IL DIRITTO DI CRITICA SINDACALE
Sentenza del Tribunale ordinario di Cosenza - Ufficio GIP -
 

N. 767 / 05 R.G.N.R. N.2247/ 05 R.G.G.P.

N. 299 / 05 R.SENT.

TRIBUNALE ORDINARIO DI COSENZA
 

UFFICIO DEL G.I.P.

 

 

 

DEPOSITATO Il 17/10/2005

 

 

Tribunale di Cosenza

- Sezione del Giudice dell'Udienza Preliminare -

 

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SENTENZA DI NON LUOGO A PROCEDERE

- art. 425 c.p.p -

Repubblica Italiana
In Nome del Popolo Italiano

 

Il Giudice dell'Udienza Preliminare,

 

nella persona del doti. Livio A. Cristofano, all'udienza preliminare del 10 ottobre 2005, ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente

SENTENZA

 

nel procedimento penale instaurato nei confronti di:

· XXXXXXXX XXXXXXXX, libero, presente;

 

IMPUTATO

 

 

del reato di cui agli artt. 81, 595 c.p., 13 1. 47/48 perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e agendo in tempi diversi, rendendo le dichiarazioni riportate negli articoli, che si intendono qui integralmente riportati, pubblicati rispettivamente da "Il Domani" (27.12.2002), la "Gazzetta del Sud" (27.12.2002), il “Quotidiano" (29.12.2002, 31.12.2002, 14.1.2003), offendeva la reputazione di XXXX XXXX con frasi del seguente tenore: " .. ha dimostrato di non essere in grado di adempiere ai suoi obblighi nei confronti dei lavoratori

Suoi obblighi nei confronti dei lavoratori …qualsiasi altro onesto imprenditore potrebbe riuscire … ad Incrementare il giro di affari, ad essere più puntuale e ad offrire un prodotto sicurezza di più elevato livello … più un piccolo Ras che un imprenditore europeo”

In Cosenza, nelle date di pubblicazione dei quotidiani, querela del 29.1.2003

Con l'assistenza dell'operatore B2 Mirella Sole e con l'intervento del pubblico ministero dott. Ernesto Anastasio, dell'avv. Pierpaolo Greco del foro di Catanzaro, difensore della parte civile XXXX XXXX e dell'avv. Giovanni Cadavero, in sostituzione dell'avv, Domenico Vavalà, difensore di fiducia dell'imputato.

 

M O T I V A Z I O N E I N F A T T O E I N D I R I T T O

 

Con istanza depositata in data 6.5.2005, l'Ufficio del pubblico ministero avanzava richiesta di rinvio a giudizio dell'odierno imputato per rispondere del reato ascrittogli nell'editto accusatorio sopra formulato.

All'odierna udienza preliminare, la persona offesa si costituiva parte civile tramite il proprio difensore di fiducia.

All'esito della discussione e delle conclusioni rassegnate dalle parti come riportate a verbale, e stata resa la pronuncia di non luogo a procedere a norma dell'art. 425 c.p.p..

Difatti, la richiesta con cui veniva esercitata l'azione penale nei confronti dell'odierno prevenuto non può reputarsi sufficientemente supportata da elementi idonei a raggiungere, nell'eventuale giudizio dibattimentale, un'affermazione di penale responsabilità in merito alla sussistenza del fatto contestato.

Anzitutto, va precisato che l'imputato rivestiva la carica di segretario nazionale del S.A.VI.P. (acronimo che sta per Sindacato Autonomo Vigilanza Privata) e la vicenda si inseriva nell'ambito di un'accesa vertenza sindacale fra l'Istituto di Vigilanza Privata Notturna e Diurna srl, di cui titolare e legale rappresentante era la persona offesa XXXX XXXX, e l'organizzazione sindacale predetta.

Oggetto della contesa era costituita da specifiche rivendicazioni salariali e da questioni inerenti alle condizioni lavorative assicurate ai dipendenti dell’istituto in questione, che determinavano, già da alcuni mesi, la concretizzazione di un aspro confronto dialettico fra il XXXX e la rappresentanza della sigla sindacale, sia a livello locale che successivamente nazionale (vedi la documentazione depositata in udienza dalla difesa dell'imputato).

In via meramente preliminare, occorre rammentare che il procedimento all'origine si instaurava presso l'autorità giudiziaria di Catanzaro. Occorre in effetti ribadire la competenza territoriale di questo giudice, poiché è nel circondario di Cosenza che è risultato insistere la sede tipografica nella quale l'edizione dei quotidiani in questione veniva stampata.

Si intende così aderire all'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità che individua il criterio per determinare la competenza territoriale dei procedimenti per reati commessi col mezzo della stampa nel luogo di cosiddetta "prima diffusione", per cui deve reputarsi consumato il reato nel momento in cui, uscendo lo stampato dalla tipografia, si realizza la potenziale conoscibilità e consultabilità dello scritto (Cass. 5.12.2002 n. 41038, Calabrese; Cass. 12.10.2000 n. 4158, Pansa; Cass. 4.12.1991 n. 3834, Cantasso), dovendosi pertanto ragionevolmente ritenere che in quella circostanza spazio-temporale inizi ad estrinsecarsi l'aggressione all'onorabilità morale della persona offesa.

Al criterio esposto la Cassazione ha precisato che si deroga solo nel caso di impossibilità di individuazione della sede della stampa o nell'eventualità dì parti del periodico che vengano realizzate in luoghi diversi.

Per entrate in medias res, va precisato che il fatto-reato di diffamazione a mezzo stampa, contestato al XXXXXXXX, concerne alcuni articoli pubblicati sulle restare giornalistiche a diffusione regionale, contro i quali sporgeva querela -presso la Procura della Repubblica di Catanzaro in data 29.1.2003 la persona che si reputava offesa dal loro contenuto, ossia XXXX XXXX.

Gli articoli in parola sostanzialmente riprendevano e riportavano testualmente le dichiarazioni e le esternazioni di XXXXXXXX XXXXXXXX, segretario nazionale del sindacato autonomo sopra citato, nelle quali veniva fortemente criticato e stigmatizzato l'operato del datore di lavoro, con espressioni di veemente censura.

In effetti, è bene premettere che, nel caso che ci occupa, si verte nella fattispecie del cosiddetto diritto di critica e, a tal riguardo, occorre tener presente -per un corretto approccio sistematico alla disamina fattuale- che il costante orientamento della Suprema Corte accoglie il principio secondo cui il linguaggio della polemica politica (alla quale può ben essere equiparata la polemica di tipo sindacale) può assumere toni più pungenti ed incisivi rispetto a quelli comunemente adoperati nei rapporti interpersonali tra privati (ad es., Cass. 21.10.1999 n. 12013, Casanova).

Ciò va detto perché il diritto di critica si differenzia essenzialmente da quello di cronaca in quanto, a differenza di quest'ultimo, esso non si concretizza nella narrazione di fatti, bensì si estrinseca e sì manifesta proprio nell'esternazione e nell'ostentazione pubblica di un giudizio o, più in generale, di un'opinione che, in quanto tale, non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica -ancorché non possa essere totalmente avulsa da ogni riferimento alla realtà sostanziale e tradursi in mera astrazione diffamatoria o in pura invenzione congetturale- non può che essere fondata su un'interpretazione necessariamente soggettiva ed individuale dei fatti criticamente commentati (Cass. 21.2.2005 n. 6416, Ambrogio).

Ne consegue che quando la manifestazione verbale, sottoposta alla valutazione giudiziale, svolge una funzione prevalentemente valutativa e censoria, non si pone tanto un problema di veridicità delle proposizioni assertive ed i limiti scriminanti del diritto di critica (garantito dall'art. 21 della Costituzione) sono solo quelli costituiti dalla rilevanza sociale dell'argomento e dalla correttezza di espressione, con la conseguenza che detti limiti vengono travalicati solo ove l'agente trascenda gratuitamente in attacchi personali, diretti a colpire su un piano individuale la sfera morale del soggetto criticato, e quindi vadano ad aggredire il bene penalmente protetto (Cass. 25.1.2005 n. 2247, Scalfari).

Ciò che il giudice deve dunque verificare, nella fattispecie concreta, è se si sia realizzato un esercizio corretto e costituzionalmente garantito del diritto di critica, solo in tale eventualità potendosi affermare non essere stato violato il punto di equilibrio e di contemperamento fra i diritti costituzionalmente protetti che vengono inevitabilmente in gioco in vicende come quella in esame.

Detto ciò, il confronto -storicamente e fisiologicamente- molto pungente e virulento che puntualmente si registra in polemiche del genere, ovvero nel contesto delle rivendicazioni che le organizzazioni sindacali periodicamente rivolgono alla controparte padronale, non risulta essere avvenuto, nel caso de quo, con modalità particolarmente allarmanti, con esternazioni ingiustificatamente denigratorie e, soprattutto per ciò che qui importa ai fini della rilevanza penale, non sembra essere trasmodato in attacchi sconvenientemente lesivi della reputazione del destinatario o in incivili e volgari aggressioni all'altrui senso dell'onore.

Proprio perché non ci si trova dinnanzi ad un caso di resoconto giornalistico, non è necessario dilungarsi in considerazioni sul contenuto e sul merito della vicenda che contrapponeva le due parti in conflitto; piuttosto, l'analisi può essere serenamente circoscritta all'utilizzo da parte dell'imputato delle espressioni riportate nel capo di imputazione, attinte qua e là dai vari articoli pubblicati sulla vicenda.

E' noto che i delitti contro l'onore tutelano la pari dignità della persona umana, attraverso il divieto imposto ai terzi di espressioni (sia a contenuto diretto che mediante l'attribuzione di fatti) dei cd. `giudizi di indegnità΄, produttivi di normale e riconosciuta riprovazione nella comunità dei consociati.

Il capo di imputazione individua nelle frasi estrapolate dagli articoli la lesione all'onorabilità della persona offesa, ma il fatto diffamativo non appare sussistere.

Nel caso specifico, le espressioni non paiono lesive del decoro e della reputazione del XXXX, concretandosi essenzialmente in legittime critiche all'operato del titolare dell'istituto di vigilanza che presentavano un evidente addentellato all'atteggiamento mantenuto nel rapporto che strettamente ineriva il contrasto in corso e che, d'altra parte, non si traducevano in attacchi effettivamente ed oggettivamente denigratori o in contumelie personali di inammissibile valenza offensiva.

L'unica locuzione sulla quale appare opportuno e necessario soffermarsi brevemente (risultando tutte le altre delle -sin troppo- evidenti manifestazioni legittime del diritto di critica) è costituita dalla definizione del XXXX proveniente dall'imputato (che compare anche nel comunicato stampa del Savip del 23.1.2003 a firma autografa dell'imputato: cfr. all. 18 della documentazione difensiva) come di un "piccolo RAS”: è, in effetti, proprio tale espressione quella che si erge decisamente come dato centrale e topico della imputazione contestata (e, non a caso, argomento principale delle discussioni avvenute in sede di udienza preliminare).

A tal proposito, va detto che, pur assumendo sicuramente un'intrinseca connotazione negativa e personalistica, la locuzione in sé non integra la lesione dell'altrui reputazione. Il vocabolo “Ras”, di derivazione etimologica straniera, è, come ampiamente notorio, il titolo che veniva attribuito nel passato ai dignitari feudali delle province etiopiche, in pratica figure di potenti che assumevano un ruolo simile a quello di un “governatore” di un determinato territorio. E' altrettanto indubitabile che esso venga, nell'uso lessicale comune e attualmente diffuso, utilizzato in senso spregiativo quale sinonimo di personaggio che agisce in maniera dispotica ed arrogante.

Ora, se questa è l'accezione usuale che può attribuirsi al sostantivo (e, allo stato, non se ne conoscono altre), esso non può che ritenersi veicolo e strumento verbale indicativo di un sentimento di forte censura e di chiara disapprovazione politico-­sindacale (il riferimento al `tiranneggiare' della parte datoriale è storicamente ricorrente nelle controversie di tal genere), ma non risulta di certo paragonabile ad una vera e propria contumelia personale, in quanto comunque lemma adeguato, continente e strettamente afferente al contesto della polemica di natura sindacale in corso di svolgimento (Cass. 18.12.1997 n. 11905, Farassino).

Si noti che l’espressione, rivolta al XXXX, "di sentirsi più un picciolo Ras che un imprenditore europeo” veniva utilizzata in una dichiarazione, resa dal prevenuto alla stampa, che pretendeva di costituire una nota di reazione e di critica alla lettera di licenziamento inviata dal titolare dell’istituto di vigilanza al segretario provinciale del Savip e ad una contestazione mossa al rappresentante aziendale del medesimo sindacato.

In conclusione, le affermazioni riportate negl’articoli risultano, ad avviso del giudice e senza serie possibilità di obiezioni, come una legittima e tollerabile estrinsecazione del diritto di critica, correttamente proporzionata all’intensità del conflitto e alla risonanza pubblica che poteva essere attribuita alla vertenza sindacale in corso (peraltro, risultava che il XXXX, da parte sua, esternava la propria opinione e rendeva ai giornali dichiarazioni anch'esse critiche sull'atteggiamento mantenuto dal segretario nazionale Savip e che le dichiarazioni oggetto dell'incolpazione erano già state abbondantemente precedute da varie dichiarazioni e controdichiarazioni: vedi sempre fra la documentazione prodotta dalla difesa dell'imputato).

Ne consegue, in definitiva, che la valutazione degli elementi addotti a supporto della richiesta di rinvio a giudizio conduce ad una valutazione che esita in una tale debole consistenza intrinseca dell'antigiuridicità del fatto addebitato all’imputato da farlo ritenere insussistente, apparendo d'altronde del tutto inutile e superfluo il rinvio ad un possibile scenario dibattimentale, atteso che nessun dato ulteriore e diverso potrà essere acquisito in quella sede.

Non va condannato il querelante alla refusione delle spese del procedimento anticipate dallo Stato non intravedendosi alcun profilo colposo nell'avvenuto esercizio del diritto di querela (Corte Cost. sent. 3.12.1993 n. 423).

 

P.Q.M.

 

Il Giudice dell'Udienza Preliminare

 

visto l'art. 425 c.p.p.,

dichiara non luogo a procedere nei confronti di XXXXXXXX XXXXXXXX in ordine al reato ascritto perché il fatto non sussiste.

Così deciso in Cosenza, il di 10 ottobre 2005

 

Il Giudice

dott. Livio A. Cristofano