Riguarda coloro il cui rapporto di lavoro non è stato privatizzato
Pubblici, ai giudici amministrativi anche la condotta antisindacale PAGINA PRECEDENTE
(Corte Costituzionale 143/2003)
   
   
In caso di controversie relative a lesione di diritti soggettivi derivanti da comportamento antisindacale del datore di lavoro, per le categorie dei pubblici dipendenti il cui rapporto di lavoro non è stato privatizzato, le disposizioni dell’art. 63, comma 4, del DLgs 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), secondo cui le controversie relative al rapporto di lavoro di tali dipendenti restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi, possono essere interpretate alternativamente nell’uno o nell’altro dei due seguenti modi. Secondo un’interpretazione, l’art. 63, comma 4, del DLgs n. 165/2001, tuttora devolve al giudice amministrativo tutte “le controversie relative ai rapporti di lavoro” dei dipendenti appartenenti alle categorie rimaste in regime di diritto pubblico, compresa l’azione che possa essere esperita dalle organizzazioni sindacali in base all’art. 28 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300/1970) contro la condotta antisindacale del datore di lavoro. Secondo un’altra interpretazione, ai sensi dell’art. 63, comma 4, del DLgs n. 165/2001, il pubblico dipendente che in conseguenza della condotta antisindacale del datore di lavoro ritenga di essere stato leso nei propri diritti, può far valere la sua situazione soggettiva individuale davanti al giudice amministrativo, fermo restando la devoluzione al giudice ordinario dell’azione che l’organizzazione sindacale può promuovere in base all’art. 28 dello Statuto dei lavoratori contro la condotta antisindacale del datore di lavoro. In tal senso si è pronunciata la Corte Costituzionale nell’Ordinanza 9-24 aprile 2003, n. 143, con la quale è stata dichiarata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 63, comma 3, del DLgs n. 165/2001, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24 e 25 della Costituzione, nella parte in cui non demanda alla cognizione del giudice amministrativo le controversie promosse dalle organizzazioni sindacali ai sensi dell’art. 28 della legge n. 300/1970, qualora il comportamento antisindacale del datore di lavoro sia lesivo anche di situazioni soggettive inerenti ai rapporti di impiego pubblico del personale in regime di diritto pubblico. Il Tribunale di Genova aveva ritenuto che l’art. 63, comma 3, del DLgs n. 165/2001, devolvesse al giudice ordinario, anziché al giudice amministrativo, le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni pur quando si tratti di comportamenti lesivi anche di situazioni soggettive inerenti a rapporti di impiego del personale in regime di diritto pubblico. E tale normativa, in considerazione del fatto che dall’art. 4 della legge n. 83/2000 è stato abrogato il criterio di riparto della giurisdizione introdotto dall’art. 6 della legge n. 146/1990, per il quale la giurisdizione spettava al giudice amministrativo o al giudice ordinario a seconda che, con l’azione contro la condotta antisindacale, il sindacato avesse chiesto o non chiesto la rimozione degli effetti incidenti sul pubblico dipendente, sarebbe censurabile per varie ragioni: sarebbe irragionevole e, quindi, in contrasto con l’art. 3 della Costituzione perché, dovendosi riconoscere ai dipendenti rimasti in regime pubblicistico un’autonoma azione davanti al giudice amministrativo ai sensi del comma 4 dello stesso art. 63 del DLgs n. 165/2001, per i medesimi possono insorgere “due controversie aventi il medesimo oggetto vale a dire l’accertamento in via principale della illegittimità dello stesso comportamento e lo stesso vizio denunciato”, demandate però a differenti giurisdizioni; sarebbe contraria all’art. 24 della Costituzione perché a tali dipendenti non sarebbe consentito di interloquire nel processo promosso dall’organizzazione sindacale dinanzi al giudice ordinario in base all’art. 28 della legge n. 300/1970; si porrebbe in contrasto con l’art. 25, comma 2, della Costituzione, perché “la medesima controversia viene demandata a due differenti giurisdizioni a seconda del soggetto da cui è presa l’iniziativa”. La Corte Costituzionale ha però sostanzialmente disatteso il punto di vista espresso dal Tribunale di Genova ed ha osservato che il criterio di ripartizione di cui all’art. 6 della legge n. 146/1990, introdotto in un’epoca in cui sussisteva la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, era idoneo ad operare razionalmente anche a seguito della cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego, tenendo presente che alcune categorie di dipendenti erano sottratti alla stessa privatizzazione. Ne deriva che relativamente a dette categorie di dipendenti rimaste in regime di diritto pubblico, l’abrogazione di quel criterio non fa sorgere questioni di legittimità costituzionale, ma pone esclusivamente l’esigenza di procedere ad una interpretazione sistematica dell’art. 63, comma 3, del DLgs n. 165/2001. Interpretazione che secondo la stessa Corte Costituzionale può valere in una delle due alternative indicate all’inizio. L’una o altra delle due interpretazioni sono idonee a risolvere alla radice tutti i problemi per i quali il Tribunale di Genova aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale perché una comporta il persistere della situazione preesistente all’abrogazione del criterio dell’art. 6 della legge n. 146/1990 e l’altra implica o la prevenzione del paventato conflitto di giudicati attraverso l’applicazione del coordinamento dei giudizi previsto dall’art. 295 del codice di procedura civile o la radicale negazione di ogni possibilità di conflitto pratico dei giudicati, riconoscendo la totale autonomia delle due azioni, in base all’art. 28 dello Statuto dei lavoratori e per la violazione di diritti individuali, in quanto volte a tutelare distinte situazioni sostanziali. (28 maggio 2003)  


Corte costituzionale ORDINANZA N. 143/2003

 

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

………………omissis……………

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 63, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 [1] (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), promosso con ordinanza del 20 settembre 2002 dal Tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Fusco Antonio, con altri, e il Ministero dell’interno, iscritta al n. 532 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 marzo 2003 il Giudice relatore Romano Vaccarella.

Ritenuto

che, a seguito di ricorso ai sensi dell’ art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), proposto dal Sindacato italiano appartenenti alla polizia (SIAP), nonché dai dipendenti del Ministero dell’interno Antonio Fusco, ispettore di polizia, e Giampaolo Pavanello, vice ispettore di polizia, entrambi in servizio presso il VI reparto mobile di Genova, nei confronti dello stesso Ministero dell’interno, per denunciare quali comportamenti antisindacali i provvedimenti con i quali il Fusco è stato trasferito alla Polfer di Genova (provvedimento comunicato il 17 aprile 2002) ed il Pavanello è stato trasferito alla Questura di Genova (provvedimento comunicato il 23 aprile 2002), il giudice dell’adito Tribunale di Genova, con ordinanza del 20 settembre 2002, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 24 e 25 della Costituzione [2], dell’articolo 63, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 [1] (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui devolve al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, anziché al giudice amministrativo, le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni e integrazioni, pur quando si tratti di comportamenti lesivi anche di situazioni soggettive inerenti ai rapporti di impiego del personale in regime di diritto pubblico, previsti dall’articolo 3 del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001 [3];

che, in punto di fatto, riferisce il rimettente che i ricorrenti hanno dedotto che i denunciati provvedimenti di trasferimento a carico dei predetti dipendenti, i quali ricoprono nel reparto di provenienza, rispettivamente, le cariche (il Fusco) di responsabile ed (il Ravanello) di segretario del SIAP, sommariamente motivati con il generico richiamo a "pressanti e inderogabili esigenze di servizio", sono illegittimi, perché affetti dai seguenti vizi:

a) mancata previa consultazione del sindacato SIAP, in violazione dell’art. 88, quarto comma, della legge 1° aprile 1981, n. 121 [4] (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza), a norma del quale "i trasferimenti ad altre sedi di appartenenti alla Polizia di Stato che ricoprono cariche sindacali possono essere effettuati sentita l’organizzazione sindacale di appartenenza";

b) difetto di motivazione, in violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 [5] (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi);

c) inosservanza dei criteri di economicità e di efficacia, in violazione dell’art. 1 della legge n. 241 del 1990 [5];

d) eccesso di potere, in quanto il vero scopo dei trasferimenti in questione è l’allontanamento del Fusco e del Pavanello dal VI reparto mobile per impedire loro di svolgervi attività sindacale nell’espletamento delle rispettive cariche;

e) eccesso di potere per carenza di istruttoria;

f) eccesso di potere per contraddizione con precedenti manifestazioni di volontà;

g) violazione del principio del buon andamento;

che, rileva il rimettente, i rapporti di lavoro del Fusco e del Pavanello, quali appartenenti alla Polizia di Stato, rientrano fra i rapporti di lavoro non "privatizzati", rimasti in regime di diritto pubblico, a norma dell’art. 3 del d. lgs. n. 165 del 2001, riguardo ai quali l’art. 63, comma 4, del medesimo decreto legislativo stabilisce che le controversie relative restano devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo;

che, in base alla prospettazione dei ricorrenti, i provvedimenti denunciati risultano, oltreché pregiudizievoli per l’organizzazione sindacale, lesivi delle situazioni soggettive dei predetti dipendenti, laddove dei vizi dedotti solo alcuni, e precisamente quelli sub a) e d), attengono a profili di antisindacalità; sicché solo in relazione a tali vizi sussisterebbe la giurisdizione del giudice ordinario, in forza dell’art. 63, comma 3, del d. lgs. n. 165 del 2001, a tenore del quale "sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni";

che, viceversa, in ordine agli altri vizi dedotti, concernenti esclusivamente le posizioni soggettive del Fusco e del Pavanello, la giurisdizione spetterebbe al giudice amministrativo, in virtù del comma 4 del medesimo articolo, sicché andrebbe dichiarato – solo quanto alla controversia afferente ai predetti vizi - il difetto di giurisdizione del giudice ordinario;

che il rimettente dubita della legittimità costituzionale del richiamato art. 63, comma 3, del d. lgs. n. 165 del 2001, in quanto gli impone di conoscere del comportamento dell’amministrazione convenuta limitatamente alle censure di antisindacalità mosse ai provvedimenti de quibus, pur essendo questi lesivi anche di situazioni soggettive inerenti a rapporti di impiego, che sotto ogni altro profilo ricadono nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo;

che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il rimettente sostiene che, a seguito dell’abrogazione - espressamente disposta dall’art. 4 della legge 11 aprile 2000, n. 83 (Modifiche e integrazioni della legge 12 giugno 1990, n. 146, in materia di esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e di salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati) - del sesto comma dell’art. 28 della legge n. 300 del 1970, già introdotto dall’art. 6 della legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge) - il quale disponeva che, qualora il comportamento antisindacale, posto in essere da una amministrazione statale o da altro ente pubblico non economico, "sia lesivo anche di situazioni soggettive inerenti al rapporto di impiego", le organizzazioni sindacali legittimate, "ove intendano ottenere anche la rimozione dei provvedimenti lesivi delle predette situazioni, propongono ricorso davanti al tribunale amministrativo regionale competente per territorio" -, la norma denunciata - peraltro meramente riproduttiva dell’art. 68, comma 3, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come sostituito dall’art. 29 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59) - ingloba nella giurisdizione del giudice ordinario anche le controversie relative a comportamenti antisindacali "plurioffensivi", pure laddove si tratti di rapporti di lavoro non "privatizzati", ma rimasti in regime di diritto pubblico e, pertanto, comporta che, dovendosi riconoscere al singolo dipendente leso autonoma azione a tutela delle proprie posizioni individuali dinanzi al giudice amministrativo, possono insorgere "due controversie aventi il medesimo oggetto, vale a dire l’accertamento in via principale della illegittimità dello stesso comportamento e per lo stesso vizio denunciato", le quali sono demandate a differenti giurisdizioni, così determinandosi situazioni di possibile contrasto di giudicati, senza che siano previsti strumenti per prevenire siffatto grave inconveniente;

che la irragionevolezza della disciplina comporterebbe la violazione dell’art. 3 della Costituzione;

che la norma, inoltre, sarebbe in contrasto con l’art. 24 Cost., per il fatto che il dipendente (appartenente al personale in regime di diritto pubblico) sarebbe leso nel proprio diritto di difesa, essendogli precluso di interloquire nel procedimento promosso dall’organizzazione sindacale dinanzi al giudice ordinario ex art. 28 della legge n. 300 del 1970 e "diretto a decidere in via principale anche su di una posizione soggettiva del dipendente stesso", essendo un suo intervento in detto procedimento inammissibile, perché volto a far valere una situazione soggettiva deducibile solo davanti al giudice amministrativo;

che, infine, sarebbe violato il principio del giudice naturale, inteso quale giudice precostituito per legge, ex art. 25, primo comma, Cost., "poiché la medesima controversia viene demandata a due differenti giurisdizioni a seconda del soggetto da cui è presa l’iniziativa giudiziaria";

che, quanto alla rilevanza della questione, il rimettente osserva che, ai sensi del combinato disposto dei commi 3 e 4 dell’art. 63 del d. lgs. n. 165 del 2001, egli dovrebbe ritenere la propria giurisdizione in ordine alla domanda proposta dall’organizzazione sindacale ricorrente (limitatamente ai motivi di censura indicati sub a) e d) del ricorso introduttivo), e dovrebbe dichiarare il proprio difetto di giurisdizione in ordine alle domande proposte dal Fusco e dal Ravanello, laddove l’accoglimento della prospettata questione di legittimità costituzionale avrebbe per conseguenza la dichiarazione di difetto di giurisdizione in ordine a tutte le domande;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la dichiarazione di infondatezza della questione di legittimità costituzionale, osservando che oggetto del giudizio ex art. 28 della legge n. 300 del 1970 è una posizione giuridica soggettiva che appartiene esclusivamente al sindacato e non può confondersi con la posizione del singolo lavoratore, sicché "l’eventuale estensione degli effetti della pronuncia del giudice del lavoro, a favore o contro i lavoratori offesi dal comportamento antisindacale, costituisce profilo afferente ai normali rapporti tra pronunce di giurisdizioni diverse", e che, peraltro, "l’intervento del lavoratore danneggiato dalla condotta antisindacale è rimedio noto alla prassi giudiziaria e sembra idoneo a risolvere tutti i problemi di effettività della tutela e di coerenza nelle decisioni giurisdizionali in materia".

Considerato che il Tribunale di Genova dubita della legittimità costituzionale dell’art. 63, comma 3, del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165, nella parte in cui non demanda alla cognizione del giudice amministrativo le controversie promosse dalle organizzazioni sindacali ai sensi dell’art. 28 della legge n. 300 del 1970 ("Statuto dei lavoratori"), qualora il comportamento antisindacale dedotto sia lesivo anche di situazioni soggettive inerenti ai rapporti di impiego del personale in regime di diritto pubblico, previsti dall’art. 3 del medesimo d. lgs. n. 165 del 2001, e ciò in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 Cost.;

che, se è vero che il criterio di riparto della giurisdizione, introdotto dall’art. 6 della legge n. 146 del 1990 in epoca in cui sussisteva la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (criterio per il quale la giurisdizione spettava al giudice amministrativo ovvero al giudice ordinario secondo che con l’azione ex art. 28 della legge n. 300 del 1970 il sindacato avesse chiesto, o non, la rimozione degli effetti incidenti sul pubblico dipendente), era idoneo a razionalmente operare anche a seguito della c.d. privatizzazione del pubblico impiego, dal momento che a tale "privatizzazione" erano sottratti i rapporti di cui all’art. 2, comma 2, del d. lgs. n. 80 del 1998 (oggi art. 3 del d. lgs. n. 165 del 2001), è anche vero che l’espressa abrogazione - ad opera dell’art. 4 della legge n. 83 del 2000 - del comma primo del citato art. 6 della legge n. 146 del 1990 (che quel criterio aveva codificato) non fa sorgere questioni di legittimità costituzionale, bensì esclusivamente di interpretazione sistematica della norma denunciata;

che, infatti, è possibile sia a) un’interpretazione secondo la quale l’art. 63, comma 4, del d. lgs. n. 165 del 2001 [1], varrebbe a devolvere tuttora al giudice amministrativo tutte "le controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all’articolo 3", e, quindi, anche l’azione ex articolo 28 dello Statuto dei lavoratori che quei rapporti di lavoro coinvolga (sicché l’abrogazione dell’art. 6, comma primo, della legge n. 146 del 1990, renderebbe esplicita l’abrogazione tacita prodotta dalla norma citata); sia b) un’interpretazione secondo la quale l’abrogazione del citato art. 6, comma primo, della legge n. 146 del 1990, comporterebbe in ogni caso la devoluzione al giudice ordinario dell’azione ex art. 28 Stat. lav. promossa dall’organizzazione sindacale, anche se tale azione incidesse, attraverso la richiesta di rimozione degli effetti del comportamento antisindacale, su rapporti di lavoro non "privatizzati", mentre il pubblico dipendente potrebbe far valere la sua situazione soggettiva individuale davanti al giudice amministrativo ex art. 63, comma 4, citato;

che entrambe tali interpretazioni valgono a risolvere alla radice i problemi che il rimettente solleva quali questioni di legittimità costituzionale, in quanto quella sub a) comporta il persistere della situazione preesistente alla legge n. 83 del 2000, ed in quanto quella sub b), alla quale il rimettente dichiara di aderire, implica o b1) una prevenzione del paventato conflitto di giudicati, attraverso il coordinamento, ex articolo 295 del codice di procedura civile [6], dell’azione individuale con quella promossa dal sindacato, ovvero b2) la radicale negazione di ogni possibilità di conflitto pratico di giudicati, riconoscendo la totale autonomia delle due azioni in quanto volte a tutelare distinte situazioni sostanziali;

che, pertanto, del tutto insussistente è la violazione dell’art. 25 Cost., così come insussistente è la lamentata irragionevolezza della disciplina (ex art. 3 Cost.) e la conseguente violazione del diritto di difesa del pubblico dipendente, in nessun caso distolto dal suo giudice naturale ed abilitato a far valere la sua situazione soggettiva davanti ad esso, o a) congiuntamente con il sindacato, o b1) giovandosi dell’accertamento favorevole da quest’ultimo ottenuto davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, ovvero, e comunque, prospettando (nel caso di accertamento sfavorevole al sindacato e nel caso di cui sub b2) sotto il profilo dell’eccesso di potere l’illegittimità dell’atto asseritamene lesivo per la sua antisindacalità;

che, conseguentemente, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal rimettente – sulla premessa che una disciplina irragionevolmente inidonea a prevenire conflitti pratici di giudicati si risolva in una compressione del diritto di difesa ed in un’arbitraria individuazione del giudice munito di giurisdizione – è manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 63, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 [1] (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24 e 25 della Costituzione [2], dal Tribunale di Genova con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 aprile 2003. Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2003.

 
 

[1] DLgs 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

Art. 63. Controversie relative ai rapporti di lavoro (Art. 68 del DLgs n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 33 del DLgs n. 546 del 1993, e poi dall’art. 29 del DLgs n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 18 del DLgs n. 387 del 1998).

1. Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti. Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi. L’impugnazione davanti al giudice amministrativo dell’atto amministrativo rilevante nella controversia non è causa di sospensione del processo.

2. Il giudice adotta, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati. Le sentenze con le quali riconosce il diritto all’assunzione, ovvero accerta che l’assunzione è avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali, hanno anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro.

3. Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni ai sensi dell’articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, e le controversie, promosse da organizzazioni sindacali, dall’ARAN o dalle pubbliche amministrazioni, relative alle procedure di contrattazione collettiva di cui all’articolo 40 e seguenti del presente decreto.

4. Restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, nonché, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all’articolo 3, ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi.

5. Nelle controversie di cui ai commi 1 e 3 e nel caso di cui all’articolo 64, comma 3, il ricorso per cassazione può essere proposto anche per violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di cui all’articolo 40.

 

 

[2] Costituzione della Repubblica Italiana 27 dicembre 1947

Art. 3

1. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

2. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

 

Art. 24.

Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.

La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.

Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.

La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.

 

Art. 25. Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.

Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.

Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.

 

 

[3] DLgs 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

Art. 3. Personale in regime di diritto pubblico (Art. 2, comma 4 e 5 del DLgs n. 29 del 1993, come sostituiti dall’art. 2 del DLgs n. 546 del 1993 e successivamente modificati dall’art. 2, comma 2 del DLgs n. 80 del 1998)

1. In deroga all’articolo 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e le Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall’articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287.

2. Il rapporto di impiego dei professori e dei ricercatori universitari resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti, in attesa della specifica disciplina che la regoli in modo organico ed in conformità ai princìpi della autonomia universitaria di cui all’articolo 33 della Costituzione ed agli articoli 6 e seguenti della legge 9 maggio 1989, n. 168, e successive modificazioni ed integrazioni, tenuto conto dei princìpi di cui all’articolo 2, comma 1, della legge 23 ottobre 1992, n. 421.

 

 

[4] Legge 1 aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza).

Art. 88. Aspettativa per motivi sindacali.

Gli appartenenti alla Polizia di Stato, che ricoprono cariche direttive in seno alle proprie organizzazioni sindacali a carattere nazionale maggiormente rappresentative, sono, a domanda da presentare tramite la competente organizzazione, collocati in aspettativa per motivi sindacali.

Il numero globale dei dipendenti collocabili in aspettativa è fissato in rapporto di una unità ogni 2.000 dipendenti in organico.

Alla ripartizione tra le varie organizzazioni sindacali, in relazione alla rappresentatività delle medesime ed alla ripartizione territoriale, provvede, entro il primo trimestre di ogni triennio, il Ministro dell’interno, sentite le organizzazioni interessate.

I trasferimenti ad altre sedi di appartenenti alla Polizia di Stato che ricoprono cariche sindacali possono essere effettuati sentita l’organizzazione sindacale di appartenenza.

I trasferimenti in ufficio con sede in un comune diverso di appartenenti alla Polizia di Stato che sono componenti della segreteria nazionale, delle segreterie regionali e provinciali dei sindacati di polizia a carattere nazionale maggiormente rappresentativi possono essere effettuati previo nulla osta dell’organizzazione sindacale di appartenenza.

Ndr. L’ultimo comma è stato aggiunto dall’art. 5 del D.L. 21 settembre 1987, n. 387.

Ndr. Con l’articolo 27 del DPR 31 luglio 1995, n. 395, concernente "Recepimento dell’accordo sindacale del 20 luglio 1995 riguardante il personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile (Polizia di Stato, Corpo di polizia penitenziaria e Corpo forestale dello Stato) e del provvedimento di concertazione del 20 luglio 1995 riguardante le Forze di polizia ad ordinamento militare (Arma dei carabinieri e Corpo della guardia di finanza)", è stato disposto:

1. A decorrere dal 1° gennaio 1996 il limite massimo dei distacchi sindacali autorizzabili a favore del personale di ciascuna Forza di polizia ad ordinamento civile è determinato rispettivamente nei contingenti complessivi di n. 58 distacchi per la Polizia di Stato, di n. 30 distacchi per il Corpo di polizia penitenziaria e di n. 9 distacchi per il Corpo Forestale dello Stato.

2. Alla ripartizione degli specifici contingenti complessivi dei distacchi sindacali di cui al comma 1 tra le organizzazioni sindacali del personale maggiormente rappresentative sul piano nazionale firmatarie dell’accordo nazionale di cui all’art. 2, comma 1, lettera A), del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195, provvede, nell’ambito rispettivamente della Polizia di Stato, del Corpo della polizia penitenziaria e del Corpo forestale dello Stato, il Ministro per la funzione pubblica, sentite le organizzazioni sindacali interessate, entro il primo trimestre del 1996, con riferimento agli anni 1996 e 1997, e successivamente entro il primo trimestre di ciascun quadriennio. La ripartizione è effettuata in rapporto al numero delle deleghe complessivamente espresse per la riscossione del contributo sindacale conferite dal personale alle rispettive Amministrazioni, accertate per ciascuna delle citate organizzazioni sindacali alla data del 31 dicembre dell’anno precedente a quello in cui si effettua la ripartizione.

3. Le richieste di distacco sindacale sono presentate dalle organizzazioni sindacali nazionali aventi titolo alle Amministrazioni di appartenenza del personale interessato, le quali curano gli adempimenti istruttori - acquisendo per ciascuna richiesta nominativa il preventivo assenso della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica - ed emanano il decreto di distacco sindacale entro il termine di trenta giorni dalla richiesta. L’assenso della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica - finalizzato esclusivamente all’accertamento dei requisiti di cui al comma 4 ed alla verifica del rispetto dello specifico contingente e relativo riparto di cui al precedente comma 2 - è considerato acquisito qualora il Dipartimento della funzione pubblica non provveda entro venti giorni dalla data di ricezione della richiesta. Entro il 31 gennaio di ciascun anno, le organizzazioni sindacali comunicano la conferma di ciascun distacco sindacale in atto; possono avanzare richiesta di revoca in ogni momento. La conferma annuale e la richiesta di revoca è comunicata alle Amministrazioni di appartenenza del personale interessato ed alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, che adottano i conseguenziali provvedimenti nel solo caso di revoca.

4. Possono essere autorizzati distacchi sindacali, nell’ambito di ciascun contingente indicato nei commi 1 e 2, soltanto in favore rispettivamente dei dipendenti della Polizia di Stato, del Corpo di polizia penitenziaria e del Corpo forestale dello Stato, che ricoprono cariche di dirigenti sindacali in seno agli organismi direttivi delle organizzazioni sindacali di cui al comma 2.

5. I periodi di distacco per motivi sindacali sono a tutti gli effetti equiparati al servizio prestato nell’Amministrazione, salvo che ai fini del compimento del periodo di prova e del diritto al congedo ordinario. I predetti periodi sono retribuiti con esclusione dei compensi e delle indennità per il lavoro straordinario e di quelli collegati all’effettivo svolgimento delle prestazioni.

6. A partire dal 1° gennaio 1996 cessano di avere efficacia gli articoli 88, commi 1, 2 e 3, e 89 della legge 1° aprile 1981, n. 121 e l’art. 17 del decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 1990, n. 147, e tutti i provvedimenti attualmente in vigore nell’ambito delle Forze di polizia ad ordinamento civile per la ripartizione delle aspettative sindacali ed i provvedimenti che consentono con qualsiasi modalità l’autorizzazione di permessi sindacali annuali e cumulati.

 

 

[5] Legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).

Art. 1.

1. L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti.

2. La pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria.

 

Art. 3.

1. Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria.

2. La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale.

3. Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l’atto cui essa si richiama.

4. In ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere.

 

 

[6] Codice di Procedura Civile

Art. 295. Sospensione necessaria.

Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa.