata, inoltre, a "modificarsi" – secondo il rimettente – "a
seconda delle condizioni e status del proprietario", il quale
soltanto "se titolare di patente viene colpito"
Orbene, tale regime sanzionatorio – essendo previsto per
un’omissione che, il più delle volte (anche in ragione del notevole lasso di
tempo che usualmente trascorre tra l’accertamento dell’infrazione a carico
del conducente e la richiesta dei suoi dati personali, e della patente di
guida, rivolta al proprietario del veicolo), si risolve in una "incolpevole
dimenticanza del fatto" – appare al rimettente in contrasto con l’art. 27
della Costituzione. "Mutuando dal diritto penale", egli osserva, "è
necessario che l’atto positivo o negativo sia posto in essere con coscienza
e volontà", ciò che non può certamente dirsi per una semplice
"dimenticanza".
Deduce, infine, il giudice a quo che nella
eventualità in cui il proprietario – il quale pure non sia stato il
conducente del veicolo – corrispondesse "la sanzione pecuniaria in misura
ridotta, non potrebbe proporre ricorso in quanto gli viene impedito dallo
stesso art. 126-bis"; ciò che induce il rimettente ad eccepire "la
violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.)".
1.3.¾ Il Giudice di pace di Ficarolo (r.o. n. 465 del
2004) ha sollevato, del pari, questione di legittimità costituzionale – per
contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. – dell’art. 126-bis, comma 2,
del d.lgs. n. 285 del 1992, "nella parte in cui dispone la decurtazione del
punteggio della patente di guida nei confronti del proprietario del veicolo
nei cui riguardi è stato accertato il superamento dei limiti di velocità,
qualora non risulti identificato colui che si trovava alla guida del veicolo
al momento in cui fu commessa l’infrazione contestata".
Il rimettente – ricostruita la fattispecie concreta
sottoposta al suo esame – ipotizza, innanzitutto, da parte della
disposizione impugnata, la "violazione del principio "nemo tenetur se
detegere" che discende, quale corollario, da quanto stabilito dall’art.
24 della legge fondamentale". Il comma 2 del citato art. 126-bis, nel
richiedere, infatti, al proprietario del veicolo di comunicare i dati
personali e della patente del conducente (non identificato al momento
dell’accertamento dell’illecito amministrativo), "non distingue (…) tra i
possibili destinatari della delazione che viene imposta", di talché, ove la
persona del conducente e del proprietario coincidessero, quest’ultimo
"sarebbe obbligato a confessare la propria colpa".
"Ne deriva", prosegue il giudice a quo, "il
contrasto dell’art. 126-bis" con il principio sopra richiamato (nemo
tenetur se detegere), "e quindi con l’art. 24" della Costituzione.
In relazione, invece, all’ipotizzata violazione dell’art.
3 della Costituzione, il rimettente sottolinea che la sanzione della
decurtazione dei punti dalla patente "viene applicata in modo diverso" nei
confronti delle persone giuridiche rispetto alle persone fisiche, posto che
nel primo caso "si applica la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 180"
del codice della strada, "mentre nel secondo la decurtazione dei punti della
patente di guida", dando così luogo ad una "ingiustificata disparità di
trattamento" tra le due ipotesi.
1.4.¾ Dubita, altresì, della legittimità costituzionale
della medesima disposizione – giacché in contrasto con gli articoli 24 e 27
della Costituzione – anche il Giudice di pace di Bra (r.o. n. 503 del 2004).
La previsione – da parte dell’art. 126-bis del
d.lgs. n. 285 del 1992 – di una "sanzione accessoria personale" a carico del
proprietario del veicolo, che ometta di comunicare chi effettivamente fosse
alla guida del veicolo in occasione della violazione di norme del codice
della strada, sarebbe – secondo il rimettente – in "evidente contrasto con
il principio della responsabilità personale dettato dall’art. 27, primo
comma, della Costituzione", giacché, "pur essendo tale norma riferita alla
responsabilità penale, essa è uniformemente interpretata come estensibile a
tutte le sanzioni che colpiscono la persona".
Evidenzia, inoltre, il giudice a quo come il
suddetto art. 126-bis del codice della strada preveda anche, per
l’omessa comunicazione di cui sopra, "il pagamento di una sanzione
amministrativa ai sensi dell’art. 180, comma 8, del medesimo codice".
Dall’applicazione di tale previsione deriverebbe per il proprietario del
veicolo – allorché questi non sia in grado di comunicare i dati relativi
alla persona ed alla patente del conducente (come avviene, sottolinea il
rimettente, "in quasi tutte le famiglie, in caso di uso promiscuo del
mezzo") – una situazione "paradossale", giacché egli sarebbe, di fatto,
costretto ad "autodenunciarsi", per evitare almeno il pagamento della
sanzione pecuniaria suddetta. Si verrebbe, in tal modo, a realizzare una
lesione del "suo diritto di difesa – rectius: autodifesa – sancito
dall’art. 24 Cost.", in "spregio al principio del nemo tenetur se
detegere".
Infine, secondo il Giudice di pace di Bra, essendo di
soli 30 giorni il termine per effettuare la comunicazione contemplata dalla
norma sospettata di costituzionalità, e dunque "nettamente inferiore al
termine di 60 giorni per proporre ricorso al Giudice di pace o al Prefetto"
(ai sensi degli articoli 203 e 204-bis del d.lgs. n. 285 del 1992),
da ciò "consegue il paradosso per cui potrebbe venire irrogata una sanzione
accessoria in mancanza di un giudicato sulla sanzione principale, in palese
contrasto con il principio, logico prima ancora che giuridico, secondo cui
la sanzione accessoria non ha ragione di esistere quando manchi ab
origine o venga successivamente meno quella principale".
Su tali basi – e non senza porre in luce,
conclusivamente, come, obbligando il proprietario del veicolo a comunicare
il nominativo del conducente responsabile dell’accertata infrazione
stradale, la norma de qua lascerebbe "in capo al cittadino e non allo
Stato la decisione su chi debba subire la sanzione" – il rimettente ha
concluso per l’accoglimento della questione di costituzionalità sollevata.
1.5.¾ Il contrasto tra l’art. 126-bis del d.lgs.
n. 285 del 1992 e gli articoli 3 e 27, primo e terzo comma, della
Costituzione è ipotizzato dal Giudice di pace di Montefiascone (r.o. n. 575
del 2004).
Riassume, in primo luogo, il rimettente i termini del
giudizio a quo, sottolineando di essere investito di un ricorso
proposto avverso un verbale di contestazione dell’infrazione stradale di cui
all’art. 142, comma 8, del codice della strada.
Nel precisare che il ricorrente – non essendo "in grado,
dato il tempo trascorso, di indicare la persona fisica al volante al momento
dell’accertamento dell’infrazione" – ha provveduto "al pagamento della
sanzione pecuniaria", eccependo però l’incostituzionalità "della sanzione
amministrativa della decurtazione" del punteggio dalla patente, il Giudice
di pace di Montefiascone ha sollevato – in relazione ai parametri
summenzionati – questione di legittimità costituzionale del suddetto art.
126-bis "nella parte in cui pone a carico del proprietario del
veicolo la decurtazione dei punti della patente connessa a violazioni
commesse da terzi".
Ad avviso del rimettente, difatti, "il sistema
sanzionatorio testé indicato crea un’ingiustificata disparità di trattamento
tra situazioni sostanzialmente identiche", giacché esso può "applicarsi
soltanto ai proprietari muniti di patente di guida", mandando invece "esenti
da sanzione coloro che ne sono sprovvisti", così incentivando – oltretutto –
la "diseducativa tendenza a intestare le vetture ai non patentati".
Accanto all’ipotizzata violazione dell’art. 3 Cost., il
rimettente – non senza evidenziare come la prassi, originata
dall’applicazione della norma impugnata, di denunciare un prossimo congiunto
quale conducente responsabile dell’infrazione darebbe luogo ad una
situazione di "contrasto con la tutela dei vincoli familiari
costituzionalmente protetti" – prospetta, quale ulteriore censura, la
violazione dell’art. 27 della Carta fondamentale. Tale articolo, difatti,
"enuncia il principio della personalità della pena", valevole anche per una
"sanzione afflittiva che limita la libertà personale e l’autonomia di
locomozione" (qual è la decurtazione dei punti dalla patente), non a caso
"intrasmissibile ad altri soggetti come previsto dall’art. 210" del medesimo
d.lgs. n. 285 del 1992.
1.6.¾ Con due distinte ordinanze (r.o. nn. 643 e 658 del
2004), il Giudice di pace di Lanciano ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dell’art. 126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992.
1.6.1.¾ Nel primo caso (r.o. n. 643 del 2004), è
ipotizzata la violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione ad opera
della suddetta disposizione di legge, "nella parte in cui prevede che la
decurtazione dei punti avviene al proprietario del veicolo quando il
conducente rimane sconosciuto", nonché là dove stabilisce che "se
proprietario è una persona giuridica questa può liberarsi pagando solo una
somma di denaro".
Il rimettente – nel premettere che la risoluzione della
questione di legittimità costituzionale è rilevante ai fini della
definizione del giudizio di cui esso è investito, giacché, "dati tutti gli
elementi della fattispecie concreta", la norma impugnata è tra quelle "di
cui non è da escludere l’applicazione per la risoluzione della causa",
poiché nel caso di specie "non è stata identificata la conducente dell’auto
de qua" – deduce la violazione degli articoli 3 e 24 della
Costituzione.
A suo dire, infatti, per effetto della previsione
contenuta nell’impugnata disposizione, "non tutti i cittadini avrebbero pari
dignità sociale e sarebbero eguali davanti alla legge", né tutti "potrebbero
agire per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi". La norma
de qua – prosegue il rimettente – "introduce una singolare sanzione a
carattere intermittente o eventuale a secondo di chi sia il proprietario del
mezzo" (essendo essa "applicabile solo nel caso in cui il titolare del mezzo
sia patentato"), dando, inoltre, luogo, "all’interno dei destinatari
patentati", ad un (ulteriore) "discrimine non ragionevole" a carico di chi
"non vuole indicare chi tra i familiari ha preso l’auto oppure non sa, non
conosce chi ha utilizzato l’auto".
Ipotizza, infine, il giudice a quo un’ulteriore
violazione degli stessi parametri costituzionali (artt. 3 e 24 Cost.), sotto
altro profilo.
Qualora, difatti, il proprietario del veicolo risulti una
persona giuridica, a carico del suo legale rappresentante che ometta di
comunicare i dati personali e della patente del conducente si applicherebbe
esclusivamente la sanzione amministrativa prevista dall’art. 180 comma 8 del
codice della strada (e cioè una sanzione solo pecuniaria), con "evidente (…)
discriminazione tra il proprietario di un’autovettura che sia persona
giuridica e chi non lo è, in quanto il legale rappresentante ha la
possibilità di effettuare il pagamento in denaro senza alcuna decurtazione
di punteggio", evenienza non prevista, invece, nell’altra ipotesi.
In forza di tali rilevi – nonché conclusivamente
osservando come "la possibilità di irrogare sanzioni senza la contestazione
immediata, anche se prevista dalla legge" (ed alla base della possibilità di
punire il proprietario del veicolo in luogo del conducente rimasto
sconosciuto), costituirebbe "di per sé una compromissione del diritto di
difesa, in contrasto con quanto statuito dall’art. 24, secondo comma, della
Costituzione" – il rimettente ha chiesto la declaratoria
d’incostituzionalità della disposizione impugnata.
1.6.2.¾ Con la seconda ordinanza (r.o. n. 658 del 2004),
lo stesso Giudice di pace di Lanciano deduce il contrasto con gli artt. 24 e
27 della Costituzione dell’art. 126-bis, comma 2, del d.lgs. n. 285
del 1992.
Il giudice a quo deduce, in primo luogo,
l’esistenza di un contrasto tra la disposizione impugnata e l’art. 24 Cost.,
giacché quest’ultimo – "in ossequio all’antico brocardo nemo tenetur se
detegere" – sancisce "il diritto a non fornire elementi in proprio danno
e, più in generale, a non collaborare con l’Autorità per la propria
incriminazione", diritto, viceversa, pregiudicato dalla norma suddetta.
Quanto, invece, alla prospettata violazione dell’art. 27
Cost., il rimettente osserva che con "l’introduzione della perdita dei punti
sulla patente" l’illecito amministrativo, consistente nell’inosservanza
delle regole sulla circolazione stradale, avrebbe acquistato "la
configurazione di un vero e proprio reato con sanzione anche di carattere
afflittivo oltre che pecuniaria", di talché, a causa dell’applicazione della
sanzione de qua, "il reato-contravvenzione verrebbe addebitato
per responsabilità oggettiva violando l’art. 27 della nostra Costituzione".
Rileva, inoltre, il Giudice di pace di Lanciano come la
disposizione impugnata si presenti in contrasto con la configurazione che
alla responsabilità amministrativa è stata conferita dalla già ricordata
legge n. 689 del 1981.
Se è vero, difatti, che il suo art. 6 (con disposizione
che risulta, per così dire, "doppiata" – nella materia delle infrazioni
stradali – da quella contenuta nell’art. 196 del d.lgs. n. 285 del 1992) ha
"introdotto l’istituto della solidarietà, di derivazione civilistica,
prevedendo la responsabilità in solido, con l’autore dell’illecito, del
proprietario della cosa che servì a commettere la violazione", deve, però,
riconoscersi che siffatta "solidarietà" "comporta il pagamento della somma
pecuniaria scaturita dalla violazione amministrativa, e non invece
l’assoggettamento ad altra sanzione di carattere affittivo, ma non
pecuniario, come quella della detrazione dei punti della patente prevista
dall’art. 126-bis".
1.7.¾ Deduce, altresì, il contrasto con gli articoli 3,
24 e 25 della Costituzione dell’art. 126-bis del codice della strada,
anche il Giudice di pace di Carrara (r.o. n. 701 del 2004).
Ricostruisce, in primis, il rimettente i termini
del giudizio a quo, sottolineando di essere stato adito per
l’annullamento di un verbale di accertamento "riferito alla violazione
relativa all’uso di telefono cellulare durante la guida", verbale
"notificato alla ricorrente in quanto proprietaria del veicolo e
"responsabile in solido" della violazione". Deduce, inoltre, che
l’interessata – nel proprio ricorso – assumeva "che non era lei opponente
alla guida", essendo, in ogni caso, "impossibile per gli accertatori
rilevare la circostanza contestata" (e cioè l’uso dell’apparecchio
telefonico, atteso che la vettura di sua proprietà "sarebbe dotata di vetri
oscurati"), e che comunque l’automobile "non era stata usata dalla
ricorrente nelle circostanze di tempo e di luogo contestate", né "prestata
ad alcuno".
Chiesto, su tali basi, l’accoglimento dell’opposizione,
la ricorrente "eccepiva anche questione di legittimità costituzionale
dell’art. 126-bis" del codice della strada, questione che l’adito
giudicante ha reputato rilevante, giacché solamente ove tale norma "fosse
conforme a Costituzione si dovrebbe applicare, all’esito sfavorevole per
l’opponente del giudizio, anche la sanzione accessoria della perdita di
cinque punti della patente di guida all’opponente".
In ordine, poi, alla non manifesta infondatezza della
questione, il rimettente premette la necessità di chiarire la "natura
giuridica della decurtazione dei punti della patente", contestando la
ricostruzione proposta dal Ministero dell’Interno attraverso apposite
circolari, essendo tale istituto "contraddittoriamente definito, da un lato,
come misura avente "carattere cautelare" e dall’altro misura che "integra il
sistema delle sanzioni pecuniarie accessorie" previste dal Codice della
Strada". La constatazione che si è in presenza di un "istituto di natura
afflittiva e permanente (la decurtazione non ha effetti temporanei e
provvisori)", porta il giudice a quo a ritenere la misura in esame
"una sanzione amministrativa personale".
"Così ricostruita" – prosegue il rimettente – "la natura
della misura in rapporto alla propria funzione, ne risultano però
evidenziati anche gli aspetti di contrasto con le norme e i principî
costituzionali del sistema sanzionatorio del codice della strada", giacché,
in particolare, l’articolo 196 del d.lgs. n. 285 del 1992 "prevede la
solidarietà passiva – per conducente e proprietario del veicolo – per le
sole sanzioni pecuniarie", così come il successivo art. 210 stabilisce "per
diretta conseguenza (…) l’intrasmissibilità delle sanzioni non pecuniarie ad
altri soggetti, diversi da chi abbia materialmente compiuto la violazione".
Orbene, assume il Giudice di pace di Carrara, siffatto
"impianto normativo" costituirebbe coerente applicazione dei principî
costituzionali (e segnatamente di quello secondo cui la "responsabilità
penale è personale"), che, seppur riferiti ai reati, sarebbero tuttavia
"estesi a tutte le violazioni per le quali siano previste sanzioni che
colpiscono una persona", donde l’ipotizzata violazione – da parte della
disposizione impugnata – dell’art. 25 (recte: 27) della Costituzione.
La previsione, difatti, della "possibile irrogazione di sanzioni
amministrative personali per una sorta di "responsabilità oggettiva"",
costituisce una scelta legislativa "che mal si attaglia con i principi
costituzionali di cui all’art. 25" (recte: 27) della Costituzione, i
quali risultano "pacificamente applicabili nell’impianto normativo delle
sanzioni amministrative", come disciplinato dalla legge n. 689 del 1981.
Deduce il rimettente, inoltre, la violazione anche
dell’art. 3 della Costituzione, giacché la disposizione impugnata
realizzerebbe una "disparità di trattamento", innanzitutto "nel caso in cui
il proprietario della vettura – obbligato solidalmente alla decurtazione –
non sia in possesso della patente di guida", ovvero quando, pur essendo
"giuridicamente proprietario", "di fatto non eserciti il possesso dell’auto"
(tale sarebbe, in particolare, la condizione delle "imprese di leasing",
rispetto alle quali oltretutto la sanzione colpirebbe "il legale
rappresentante della società, individuato con criteri del tutto soggettivi e
casuali", quali quelli connessi alla titolarità della carica).
Né, d’altra parte, il prospettato dubbio di
costituzionalità, per violazione dell’art. 3 della Carta fondamentale,
potrebbe essere superato – conclude il giudice a quo – ove si ritenga
che la sanzione della decurtazione dei punti dalla patente "colpisca il
proprietario non in quanto tale, ma per l’omissione delle informazioni"
indicate nell’art. 126-bis, in quanto "tale comportamento omissivo è
già di per sé stesso punito dalla sanzione amministrativa pecuniaria ai
sensi dell’art. 180, comma 8" del medesimo codice della strada.
Ipotizza, infine, il Giudice di Pace di Carrara anche la
violazione degli articoli 24 e 25 della Costituzione, in quanto,
nell’ipotesi in cui "il proprietario del veicolo sia lo stesso conducente,
cui non sia stata immediatamente contestata la violazione", questi "si
vedrebbe costretto ad autodenunciarsi, a pena di incorrere in doppio
provvedimento punitivo", e cioè "da un lato la decurtazione del punteggio e
dall’altro la sanzione pecuniaria per l’omissione dei dati dell’effettivo
conducente".
Tale evenienza, però, non pare compatibile con la scelta
compiuta dal nostro ordinamento – "come ogni ordinamento liberale" – in
favore del principio che esclude (persino in materia penale) "che si possa
essere costretti ad agire contro sé stessi", atteso che sono "i soggetti che
accertano l’illecito ad essere tenuti ad individuare l’effettivo
trasgressore".
1.8.¾ La violazione del solo articolo 24 della
Costituzione – da parte del già più volte ricordato art. 126-bis del
d.lgs. n. 285 del 1992 – è dedotta anche dal Giudice di pace di Casale
Monferrato, con due ordinanze (r.o. nn. 721 e 722 del 2004) di pressoché
identico contenuto (le stesse, invero, differiscono unicamente in ragione
del fatto che, nel primo caso, proprietaria dell’autovettura, a carico della
quale è stata accertata l’infrazione stradale, risulta essere una persona
giuridica).
Deducendo che ambedue i giudizi, dei quali esso è
investito, non potrebbero essere definiti "indipendentemente dalla
risoluzione della questione di legittimità costituzionale della norma
sopracitata", il rimettente assume che l’obbligo da essa imposto a carico
del proprietario del veicolo (indicare le generalità del conducente al
momento dell’avvenuta contestazione, nel caso in cui l’identificazione del
trasgressore non avvenga immediatamente) risulta "sanzionato diversamente, a
seconda che il proprietario sia una persona fisica o giuridica".
In entrambi i casi, tuttavia, "il diritto di difesa
garantito dall’art. 24 Cost. risulta compresso", e ciò sotto vari profili;
in primo luogo perché "la norma prevede una responsabilità oggettiva del
proprietario del veicolo", e cioè un "istituto estraneo al nostro diritto
sanzionatorio, sia penale, sia amministrativo". La norma stabilisce,
inoltre, "l’obbligo di denuncia (o delazione) del conducente del veicolo",
obbligo ipotizzabile, però, "solo in capo a determinati soggetti, che
rivestono funzioni pubbliche". Infine, allorché le persone del proprietario
e del conducente, autore dell’infrazione, coincidano, "la norma imporrebbe
un vero e proprio obbligo di confessare, limitando irrimediabilmente il
diritto di difesa del cittadino", essendo "il diritto al silenzio (…) ormai
patrimonio acquisito al nostro ordinamento".
2.¾ È intervenuto, nei soli giudizi originati dalle
ordinanze di rimessione pronunciate dai Giudici di pace di Genova, sezione
distaccata di Voltri, e Mestre (r.o. nn. 120 e 267 del 2004), il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato.
Nel primo caso la difesa erariale si limita a "riportarsi
alle deduzioni formulate nei precedenti atti di intervento in cause simili"
(e segnatamente quelle originate dalle ordinanze r.o. nn. 997 e 998 del
2003, peraltro già definite da questa Corte con la sentenza n. 114 del
2004), assumendo l’infondatezza della questione prospettata.
Nel secondo caso l’Avvocatura generale dello Stato
eccepisce che la questione sollevata sarebbe "inammissibile e comunque
infondata".
Rileva la difesa erariale, quanto all’inammissibilità
della questione, che il giudice rimettente – censurando la disposizione
impugnata nella parte in cui precluderebbe l’accesso, ai corsi di recupero
dei punti della patente, ai soggetti sanzionati tra il 1° luglio 2003
(giorno a cui risale l’entrata in vigore della norma relativa alla
decurtazione del punteggio della patente) ed il successivo 6 agosto (giorno,
invece, della pubblicazione del già ricordato decreto ministeriale recante
la disciplina relativa ai corsi suddetti) – avrebbe omesso di "precisare
quale pregiudizio in concreto abbia subito il ricorrente dal presunto
ritardo nella istituzione dei corsi di recupero", e quindi "come la
questione di costituzionalità prospettata d’ufficio dal giudice a quo
possa assumere rilevanza nel giudizio".
Nel merito, invece, l’Avvocatura generale dello Stato
osserva che "né la normativa primaria, né tanto meno il decreto ministeriale
prevedono meccanismi di preclusione temporale per l’iscrizione a tali corsi
in relazione alla data di decurtazione del punteggio". L’art. 6 del suddetto
decreto si limita, difatti, a prevedere l’impossibilità d’iscrizione ad uno
dei corsi "se prima non si sia ricevuta la comunicazione da parte del
Ministero competente della decurtazione" operata, nulla stabilendo, invece,
"circa l’esistenza di un termine massimo entro il quale un cittadino
dovrebbe iscriversi al corso di recupero".
Considerato in diritto
1.— I giudici di pace di Genova, sezione distaccata di
Voltri (r.o. n. 120 del 2004), Mestre (r.o. n. 569 del 2004), Ficarolo (r.o.
n. 465 del 2004), Bra (r.o. n. 503 del 2004), Montefiascone (r.o. n. 575 del
2004), Lanciano (r.o. nn. 643 e 658 del 2004), Carrara (r.o. n. 701 del
2004) e Casale Monferrato (r.o. nn. 721 e 722 del 2004) hanno sollevato
questione di legittimità costituzionale – deducendo, nel complesso, la
violazione degli articoli 3, 24, 25 (l’indicazione di quest’ultimo parametro
apparendo, per vero, frutto di un laspsus calami) e 27 della
Costituzione – dell’art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30
aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 7 del
decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e
correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1,
della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della
modifica apportata dall’art. 7, comma 3, lettera b), del
decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice
della strada), come modificato – a propria volta – dalla legge di
conversione 1° agosto 2003, n. 214.
La disposizione de qua è sospettata di
incostituzionalità nella parte in cui prevede che, nel caso di mancata
identificazione del conducente, "responsabile della violazione" delle norme
del codice della strada per le quali "è prevista la sanzione amministrativa
accessoria della sospensione della patente", la segnalazione della
decurtazione del punteggio attribuito alla patente di guida debba essere
effettuata a carico del proprietario del veicolo, "salvo che lo stesso non
comunichi, entro trenta giorni dalla richiesta, all’organo di polizia che
procede, i dati personali e della patente del conducente al momento della
commessa violazione".
1.1.— Deducono taluni dei predetti rimettenti (e
segnatamente il Giudice di pace di Genova, sezione distaccata di Voltri,
nonché quelli di Mestre, Ficarolo, Montefiascone, Lanciano e Carrara) la
violazione dell’art. 3 della Costituzione, ravvisata sotto diversi profili.
Innanzitutto, perché la disposizione impugnata configurerebbe una "sanzione
intermittente", operando soltanto nei confronti dei proprietari di veicoli
che risultino muniti di patente (r.o. nn. 120, 575, 643 e 701 del 2004),
ovvero esclusivamente nei confronti delle persone fisiche e non anche di
quelle giuridiche (r.o. nn. 465 e 643 del 2004); in secondo luogo, perché la
stessa – in contrasto con la previsione di cui all’art. 3 della legge 24
novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), che fissa il principio
della "personalità" della responsabilità amministrativa – realizzerebbe
un’ingiustificata "disparità di trattamento tra i trasgressori di alcune
norme del codice della strada ed i trasgressori di altre norme
amministrative" (r.o. n. 120 del 2004).
Il contrasto con il parametro di cui all’art. 3 Cost. è
ipotizzato, inoltre, anche in relazione al difetto di ragionevolezza che
connoterebbe la disposizione de qua (r.o. nn. 120 e 569 del 2004).
Essa, difatti, opera un intervento, consistente nella previsione di
un’ipotesi di responsabilità "per fatto altrui", che – se appare "corretto"
nei casi contemplati dagli articoli 196 del codice della strada e 2054 del
codice civile (giacché qui la responsabilità solidale del proprietario del
veicolo, "per l’aspetto puramente riparatorio", risponde alla duplice
necessità di evitare che "molte norme sulla circolazione stradale" restino
"eluse" e che i danneggiati in sinistri stradali possano "non ottenere il
giusto risarcimento"; così in particolare r.o. n. 120 del 2004) – risulta,
invece, irragionevole nel caso di specie, trattandosi di applicare una
sanzione di natura "personale" (così, nuovamente, r.o. n. 120 del 2004).
1.2.— L’art. 126-bis, comma 2, del codice della
strada, inoltre, sarebbe in contrasto – secondo quanto ipotizzato dai
rimettenti di Mestre, Ficarolo, Bra, Lanciano, Carrara e Casale Monferrato –
con l’art. 24 della Costituzione, e ciò sotto un triplice alternativo
profilo.
Da un lato si assume che "la possibilità di irrogare
sanzioni senza la contestazione immediata, anche se prevista dalla legge",
costituirebbe "di per sé una compromissione del diritto di difesa" (r.o. n.
643 del 2004).
Per altro verso, invece, si sottolinea che – qualora le
persone del proprietario del veicolo e del conducente, responsabile
dell’infrazione, coincidano – la necessità di evitare (almeno) l’irrogazione
della sanzione pecuniaria di cui all’art. 180, comma 8, del codice della
strada (comminata a carico del proprietario che non provveda a soddisfare la
richiesta di comunicare i "dati personali e della patente" del conducente),
dovrebbe indurre il destinatario della richiesta suddetta ad autodenunciarsi,
con conseguente violazione del principio del nemo tenetur se detegere
(r.o. nn. 465, 503, 658, 701, 721 e 722 del 2004).
Infine, si deduce la violazione del diritto di difesa
anche sotto un ulteriore profilo (r.o. n. 503 del 2004), evidenziando come
la previsione di un termine di appena trenta giorni, entro il quale il
proprietario del veicolo deve comunicare i dati personali e della patente
del conducente responsabile dell’infrazione, risulti "nettamente inferiore
al termine di sessanta giorni per proporre ricorso al Giudice di pace o al
Prefetto, al fine di conseguire l’annullamento del verbale di contestazione
dell’infrazione stradale". Orbene, tale "sfasatura" temporale comporterebbe
l’eventualità che sia "irrogata una sanzione accessoria in mancanza di un
giudicato sulla sanzione principale, in palese contrasto con il principio,
logico prima ancora che giuridico, secondo cui la sanzione accessoria non ha
ragione di esistere quando manchi ab origine o venga successivamente
meno quella principale".
1.3.— Viene, infine, ipotizzata – dai soli giudici di
pace di Bra, Mestre, Montefiascone, Lanciano (ma esclusivamente
nell’ordinanza r.o. n. 658 del 2004) e Carrara – la violazione anche
dell’art. 27 della Costituzione.
Si assume, difatti, che il principio – sancito dal primo
comma di tale articolo – secondo cui la "responsabilità penale è personale"
deve intendersi riferito anche alla responsabilità amministrativa.
2.— Il Giudice di pace di Genova, sezione distaccata di
Voltri (r.o. n. 120 del 2004), ha, inoltre, sollevato questione di
legittimità costituzionale – per contrasto con gli articoli 3, 24, primo
comma, e 113, secondo comma, della Costituzione – dell’art. 204-bis,
comma 3, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992, disposizione introdotta
dall’art. 4, comma 1-septies, del già citato d.l. n. 151 del 2003,
aggiunta dalla legge di conversione n. 214 del 2003.
Il rimettente lamenta la irragionevole disparità di
trattamento – realizzata dalla disposizione di legge impugnata – tra quanti
adiscono le vie giudiziali per l’annullamento del verbale di contestazione
dell’infrazione stradale, e coloro che, in alternativa, decidano o di
proporre, allo stesso scopo, ricorso amministrativo all’autorità
prefettizia, ovvero impugnino direttamente la c.d. "ordinanza-ingiunzione",
giacché "l’incombente procedurale di cui al comma 3 dell’art. 204-bis"
del codice della strada (versamento di una "cauzione", prevista a pena
d’inammissibilità dell’iniziativa esperita) risulterebbe stabilito solamente
nella prima delle tre ipotesi. Si deduce, inoltre, che l’imposizione
dell’onere procedurale de quo limiterebbe ingiustificatamente
"la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei diritti", non essendo
difatti "dettata da ragioni di giustizia o di carattere processuale",
contravvenendo inoltre al precetto costituzionale il quale "prevede che la
tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione non
può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione".
3.— Infine, un’ulteriore questione di legittimità
costituzionale dell’art. 126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992 è
sollevata dal Giudice di pace di Mestre (nella prima ordinanza – r.o. n. 267
del 2004 – da esso pronunciata), sotto un profilo del tutto diverso da
quelli testé illustrati.
È dedotta l’irragionevole disparità di trattamento – e
dunque il contrasto con l’art. 3 Cost. – che la disposizione in esame
realizzerebbe a carico di taluni utenti della strada, esclusi ratione
temporis dalla possibilità di partecipazione ai corsi per il recupero
del punteggio detratto dalla patente, giacché sanzionati anteriormente
all’avvento del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
29 luglio 2003 (Programmi dei corsi per il recupero dei punti della patente
di guida) con il quale sono state "introdotte le norme di
dettaglio sull’organizzazione dei corsi di recupero previsti dall’art. 126-bis"
del codice della strada. Secondo il rimettente, difatti, i soggetti che
abbiano subito la decurtazione di punti dalla propria patente di guida in
ragione di infrazioni commesse tra il 1° luglio 2003 ed il successivo 6
agosto (cioè a dire in un arco temporale che, nella prospettazione del
giudice a quo, sarebbe compreso tra la data dell’entrata in vigore
della nuova normativa relativa alla "patente a punti" e quella della
pubblicazione del decreto ministeriale concernente i c.d. "corsi di
recupero") sarebbero impossibilitati ad accedere a tali corsi, essendo
divenute operative le norme di dettaglio sulla loro organizzazione soltanto
successivamente alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del
decreto ministeriale suddetto (e dunque il 6 agosto 2003).
4.— Ciò premesso in merito alle iniziative assunte dai
diversi giudici a quibus, deve preliminarmente disporsi – data la
connessione oggettiva esistente tra le varie ordinanze di rimessione – la
riunione dei relativi giudizi ai fini di una unica decisione.
Quanto, invece, al contenuto di quest’ultima, appare
necessario definire, in via preliminare, tra le questioni di legittimità
costituzionale sollevate dal Giudice di pace di Genova, sezione distaccata
di Voltri (r.o. n. 120 del 2004), quella avente ad oggetto l’art. 204-bis,
comma 3, del codice della strada, nonché, di seguito, quella posta dal
rimettente di Mestre nella prima delle due ordinanze da esso pronunciate (r.o.
n. 267 del 2004).
5.— La questione di legittimità costituzionale dell’art.
204-bis, comma 3, del d.lgs. n. 285 del 1992, sollevata dal
rimettente genovese, è manifestamente inammissibile.
La disposizione de qua è già stata dichiarata
costituzionalmente illegittima con sentenza di questa Corte n. 114 del 2004,
la quale ha rilevato che l’imposizione dell’onere economico da essa previsto
finisce "con il pregiudicare l’esercizio dei diritti che l’art. 24 della
Costituzione proclama inviolabili, considerato che il mancato versamento
comporta un effetto preclusivo dello svoglimento del giudizio, incidendo
direttamente sull’ammissibilità dell’azione esperita".
6.— La questione sollevata dal Giudice di pace di Mestre
con l’ordinanza r.o. n. 267 del 2004 è, invece, infondata.
Secondo il rimettente, dalla previsione contenuta
nell’art. 126-bis del codice della strada discenderebbe la
"impossibilità giuridica, per un trasgressore sanzionato nel periodo dal 1°
luglio al 6 agosto 2003", di accedere ai corsi di recupero della patente,
essendo divenute operative le norme di dettaglio sull’organizzazione dei
corsi stessi solo successivamente a tale periodo, di talché, "a fronte della
imposizione di una sanzione, per la quale sono previsti rimedi di natura
riabilitativa", sarebbe "in concreto negato al soggetto sanzionato l’accesso
incondizionato ai benefici previsti, con conseguente ingiustificata
disparità di trattamento dipendente esclusivamente dal momento in cui la
sanzione viene applicata".
L’impugnato articolo 126-bis ha previsto e
disciplinato il sistema della c.d. patente a punti, stabilendo che all’atto
del rilascio della patente vengano attribuiti venti punti, annotati in una
apposita anagrafe nazionale (comma 1). Tale punteggio è destinato a subire
decurtazioni a seguito della comunicazione, alla suddetta anagrafe, della
"violazione di una delle norme per le quali è prevista la sanzione
amministrativa accessoria della sospensione della patente ovvero di una tra
le norme di comportamento di cui al titolo V" dello stesso codice della
strada (meglio indicate in una apposita tabella ad esso allegata). Il comma
4 del medesimo art. 126-bis dispone che, fuori dai casi di perdita
totale del punteggio e purché questo non sia del tutto esaurito, è
consentito ai trasgressori di recuperare un certo numero di punti mediante
la frequenza di corsi di aggiornamento, organizzati dalle autoscuole ovvero
da soggetti pubblici o privati a ciò espressamente autorizzati. L’ultimo
periodo del comma sopra indicato dispone che "con decreto del Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti sono stabiliti i criteri per il rilascio
dell’autorizzazione, i programmi e le modalità di svolgimento dei corsi di
aggiornamento".
L’art. 126-bis in esame è entrato in vigore a
decorrere dal 30 giugno 2003 (secondo quanto previsto dall’art. 8 del già
citato d.l. n. 151 del 2003); da tale data è dunque divenuto operativo il
sistema della patente a punti. Il decreto ministeriale che ha disciplinato i
corsi di recupero, per contro, è stato adottato in data 29 luglio 2003 ed è
stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il successivo 6 agosto
2003.
L’infrazione al codice della strada, sottoposta al
giudizio del giudice rimettente, è stata commessa il 3 luglio 2003, dopo
cioè l’entrata in vigore della disposizione censurata e prima della
pubblicazione del decreto. Secondo il rimettente, la norma censurata sarebbe
incostituzionale, in quanto "la nuova disciplina sarebbe incompleta non
essendo stata introdotta la puntuale disciplina dei c.d. corsi di recupero,
che dovrebbero, secondo il disegno del legislatore, consentire al conducente
sanzionato il recupero dei punti detratti".
La censura prospettata non può essere accolta per due
ragioni, ciascuna delle quali ha carattere assorbente.
In primo luogo, anche per le infrazioni commesse tra il
30 giugno 2003 e la data di entrata in vigore del già menzionato decreto
ministeriale relativo all’organizzazione dei corsi di recupero dei punti
perduti (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 6 agosto 2003) era
ed è possibile l’accesso ai corsi stessi. Da un lato, infatti, nessuna
preclusione di carattere temporale per l’iscrizione ai medesimi è prevista,
né dall’articolo 126-bis del codice della strada, né dal d.m. 29
luglio 2003, essendo – dall’altro – del tutto logico che la partecipazione
ai predetti corsi debba avvenire in epoca successiva all’accertamento
dell’infrazione ed alla applicazione delle due sanzioni combinate, la prima
di natura pecuniaria, e la seconda concernente la decurtazione del
punteggio. Nessun pregiudizio, dunque, può derivare al soggetto che abbia
commesso l’infrazione al codice della strada nel suddetto arco di tempo,
atteso che nessuna preclusione per la partecipazione ai corsi di recupero è
ipotizzabile per il contravventore.
In secondo luogo, l’eventuale ritardo imputabile
all’autorità amministrativa nel porre in essere gli atti di adempimento di
una determinata normativa non può tradursi in una ragione di illegittimità
costituzionale della normativa stessa.
7.— In relazione, invece, alla questione di legittimità
del comma 2 del medesimo art. 126-bis del codice della strada
(sollevata da tutti gli altri rimettenti, compreso il Giudice di pace di
Genova, sezione distaccata di Voltri, nella seconda parte della sua
ordinanza, prima esaminata sotto un diverso profilo), occorre procedere ad
uno scrutinio differenziato in relazione ai diversi parametri evocati,
presentandosi tale questione fondata solo nei limiti di seguito precisati.
8.— È necessario, peraltro, premettere il quadro di fondo
nel quale si colloca la disposizione oggetto di censura, la cui legittimità
costituzionale è posta in dubbio dai rimettenti nella parte in cui essa
stabilisce che, nel caso di mancata identificazione del contravventore, la
decurtazione dei punti della patente "deve essere effettuata a carico del
proprietario del veicolo, salvo che lo stesso non comunichi, entro trenta
giorni dalla richiesta, all’organo di polizia che procede, i dati personali
e della patente del conducente al momento della commessa violazione".
L’originario comma 2 dell’art. 126-bis del codice
della strada, introdotto dall’art. 7 del decreto legislativo 15 gennaio
2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della
strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85),
disponeva che l’organo accertatore della violazione comportante la perdita
di punteggio dovesse dare notizia, entro trenta giorni dalla definizione
della contestazione, all’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida. In
particolare, il comma in questione prevedeva che la comunicazione dovesse
essere effettuata "solo se la persona del conducente, quale responsabile
della violazione", fosse stata "identificata inequivocabilmente". In base a
tale disposizione, quindi, nelle ipotesi in cui non fosse stata possibile la
identificazione del conducente, il proprietario rispondeva soltanto per il
pagamento della sanzione pecuniaria prevista per l’infrazione, stante il
vincolo di solidarietà passiva con il conducente, ma non subiva alcuna
conseguenza relativamente alla decurtazione del punteggio della sua patente.
La decurtazione presupponeva, pertanto, l’avvenuta identificazione, in ogni
caso, del conducente del veicolo.
Soltanto in virtù di quanto stabilito dall’art. 7, comma
3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed
integrazioni al codice della strada), nel testo a sua volta modificato dalla
relativa legge di conversione 1° agosto 2003, n. 214, l’ultima parte del
comma 2 dell’art. 126-bis è stata sostituita, prevedendosi che, nel
caso di mancata identificazione del conducente, la segnalazione all’anagrafe
nazionale degli abilitati alla guida debba "essere effettuata a carico del
proprietario del veicolo", aggiungendosi che il suddetto proprietario, per
evitare tale effetto pregiudizievole, è tenuto a comunicare, entro trenta
giorni dalla richiesta ricevutane, all’organo di polizia che procede, i dati
personali e della patente del conducente al momento della violazione
commessa. È poi previsto che "se il proprietario del veicolo risulta una
persona giuridica, il suo legale rappresentante o un suo delegato è tenuto a
fornire gli stessi dati, entro lo stesso termine, all’organo di polizia che
procede". La norma in esame, infine, aggiunge che "se il proprietario del
veicolo omette di fornirli, si applica a suo carico la sanzione prevista
dall’art. 180, comma 8", vale a dire quella secondo la quale "chiunque senza
giustificato motivo non ottempera all’invito dell’autorità di presentarsi,
entro il termine stabilito nell’invito medesimo, ad uffici di polizia per
fornire informazioni o esibire documenti ai fini dell’accertamento delle
violazioni amministrative previste dal presente codice, è soggetto alla
sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 343,35 a euro
1.376,55".
Dall’insieme delle citate disposizioni emerge, dunque,
che nel caso in cui proprietario del veicolo sia una persona fisica munita
di patente e l’infrazione sia punita, oltre che con la sanzione pecuniaria
prevista da altre norme del codice, specificamente indicate in una apposita
tabella, anche con quella della decurtazione del punteggio della patente, il
proprietario del mezzo, da un lato, risponde in solido con il conducente per
il pagamento della sanzione pecuniaria principale (art. 196 del codice della
strada), e, dall’altro, si vede detratti i punti della patente. Tale
ulteriore sanzione si applica, peraltro, quando non sia stato possibile
identificare il conducente e il proprietario medesimo, ricevutane apposita
richiesta, abbia omesso di indicare all’autorità le generalità ed i dati
della patente del conducente che era alla guida del veicolo; indicazione
che, invece, come si è detto, determina l’inapplicabilità al proprietario
della sanzione consistente nella decurtazione del punteggio.
Ora, appare evidente che l’applicazione di questa
ulteriore sanzione prescinde da qualsivoglia accertamento della
responsabilità personale del proprietario del veicolo in relazione alla
violazione delle norme concernenti la circolazione stradale.
9.— È alla luce di siffatta disciplina complessiva che
deve essere effettuato lo scrutinio di costituzionalità sollecitato dai
rimettenti, i quali ritengono che la sanzione de qua sia
incompatibile con uno o più dei parametri costituzionali evocati.
9.1.— Viene, innanzi tutto, in rilievo la censura con la
quale è stata dedotta la violazione dell’art. 24 della Costituzione.
Assumono taluni dei giudici rimettenti che "la
possibilità di irrogare sanzioni senza la contestazione immediata"
costituirebbe "di per sé una compromissione del diritto di difesa". Sotto
altro aspetto, ancora con riferimento al citato parametro costituzionale,
viene dedotto che la disposizione censurata pregiudicherebbe "il diritto a
non fornire elementi in proprio danno e, più in generale, a non collaborare
con l’Autorità per la propria incriminazione"; diritto che sarebbe sancito
"in ossequio all’antico brocardo nemo tenetur se detegere". Infine,
si assume che il diritto alla difesa risulterebbe pregiudicato, in ogni
caso, dal fatto che la disposizione in esame prevede un termine di appena
trenta giorni, entro il quale il proprietario del veicolo è tenuto a
comunicare i dati personali e della patente del conducente responsabile
dell’infrazione; un termine, pertanto, "nettamente inferiore" a quello di
sessanta giorni per proporre ricorso al giudice di pace o al prefetto, al
fine di conseguire l’annullamento del verbale di contestazione
dell’infrazione stradale. L’irrogazione della sanzione della decurtazione
del punteggio dalla patente di guida, sebbene risulti ancora pendente il
termine per adire le vie giudiziali o amministrative onde attingere la
caducazione del verbale di contestazione dell’infrazione, rappresenterebbe
una menomazione del diritto di difesa.
9.1.1.— Va chiarito, in proposito, che la mancata
previsione della contestazione "immediata" dell’infrazione punita con una
misura amministrativa non integra di per sé una violazione del diritto di
difesa. E a ciò va aggiunto che, in sostanza, la doglianza investe la
possibilità – prevista dall’art. 4, comma 4, del decreto-legge 20 giugno
2002, n. 121 (Disposizioni urgenti per garantire la sicurezza nella
circolazione stradale), convertito nella legge 1° agosto 2002, n. 168 – di
non procedere alla contestazione immediata dell’infrazione rilevata, di
talché essa, più che indirizzarsi contro la previsione dell’art. 126-bis,
comma 2, del codice della strada, avrebbe dovuto investire la disposizione
che tale possibilità contempla.
9.1.2.— Quanto alla paventata necessità per il
proprietario del veicolo di autodenunciarsi, il dubbio di costituzionalità
sollevato dai rimettenti appare fondarsi su di una inesatta esegesi del dato
normativo. Si consideri, difatti, che la disposizione impugnata
espressamente stabilisce che la comunicazione all’anagrafe nazionale degli
abilitati alla guida dell’avvenuta perdita del punteggio dalla patente (e
cioè l’adempimento che ha come presupposto, nel caso di mancata
identificazione del conducente responsabile della violazione, proprio
l’avvenuta inutile richiesta al proprietario del veicolo di fornire i dati
personali e della patente del predetto conducente) deve avvenire "entro
trenta giorni dalla definizione della contestazione effettuata", definizione
che presuppone, a sua volta, che "siano conclusi i procedimenti dei ricorsi
amministrativi o giurisdizionali ammessi", ovvero – ed è proprio siffatta
previsione ad essere dirimente rispetto alla censura in esame – che "siano
decorsi i termini per la proposizione dei medesimi".
In nessun caso, quindi, il proprietario è tenuto a
rivelare i dati personali e della patente del conducente prima della
definizione dei procedimenti giurisdizionali o amministrativi per
l’annullamento del verbale di contestazione dell’infrazione.
9.2.— Fondate sono, invece, le censure di violazione
dell’art. 3 della Costituzione sotto il profilo della irragionevolezza della
disposizione, nel senso che essa dà vita ad una sanzione assolutamente
sui generis, giacché la stessa – pur essendo di natura personale – non
appare riconducibile ad un contegno direttamente posto in essere dal
proprietario del veicolo e consistente nella trasgressione di una specifica
norma relativa alla circolazione stradale.
9.2.1.— A tale conclusione conduce la ricostruzione del
contenuto della disposizione censurata alla luce della disciplina generale
del sistema sanzionatorio previsto per gli illeciti amministrativi, dalla
legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale).
L’art. 3 di tale legge fissa due principî fondamentali:
quello secondo il quale "nelle violazioni cui è applicabile una sanzione
amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione,
cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa" (primo comma); e quello
secondo il quale "nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul
fatto, l’agente non è responsabile quando l’errore non è determinato da sua
colpa" (secondo comma). Il citato articolo ancora la responsabilità per
comportamenti tipizzati dalla norma al carattere personale della condotta
commissiva od omissiva del contravventore.
Ciò premesso, dunque, sul carattere "generale" del
principio della personalità della responsabilità amministrativa, deve
inoltre osservarsi come l’art. 6 della stessa legge n. 689 del 1981
disciplini, a sua volta, ma per le sole sanzioni pecuniarie, la solidarietà
passiva tra "il proprietario della cosa che servì o fu destinata a
commettere la violazione o, in sua vece, l’usufruttuario o, se trattasi di
bene immobile, il titolare di un diritto personale di godimento" e "l’autore
della violazione".
Orbene, il codice della strada, all’art. 196, con
riferimento quasi testuale all’art. 6 della citata legge n. 689 del 1981 fa
proprio il "principio di solidarietà", disponendo, al comma 1, che "per le
violazioni punibili con la sanzione amministrativa pecuniaria il
proprietario del veicolo" (o, in sua vece, "l’usufruttuario, l’acquirente
con patto di riservato dominio o l’utilizzatore a titolo di locazione
finanziaria") è "obbligato in solido con l’autore della violazione al
pagamento della somma da questi dovuta".
L’art. 126-bis, comma 2, invece, intervenendo in
materia diversa dalla responsabilità per il pagamento di somme e in una
ipotesi di sanzione di carattere schiettamente personale, pone a carico del
proprietario del veicolo, solo perché tale, una autonoma sanzione, appunto,
personale, prescindendo dalla violazione, al medesimo proprietario
direttamente ascrivibile, di regole disciplinanti la circolazione stradale.
9.2.2.— È pur vero che in più occasioni questa Corte
(ordinanze nn. 323 e 319 del 2002 e n. 33 del 2001) ha affermato che la
responsabilità del proprietario di un veicolo, per le violazioni commesse da
chi si trovi alla guida, costituisce, nel sistema delle sanzioni
amministrative previste per la violazione delle norme relative alla
circolazione stradale, un principio di ordine generale, operante, in
particolare, nel caso del fermo amministrativo del veicolo, anche quando sia
di proprietà di terzi (art. 214, comma 1-bis, del codice della
strada). Nondimeno, deve rilevarsi che nelle ipotesi prese in considerazione
dalla citata giurisprudenza si versava pur sempre in tema di sanzioni aventi
il carattere della patrimonialità e dunque suscettibili d’essere oggetto del
regime della solidarietà passiva coinvolgente il proprietario del veicolo.
Ed infatti con l’irrogazione della sanzione del fermo amministrativo del
veicolo non si incide sulla "persona" del proprietario, giacché la norma "si
limita a sottrargli la disponibilità, per un tempo limitato, di un bene
patrimoniale" (ordinanza n. 282 del 2001), determinando così una
compressione soltanto di quelle facoltà di "godimento" della res che
ineriscono al diritto di proprietà.
Nella fattispecie ipotizzata dall’art. 126-bis,
invece, assume preponderante rilievo il carattere schiettamente personale
della sanzione che viene direttamente ad incidere sull’autorizzazione alla
guida.
Si tratta, dunque, di una ipotesi di illecito
amministrativo che, per più aspetti, appare assimilabile a quella della
sospensione della patente, la cui "natura afflittiva (…) incide sul profilo
della legittimazione soggettiva alla conduzione di ogni veicolo, gravando
sul relativo atto amministrativo di abilitazione, a seguito dell’accertata
trasgressione di regole di comportamento afferenti alla sicurezza della
circolazione" (ordinanza n. 74 del 2000).
È, in effetti, proprio la peculiare natura della sanzione
prevista dall’art. 126-bis, al pari della sospensione della patente
incidente anch’essa sulla "legittimazione soggettiva alla conduzione di ogni
veicolo", che fa emergere l’irragionevolezza della scelta legislativa di
porre la stessa a carico del proprietario del veicolo che non sia anche il
responsabile dell’infrazione stradale.
E ciò senza che venga in rilievo il pur denunciato
contrasto tra la norma censurata e il principio costituzionale fissato
dall’art. 27 della Costituzione; profilo che resta assorbito.
In conclusione, l’art. 126-bis, comma 2, del
codice della strada, nella parte in cui assoggetta il proprietario del
veicolo alla decurtazione dei punti della patente quando ometta di
comunicare all’Autorità amministrativa procedente le generalità del
conducente che abbia commesso l’infrazione alle regole della circolazione
stradale, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo.
10.— L’accoglimento della questione di legittimità
costituzionale, per violazione del principio di ragionevolezza, rende,
tuttavia, necessario precisare che nel caso in cui il proprietario ometta di
comunicare i dati personali e della patente del conducente, trova
applicazione la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 180, comma 8, del
codice della strada.
In tal modo viene anche fugato il dubbio – che pure è
stato avanzato da taluni dei rimettenti – in ordine ad una ingiustificata
disparità di trattamento realizzata tra i proprietari di veicoli,
discriminati a seconda della loro natura di persone giuridiche o fisiche,
ovvero, quanto a queste ultime, in base alla circostanza meramente
accidentale che le stesse siano munite o meno di patente.
Resta, tuttavia, ferma – ovviamente – la possibilità per
il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, di conferire alla
materia un nuovo e diverso assetto.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art.
126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285
(Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 7 del decreto legislativo
15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo
codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo
2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della modifica apportata
dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003,
n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con
modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214, nella parte in cui
dispone che: "nel caso di mancata identificazione di questi, la segnalazione
deve essere effettuata a carico del proprietario del veicolo, salvo che lo
stesso non comunichi, entro trenta giorni dalla richiesta, all’organo di
polizia che procede, i dati personali e della patente del conducente al
momento della commessa violazione", anziché "nel caso di mancata
identificazione di questi, il proprietario del veicolo, entro trenta giorni
dalla richiesta, deve fornire, all’organo di polizia che procede, i dati
personali e della patente del conducente al momento della commessa
violazione";
dichiara la manifesta inammissibilità della questione
di legittimità costituzionale dell’art. 204-bis, comma 3, del
predetto d.lgs. n. 285 del 1992, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24,
primo comma, e 113, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice di pace
di Genova, sezione distaccata di Voltri, con l’ordinanza indicata in
epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale del medesimo art. 126-bis del predetto d.lgs. n. 285
del 1992, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal
Giudice di pace di Mestre, con l’ordinanza r.o. n. 267 del 2004.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2005.
F.to:
Valerio ONIDA, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2005.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA