La disciplina del trattamento economico

delle mansioni superiori nel pubblico impiego


Premessa

L’ordinanza del TAR Veneto – Sezione I del 3 ottobre 2002 n. 5946 in tema di trattamento economico delle mansioni superiori nel pubblico impiego conclude per l’inapplicabilità a favore dei dipendenti pubblici (diversi da quelli della sanità, dove opererebbe in senso favorevole l’articolo 29 del d.P.R. n. 721/1979) del diritto a percepire il trattamento economico corrispondente alle mansioni superiori svolte [1]. Tale conclusione fonda, a giudizio del TAR, su di un indirizzo giurisprudenziale pacifico, secondo cui: a) l’articolo 36 Costituzione [2] non è direttamente applicabile ai dipendenti pubblici e non basta quindi a legittimare la retribuzione delle mansioni superiori; b) le norme di grado legislativo, come l’articolo  33 del d.P.R. 3/1957 [3], escludono tale diritto, o, se lo riconoscono, come gli articoli 56 e 57 del d.lgs. n. 29/1993, non sono operative. 

In tale contesto il TAR Veneto ha deciso di ricorrere al giudice costituzionale per l’eliminazione di quelle norme che impediscono all’articolo 36 della Costituzione di espandere i propri effetti in tema di trattamento economico delle mansioni superiori nel pubblico impiego, la cui applicazione è pacifica solo a decorrere dal 22 novembre 1998 [4]. Nel periodo antecedente invece la sua operatività risulterebbe compromessa prima dall’articolo 33 del d.P.R. n. 3/1957 e poi dalle norme di differimento dell’efficacia del d.lgs. n. 29/1993 (che quel diritto esplicitamente riconosce) emanate in varie riprese fino al 1998.

Si ripropone così l’ennesima rimessione alla Corte di norme (ritenute) impeditive per l’applicazione al pubblico impiego dell’articolo 36 della Costituzione in tema di mansioni superiori. L’esito del giudizio di costituzionalità appare scontato in ragione della posizione assunta dalla Corte sulla questione: finora tutti i precedenti scrutini di legittimità sono stati risolti nel senso della infondatezza delle questioni sollevate e della insussistenza di norme costituzionali incompatibili con il riconoscimento all’impiegato del diritto al trattamento economico nel caso di mansioni superiori.

Altrettanto ferma (con rare eccezioni) si è mantenuta la posizione del Consiglio di Stato, il quale sostiene, in contrapposizione alla Corte, che lo svolgimento di funzioni/mansioni di livello superiore è del tutto irrilevante, anche ai soli fini economici, a meno che non esista una norma espressa che consenta sia l’assegnazione delle mansioni superiori, sia la correlata maggiorazione retributiva. Norma espressa che, di fatto, è stata individuata quasi esclusivamente nell’articolo  29 del d.P.R n. 761/1979 (riguardante il personale della sanità): solo per questa disposizione si è sostenuto di adeguarsi all’interpretazione della Corte, precisando che «i principi espressi dalla Corte costituzionale in materia di spettanza delle differenze retributive per mansioni di fatto svolte dai dipendenti delle USL non possono essere estesi ad altri rapporti di pubblico impiego»

L’oggetto della presente indagine è di verificare se davvero il panorama legislativo antecedente al d.lgs. n. 29/1993 autorizzi una così univoca conclusione a favore dell’inapplicabilità per i dipendenti pubblici del diritto a percepire il trattamento economico per le mansioni superiori o se invece non sussistano disposizioni che legittimino l’operatività del principio costituzionale, e quindi il riconoscimento del diritto, anche per altre categorie di lavoratori, oltre quelli della sanità.

Dobbiamo premettere una rassegna delle decisioni della Corte e dei giudici amministrativi, per collocare la questione nel contesto della vicenda interpretativa.

La posizione della Corte Costituzionale

La Corte ha affrontato la questione, sin dal finire degli anni 80, in dodici occasioni,  tutte risolte nel senso del riconoscimento del diritto.

La prima volta è stata nel 1998 con l’ordinanza n. 908 [5] in occasione del giudizio di legittimità sull’articolo 29, commi 1, 2, 3, del d.P.R. n. 761/1979 [6]. Già in quella occasione la Corte prende posizione a favore del riconoscimento del diritto al trattamento economico delle mansioni superiori come ipotesi ordinaria, alla stregua dell’articolo 36, comma 1, della Costituzione. Viceversa, la norma sottoposta a giudizio di legittimità (che quel diritto nega durante i sessanta giorni dello svolgimento delle mansioni superiori)  è considerata norma eccezionale che impone, in quanto tale, una interpretazione rigorosa, nel senso che la privazione della maggiorazione retributiva é consentita solo “nel detto limite massimo di tempo, trascorso il quale cessa l'efficacia del provvedimento, e quindi la prestazione ulteriore di lavoro in tali mansioni produce al datore un arricchimento senza causa, che alla stregua dell'articolo 36, primo comma, Costituzione, direttamente applicabile, comporta l'obbligazione di adeguare il trattamento economico del dipendente alla natura del lavoro effettivamente prestato”.

Anche la sentenza n. 57 del 1989 [7] riguarda l’articolo 29 del d.P.R. n. 761/1979. La Corte riprende la motivazione della precedente ordinanza aggiungendo che l'accoglimento della domanda non é ostacolato nemmeno sotto il profilo del difetto di un provvedimento formale di assegnazione interinale alle mansioni, in quanto “la mancanza di questa condizione é supplita dal principio della prestazione di fatto di cui all'articolo 2126 [8] codice Civile, applicabile anche ai rapporti di pubblico impiego”.

Nella sentenza n. 296 del 1990 [9] (riferita ancora all’articolo 29 del d.P.R. n. 761/1979) la Corte replica a due nuove obiezioni dei giudici emittenti. La prima pone l’attenzione sull’illegittimità del comportamento che si realizza nello svolgimento di mansioni superiori e, come tale, inidoneo ad essere compensato. La replica della Corte è che in quel caso non è illegittimo il comportamento del lavoratore, ma dell'amministrazione e, dunque, “l'illegittimità dell'ordine di servizio in ottemperanza al quale la prestazione si svolge, in quanto deriva dalla violazione di un limite temporale dettato dalla legge per ragioni che non attengono a principi giuridici ed etici fondamentali dell'ordinamento, non si riflette in un giudizio di illiceità della prestazione di lavoro”. La seconda riguarda il presunto conflitto con l'obbligo di assunzione dei pubblici dipendenti tramite concorso pubblico, con quello di buon andamento della pubblica amministrazione e della riserva di legge relativa all'organizzazione dei pubblici uffici. La replica è che l'obiezione è fuori misura “in quanto il diritto al trattamento economico non significa il riconoscimento formale della qualifica superiore, restando esclusa l'applicabilità dell'articolo 2103 [10] del codice civile”.

L’ordinanza n. 408 del 1990 [11] richiama, senza integrazioni, le motivazioni delle sentenze n. 57 del 1989 e n. 296 del 1990.

Nell’ordinanza n. 130 del 1991 [12] la Corte riafferma il principio dell’applicabilità dell’articolo 36 al pubblico impiego, ma chiarisce più approfonditamente la propria posizione. L’affermazione della applicabilità dell’articolo 36 non significa che questo debba trovare incondizionata applicazione ogni volta che il pubblico impiegato venga adibito a mansioni superiori, in quanto l'articolo 98, primo comma, della Costituzione vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio. L’applicazione, in realtà, incontra il limite derivante dall'articolo 97, primo comma, Costituzione, il quale autorizza norme di organizzazione dei pubblici uffici che, per esigenze eccezionali di buon andamento dei servizi, consentono l'assegnazione temporanea di dipendenti a mansioni superiori alla loro qualifica senza diritto a variazioni del trattamento economico (vedi articolo 29, comma 2, del d.P.R. n. 761/1979. “E’ solo quando - trascorso il periodo di tempo indicato dalla legge come limite massimo di riconoscibilità delle esigenze eccezionali di servizio – l’incarico venga protratto oltre quel limite che il dipendente ha diritto al trattamento economico, secondo il precetto dell'articolo 36 Costituzione”.

Nell’ordinanza n. 337 del 1993 [13] la posizione della Corte, come elaborata nelle precedenti pronunce, è riassunta in maniera paradigmatica in cinque punti: 1) l'articolo 36 Costituzione riguarda anche il pubblico impiego; 2) l'articolo 97 Costituzione non è incompatibile col riconoscimento del diritto al trattamento economico, ma giustifica, unitamente all'articolo 98, primo comma, Costituzione, solo l’incompatibilità con la regola privatistica di automatica acquisizione della qualifica superiore quando l'assegnazione si prolunghi oltre un certo periodo di tempo; 3) l'accertamento della capacità professionale mediante procedure concorsuali è un presupposto costitutivo dell'inquadramento del dipendente nella corrispondente qualifica, non un indice della qualità del lavoro prestato necessario per l'applicabilità dell'articolo 36 Costituzione, né a tal fine è indispensabile un provvedimento formale di conferimento dell'incarico; 4) in virtù dell'articolo 2126 codice civile, per far valere il diritto è sufficiente che il dipendente abbia svolto di fatto mansioni superiori alla qualifica in conformità di una direttiva impartitagli, anche informalmente, dal dirigente; 5) la possibilità di abuso del potere di assegnazione a mansioni superiori impegna la responsabilità disciplinare e patrimoniale del dirigente (ed eventualmente anche penale ove concretasse ad altri vantaggio ingiusto), ma non fornisce argomento per censurare la norma come lesiva di principi costituzionali.

L’ordinanza n. 12 del 1994 [14] riguarda lo scrutinio di legittimità dell’articolo 2126 del codice civile, più volte indicato dalla Corte come fondante del diritto in questione. Il giudice rimettente considera quella norma lesiva: a) del principio di eguaglianza e del diritto al lavoro perché, non prevedendo alcun limite temporale di applicabilità, consente abusi che si traducono in arbitrari favoritismi; b) del principio di tutela della salute perché nel settore della sanità consente di affidare la salute dei cittadini a prestatori di lavoro di cui non sono accertate le occorrenti attitudini professionali; c) del principio di proporzionalità della retribuzione alle qualità del lavoro prestato, coordinato col principio di buon andamento dell'amministrazione, perché consente di corrispondere la retribuzione relativa a qualifiche superiori a personale di qualifica inferiore privo di idoneità a mansioni più elevate; d) del principio dell'avanzamento di carriera per pubblico concorso; e) del principio che pone i pubblici dipendenti al servizio esclusivo della Nazione, perché si presta ad asservirli “a privati interessi distorti”. La Corte risponde che la questione “é prospettata "in astratto", in ragione della pretesa potenzialità lesiva dei richiamati principi costituzionali attribuita dal giudice rimettente all'articolo 2126 codice civile in quanto applicabile anche ai rapporti di pubblico impiego, senza alcuna verifica della concreta pregiudizialità per la definizione del giudizio principale”.

La legittimità dell’articolo 2126 è oggetto anche della successiva sentenza n. 101  del 1995 [15]. Il giudice rimettente ripropone i sospetti di incostituzionalità alimentati, in particolare, dalle possibilità di abusi: a suo avviso i due limiti di applicabilità dell’articolo 2126 (esistenza del posto in organico e inaccessibilità dell’inquadramento giuridico) e l’affermazione della responsabilità del dirigente non bastano ad evitare che l'articolo 2126, per il tramite dell'articolo 2129 [16], diventi nel pubblico impiego fonte di abusi e di favoritismi nella forma di "avanzamenti di carriera di fatto". La Corte risponde che l'articolo 2126, “è un'applicazione ante litteram del principio, sancito dall'articolo 36 Costituzione, che attribuisce al lavoratore il diritto a una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato, indipendentemente dalla validità del contratto di assunzione o, rispettivamente, del provvedimento di assegnazione a mansioni superiori ".

L’ordinanza n. 289 [17] del 1996 sposta l’attenzione sull’articolo 33 del d.P.R. n. 3 del 1957 (che sarà oggetto di tutti i successivi pronunciamenti). L’obiezione del giudice rimettente è uguale a quella sollevata per l’articolo 29, comma 2, del dPR n. 761/1979 ed anche la Corte ripete la risposta data in quell’occasione: e cioè che la norma si riferisce "alla situazione fisiologica degli uffici", cioè alla situazione normale nella quale le mansioni svolte dall'impiegato coincidono con la sua qualifica funzionale, sicché non pregiudica il trattamento economico del dipendente nei casi eccezionali di adibizione a mansioni superiori”.

Anche per l’ordinanza n. 347 del 1996 [18] la risposta è ripresa da una ordinanza precedente: “nel caso eccezionale di adibizione temporanea del dipendente a mansioni superiori, corrispondenti a un posto vacante, non si può argomentare a contrario una preclusione all'adeguamento del trattamento economico secondo i princìpi ripetutamente enunciati da questa Corte in conformità degli artt. 36 Costituzione e 2126 codice civile”. 

L’ordinanza n. 349 del 2001 [19]  si occupa ancora dell’articolo 33. Secondo il giudice rimettente, il divieto di retribuire le mansioni superiori desumibile dall'articolo 33 integra (a differenza dell’articolo 29 del d.P.R. n. 761/1979) una deroga assoluta e temporalmente indeterminata al principio costituzionale affermato nell’articolo 36 e costituisce, quindi, espressione "non di un ragionevole bilanciamento di interessi, ma della volontà assoluta di escludere la retribuibilità delle mansioni superiori". La Corte considera queste “doglianze” di tenore analogo alle censure già precedentemente dedotte da altri giudici e ripete pari pari la risposta data nelle due occasioni precedenti.

L’ultima è l’ordinanza n. 100 del 2002 [20]. Il giudice rimettente evidenzia esplicitamente il contrasto della posizione della Corte con la giurisprudenza del Consiglio di Stato il quale si pone "su di una linea di rigetto della tesi della retribuibilità delle mansioni superiori prestate dal pubblico dipendente sulla base normativa dell'articolo 2126 codice civile e dell'applicazione diretta dell'articolo 36 della Costituzione", affermando che, anteriormente alla vigenza del decreto legislativo n. 387 del 1998, non si rinviene "nell'ordinamento la norma specifica utile a generare" siffatto diritto, salvo casi specifici, come quello del comparto sanitario (articolo 29 del d.P.R. n. 761 del 1979). La risposta della Corte non cambia. La richiesta è considerata infondata sulla base della medesima argomentazione utilizzata nella primissima ordinanza del 1988.

La posizione del Consiglio di Stato

Alla posizione della Corte Costituzionale si contrappone l’indirizzo del Consiglio di Stato, di segno opposto, altrettanto fermo, che può essere sintetizzato attraverso le conclusioni di due recenti sentenze: C.d.S. VI, 8 gennaio 2003 sentenze nn. 17 – 18 C.d.S. VI, 21 agosto 2002, n. 4247, che ripropongono entrambe il medesimo paradigma:

a) resta fermo, per il periodo antecedente l'entrata in vigore del d.lgs. n. 387/98, che lo svolgimento di mansioni superiori alla qualifica formalmente ricoperta non dà diritto alle differenze retributive [21];

b) salvo che una legge disponga altrimenti (anche in sanatoria delle situazioni già verificatesi), le mansioni svolte da un dipendente, se sono di livello superiori rispetto a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento, sono del tutto irrilevanti, sia ai fini economici che ai fini della progressione di carriera, ovvero della emanazione di un provvedimento di preposizione ad un ufficio [22];

c) la pretesa ad una retribuzione superiore a quella attribuita dalla normativa applicabile non può fondarsi [23] sull’articolo 36 Cost. che non impone al legislatore di emanare periodicamente leggi di sanatoria ed invece costituisce il parametro per verificare (in sede costituzionale o amministrativa, se il quantum è determinato rispettivamente con leggi o con regolamenti) se le scelte del conditor iuris hanno violato il principio costituzionale [24]

d) gli articoli 51 e 97 Cost. comportano che l’attribuzione delle mansioni e del relativo trattamento economico non possono costituire oggetto di libere determinazioni dei funzionari amministrativi [25].

e) i requisiti costituzionali di proporzionalità e di sufficienza della retribuzione devono essere valutati, secondo la costante giurisprudenza della stessa Corte Costituzionale, «non già in relazione ai singoli elementi che compongono il trattamento economico, ma considerando la retribuzione nel suo complesso» [26] sicché non può essere considerata sproporzionata o insufficiente la retribuzione prevista da una norma per il pubblico dipendente in possesso di una certa qualifica, se questi svolga mansioni il cui esercizio è di regola consentito sulla base del previo superamento del concorso. E’ pertanto irrilevante, anche ai fini economici, lo svolgimento delle mansioni superiori, così come è irrilevante l’effettiva sussistenza di un formale incarico e di un posto di qualifica superiore, come anche confermato dalla disciplina specificamente riguardante i presupposti per attribuire rilevanza alle mansioni superiori [27];

f) i presupposti e i procedimenti indefettibili per attribuire rilievo alle mansioni superiori, ribadendo che sono irrilevanti atipiche certificazioni o generici ordini di servizio ovvero eventuali testimonianze, in quanto il loro svolgimento nei casi non previsti dalla norma è del tutto irrilevante e non dà luogo ad alcuna conseguenza in ordine al suo trattamento giuridico ed economico [28].

g) le mansioni superiori svolte dai dipendenti pubblici sono giuridicamente rilevanti nei limiti sanciti da una legge speciale ovvero nei limiti previsti dalla normativa generale di cui all’articolo 56 (la cui portata operativa è stata differita dal legislatore, dapprima a far data dal 31 dicembre 1996 per ragioni anche concernenti le finanze pubbliche, ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 365/1996, di conversione del decreto legge n. 254 del 1996, e poi alla data individuata dal comma 6, nel testo modificato con l’articolo 25 del d.lgs. n. 80 del 1998), tenuto anche conto che: a) nessuna sentenza additiva, di accoglimento di questioni di costituzionalità da parte della Corte Costituzionale e dunque innovativa del quadro normativo, ha modificato il contenuto precettivo del medesimo articolo 56; b) l’articolo 56, nel disporre una normativa che compone tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti, si pone comunque in coerenza con i principi evincibili dall’articolo 97 e dall’articolo 36 della Costituzione [29].

In definitiva, il Consiglio di Stato ritiene la propria posizione legittimata dal fatto che le sentenze/ordinanze della Corte, nessuna esclusa,  non hanno valore additivo di accoglimento di questioni di costituzionalità e dunque non sono innovative del quadro normativo, e, come tali, inidonee a modificare il contenuto precettivo delle disposizioni del diritto vivente.

Il diritto vivente in tema di mansioni superiori

Ritornando alla ordinanza del collegio veneto (con la quale abbiamo avviato questa riflessione), è interessante il rilievo ivi contenuto circa il contrasto della posizione della Corte costituzionale, con le disposizioni del diritto vivente. Secondo il TAR veneto la Corte non può trascurare un siffatto contrasto, atteso il rilievo che, nello scrutinio di legittimità costituzionale, essa ha sempre attribuito al diritto vivente, impegnandosi ad assumerlo quale norma-base del proprio sindacato.

Nel richiamo del TAR veneto al diritto vivente riecheggia in definitiva l’oggetto del presente studio.  La questione centrale resta quella dell’individuazione di norme positive, se esistono – vigenti durante il periodo antecedente all’attuale assetto dell’articolo 56 del d.lgs. n. 29/1993 – che contengano profili di disciplina della materia del trattamento economico delle mansioni superiori nel pubblico impiego, a copertura del precetto costituzionale enunciato nell’articolo 36 Costituzione.

Ricostruzione della disciplina nel dlgs n. 29/1993

Diritto vivente nel periodo considerato è per primo il d.lgs. n. 29/1993 e la sua organica disciplina della materia delle mansioni, come prevista negli articoli 56 e 57. Dunque, da quel decreto è necessario partire nella ricostruzione del diritto positivo.

Con la legge delega n. 421/1992 il parlamento impegnò il governo a prevedere per il settore pubblico una disciplina unitaria delle mansioni superiori sulla base di questi principi: irrilevanza dello svolgimento delle mansioni superiori sull'assegnazione definitiva delle stesse; necessità del provvedimento motivato del dirigente per l’assegnazione delle mansioni, e limitazione temporale a tre mesi; riconoscimento del trattamento economico corrispondente all'attività svolta; non riconduzione nelle mansioni superiori dell’assegnazione di alcuni soltanto dei compiti propri della qualifica superiore; definizione di criteri, procedure e modalità dell’assegnazione.

La delega venne attuata con il d.lgs. n. 29/1993, che disciplinò la materia nell’articolo 57, (divenuto poi articolo 56 e quindi riversato nell’articolo 52 del d.lgs. n. 165/2001). Il d.lgs. n. 29/1993 ha avuto una storia travagliata, con 38 interventi correttivi nel volgere di pochi anni [30], molti dei quali hanno riguardato gli articoli 56 e 57. In particolare, l’assetto definitivo dell’articolo 52, come oggi lo leggiamo, è il risultato di tre integrali riscritture e di altre variazioni, la cui ricostruzione è il presupposto della sistemazione dell’istituto e la condizione per “leggere” le decisioni che la magistratura di ogni ordine e grado emette ininterrottamente da vent’anni in qua.

Le modificazioni intervenute dal 1993 al 1998 sugli articoli 56 e 57 del d.lgs. n. 29/1993 possono essere riassunte nelle seguenti tre fasi:

a) i differimenti annuali della disciplina. La disciplina sul trattamento economico delle mansioni superiori è contenuta nei commi 1 e 2 (articolo 57): l'utilizzazione del dipendente in mansioni superiori non può eccedere il tempo di tre mesi, durante il quale matura il “diritto al trattamento economico corrispondente all'attività svolta…”. In quella prima versione, l’efficacia della disposizione non è condizionata da differimenti temporali e, dunque, la sua vigenza dovrebbe decorrere dal 21 febbraio 1993 [31]. Avviene però che, nel luglio di quello stesso anno, un apposito decreto correttivo [32] la differisce al 1° ottobre 1993 e prevede, per le situazioni in corso, una disciplina transitoria che richiama  in vita le norme previgenti al decreto n. 29/1993. Un secondo intervento su quella disposizione si registra nel dicembre di quello stesso anno  con la riscrittura integrale [33] dell’articolo. La nuova versione mantiene inalterata la disciplina del trattamento economico (comma 2) con tre novità, recepimento al suo interno della disposizione di differimento, rinvio dell’efficacia al 30 giugno 1994 (comma 6)  e abrogazione del d.lgs. n. 247/1993 (comma 7), che aveva introdotto il primo differimento.

Quale il senso della riscrittura? Il significato è che, salvi gli atti adottati fino a quel momento, la disciplina del trattamento economico è paralizzata fino al 30 giugno 1994, con ripristino fino a quella data delle disposizioni del diritto previgente. In realtà, la sospensione della efficacia dell’articolo 57 durerà ben oltre il 30 giugno 1994, in quanto si protrarrà fino al 30 dicembre 1998 in forza di successive proroghe annuali [34].

b) La vicenda della sospensione degli effetti retributivi. La rivisitazione radicale del sistema avviene con il d.lgs. n. 80 del 1998 attraverso due interventi: l’abrogazione dell’articolo 57 e la riscrittura dell’articolo 56. Il trattamento economico delle mansioni superiori è trattato al comma 6. Le novità sono: a) il rinvio dell’efficacia dell’articolo alla data di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai CCNL e con la decorrenza ivi stabilita; b) l’attribuzione ai CCNL di comparto del compito di regolare gli effetti (anche economici) delle mansioni superiori e anche diversamente rispetto al decreto legislativo; c) la moratoria a termine del diritto alle differenze retributive, sino alla disciplina della materia ad opera dei CCNL di comparto (“fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici nell'inquadramento professionale del lavoratore”).

In definitiva, dopo il dlgs n. 80 il sistema appare più assestato. Il rinvio dell’efficacia delle disposizioni ha una data certa e la materia degli effetti (economici e non) è ricondotta nelle sede contrattuale in coerenza con la disposizione dell’articolo 40 del decreto sul lavoro pubblico (già articolo 45 del dlgs n. 29/1993) secondo cui la contrattazione collettiva riguarda tutte le materie del rapporto di lavoro. Inoltre, gli effetti retributivi delle mansioni superiori sono sospesi in attesa della disciplina contrattuale. Quest’ultimo aspetto è quello più dirompente in quanto viene interpretato come negazione del diritto al trattamento economico per i dipendenti pubblici.

c) La riaffermazione piena del diritto alla retribuzione. La sospensione del diritto alle differenze retributive dura lo spazio di pochi mesi. Già a ottobre del 1998 [35] il legislatore si preoccupa di correggere il comma 6 dell’articolo 56 e lo fa mediante la cancellazione delle parole che negavano (sospendevano) il diritto alle differenze retributive. Il testo corretto del comma 6 limita la moratoria temporale - fino all’attuazione del nuovo ordinamento professionale - ai soli effetti giuridici conseguenti allo svolgimento di mansioni superiori [36].

Con questo intervento correttivo si conclude l’attività di assestamento della disciplina sul trattamento economico delle mansioni superiori nel d.lgs. n. 29/1993.

L’aspetto che deve essere evidenziato è che il diritto al trattamento economico non risulta mai disconosciuto per i dipendenti pubblici dal d.lgs. 29/1993, sia nella sua fase genetica, sia nella fase evolutiva, sia nella versione assestata. Quel diritto è sempre espressamente affermato, con l’eccezione di una limitata parentesi temporale rimasta in vita pochi mesi (dal 23 aprile 1998 [37] al 22 novembre 1998 [38]), che non può essere interpretata come disconoscimento, ma come rinvio alla contrattazione collettiva della disciplina degli effetti (giuridici ed economici) delle mansioni superiori, e come moratoria nella determinazione di quegli effetti in attesa della disciplina contrattuale.

Peraltro lo stesso articolo 56, nel comma precedente (comma 5), riconosce quel diritto senza incertezze interpretative per le ipotesi di impropria attribuzione di mansioni superiori (“al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l'assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore”). Ciò che vale ad escludere ogni lettura riduttiva del comma 6, essendo inammissibile che il legislatore del 1998, in un comma riconosca quel diritto nelle ipotesi di impropria attribuzione, e poi nel comma successivo lo disconosca per i casi autorizzati e formalmente attribuiti.

L’argomento definitivo nel senso del riconoscimento del diritto è la disposizione contenuta nella legge delega n. 421 del 1992, la quale obbligava il governo a tener conto, tra gli altri criteri, di quello secondo cui allo svolgimento delle mansioni superiori doveva corrispondere il riconoscimento del trattamento economico corrispondente all'attività svolta.

La disciplina di completamento  della contrattazione di comparto

In applicazione dell’articolo 52, comma 6, del dlgs n. 165/2001, ciascun comparto del pubblico impiego ha completato la disciplina delle mansioni prevista ai commi 2, 3 e 4 del medesimo articolo. Sul punto del trattamento economico la contrattazione collettiva ha riaffermato il diritto del dipendente a veder retribuito il maggior impegno per l’esercizio temporaneo delle funzioni della categoria superiore, mediante due diversi criteri, sostanzialmente equivalenti. Il primo [39] è quello della integrazione retributiva pari alla differenza tra il trattamento tabellare iniziale del livello professionale corrispondente alle mansioni esercitate ed il trattamento tabellare iniziale del livello professionale di appartenenza. Il secondo [40] è quello dell’attribuzione del trattamento economico previsto per la posizione corrispondente alle mansioni esercitate. In ogni caso è fatto salvo quanto percepito a titolo di retribuzione di anzianità nella posizione di provenienza.

Con la sottoscrizione dei contratti collettivi si deve ritenere chiusa una lunga fase di contrastata interpretazione del diritto in esame. La disciplina contrattuale di comparto ormai pacificamente afferma, anche per il pubblico impiego - limitatamente agli effetti economici delle mansioni superiori – il principio civilistico enunciato nell’articolo 2103 del codice civile secondo cui “nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta”.

La disciplina antecedente al dlgs n. 29/1993

Riemerge ora il  problema centrale più volte indicato. Nel periodo antecedente all’emanazione del dlgs n. 29/1993 c’è stata davvero una divaricazione tra impiego pubblico e privato sul punto del trattamento economico delle mansioni superiori o vi sono norme positive che autorizzano una diversa conclusione? Per rispondere alla domanda è necessaria una indagine sulle normative di settore, non sussistendo una disciplina unitaria da cui trarre indicazioni utili in via generale. Il risultato è il rinvenimento di numerose tracce di disciplina della materia. Si segnalano il particolare:

a) l’articolo 80 della legge n. 425/1958 [41] (che detta disposizioni sullo stato giuridico del personale delle ferrovie dello Stato). La disposizione prevede che al dipendente incaricato dell'esercizio di funzioni superiori compete - dopo i primi tre mesi e fino alla durata dell'incarico - lo stesso trattamento economico che gli sarebbe spettato qualora fosse stato promosso alla qualifica di effettiva utilizzazione. La differenza tra gli stipendi viene considerata come indennità non pensionabile;

b) l’articolo 3 della legge di tutela delle lavoratrici madri (legge n. 1204/1971 [42]) prevede che le lavoratrici - nei casi in cui l'ispettorato del lavoro accerti che le condizioni di lavoro o ambientali sono pregiudizievoli alla loro salute - siano spostate ad altre mansioni durante la gestazione e fino a sette mesi dopo il parto. In questa ipotesi, quando siano adibite a mansioni equivalenti o superiori, hanno diritto al trattamento economico corrispondente all’attività svolta come previsto nell'articolo 13 della legge n. 300/1970;

c) l’articolo 13 [43] della legge 3 aprile  1979 n. 101 (recante il nuovo ordinamento del personale delle aziende dipendenti dal Ministero delle poste e delle telecomunicazioni e relativo trattamento economico). La disposizione prevede che per esigenze di servizio, nei limiti delle vacanze della dotazione organica, il personale postelegrafonico possa essere utilizzato, per un periodo massimo di un anno continuativo, nell'esercizio dei compiti di categoria superiore, sempre che per lo svolgimento dei medesimi compiti non sia prevista la funzione vicaria; l’utilizzazione termina automaticamente col venir meno della vacanza nell'organico. Durante tutto il periodo di utilizzazione nelle funzioni superiori, spetta al personale una indennità, non utile a pensione, pari alla differenza tra lo stipendio iniziale previsto per la categoria di appartenenza o per la qualifica rivestita e lo stipendio iniziale stabilito per la categoria o per la qualifica cui sono ascritte le funzioni da svolgere;

d) l’articolo 8 [44] del dlgs 15 agosto 1991 n. 277 (Attuazione delle direttive n. 80/1107/CEE, n. 82/605/CEE, n. 83/477/CEE, n. 86/188/CEE e n. 88/642/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro, a norma dell'articolo 7 della L. 30 luglio 1990, n. 212). Nel caso in cui il lavoratore per motivi sanitari connessi all'esposizione ad un agente chimico o fisico o biologico, sia allontanato temporaneamente da un'attività comportante esposizione ad un agente, in conformità al parere del medico competente è assegnato, in quanto possibile, ad un altro posto di lavoro nell'ambito della stessa azienda. Qualora il lavoratore venga adibito a mansioni equivalenti o superiori si applica l’articolo 13 della legge n. 300/1970.

e) L’articolo 27 della legge 11 febbraio 1970 n. 29 (recante modificazioni alle disposizioni sulle competenze accessorie del personale dipendente dal Ministero delle poste e delle telecomunicazioni) prevede il conferimento di mansioni superiori al personale della carriera ausiliaria con attribuzione, dopo i primi tre mesi e fino alla durata dell'incarico stesso, di un compenso integrativo per ogni giornata di effettiva prestazione;

f) L’articolo 72 [45] del d.P.R.  13 maggio 1987 n. 268 (recante norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo sindacale relativo al comparto del personale degli enti locali) prevede che in caso di vacanza del posto di responsabile delle massime strutture organizzative dell'ente, qualora non sia possibile attribuire le funzioni ad altro dipendente di pari qualifica funzionale, le funzioni stesse possono essere transitoriamente assegnate con provvedimento ufficiale a dipendente di qualifica immediatamente inferiore che deve essere prescelto, di norma, nell'ambito del personale appartenente alla stessa struttura organizzativa. In tale ipotesi qualora l'incarico, formalmente conferito, abbia durata superiore ai trenta giorni, va attribuito al dipendente incaricato solamente un compenso computato sulla differenza tra i trattamenti economici iniziali delle due qualifiche;

g) gli articoli 55 [46] e 121 [47] del d.P.R. n. 384/1990 (Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del 6 aprile 1990 concernente il personale del comparto del Servizio sanitario nazionale, di cui all'articolo 6, d.P.R. n. 68/1986) prevedono che per esigenze di servizio ed al fine di assicurare la continuità della funzione, rispettivamente il dipendente dei livelli ed il medico dipendente possono eccezionalmente essere adibito a mansioni superiori, a condizione che siano attivate le procedure di copertura del posto vacante. L'assegnazione temporanea alle mansioni superiori non deve eccedere i sessanta giorni nell'anno solare e non dà titolo ad alcuna retribuzione. Qualora per giustificati motivi le procedure di copertura del posto non possano essere portate a compimento nell'arco di sessanta giorni, al dipendente incaricato delle mansioni superiori, con provvedimento formale secondo le vigenti disposizioni, è corrisposto un compenso per il periodo eccedente i sessanta giorni commisurato alla differenza fra lo stipendio base della posizione superiore e quello della posizione di appartenenza, per un periodo non superiore a sei mesi, al termine del quale le mansioni superiori non sono in alcun caso rinnovabili.

Conclusione

La disamina effettuata nel punto precedente (che non ha carattere di esaustività) è sufficiente a dimostrare che il pubblico impiego nel periodo antecedente l’entrata in vigore del d.lgs. n. 29/1993 conosceva numerose ipotesi di disciplina delle mansioni superiori tutte univocamente indirizzate al riconoscimento del diritto ad un trattamento economico aggiuntivo.

Il d.lgs. n. 29/1993 - in forza della direttiva contenuta nell’articolo 2, comma 1, lettera n), della legge delega n. 421/1992 - ha poi riconosciuto il diritto a tutto l’universo del pubblico impiego, senza eccezioni. Il riconoscimento in via di principio non è venuto mai meno in tutta la travagliata vicenda di assestamento della disciplina sulle mansioni del d.lgs. n. 29/1993, nemmeno in vigenza dei differimenti annuali dell’efficacia dell’articolo 57 (fino al dicembre 1998) e nemmeno quando il comma 6 dell’articolo 56 stabilì una moratoria temporale di quel diritto – rimasta in vita pochi mesi – che aveva il senso di una rimessione di competenza agli ordinamenti professionali di comparto più che di negazione del diritto.

E’ tutto da dimostrare che il differimento dell’efficacia dell’articolo abbia il senso di disconoscimento del diritto o non piuttosto di un rinvio dell’attuazione del sistema procedimentale indicato nella disposizione con riferimento ai presupposti di attivazione dell’istituto, ai limiti temporali e ad ogni altro criterio attuativo ivi indicato. In questo senso non può che condividersi la posizione della Corte Costituzionale quando reitera ogni volta le eccezioni di incostituzionalità dell’articolo 33 del d.P.R. n. 3/1957 (“l’'impiegato ha diritto allo stipendio ed agli assegni per carichi di famiglia, nella misura stabilita dalla legge, in relazione alla quantità e qualità delle prestazioni rese”)  sul rilievo che quella disciplina si riferisce alla situazione normale nella quale le mansioni svolte dall’impiegato coincidono con la sua qualifica funzionale, ma non pregiudica il trattamento economico del dipendente nei casi eccezionali di adibizione a mansioni superiori, e non costituisce argomento a contrario circa una preclusione all’adeguamento del trattamento economico in conformità degli articoli 36 Costituzione e 2126 codice civile.

Anche nell’ipotesi (non dimostrata) in cui si voglia dare al differimento il senso di una paralisi del diritto, deve ritenersi che in corrispondenza del blocco temporale della disciplina prevista nel d.lgs. n. 29/1993 sia legittimata la applicazione delle (numerose) disposizioni di settore previgenti, mai venute mai in via di disapplicazione o abrogazione, né tacita né esplicita.

 


[1]  Questa conclusione è riferita dal TAR al periodo compreso dal 1° settembre 1985 sino alla data del 24 luglio 1998, indicato dal ricorrente nel caso esaminato dal TAR.

[2] Il tenore della norma costituzionale è il seguente:

Articolo 36. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.

La durata massima della giornata lavorativa e stabilita dalla legge.

Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.”

[3] Si riporta il testo dell’articolo 33, comma 1, del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo Statuto degli impiegati civili dello Stato e norme di esecuzione):

Articolo 33. Trattamento economico - Assistenza - Miglioramento professionale.

L'impiegato ha diritto allo stipendio ed agli assegni per carichi di famiglia, nella misura stabilita dalla legge, in relazione alla quantità e qualità delle prestazioni rese. Durante il periodo di prova compete all'impiegato il trattamento economico della qualifica iniziale della carriera di appartenenza. “

[4] Data di entrata in vigore del d.lgs n. 387/1998.

[5] Nell’ordinanza n. 908 del 1988 il giudizio di legittimità costituzionale riguardava l'articolo 29, primo, secondo e terzo comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unita sanitarie locali), promosso con ordinanza emessa il 27 gennaio 1987 dal TAR per la Sicilia - Sezione di Catania)

[6] Si riporta il testo dei primi tre commi dell’articolo 29 del d.P.R. 20 dicembre 1971 n. 765 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali.)

“Articolo 29. Esercizio delle mansioni inerenti al profilo e alla posizione funzionale.

Il dipendente ha diritto all'esercizio delle mansioni inerenti al suo profilo e posizione funzionale e non può essere assegnato, neppure di fatto, a mansioni superiori o inferiori.

In caso di esigenze di servizio il dipendente può eccezionalmente essere adibito a mansioni superiori. L'assegnazione temporanea, che non può comunque eccedere i sessanta giorni nell'anno solare, non dà diritto a variazioni del trattamento economico.

Non costituisce esercizio di mansioni superiori la sostituzione di personale di posizione funzionale più elevata, qualora la sostituzione rientri tra gli ordinari compiti della propria posizione funzionale”.

[7] La sentenza n. 57 del 1989 riguardava il giudizio di legittimità dell'articolo 29, primo, seconda parte, secondo e terzo comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unita sanitarie locali), promosso con ordinanza emessa il 19 ottobre 1987 dal TAR per la Sicilia- Sezione di Catania)

[8] Si riporta il testo dell’articolo 2126 del codice civile

“Articolo 2126. Prestazione di fatto con violazione di legge.

La nullità o l'annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall'illiceità dell'oggetto o della causa.

Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione”.

[9] La sentenza n. 296 del 1990 riguardava il giudizio di legittimità dell'articolo 7, commi 5 e 7, del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128 (Ordinamento interno dei servizi ospedalieri), e dell'articolo 29, commi 2 e 3, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali) promosso con quattro ordinanze emesse il 10 aprile 1989 e il 9 giugno 1989 dal Consiglio di Stato, il 13 ottobre 1989 (n. 2 ordinanze) dal TAR del Friuli-Venezia Giulia)

[10] Si riporta il testo dell’articolo 2103 del codice civile

“Articolo 2103. Mansioni del lavoratore.

Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad una altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

Ogni patto contrario è nullo”.

[11] Nell’ordinanza n. 408 del 1990 (nei giudizi di legittimità costituzionale dell'articolo 7, comma 5°, del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128 (Ordinamento interno dei servizi ospedalieri) e dell'articolo 29, commi 2° e 3°, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 18 gennaio 1990 dal TAR del Friuli- Venezia Giulia ; 2) ordinanza emessa il 22 dicembre 1989 dal Consiglio di Stato

[12] L’ordinanza n. 130 del 1991 riguardava il giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 29, comma 2, del d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 (Stato giuridico del personale delle unita sanitarie locali) promosso con ordinanza emessa il 7 marzo 1990 dal TAR per il Lazio

[13] L’ordinanza n. 337 del 1993 riguardava il giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 29, comma 2, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), promosso con ordinanza emessa il 19 marzo-25 giugno 1992 dal TAR per l'Abruzzo.

[14] L’ordinanza n. 12 del 1994 riguardava il giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 2126 del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 17 dicembre 1992 dal TAR per l'Abruzzo - Sezione distaccata di Pescara.

[15] La sentenza n. 101  del 1995 riguardava i giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 2126 e 2129 del codice civile e dell'articolo 29 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), quale integrato interpretativamente con gli articoli 36 della Costituzione e 2126 del codice civile, promossi con due ordinanze emesse il 4 novembre 1993 dal TAR per l'Abruzzo - Sezione distaccata di Pescara.

[16] Si riporta il testo dell’articolo 2129 del codice civile

“Articolo 2129. Contratto di lavoro per i dipendenti da enti pubblici.

Le disposizioni di questa sezione si applicano ai prestatori di lavoro dipendenti da enti pubblici salvo che il rapporto sia diversamente regolato dalla legge.”

[17] L’ordinanza n. 289 del 1996 riguardava i giudizi di legittimità costituzionale dell'articolo 33 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), promossi con n. 2 ordinanze emesse il 4 aprile 1995 e il 15 dicembre 1994 dal TAR per la Puglia - sezione distaccata di Lecce.

[18] L’ordinanza n. 347 del 1996 riguardava il giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 33 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 23 novembre 1995 dal TAR per la Puglia - sezione staccata di Lecce)

[19] L’ordinanza n. 349 del 2001 riguardava i giudizi di legittimità costituzionale dell'articolo 33 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), promossi con 3 ordinanze emesse il 28 giugno 2000 dal TAR per la Puglia, sezione staccata di Lecce)

[20] L’ordinanza n. 100 del 2002 riguardava i giudizi di legittimità costituzionale dell'articolo 33 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), promossi con tre ordinanze emesse l'8 marzo 2001 dal TAR per la Liguria.

[21] Vedi: C.d.S. A.P. 28 gennaio 2000, n. 10 e 23 febbraio 2000, n. 11.

[22] Vedi: C.G.A.., 20 dicembre 2000, n. 491; C.d.S. IV, 20 ottobre 2000, n. 5626; C.d.S. VI, 19 settembre 2000, n. 4871; C.d.S. V, 24 agosto 2000, n. 4601; C.d.S. VI, 22 agosto 2000, n. 4553; C.d.S. VI, 11 luglio 2000, n. 3882; C.d.S. V, 24 marzo 1998, n. 354; C.d.S. IV, 28 ottobre 1996, n. 1157; C.G.A., 25 ottobre 1996, n. 363; C.d.S. V, 24 ottobre 1996, n. 1282; C.d.S. V, 24 maggio 1996, n. 597; C.d.S. V, 24 maggio 1996, n. 587; C.d.S. V, 2 febbraio 1996, n. 120; C.d.S. Commissione speciale pubblico impiego, 20 novembre 1995, n. 345; C.d.S. V, 22 marzo 1995, n. 452; C.d.S. V, 9 marzo 1995, n. 307; C.d.S. V, 18 gennaio 1995, n. 89; C.d.S. V, 23 novembre 1994, n. 1362.

[23] Vedi: C.d.S. VI, 19 settembre 2000, n. 4871; C.d.S. V, 11 settembre 2000, n. 4805; C.d.S. VI, 11 luglio 2000, n. 3882; Sez. VI, 15 maggio 2000, n. 2785; Sez. IV, 3 maggio 2000, n. 2611; Ad. Plen., 23 febbraio 2000, n. 11; C.d.S. Ad. Plen., 18 novembre 1999, n. 22; C.d.S. Commissione speciale pubblico impiego, 15 marzo 1999, n. 431/99; C.d.S. IV, 28 ottobre 1996, n. 1157; C.d.S. V, 24 ottobre 1996, n. 1282; C.d.S. Commissione spec. pubblico impiego, 20 novembre 1995, n. 345; C.d.S. IV, 15 ottobre 1990, n. 768; C.d.S. Ad. Plen., 5 maggio 1978, n. 16; C.d.S. Ad. Plen., 4 novembre 1977, n. 17.

[24] Vedi: C.d.S. V, 24 maggio 1996, n. 587; C.d.S. V, 22 marzo 1995, n. 452.

[25] Vedi: C.d.S. VI, 19 settembre 2000, n. 4871; C.d.S. VI, 11 luglio 2000, n. 3882; C.d.S. IV, 3 maggio 2000, n. 2611; C.d.S. V, 17 maggio 1997, n. 1219; C.d.S. V, 24 maggio 1996, n. 587; C.d.S. V, 22 marzo 1995, n. 452.

[26] Vedi: Corte Costituzionale, ordinanza 12 febbraio 1996, n. 33; ordinanza 30 marzo 1995, n. 98; sentenze 19 gennaio 1995, n. 15; 28 aprile 1994, n. 164.

[27] Vedi: C.d.S. A.P., 23 febbraio 2000, n. 11; A C.d.S. A.P., 18 novembre 1999, n. 22.

[28] Vedi: C.d.S. V, 24 maggio 1996, n. 587; C.d.S. V, 22 marzo 1995, n. 452; C.d.S. V, 9 marzo 1995, n. 307; C.d.S. V, 18 gennaio 1995, n. 89, C.d.S. VI, 8 gennaio 2003 sentenza n. 17 e 18.

[29] Vedi: Corte Costituzionale, ordinanza 22 luglio 1996, n. 289; sentenza 31 marzo 1995, n. 101.

[30] L’elenco delle gazzette ufficiali che danno conto di modifiche e rettifiche al decreto n. 29/1993 è impressionante: G.U. 23/07/1993, n. 17, G.U. 04/08/1993, n. 32, G.U. 13/11/1993, n. 267, G.U. 24/11/1993, n. 276, G.U. 29/12/1993, n. 304, G.U. 18/02/1994, n. 40, G.U. 16/11/1994, n. 47, G.U. 30/12/1994, n. 304, G.U. 23/05/1995, n. 118, G.U. 21/06/1995, n. 143, G.U. 11/07/1995, n. 160, G.U. 29/07/1995, n. 176, G.U. 28/10/1995, n. 253, G.U. 27/12/1995, n. 300, G.U. 29/12/1995, n. 302, G.U. 11/07/1996, n. 161, G.U. 30/11/1996, n. 281, G.U. 01/03/1997, n. 50, G.U. 17/03/1997, n. 63, G.U. 17/05/1997, n. 113, G.U. 14/11/1997, n. 266, G.U. 30/12/1997, n. 302, G.U. 26/03/1998, n. 71, G.U. 08/04/1998, n. 82, G.U. 07/11/1998, n. 261, G.U. 29/12/1998, n. 302, G.U. del 09/08/1999, n. 185, G.U. del 18/08/1999, n. 193, G.U. del 30/08/1999, n. 203, S.O., G.U. del 27/12/1999, n. 302, S.O., G.U. del 22/07/2000, n. 170, S.O., G.U. del 08/08/2000, n. 184, G.U. del 04/09/2000, n. 206, G.U. del 06/09/2000, n. 208, G.U. del 22/09/2000, n. 222, G.U. del 28/09/2000, n. 227, S.O., G.U. del 03/11/2000, n. 257, G.U. del 09/05/2001, n. 106, S.O., G.U. del 22/05/2002, n. 20, S.S.

[31] La data è riferita all’entrata in vigore del decreto 29/1993.

[32]  Si tratta dell’articolo unico del d.lgs 19 luglio 1993, n. 247, contenente disposizioni correttive dell'articolo 57 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 , in materia di attribuzione temporanea di mansioni superiori. (Pubblicato nella Gazz. Uff. 23 luglio 1993, n. 171) .

[33] Ad opera dell’articolo 25 del d.lgs n. 546/1993.

[34] Il termine del 30 giugno 1994 fu prorogato al 30 ottobre 1995 dal  dl n. 361/1995 (convertito con legge 437/1995, dopo che erano decaduti senza conversione il dl 144/1995 e il dl 260/1995); prorogato al 31 dicembre 1996 dal dl n. 254/1996 (convertito con legge 365/1996, dopo che erano decaduti senza conversione il dl 471/1995, il dl 12/1996, il dl 117/1996) ; prorogato al 31 dicembre 1997 dal dl 669/1996 (convertito in legge n. 30/1997, dopo che era decaduto senza conversione il dl 3/1997); prorogato al 31 dicembre 1998 dall'articolo 39, comma 17, della legge n. 449/1997.

[35] La correzione è stata apportata con l’articolo 15 del d.lgs n. 387/1998.

[36] Il nuovo testo del comma 6 dopo l’intervento correttivo è il seguente “Fino a quella data in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto ad avanzamenti automatici nell'inquadramento professionale del lavoratore”).

[37] E’ la data di entrata in vigore del d.lgs 31 marzo 1998 n. 80, pubblicato nella gazzetta ufficiale  8 aprile 1998, n. 82, S.O. (poi corretto con avvisi pubblicati nella Gazz. Uff. 18 aprile 1998, n. 90 e nella Gazz. Uff. 22 maggio 1998, n. 117.) e quindi entrato in vigore dopo quindici giorni dalla sua pubblicazione.

[38] E’ la data di entrata in vigore del d.lgs 29 ottobre 1998, pubblicato nella gazzetta ufficiale 7 novembre 1998 n. 261, e quindi entrato in vigore quindici giorni dopo la sua pubblicazione.

[39] Il criterio della integrazione stipendiale ricorre:  nel CCNL 2002 sottoscritto il 21 febbraio 2002 per il personale non dirigente ANEA (comparto enti ex articolo 70 d.lgs 165/2001); nel CCNL 2001 sottoscritto il 19 dicembre 2001 per il personale dell’ANEC (comparto enti ex articolo 70 d.lgs 165/2001); nel CCNL 2000 sottoscritto il 14 settembre 2000 per il personale delle regioni e delle autonomie locali (comparto regioni ed autonomie locali); nel CCNL 1999 per il personale della sanità sottoscritto il 7 aprile 1999 (comparto sanità).

[40] Il criterio della attribuzione del trattamento superiore ricorre: nel CCNL 2001 sottoscritto il 15 maggio 2001 per il personale del CONI (comparto enti pubblici non economici); nel CCNL 2001 sottoscritto il 12 aprile 2001 per il personale del Ministero degli affari esteri (comparto ministeri); nel CCNL 2001 sottoscritto il 15 febbraio 200 per il personale non dirigente del CNEL (comparto enti ex articolo 70 d.lgs 165/2001); nel CCNL 2001 per il personale non dirigente del CNEL 2000 sottoscritto il 25 maggio 2000 per il personale delle aziende ed amministrazioni autonome dello Stato ad ordinamento autonomo (comparto aziende ed amministrazioni autonome dello Stato ad ordinamento autonomo); nel CCNL 1999 sottoscritto il 19 febbraio 1999 per il personale dei ministeri (comparto ministeri);

[41] Articolo così sostituito dall'articolo 5, L. 15 febbraio 1967, n. 40 e richiamato dall’articolo 12 della legge 6 febbraio 1979 n. 42 contenente nuove norme su inquadramento, ordinamento organico, stato giuridico e trattamento economico del personale dell'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato..

[42] La legge n. 1204/1971 è stata abrogata dall'articolo 86, d.lgs 26 marzo 2001, n. 151. Le disposizioni di cui all’articolo 3 sono ora contenute nell'articolo 7 del testo unico approvato con d.lgs 26 marzo 2001, n. 151/2001.

[43] Articolo così sostituito prima dall'articolo 42, L. 22 dicembre 1981, n. 797e poi dall'articolo 7, L. 25 ottobre 1989, n. 355.

[44] Questa disposizione si applica anche al pubblico impiego  e, tenendo conto delle particolari esigenze connesse al servizio espletato (articolo 2), nei riguardi delle Forze armate, o di Polizia, dei Servizi di protezione civile e del Servizio sanitario nazionale per quanto concerne le sale operatorie degli ospedali, degli istituti di istruzione e di educazione;

[45] Articolo inserito nel d.PR n. 268 dall'articolo 39, d.PR 17 settembre 1987, n. 494

[46] Per la disapplicazione del presente articolo vedi gli articoli 18 e 67 del CCNL di cui all'Accordo 8 giugno 2000.

[47] Per la disapplicazione del presente articolo vedi l'articolo 65 del CCNL di cui all'Accordo 8 giugno 2000.


Documenti correlati:

T.A.R. Veneto, Sez. I, ordinanza 3 ottobre 2002*.

C.G.A., Sez. Giur., sentenza 9 ottobre 2002*.

Cons. Stato, sez. VI – sentenza 5 settembre 2002*.

Cons. Stato, Comm. Spec. P.I., parere 22 aprile 2002*.

Cons. Stato, Ad. Plen., sentenza 18 novembre 1999*.

G. VIRGA, La retribuibilità delle mansioni superiori svolte dai pubblici dipendenti ante D.L.vo n. 387/98*.

ID., La retribuibilità delle mansioni superiori svolte dai pubblici dipendenti: una vicenda ancora non del tutto conclusa.

C. DE MARCO, In tema di retribuibilità delle mansioni superiori svolte dai pubblici dipendenti (nota a Tribunale di Trieste, sent. 29 settembre 2000, n. 403).

L. OLIVERI, Sostituzione, delega e mansioni superiori*.

ID., Breve addenda alla questione della retribuibilità delle mansioni superiori.