La questione era stata sollevata dal Tribunale di Pisa
Dipendente pubblico a tempo pieno solo per concorso PAGINA PRECEDENTE
(Corte Costituzionale 89/2003)
   
   
Con la Sentenza della Corte Costituzionale 13-27 marzo 2003, n. 89, è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 2, del DLgs 30 marzo 2001, n. 165, con cui sono state emanate le “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”. La questione era stata sollevata dal Tribunale di Pisa che aveva ritenuto l’art. 36, comma 2, del citato DLgs n. 165/2001, in contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, nella parte in cui dispone che la violazione, da parte delle pubbliche amministrazioni, di norme imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le stesse amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. La norma, ad avviso del Tribunale di Pisa, sarebbe lesiva del principio di uguaglianza affermato dall’art. 3 della Costituzione perché, nonostante l’avvenuta privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, in caso di violazione delle norme imperative sul rapporto di lavoro a termine di cui alla legge n. 230/1962, discriminerebbe i dipendenti pubblici rispetto a quelli privati non consentendo ai primi di fruire della tutela della conversione del rapporto da tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, di cui invece nella stessa ipotesi di violazione delle norme della legge n. 230/1962 beneficiano i lavoratori dipendenti privati. Inoltre, l’art. 36, comma 2, del DLgs n. 165/2001, violerebbe anche il principio di buon andamento della pubblica amministrazione affermato nell’art. 97 della Costituzione, in quanto non terrebbe conto del fatto che la stabilità connessa al rapporto di lavoro a tempo indeterminato rende i dipendenti più motivati e più efficienti. La Corte Costituzionale non ha condiviso le argomentazioni addotte dal Tribunale di Pisa, svolgendo varie considerazioni tra cui le seguenti. L’assunto secondo cui, a seguito della privatizzazione, il rapporto di lavoro alle dipendenze della pubbliche amministrazioni sia assimilato sotto ogni aspetto a quello svolto alle dipendenze di datori di lavoro privati, non è corretto perché per le pubbliche amministrazioni continua a valere il principio fondamentale della instaurazione del rapporto di lavoro mediante pubblico concorso, come prescritto dal terzo comma dell’art. 97 della Costituzione. Per questa ragione, non sussiste omogeneità tra le situazioni poste a confronto dal Tribunale di Pisa e questa diversità giustifica la scelta fatta dal legislatore nella norma censurata di ricollegare alla violazione da parte delle amministrazioni pubbliche di norme imperative concernenti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, conseguenze di carattere meramente risarcitorie anziché la conversione del rapporto a tempo indeterminato, come è invece previsto quando si tratta di lavoratori privati. Il fatto che lo stesso art. 97, comma terzo, della Costituzione contempli la possibilità di derogare per legge al principio del pubblico concorso, sta a significare che l’individuazione di tali previsioni di carattere eccezionale è rimessa alla discrezionalità del legislatore. Sulla base di tali osservazioni, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Pisa è stata dichiarata infondata. (17 aprile 2003)  


Sentenza della Corte Costituzionale n.89/2003

 

 

La Corte costituzionale

composta dai signori:

……………..omissis……………..

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 [1] (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), promosso con ordinanza del 7 agosto 2002 dal Tribunale di Pisa nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Del Corso Laura ed altri e il Ministero della pubblica istruzione, iscritta al n. 467 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 febbraio 2003 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto in fatto

1. - Il Tribunale di Pisa, con ordinanza del 7 agosto 2002, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione [2], questione di legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 [1] (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui dispone che "la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione".

In punto di rilevanza della questione, il rimettente espone di essere chiamato a decidere su domande dirette ad ottenere il riconoscimento dell’esistenza di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, ai sensi dell’art. 2, secondo comma, della legge 18 aprile 1962, n. 230 [3] (Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato), proposte da alcuni ex dipendenti del Comune di Pisa, trasferiti - in qualità di personale A.T.A. (amministrativo, tecnico e ausiliario) - alle dipendenze dello Stato, ai sensi della legge 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico), con contratti a termine stipulati nel gennaio 2000 e successivamente prorogati.

Muovendo dalla premessa secondo la quale, a seguito della stipula del CCNL del comparto scuola per il quadriennio 1998-2001, ogni altra disciplina normativa deve intendersi abrogata, ai sensi dell’art. 69, comma 1, del testo unico n. 165 del 2001 [4], il giudice a quo assume che la fattispecie dedotta in giudizio sarebbe esclusivamente regolata dalla legge n. 230 del 1962 e dalla eventuale normativa pattizia a livello nazionale richiamata dall’art. 36, comma 1, del suddetto testo unico [1].

Osserva lo stesso giudice che, al riguardo, il suddetto CCNL del comparto scuola dispone che, in sostituzione dei provvedimenti di conferimento di supplenza annuale e temporanea, si stipulino contratti di lavoro a tempo determinato, ai sensi dell’art. 18 dello stesso contratto collettivo, "nei casi previsti dal d. lgs. n. 297 del 1994".

Sull’amministrazione convenuta gravava dunque - secondo il rimettente - l’onere di provare la sussistenza dei presupposti, indicati all’art. 522 (recte: art. 582) del richiamato decreto legislativo n. 297 del 1994 [5], per la valida stipula di contratti a termine: presupposti che, in definitiva, si sostanzierebbero nella esistenza di posti disponibili e non vacanti.

Sia in ragione del mancato assolvimento di siffatto onere probatorio da parte dell’amministrazione convenuta, sia in considerazione della pacifica reiterazione dei contratti in questione per oltre due anni, sussisterebbero, conclusivamente, le condizioni, ai sensi della legge n. 230 del 1962 [3], per le quali i contratti stessi dovrebbero intendersi sin dall’origine a tempo indeterminato.

La relativa declaratoria sarebbe tuttavia preclusa dalla norma impugnata, che appunto esclude la cosiddetta conversione del rapporto, cosicché la soluzione della proposta questione di legittimità costituzionale si rivelerebbe indispensabile ai fini della decisione della causa.

Nel merito, il rimettente osserva che, a seguito della riforma, la regolamentazione del rapporto di lavoro dei pubblici impiegati è affidata per intero alle fonti generali e speciali dell’impiego privato ed alla contrattazione collettiva nazionale e decentrata, essendo stato espunto il limite rappresentato dalla compatibilità della suddetta disciplina con la specialità del rapporto, contenuto nell’originario testo dell’art. 2 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 [6].

Ne conseguirebbe che il rapporto di lavoro dei pubblici impiegati non potrebbe considerarsi rapporto speciale rispetto al rapporto di lavoro nell’impresa privata, e ciò varrebbe anche per le forme di lavoro flessibile quale, appunto, il lavoro a tempo determinato.

Il divieto di conversione del rapporto a termine dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni non troverebbe perciò alcuna ragionevole giustificazione e, in particolare, non sarebbe sorretto dal disposto dell’art. 97 della Costituzione [2], che, sancendo l’obbligo di assunzione mediante concorso salvo i casi previsti dalla legge, evidentemente non escluderebbe la possibilità da parte del legislatore di prevedere casi di assunzione a tempo indeterminato che prescindano dalla procedura concorsuale.

La norma impugnata si porrebbe, dunque, in contrasto con l’art. 3 della Costituzione [2] sia per la violazione del canone di ragionevolezza sia per la palese disparità di trattamento tra lavoratori pubblici e lavoratori privati.

Risulterebbe, altresì, leso il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 della Costituzione, in quanto l’eliminazione di ogni residua forma di precariato consentirebbe al datore di lavoro pubblico di potersi avvalere di professionalità più motivate, in ragione della stabilità delle funzioni attribuite al lavoratore.

2. - È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di infondatezza della questione.

Ad avviso della parte pubblica, il principio di eguaglianza non potrebbe, nella specie, ritenersi vulnerato in considerazione della non omogeneità delle situazioni poste a confronto, atteso che - anche dopo la cosiddetta privatizzazione - il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici conserverebbe fondamentali peculiarità tali da renderlo profondamente diverso dal rapporto intrattenuto con datori di lavoro privati, come più volte affermato dalla stessa Corte costituzionale.

La privatizzazione riguarderebbe del resto solamente lo svolgimento del rapporto di lavoro, ma non il momento della sua costituzione, rimanendo immutate le particolari esigenze di selezione del dipendente pubblico, a garanzia dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, che in via di principio impongono il ricorso alla procedura concorsuale, salvo casi eccezionali.

L’assunto del rimettente - secondo il quale il precariato porterebbe ad uno scarso impegno del dipendente, con conseguente lesione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - sarebbe del tutto opinabile e comunque atterrebbe ad una sfera di valutazioni sicuramente rimessa alla discrezionalità del legislatore.

L’estensione alle amministrazioni pubbliche dei meccanismi di cui alla legge n. 230 del 1962 [1], non solo non sarebbe, dunque, costituzionalmente imposta, ma, al contrario, si tradurrebbe, secondo l’Avvocatura, in un grave vulnus ai principi costituzionali di cui agli articoli 51 e 97 della Costituzione [2], con i quali, nella materia in questione, il principio di uguaglianza deve essere contemperato.

Considerato in diritto

1. - Il Tribunale di Pisa dubita, in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione [2], della legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 [1] (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui esclude che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, possa comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni.

La norma - ad avviso del rimettente - sarebbe lesiva del principio di eguaglianza in quanto, nonostante l’intervenuta privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e la dichiarata applicabilità al suddetto rapporto della legge 18 aprile 1962, n. 230, (Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato) e successive modificazioni, discriminerebbe i dipendenti pubblici rispetto a quelli privati precludendo ai primi - nel caso di violazione delle norme imperative sul lavoro a termine - la tutela rappresentata dalla cosiddetta conversione del rapporto, prevista dagli articoli 1 e 2 della citata legge n. 230 del 1962 [3], applicabile pro tempore alle fattispecie dedotte nel giudizio a quo.

Sarebbe altresì violato il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto - secondo lo stesso rimettente - la stabilità del rapporto di lavoro renderebbe più motivati, e quindi più efficienti, i dipendenti pubblici che attualmente prestano la loro opera in condizione di precariato.

2. - La questione non è fondata.

2.1. - Il rimettente muove dall’assunto che, a seguito della cosiddetta privatizzazione, derivante dalla riforma del 1993, il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni sia assimilato, sotto ogni aspetto, a quello svolto alle dipendenze di datori di lavoro privati, desumendo da tale premessa l’illegittimità costituzionale della norma denunciata in quanto contrastante con il principio di eguaglianza.

Siffatto assunto, nei termini assoluti nei quali è formulato, non può ritenersi corretto.

Va infatti considerato - limitando l’esame al solo profilo genetico del rapporto, che nella specie viene in considerazione - che il principio fondamentale in materia di instaurazione del rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è quello, del tutto estraneo alla disciplina del lavoro privato, dell’accesso mediante concorso, enunciato dall’art. 97, terzo comma, della Costituzione [2].

L’esistenza di tale principio, posto a presidio delle esigenze di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, di cui al primo comma dello stesso art. 97 della Costituzione, di per sé rende palese la non omogeneità - sotto l’aspetto considerato - delle situazioni poste a confronto dal rimettente e giustifica la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di norme imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego dei lavoratori da parte delle amministrazioni pubbliche conseguenze di carattere esclusivamente risarcitorio, in luogo della conversione (in rapporto) a tempo indeterminato prevista per i lavoratori privati.

È appena il caso di sottolineare, al riguardo, che, seppure lo stesso art. 97, terzo comma, della Costituzione, contempla la possibilità di derogare per legge a miglior tutela dell’interesse pubblico al principio del concorso, è tuttavia rimessa alla discrezionalità del legislatore, nei limiti della non manifesta irragionevolezza, l’individuazione di siffatti casi eccezionali (sentenze n. 320 del 1997, n. 205 del 1996 [7]), senza che alcun vincolo possa ravvisarsi in una pretesa esigenza di uniformità di trattamento rispetto alla disciplina dell’impiego privato, cui il principio del concorso è, come si è detto, del tutto estraneo.

2.2. - Le considerazioni sin qui svolte rendono palese l’infondatezza della questione anche con riferimento al parametro di cui all’art. 97 della Costituzione [2].

L’assunto del rimettente - secondo il quale la stabilizzazione del rapporto di lavoro dei cosiddetti precari, attraverso la conversione dei rapporti a termine irregolari in rapporti a tempo indeterminato, sarebbe rispondente al principio di buon andamento della pubblica amministrazione - trova infatti smentita nella stessa norma costituzionale, là dove questa, al terzo comma, individua appunto nel concorso lo strumento di selezione del personale in linea di principio più idoneo a garantire l’imparzialità e l’efficienza della pubblica amministrazione.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 [1] (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione [3], dal Tribunale di Pisa con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 marzo 2003. - Depositata in Cancelleria il 27 marzo 2003.

 
 

[1] DLgs 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

Art. 36. Forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale. (Art. 36, commi 7e 8 del DLgs n. 29 del 1993, come sostituiti prima dall’art. 17 del DLgs n. 546 del 1993 e poi dall’art. 22 del DLgs n. 80 del 1998)

1. Le pubbliche amministrazioni, nel rispetto delle disposizioni sul reclutamento del personale di cui ai commi precedenti, si avvalgono delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa. I contratti collettivi nazionali provvedono a disciplinare la materia dei contratti a tempo determinato, dei contratti di formazione e lavoro, degli altri rapporti formativi e della fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo, in applicazione di quanto previsto dalla legge 18 aprile 1962, n. 230, dall’articolo 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, dall’articolo 3 del decreto legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, dall’articolo 16 del decreto legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, dalla legge 24 giugno 1997, n. 196, nonché da ogni successiva modificazione o integrazione della relativa disciplina.

2. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l’obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave.

 

 

[2] Costituzione della Repubblica Italiana 27 dicembre 1947

Art. 3.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 51.

Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.

La legge può, per l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica.

Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro.

Art. 97.

I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e la imparzialità dell’amministrazione.

Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.

Agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

 

 

[3] Legge 18 aprile 1962, n. 230 (Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato)

Ndr. La legge 18 aprile 1962, n. 230, è stata abrogata dall’art. 11 del DLgs 6 settembre 2001, n. 368, concernente "Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES".

Art. 1. (nel testo così modificato dall’articolo unico della legge 23 maggio 1977, n. 266, e dall’articolo unico della legge 25 marzo 1986, n. 84, ndr).

[Il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato, salvo le eccezioni appresso indicate.

È consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto:

a) quando ciò sia richiesto dalla speciale natura dell’attività lavorativa derivante dal carattere stagionale della medesima;

b) quando l’assunzione abbia luogo per sostituire lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto, sempreché nel contratto di lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione;

c) quando l’assunzione abbia luogo per la esecuzione di un’opera o di un servizio definiti e predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario od occasionale;

d) per le lavorazioni a fasi successive che richiedono maestranze diverse, per specializzazioni, da quelle normalmente impiegate e limitatamente alle fasi complementari od integrative per le quali non vi sia continuità di impiego nell’ambito dell’azienda;

e) nelle assunzioni di personale riferite a specifici spettacoli ovvero a specifici programmi radiofonici o televisivi;

f) quando l’assunzione venga effettuata da aziende di trasporto aereo o da aziende esercenti i servizi aeroportuali ed abbia luogo per lo svolgimento dei servizi operativi di terra e di volo, di assistenza a bordo ai passeggeri e merci, per un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti, e nella percentuale non superiore al 15 per cento dell’organico aziendale che, al 1° gennaio dell’anno a cui le assunzioni si riferiscono, risulti complessivamente adibito ai servizi sopra indicati. Negli aeroporti minori detta percentuale può essere aumentata da parte delle aziende esercenti i servizi aeroportuali, previa autorizzazione dell’ispettorato del lavoro, su istanza documentata delle aziende stesse. In ogni caso, le organizzazioni sindacali provinciali di categoria ricevono comunicazione delle richieste di assunzione da parte delle aziende di cui alla presente lettera.

L’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da atto scritto.

Copia dell’atto scritto deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore.

La scrittura non è tuttavia necessaria quando la durata del rapporto di lavoro puramente occasionale non sia superiore a dodici giorni lavorativi.

L’elenco delle attività di cui al secondo comma, lettera a), del presente articolo sarà determinato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, entro un anno dalla pubblicazione della presente legge. L’elenco suddetto potrà essere successivamente modificato con le medesime procedure. In attesa dell’emanazione di tale provvedimento, per la determinazione di dette attività si applica il decreto ministeriale 11 dicembre 1939 che approva l’elenco delle lavorazioni che si compiono annualmente in periodi di durata inferiore a sei mesi].

Art. 2. (nel testo modificato dall’art. 12 della legge 24 giugno 1997, n. 196, ndr).

[Il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, eccezionalmente prorogato, non più di una volta e per un tempo non superiore alla durata del contratto iniziale, quando la proroga sia richiesta da esigenze contingibili ed imprevedibili e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato, ai sensi del secondo comma dell’articolo precedente.

Se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20 per cento fino al decimo giorno successivo, al 40 per cento per ciascun giorno ulteriore. Se il rapporto di lavoro continua oltre il ventesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi ovvero oltre il trentesimo negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini. Qualora il lavoratore venga riassunto a termine entro un periodo di dieci giorni ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata, rispettivamente, inferiore o superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato. Quando si tratti di due assunzioni successive a termine, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto].

 

 

[4] DLgs 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

Art. 69. Norme transitorie. (Art. 25, comma 4 del DLgs n. 29 del 1993; art. 50, comma 14 del DLgs n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 17 del DLgs n. 470 del 1993 e poi dall’art. 2 del DLgs n. 396 del 1997; art. 72, commi 1 e 4 del DLgs n. 29 del 1993, come sostituiti dall’art. 36 del DLgs n. 546 del 1993, art. 73, comma 2 del DLgs n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 37 del DLgs n. 546 del 1993; art. 28, comma 2 del DLgs n. 80 del 1998; art. 45, commi 5, 9, 17 e 25 del DLgs n. 80 del 1998, come modificati dall’art. 22, comma 6 del DLgs n. 387 del 1998; art. 24, comma 3 del DLgs n. 387 del 1998)

1. Salvo che per le materie di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, gli accordi sindacali recepiti in decreti del Presidente della Repubblica in base alla legge 29 marzo 1983, n. 93, e le norme generali e speciali del pubblico impiego, vigenti alla data del 13 gennaio 1994 e non abrogate, costituiscono, limitatamente agli istituti del rapporto di lavoro, la disciplina di cui all’articolo 2, comma 2. Tali disposizioni sono inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994-1997, in relazione ai soggetti e alle materie dagli stessi contemplati. Tali disposizioni cessano in ogni caso di produrre effetti dal momento della sottoscrizione, per ciascun ambito di riferimento, dei contratti collettivi del quadriennio 1998-2001.

2. In attesa di una nuova regolamentazione contrattuale della materia, resta ferma per i dipendenti di cui all’articolo 2, comma 2, la disciplina vigente in materia di trattamento di fine rapporto.

3. Il personale delle qualifiche ad esaurimento di cui agli articoli 60 e 61 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748, e successive modificazioni ed integrazioni, e quello di cui all’articolo 15 della legge 9 marzo 1989, n. 88, i cui ruoli sono contestualmente soppressi dalla data del 21 febbraio 1993, conserva le qualifiche ad personam. A tale personale sono attribuite funzioni vicarie del dirigente e funzioni di direzione di uffici di particolare rilevanza non riservati al dirigente, nonché compiti di studio, ricerca, ispezione e vigilanza ad esse delegati dal dirigente. Il trattamento economico è definito tramite il relativo contratto collettivo.

 

 

[5] DLgs 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado).

Art. 582. Supplenze temporanee.

1. Alla copertura di posti disponibili e non vacanti e di quelli resisi disponibili dopo la data del 31 dicembre, per qualsiasi causa, ovvero per rinuncia o decadenza del personale cui sia stata precedentemente conferita la nomina, si provvede mediante l’assunzione di personale supplente temporaneo, limitatamente al periodo di effettiva permanenza delle esigenze di servizio.

2. Le supplenze temporanee di cui al comma 1 sono conferite dal provveditore agli studi sulla base delle apposite graduatorie provinciali permanenti, di cui al comma 2 dell’articolo 581.

3. Nel caso di assenza del coordinatore amministrativo delle scuole d’ogni ordine e grado, si dà luogo alla nomina del supplente temporaneo soltanto quando l’assenza sia di durata superiore a venti giorni e non vi sia nella scuola la possibilità di affidare le relative funzioni ad un collaboratore amministrativo o la reggenza dei servizi di segreteria ad un coordinatore amministrativo di altra scuola viciniore, al quale essa è, in tale eventualità, conferita dal provveditore agli studi.

4. Nel caso di assenze del personale delle aree funzionali dei servizi ausiliari, tecnici ed amministrativi degli istituti o scuole di istruzione primaria, secondaria ed artistica, ivi comprese le accademie e i conservatori, e delle istituzioni educative statali, appartenente alla terza ed alla quarta qualifica funzionale, si dà luogo alla nomina del supplente soltanto quando trattasi di sostituzioni per assenze di durata pari o superiore a trenta giorni, con le seguenti modalità:

a) a partire dal primo assente, nelle scuole con organico, rispettivamente, fino a 10 unità di personale ausiliario ed a 4 unità di personale collaboratore;

b) a partire dal secondo assente in poi, nelle scuole con organico, rispettivamente, superiore a 10 unità di personale ausiliario ed a 4 unità di personale collaboratore.

5. Le supplenze temporanee di cui ai commi 3 e 4 sono conferite dal direttore didattico o dal preside, secondo l’ordine della graduatoria di circolo o d’istituto, formata sulla base della rispettiva graduatoria provinciale. Esse sono disposte per il periodo di effettiva permanenza delle esigenze di servizio, a partire dal primo giorno in cui si determinano le condizioni previste dai commi medesimi, e, per le supplenze temporanee di cui al comma 4, limitatamente al periodo compreso tra l’inizio ed il termine delle lezioni, con l’esclusione delle vacanze natalizie e pasquali.

6. I provvedimenti di conferimento di supplenze adottati in difformità delle disposizioni contenute nel presente e nel precedente articolo sono privi di effetti, ferma restando la responsabilità diretta di coloro che li abbiano disposti.

 

Legge 3 maggio1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico).

Art. 4. Supplenze.

1. Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, qualora non sia possibile provvedere con il personale docente di ruolo delle dotazioni organiche provinciali o mediante l’utilizzazione del personale in soprannumero, e sempreché ai posti medesimi non sia stato già assegnato a qualsiasi titolo personale di ruolo, si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente di ruolo.

2. Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento non vacanti che si rendano di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell’anno scolastico si provvede mediante il conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche. Si provvede parimenti al conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche per la copertura delle ore di insegnamento che non concorrono a costituire cattedre o posti orario.

3. Nei casi diversi da quelli previsti ai commi 1 e 2 si provvede con supplenze temporanee.

4. I posti delle dotazioni organiche provinciali non possono essere coperti in nessun caso mediante assunzione di personale docente non di ruolo.

5. Con proprio decreto da adottare secondo la procedura prevista dall’articolo 17, commi 3 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Ministro della pubblica istruzione emana un regolamento per la disciplina del conferimento delle supplenze annuali e temporanee nel rispetto dei criteri di cui ai commi seguenti.

Ndr. V. il DM 13 dicembre 2000, n. 430, concernente "Regolamento recante norme sulle modalità di conferimento delle supplenze al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario ai sensi dell’articolo 4 della legge 3 maggio 1999, n. 124" e il DM 25 maggio 2000, n. 201, concernente "Regolamento recante norme sulle modalità di conferimento delle supplenze al personale docente ed educativo ai sensi dell’articolo 4 della legge 3 maggio 1999, n. 124".

6. Per il conferimento delle supplenze annuali e delle supplenze temporanee sino al termine delle attività didattiche si utilizzano le graduatorie permanenti di cui all’articolo 401 del testo unico, come sostituito dal comma 6 dell’articolo 1 della presente legge.

7. Per il conferimento delle supplenze temporanee di cui al comma 3 si utilizzano le graduatorie di circolo o di istituto. I criteri, le modalità e i termini per la formazione di tali graduatorie sono improntati a princìpi di semplificazione e snellimento delle procedure con riguardo anche all’onere di documentazione a carico degli aspiranti.

8. Coloro i quali sono inseriti nelle graduatorie permanenti di cui all’articolo 401 del testo unico, come sostituito dal comma 6 dell’articolo 1 della presente legge, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 40, comma 2, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, hanno diritto, nell’ordine, alla precedenza assoluta nel conferimento delle supplenze temporanee nelle istituzioni scolastiche in cui hanno presentato le relative domande. Per gli istituti di istruzione secondaria e artistica la precedenza assoluta è attribuita limitatamente alle classi di concorso nella cui graduatoria permanente si è inseriti.

9. I candidati che nei concorsi per esami e titoli per l’accesso all’insegnamento nella scuola elementare siano stati inclusi nella graduatoria di merito ed abbiano superato la prova facoltativa di accertamento della conoscenza di una o più lingue straniere hanno titolo alla precedenza nel conferimento delle supplenze sui posti i cui titolari provvedono all’insegnamento di una corrispondente lingua straniera.

10. Il conferimento delle supplenze temporanee è consentito esclusivamente per il periodo di effettiva permanenza delle esigenze di servizio. La relativa retribuzione spetta limitatamente alla durata effettiva delle supplenze medesime.

11. Le disposizioni di cui ai precedenti commi si applicano anche al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA). Per il conferimento delle supplenze al personale della terza qualifica di cui all’articolo 51 del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto "Scuola", pubblicato nel supplemento ordinario n. 109 alla Gazzetta Ufficiale n. 207 del 5 settembre 1995, si utilizzano le graduatorie dei concorsi provinciali per titoli di cui all’articolo 554 del testo unico.

12. Le disposizioni di cui ai precedenti commi si applicano altresì al personale docente ed ATA delle Accademie e dei Conservatori.

13. Restano ferme, per quanto riguarda il Conservatorio di musica di Bolzano, le norme particolari in materia di conferimento delle supplenze adottate in attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige.

14. Dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 5 sono abrogati gli articoli 272, 520, 521, 522, 523, 524, 525, 581, 582, 585 e 586 del testo unico.

 

 

[6] DLgs 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421).

Ndr. Il DLgs 3 febbraio 1993, n. 29, è stato abrogato dall’articolo 72 del DLgs 30 marzo 2002, n. 165.

Art. 2. Fonti. (nel testo modificato dall’art. 2 del DLgs 31 marzo 1998, n. 80, e dall’art. 2, DLgs 23 dicembre 1993, n. 546, ndr).

[1. Le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo princìpi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive. Esse ispirano la loro organizzazione ai seguenti criteri:

a) funzionalità rispetto ai compiti e ai programmi di attività, nel perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità. A tal fine, periodicamente e comunque all’atto della definizione dei programmi operativi e dell’assegnazione delle risorse, si procede a specifica verifica e ad eventuale revisione;

b) ampia flessibilità, garantendo adeguati margini alle determinazioni operative e gestionali da assumersi ai sensi dell’articolo 4, comma 2;

c) collegamento delle attività degli uffici, adeguandosi al dovere di comunicazione interna ed esterna, ed interconnessione mediante sistemi informatici e statistici pubblici;

d) garanzia dell’imparzialità e della trasparenza dell’azione amministrativa, anche attraverso l’istituzione di apposite strutture per l’informazione ai cittadini e attribuzione ad un unico ufficio, per ciascun procedimento, della responsabilità complessiva dello stesso;

e) armonizzazione degli orari di servizio e di apertura degli uffici con le esigenze dell’utenza e con gli orari delle amministrazioni pubbliche dei Paesi dell’Unione europea.

2. I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario.

3. I rapporti individuali di lavoro di cui al comma 2 sono regolati contrattualmente. I contratti collettivi sono stipulati secondo i criteri e le modalità previsti nel titolo III del presente decreto; i contratti individuali devono conformarsi ai princìpi di cui all’articolo 49, comma 2. L’attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. Le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia a far data dall’entrata in vigore del relativo rinnovo contrattuale. I trattamenti economici più favorevoli in godimento sono riassorbiti con le modalità e nelle misure previste dai contratti collettivi e i risparmi di spesa che ne conseguono incrementano le risorse disponibili per la contrattazione collettiva.

4. In deroga ai commi 2 e 3 rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, quest’ultima a partire dalla qualifica di vice consigliere di prefettura, nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall’articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, dalla legge 4 giugno 1985, n. 281, e dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287.

5. Il rapporto di impiego dei professori e ricercatori universitari resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti, in attesa della specifica disciplina che la regoli in modo organico ed in conformità ai princìpi della autonomia universitaria di cui all’articolo 33 della Costituzione ed agli articoli 6 e seguenti della legge 9 maggio 1989, n. 168, tenuto conto dei princìpi di cui all’articolo 2, comma 1, della legge 23 ottobre 1992, n. 421].

 

 

DLgs 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

Art. 2. Fonti. (Art. 2, commi da 1 a 3 del DLgs n. 29 del 1993, come sostituiti prima dall’art. 2 del DLgs n. 546 del 1993 e poi dall’art. 2 del DLgs n. 80 del 1998)

1. Le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo princìpi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive. Esse ispirano la loro organizzazione ai seguenti criteri:

a) funzionalità rispetto ai compiti e ai programmi di attività, nel perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità. A tal fine, periodicamente e comunque all’atto della definizione dei programmi operativi e dell’assegnazione delle risorse, si procede a specifica verifica e ad eventuale revisione;

b) ampia flessibilità, garantendo adeguati margini alle determinazioni operative e gestionali da assumersi ai sensi dell’articolo 5, comma 2;

c) collegamento delle attività degli uffici, adeguandosi al dovere di comunicazione interna ed esterna, ed interconnessione mediante sistemi informatici e statistici pubblici;

d) garanzia dell’imparzialità e della trasparenza dell’azione amministrativa, anche attraverso l’istituzione di apposite strutture per l’informazione ai cittadini e attribuzione ad un unico ufficio, per ciascun procedimento, della responsabilità complessiva dello stesso;

e) armonizzazione degli orari di servizio e di apertura degli uffici con le esigenze dell’utenza e con gli orari delle amministrazioni pubbliche dei Paesi dell’Unione europea.

2. I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinate dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle legge sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata non sono ulteriormente applicabili, salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario.

3. I rapporti individuali di lavoro di cui al comma 2 sono regolati contrattualmente. I contratti collettivi sono stipulati secondo i criteri e le modalità previste nel titolo III del presente decreto; i contratti individuali devono conformarsi ai princìpi di cui all’articolo 45, comma 2. L’attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. Le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia a far data dall’entrata in vigore del relativo rinnovo contrattuale. I trattamenti economici più favorevoli in godimento sono riassorbiti con le modalità e nelle misure previste dai contratti collettivi e i risparmi di spesa che ne conseguono incrementano le risorse disponibili per la contrattazione collettiva.

Art. 3. Personale in regime di diritto pubblico. (Art. 2, comma 4 e 5 del DLgs n. 29 del 1993, come sostituiti dall’art. 2 del DLgs n. 546 del 1993 e successivamente modificati dall’art. 2, comma 2 del DLgs n. 80 del 1998)

1. In deroga all’articolo 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e le Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall’articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287.

2. Il rapporto di impiego dei professori e dei ricercatori universitari resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti, in attesa della specifica disciplina che la regoli in modo organico ed in conformità ai princìpi della autonomia universitaria di cui all’articolo 33 della Costituzione ed agli articoli 6 e seguenti della legge 9 maggio 1989, n. 168, e successive modificazioni ed integrazioni, tenuto conto dei princìpi di cui all’articolo 2, comma 1, della legge 23 ottobre 1992, n. 421.

 

 

[7] Corte Costituzionale - Sentenza n. 320 del 16 ottobre 1997

Nel sindacato sulla conformità delle norme di legge, statali e regionali, concernenti la costituzione e l’organizzazione dei pubblici uffici, ai principi di buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione, la giurisprudenza della Corte Costituzionale è costante, in considerazione delle differenze di presupposti e di disciplina giuridica, nel negare legittimità ad ogni forma di omologazione e di assimilazione tra il rapporto di pubblico impiego di ruolo e non di ruolo. Tale assimilazione è ancor più decisamente esclusa tra dipendenti titolari di un rapporto di pubblico impiego e coloro che svolgono invece la loro attività in favore dell’Ente pubblico in base a rapporti di diversa natura giuridica.

 

Corte Costituzionale - Sentenza n. 205 del 10 giugno 1996

Illegittimità costituzionale della delibera legislativa dell’Assemblea regionale Siciliana del 19 ottobre 1995, impugnata, in riferimento agli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione, nella parte in cui autorizza l’E.S.A. ad ampliare la propria pianta organica al fine di dotarsi di personale del ruolo tecnico necessario per lo svolgimento dei compiti istituzionali (art. 1, comma 1), ad immettere nella pianta organica così rideterminata i fruitori delle borse di studio in scienze agrarie, scienze biologiche, economia e commercio, veterinaria e chimica, in possesso dei requisiti per l’accesso al pubblico impiego (art. 1, comma 2), ad adottare i provvedimenti di proroga delle borse di studio fino all’immissione nei ruoli (art. 1, commi 3 e 4), in quanto l’ampliamento e la rideterminazione della pianta organica sono stati disposti in assenza di una preventiva istruttoria che la Regione era vincolata ad assumere in forza del canone generale del buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione ed in base ai principi di riforma economico-sociale desumibili dall’art. 2 della legge 23 ottobre 1992 n. 421 e dall’art. 22 della legge 23 dicembre 1994 n. 724, ed inoltre, poiché la sostanziale assunzione "ad personam" dei singoli borsisti si pone in contrasto con il principio del concorso pubblico, che è la forma generale di reclutamento nel pubblico impiego, derogabile soltanto in presenza di peculiari situazioni giustificatrici, di cui, nel caso in esame, non risulta la sussistenza.