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Il trasferimento che comporti dequalificazione professionale è illegittimo – Le ragioni organizzative del provvedimento sono irrilevanti – Il trasferimento che comporti una dequalificazione professionale per assegnazione, nel luogo di destinazione, di mansioni qualitativamente inferiori a quelle in precedenza svolte, deve ritenersi illegittimo per violazione dell’art. 2103 cod. civ. In presenza di una dequalificazione è irrilevante l’esistenza di eventuali ragioni produttive giustificative del trasferimento, in quanto le stesse non possono ledere il diritto alla conservazione della professionalità, la cui tutela è prevalente rispetto alle esigenze organizzative del datore di lavoro (Cassazione Sezione Lavoro n. 5161 del 12 marzo 2004, Pres. Ciciretti, Rel. Guglielmucci).
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Privacy: chiarimenti applicativi |
Il Garante organizza un corso di
formazione per sciogliere i dubbi interpretativi sul nuovo codice e
fornire indicazioni operative.
E’ rivolto alle aziende il primo corso di formazione organizzato dal Garante della protezione dei dati personali, che affronterà il tema degli adempimenti previsti dal Codice della privacy entrato in vigore a gennaio. Con la realizzazione di questa iniziativa, il Garante intende offrire un contributo di chiarificazione ed orientamento alla piena e corretta applicazione delle norme sulla protezione dei dati personali. Il corso ha l'obiettivo di sciogliere dubbi interpretativi e soprattutto di fornire - a quanti raccolgono, elaborano, usano, conservano dati personali - indicazioni operative, suggerimenti organizzativi e strumenti utili nella prassi e nella gestione quotidiana delle attività. Il corso si svolgerà il 2 aprile presso la sede del Garante a Roma (Piazza Monte Citorio 121), saranno affrontate le diverse problematiche connesse con la protezione dei dati personali in azienda e verranno fornite risposte a quesiti specifici: dall’outsourcing ai rapporti con clienti, fornitori, dipendenti, dalle richieste di accesso alle banche dati alla notificazione, dalle misure di sicurezza a salvaguardia degli archivi al contenzioso con il Garante e agli accertamenti disposti dalla stessa Autorità. Termine ultimo per l’iscrizione è stato fissato il 26 marzo 2004, la scheda di iscrizione è disponibile sul sito del Garante. Per la parziale copertura delle spese organizzative relative all'evento è stato fissato un “contributo spese”, comprensivo delle colazioni di lavoro e dei materiali didattici, che verranno poi riversati su supporto informatico. Tale contributo è stato circoscritto a 160 euro, per ciascun partecipante. Una seconda iniziativa di formazione, prevista per i prossimi mesi, sarà invece rivolta alla Pubblica Amministrazione. Temi trattati nel corso del 2 aprile: SOGGETTI Il titolare del trattamento - Singole imprese e gruppi societari (possibilità operative). I responsabili. Casi di Outsourcing - Soluzioni e modelli operativi; se e come designare responsabili per i profili giuridici ed informatici. Incaricati del trattamento - Modalità di designazione ed istruzioni; rapporto tra mansioni ed ambito del trattamento COME TRATTARE I DATI Rapporti con clienti, dipendenti ed altre imprese -Come informare gli interessati e quando acquisire il consenso; prospettive del bilanciamento di interessi e delle autorizzazioni generali. Vendita di prodotti e servizi - Attività svolte per posta o per telefono, sulla base di elenchi telefonici o di registri pubblici. Attività commerciali o pubblicitarie svolte on-line - Prassi legittime in tema di informativa, consenso e trattamento, rispetto a posta elettronica ed Internet. Trasferimento all’estero dei dati - Clausole contrattuali; reti telematiche articolate anche fuori dell’Unione europea RAPPORTI CON GLI INTERESSATI E CONTENZIOSO Richieste di accesso, rettificazione e cancellazione dei dati - Procedure da seguire per rispondere alle richieste degli interessati. Gestione del contenzioso - Approcci utili in caso di segnalazioni, reclami e controversie. Ricorsi al Garante - Spunti di riflessione nei casi di maggior interesse finora affrontati. Accertamenti ispettivi in azienda - Obblighi e adempimenti in caso di controlli. MISURE DI SICUREZZA Standard di sicurezza dei sistemi informativi aziendali - Scadenze, soluzioni pratiche; analisi delle nuove regole del Disciplinare tecnico al Codice, misure diverse da quelle minime ed evoluzione tecnologica. Il documento programmatico sulla sicurezza - Modelli e metodi operativi per la predisposizione o l’aggiornamento. NOTIFICAZIONE L’obbligo di notificazione - Casi di trattamento da dichiarare al Garante; provvedimenti dell’Autorità. La compilazione della notificazione via Internet - Istruzioni, pagamento dei diritti, apposizione di firma digitale e gestione di eventuali casi particolari |
Il conducente dell’autoveicolo è corresponsabile delle conseguenze del mancato uso delle cinture di sicurezza da parte del passeggero – In base alle regole della comune diligenza e prudenza - Il conducente di un autoveicolo è tenuto, in base alla regole della comune diligenza e prudenza, ad esigere che il passeggero indossi le cinture di sicurezza e, in caso di renitenza, anche a rifiutarne il trasporto o sospendere la marcia; ciò a prescindere dall’obbligo a carico di chi deve far uso di tale cintura. Pertanto è correttamente motivata la decisione del giudice di merito che avendo stabilito, in base a consulenza tecnica, che il danno subito dal passeggero sia da ascriversi per il 50% al mancato uso delle cinture di sicurezza, ripartisca la relativa responsabilità in ragione del 20% a carico del conducente e del 30% a carico del passeggero (Cassazione Sezione Terza Civile n. 4993 dell’11 marzo 2004, Pres. Duva, Rel. Segreto).
Corte di cassazione
Sezione III civile
Sentenza 11 marzo 2004, n. 4993
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 10 luglio 1993 i coniugi L.E. e C.G. in proprio e,
quanto al primo, nella qualità di tutore della figlia L. C., convenivano
davanti al Tribunale di Ragusa la Milano Assicurazioni e P.G. per ottenere
il risarcimento del danno patrimoniale, morale e biologico, subito a
seguito delle lesioni gravissime, con coma irreversibile e con invalidità
permanente nella misura del 100%, riportata da C. L., all'epoca di anni
27, nell'incidente stradale occorsole il 10 aprile 1992, nel mentre
viaggiava come trasportata dall'auto del P. (assicurata con la Milano
Assicurazione per la r.c.), che usciva di strada ed andava a cozzare
contro un muro.
Si costituivano i convenuti che resistevano alla domanda.
Il Tribunale di Ragusa, con sentenza depositata il 16 febbraio 1996,
riconosciuto un concorso di colpa nella misura del 5% a carico della L.,
per il mancato uso della cintura di sicurezza, condannava P. al pagamento
nei confronti degli attori della complessiva somma di lire 3.158.771.800,
oltre rivalutazione ed interessi, nonché la Milano, in solido con il P.,
fino al limite del massimale di lire 1.500.000.000, oltre rivalutazione ed
interessi sulla detta somma.
Avverso questa sentenza proponevano appello la Milano ed il P..
Proponevano appello incidentali gli attori.
La Corte di appello di Catania, con sentenza depositata il 10 maggio 2000,
ritenuto il concorso di colpa della L. nella misura del 30% per il mancato
uso della cintura di sicurezza, condannava il P. al pagamento, in favore
di L.E., nella qualità, della somma complessiva di lire 2.135.908.022,
oltre interessi legali sulle somme devalutate alla data dell'incidente ed
annualmente rivalutate, fino al passaggio in giudicato della decisione, e
detratti gli acconti.
Condannava il P. a corrispondere a L.E. la somma di lire 353.663.000 e
C.G. la somma di lire 343.163.000 oltre interessi.
Condannava la Milano al pagamento, in solido con il P., della somma di
lire 1.500.000.000, maggiorata di rivalutazione ed interessi.
Riteneva la Corte di merito che a norma dell'art. 172 c.d.s. del 1992, il
passeggero trasportato aveva l'obbligo di allacciare la cintura di
sicurezza durante la marcia; che a tanto non aveva provveduto la L., che
era stato sbalzata fuori dell'auto per alcuni metri andando ad urtare con
il capo sull'asfalto; che tale circostanza aveva concorso nella produzione
delle gravissime lesioni, con coma irreversibile, nella misura del 50%,
come accertato dal c.t.u. ingegnere; che il mancato uso della cintura
andava ascritto per il 30% alla trasportata e per il residuo 20% al
conducente, che doveva imporre alla L. l'uso della cintura; che, per
l'effetto, a carico del P. andava affermata la responsabilità del 50% per
colpa nella guida e per il 20% per non aver fatto adottare la cintura alla
trasportata.
Pertanto la Corte di appello liquidava, con riferimento alla data della
decisione, tenuto conto del concorso di colpa nella misura del 30% della
trasportata, il danno biologico, subito da L. C., nella misura di lire
741.201.828; il danno patrimoniale in lire 281.356.194; il danno morale in
lire 378.350.000.
Quanto all'assistenza infermieristica e fisioterapica, riteneva la Corte
di liquidare il danno in lire 735 milioni.
Ai coniugi L. venivano liquidate lire 476.000.000 per danni patrimoniali e
per ciascuno dei genitori lire 105 milioni per danni morali, oltre lire
10.500.000 a L.E. per la perdita di redditi, per accudire la figlia.
Rigettava la domanda dei genitori di risarcimento del proprio danno
biologico, perché non provato.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il P.G..
Resistono con controricorso gli attori, che hanno anche proposto ricorso
incidentale.
Entrambe le parti hanno presentato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi, a norma dell'art. 335 c.p.c.
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione o falsa
applicazione dell'art. 172 c.d.s. d.lgs. 28 maggio 1992 e degli artt.
1227, 2055 o 2056 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.; errore
logico giuridico della motivazione su un punto decisivo della
controversia, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c.
Con l'articolato motivo ritiene il ricorrente che, pur avendo il giudice
di appello disposto consulenza medico legale e consulenza tecnica in
ordine al mancato uso delle cinture di sicurezza ed alle conseguenze di
tale omissione e, nonostante che il c.t.u. avesse individuato detto
concorso di colpa della L., che fu sbalzata fuori dall'abitacolo per circa
20 metri, nella misura del 50%, aveva erratamente poi ridotto detto
concorso di colpa nella misura del 30%, sul rilievo che anche il P. era in
colpa per non aver imposto alla passeggera di applicare la cintura.
Ritiene il ricorrente che, a norma dell'art. 172 c.d.s., i passeggeri
hanno l'obbligo di indossare la cintura di sicurezza in qualsiasi
situazione di marcia, con conseguente sanzione amministrativa a loro
carico, in caso di inadempienza, e che solo in caso di trasportato minore
risponde il conducente di detto mancato uso delle cinture.
Ciò comporta che, poiché del mancato uso della cintura doveva rispondere
solo la L., avendo il c.t.u. ritenuto che detta mancanza avesse
contribuito nella misura del 50%, alla produzione del sinistro, detto
concorso di colpa non poteva essere ridotto al 30%.
Secondo il ricorrente ciò comporta anche una violazione dell'art. 1227,
comma 1, c.c., sulla base del quale il danneggiato non può ottenere il
risarcimento del danno, per la parte di cui è stato causa.
Inoltre il ricorrente lamenta il vizio di motivazione dell'impugnata
sentenza, in quanto, date le circostanze di tempo (era di notte e vi era
un temporale), egli non poteva accertarsi che la L. indossasse
costantemente le cinture. Inoltre, secondo il ricorrente, tenuto conto
delle modalità dell'incidente, se la L. avesse indossato la cintura, non
sarebbe stata sbalzata fuori dall'auto, con la conseguenza che non avrebbe
avuto le gravi lesioni sofferte, per lo sbalzo fuori dalla vettura e
l'urto con il capo sull'asfalto, come non le aveva avute il conducente,
che indossava la cintura e che uscì indenne dall'auto.
2.1. Ritiene questa Corte che il motivo è infondato e che lo stesso va
rigettato.
Quanto alla prima censura va preliminarmente rilevato che, contrariamente
all'assunto delle parti e della stessa sentenza, nella fattispecie non
trova applicazione l'art. 172 c.d.s. d.lgs. 30 aprile 1992.
Infatti, a parte il rilievo che l'incidente si era verificato il 10 aprile
1992, in ogni caso il nuovo c.d.s. è entrato in vigore solo il 1° gennaio
1992 (v. art. 240 d.lgs. 285/92).
Tuttavia, pur emendata la sentenza impugnata sotto questo profilo
dell'errata indicazione della norma, la questione giudicata non muta, in
quanto le cinture di sicurezza erano state rese obbligatorie, per i
soggetti che si trovavano sui sedili anteriori dell'auto, per effetto
della l. 111/1988 e degli artt. 1, 2 e 3, l. 143/1999, che, in buona
sostanza, prevedevano una normativa in proposito pressoché simile a quella
dell'attuale art. 172 c.d.s., anche sotto il profilo dell'aspetto
sanzionatorio.
Per cui alla data del sinistro, sulla base della l. 143/1999 vi era
l'obbligo anche da parte del trasportato sul sedile anteriore dell'auto di
indossare la cintura di sicurezza ed il mancato uso delle stesse esponeva
il trasportato trasgressore alla sanzione amministrativa (in modo analogo
a quanto poi previsto dall'art. 172 c.d.s.).
2.2. Orbene sotto il profilo dell'illecito amministrativo non vi è dubbio
che il destinatario della norma, che impone l'obbligo della cintura, sia
il soggetto che detta cintura deve indossare, e quindi, in caso di
soggetto trasportato (salvo che sia minore), destinatario del dovere sia
lo stesso trasportato, che - ove non adempia - è l'unico esposto alla
sanzione.
Ne consegue che l'omesso uso delle cinture di sicurezza, da parte di
persona che abbia subito lesioni in conseguenza di un sinistro stradale,
costituisce un comportamento colposo del danneggiato nella causazione del
danno, rilevante ai sensi dell'art. 1127, comma 1, c.c., e legittima la
riduzione del risarcimento, ove si alleghi e dimostri che il corretto uso
dei sistemi di ritenzione avrebbe ridotto od addirittura eliso il danno.
2.3. Il problema, che si pone nella fattispecie ad oggetto del motivo di
ricorso, è se, una volta accertata l'incidenza causale nell'evento del
mancato uso delle cinture di sicurezza da parte del trasportato,
un'incidenza causale possa essere ascritta, oltre ovviamente che al
trasportato (in quanto trasgressore della norma di circolazione stradale,
che impone l'uso delle cinture), anche al comportamento del conducente,
come ha ritenuto la sentenza impugnata.
2.4. Ritiene questa Corte di dovere dare risposta positiva al quesito.
Infatti qui non si pone un problema di responsabilità per illecito
amministrativo, che va regolato esclusivamente nei termini in cui la norma
tipizza l'illecito stesso (e nella fattispecie del trasportato, che
trasgredisce l'obbligo di indossare la cintura, la norma ritiene questi
esclusivo responsabile dell'illecito), ma un problema di responsabilità
aquiliana.
Nell'ambito della tale ultima responsabilità rilevano tutti i
comportamenti, commissivi o omissivi, che abbiano contribuito
eziologicamente alla produzione dell'evento dannoso, purché siano
connotati da dolo o colpa.
Ai fini dell'elemento soggettivo della colpa rileva non solo la colpa
specifica (cioè la violazione di specifiche leggi o regolamenti), ma anche
quella generica, costituita dalla mancanza di diligenza, prudenza o
perizia.
2.5. In questi termini di prudenza e diligenza (quale emerge anche
dall'art. 1176 c.c.) il conducente di un autoveicolo non può porre o
tenere in circolazione lo stesso, se si è reso conto che qualcuno dei
trasportati non si conforma alle regole stabilite dalla normativa sulla
circolazione stradale.
Infatti, è vero che egli può non essere il destinatario della norma (come
nella fattispecie dell'obbligo per il trasportato di indossare la
cintura), ma egli rimane pur sempre colui che rende possibile la
"circolazione" del veicolo con a bordo il trasportato, e quindi, sotto un
profilo di normale diligenza, ha l'obbligo di fare effettuare detta
circolazione in sicurezza e nel rispetto delle norme.
2.6. In termini generali già questa Corte ha rilevo (per quanto in
fattispecie diverse) che il conducente, in quanto responsabile dei danni
prodotti dalla circolazione del veicolo, concorre con il trasportato,
nella responsabilità dei danni da quest'ultimo causati a terzi (cfr.
Cassazione 6445/1987; 8216/2002).
L'ottica del concorso eziologico di cause rimane identica - salvo
ovviamente con tale concorso è disciplinato dall'art. 1227, comma 1,
c.p.c. - nel caso in cui il trasportato, con il suo comportamento, cagioni
danni a sé stesso.
Quindi, qualora la messa in circolazione dell'autoveicolo, in condizioni
di insicurezza (e tale è la circolazione del veicolo, senza che il
trasportato abbia "allacciato le cinture di sicurezza"), sia ricollegabile
all'azione od omissione non solo del trasportato, ma anche del conducente
(che prima di iniziare o proseguire la marcia deve controllare che essa
avvenga in conformità delle normali norme di prudenza e sicurezza), fra
costoro si è formato il consenso alla circolazione medesima con
consapevole partecipazione di ciascuno alla condotta colposa dell'altro ed
accettazione dei relativi rischi; pertanto si verifica un'ipotesi di
cooperazione nel fatto colposo, cioè di cooperazione nell'azione
produttiva dell'evento (diversa da quella in cui distinti fatti colposi
convergano autonomamente nella produzione dell'evento). In tale
situazione, a parte l'eventuale responsabilità verso i terzi, secondo la
disciplina dell'art. 2054 c.c., deve ritenersi risarcibile, a carico del
conducente del suddetto veicolo e secondo la normativa generale dell'art.
2043, 2056, 1227 c.c., anche il pregiudizio all'integrità fisica che il
trasportato abbia subito in conseguenza dell'incidente, tenuto conto che
il comportamento dello stesso, nell'ambito dell'indicata cooperazione, non
può valere ad interrompere il nesso causale fra la condotta del conducente
ed il danno, né ad integrare un valido consenso alla lesione ricevuta,
vertendosi in materia di diritti indisponibili (cfr. Cassazione
1816/1982).
2.7. Va, pertanto, condiviso, anche in tema di responsabilità aquilana,
l'orientamento espresso in sede penale da questa Corte (Cassazione penale,
Sezione quarta, 9904/1996), secondo cui il conducente di un veicolo è
tenuto, in base alle regole della comune diligenza e prudenza, ad esigere
che il passeggero indossi la cintura di sicurezza ed, in caso di
renitenza, anche rifiutarne il trasportato o sospendere la marcia; ciò a
prescindere dall'obbligo a carico di chi deve far uso della detta censura.
2.8. Ne consegue che, avendo la Corte di merito ritenuto sulla base della
disposta consulenza tecnica d'ufficio che eziologicamente il danno subito
dalla L. era da ascriversi per il 50% al mancato uso della cintura di
sicurezza, in applicazione del suddetto principio di diritto ha poi
correttamente ritenuto, che parte di questo 50% (e precisamente un 20%)
andava ascritto ancora a carico del conducente P. (già responsabile del
restante 50% a titolo di mancanza di diligenza e prudenza nella guida),
per non aver imposto alla sua passeggera l'uso della cintura ovvero
sospeso la marcia in caso di rifiuto.
3.1. Non ravvisa questa Corte, nella suddetta decisione, la lamentata
violazione dell'art. 1227, comma 1, c.c.
Infatti il primo comma dell'art. 1227 c.c. concerne il concorso colposo
del danneggiato nella produzione dell'evento che configura
l'inadempimento, quindi la sua cooperazione attiva, mentre nel secondo
comma il danno è eziologicamente imputabile al danneggiante, ma le
conseguenze dannose dello stesso avrebbero potuto essere impedite o
attenuate da un comportamento diligente del danneggiato.
Consegue che in tema di risarcimento del danno mentre il concorso di colpa
del creditore, previsto dal comma 1 dell'art. 1227 c.c. può essere
rilevato anche d'ufficio, nella diversa ipotesi dell'esimente contemplata
dal 2° comma della stessa norma, il giudice è tenuto a svolgere l'indagine
in ordine all'omesso uso dell'ordinaria diligenza da parte del creditore,
soltanto se vi sia stata un'espressa istanza del debitore, in quanto in
questo secondo caso la dedotta colpa del creditore costituisce
inosservanza di un autonomo dovere giuridico posto dalla legge a suo
carico e la richiesta del debitore integra gli estremi di una eccezione in
senso sostanziale con cui viene fatto valere un contraddittorio per
paralizzare l'azione del creditore (Cassazione 3408/1986).
2.3. Ne consegue che, avendo la Corte di merito ritenuto che la mancata
adozione della cintura di sicurezza aveva un'efficienza causale nella
produzione dell'evento dannoso subito dalla L. del 50% e che detto
comportamento era da ascriversi nella misura del 30% alla L. e del residuo
20% al conducente (cui già era stato posto a carico il 50% della
responsabilità, per comportamento colposo nella guida), correttamente ha
ritenuto che il concorso di colpa della danneggiata andava ridotto nella
misura del 30%.
4.1. Quanto alla censura di assunto vizio motivazionale della sentenza
nella determinazione del concorso di colpa della danneggiata nella misura
del 30%, ritiene questa Corte che il motivo sia infondato.
Infatti, la sentenza impugnata, sulla base della consulenza tecnica
d'ufficio, ha ritenuto che il mancato uso della cintura avesse influito
solo nella misura del 50% nella produzione del danno alla L., mentre ha
ritenuto che la responsabilità per tale omissione andasse ascritta al P.
per il residuo 20%.
Trattasi di una valutazione di merito che sfugge ad un sindacato di
legittimità.
4.2. Né può trovare ingresso in questa sede la censura secondo cui,
trattandosi di notte ed essendo in corso un temporale, il conducente non
poteva accorgersi se la L. facesse uso costante della cintura.
Ciò, infatti, costituisce l'introduzione in questa sede di una nuova
questione (mancanza di consapevolezza), che, non risultando nel ricorso
come in precedenza prospettata (nel quale caso doveva essere proposta la
censura sotto il profilo della violazione dell'art. 112 c.p.c., non
essendosi sul punto pronunziata la Corte di merito), non può essere
avanzata per la prima volta in questa sede, involgendo essa anche
accertamenti di fatto, preclusi a questa Corte.
Infatti è giurisprudenza pacifica di questa Corte che i motivi del ricorso
per Cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che
siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non
essendo prospettabili per la prima volta in Cassazione questioni nuove o
nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non
rilevabile di ufficio (Cassazione 29 marzo 1996; 5106/1995; 6428/1984).
5. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta il difetto di
motivazione ed errore logico giuridico della stessa su un punto decisivo
della controversia, in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c.
Lamenta il ricorrente che, pur avendo la sentenza di merito riconosciuto
ai genitori della L. la somma di lire 476.327.000 (lire 237.096.697 per
spese affrontate fino al 1993, lire 220.500.000, per spese affrontate fino
al 1996 e lire 18.730.000, per spese all'estero), ha poi ritenuto che
detta somma andasse ridotta del 30%, dando luogo ad una somma ancora pari
a lire 476.327.000, mentre, effettuata la riduzione del 30%, la somma
finale doveva essere pari a lire 333.428.900.
6.1. Ritiene questa Corte che il motivo sia inammissibile.
Infatti, con esso si censura un errore di calcolo, o, se si muta
prospettiva, un'omissione materiale.
In entrambe le ipotesi è esperibile esclusivamente il procedimento di cui
agli artt. 287 ss. c.p.c., non essendo denunciabile con ricorso per
Cassazione né l'errore di calcolo materiale né l'omissione materiale, che
si risolva non in un vizio decisionale del giudice, ma in una mera
"svista", rispetto a quanto risulta deciso (cfr. Cassazione 7249/1995).
6.2. Va, infatti, osservato che la speciale disciplina, dettata dagli artt.
287 ss. c.p.c., per la correzione degli errori materiali incidenti sulla
sentenza, la quale attribuisce la competenza all'emanazione del
provvedimento correttivo allo stesso giudice che ha emesso la decisione da
correggere, mentre non è applicabile quando contro la decisione stessa sia
già stato proposto appello dianzi al giudice del merito, in quanto
l'impugnazione assorbe anche la correzione di errori, è invece da
osservarsi rispetto alle decisioni impugnate con ricorso per cassazione,
atteso che il giudizio relativo a tale ultima impugnazione è di mera
legittimità e la Corte di cassazione non può correggere errori materiali
contenuti nella sentenza del giudice di merito, al quale va, pertanto,
rivolta l'istanza di correzione, anche dopo la presentazione del ricorso
per cassazione (Cassazione 10289/2001; 1348/1995).
Peraltro, nella memoria, il ricorrente dà atto di aver proposto istanza in
merito alla Corte di appello di Catania e che la stessa è stata accolta.
7. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione
degli artt. 1223, 2056, 2059 c.c. ed art. 185 c.p.c., in relazione
all'art. 360, n. 3, c.p.c., per essere stato riconosciuto il danno morale
in favore dei genitori del soggetto leso, che, per quanto in stato di coma
dal momento dell'incidente ancora fino alla data del ricorso, tuttavia non
era deceduto.
8. Ritiene questa Corte che il motivo sia infondato e che lo stesso vada
rigettato.
Va osservato, infatti e contrariamente a quanto sostenuto dalla
resistente, ma in conformità a quanto statuito dalle Su di questa Corte
suprema di Cassazione (sentenza 9556/2002), che ai prossimi congiunti di
persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato,
lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno morale,
concretamente accertato in relazione ad una particolare relazione
affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223
c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto
dannoso.
9. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e
falsa applicazione dell'art. 1224 c.c. e dei principi in tema di debito di
valore e di valuta, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c..
Assume il ricorrente che erratamente la sentenza impugnata l'ha condannato
a corrispondere gli interessi sulle somme rivalutate, fino al passaggio in
giudicato della sentenza di appello, mentre era con la sentenza di appello
che il debito di valore si trasformava in debito di valuta, come tale
sottoposto all'art. 1224 c.c.
10.1. Ritiene questa Corte che il motivo sia infondato e che lo stesso
vada rigettato.
Premesso che la sentenza di appello ha liquidato il danno da ritardo con
il criterio degli interessi legali, secondo i principi fissati dalle Su di
questa Corte (sentenza 1712/1995), va osservato che detti interessi cd.
compensativi nei debiti originariamente di valore, sono dovuti fino al
momento in cui il debito di valore si converte in debito di valuta, e cioè
fino al momento in cui sia divenuta definitiva la liquidazione del danno.
La liquidazione diventa definitiva solo quando la sentenza, che l'ha
effettuata, è divenuta definitiva, per cui solo da quel momento vi è
l'assoggettamento del debito al principio nominalistico, regolato
dall'art. 1224 c.c. (cfr. Cassazione 6231/1986).
Non è quindi la sola sentenza di appello che rende la decisione
definitiva, ma il passaggio in giudicato di detta sentenza, mentre fino a
quel momento il debito rimane di valore.
10.2. Va, pertanto, condiviso il principio, secondo cui, poiché la
liquidazione che segna la conversione del debito di valore in debito di
valuta è quella operata con la pronuncia definitiva di merito, la quale
non sempre coincide con la sentenza di appello, nonostante le
caratteristiche di tale decisione, ove la sentenza di appello sia cassata
sul punto della rivalutazione monetaria, non ne deriva in debito di
valuta, restando invece la relativa determinazione rimessa alla nuova
decisione di merito, la quale deve tenere conto della svalutazione
verificatasi medio tempre sino alla liquidazione finale, salve le somme
eventualmente già riscosse in esecuzione spontanea o coatta della
decisione di appello poi annullata, rispetto alle quali il riferimento va
fatto al momento della conseguita disponibilità della somma da parte del
creditore (Cassazione 1167/1984).
Correttamente, quindi, la sentenza impugnata ha disposto la corresponsione
in favore della L. C. degli interessi compensativi sul suo credito di
valore, con esclusione delle spese future, fino al passaggio in giudicato
della sentenza di appello.
11. Con l'unico motivo del ricorso incidentale, i ricorrenti L.E., in
proprio e nella qualità, e C.G. lamentano la violazione e falsa
applicazione degli artt. 172 c.d.s., art. 2043 c.c., 1227 c.c., 2697 c.c.
e 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. nonché il vizio
motivazionale su punti decisivi della controversia, a norma dell'art. 360,
n. 5, c.p.c.
Lamentano i ricorrenti, anzitutto, che la mancata adozione della cintura
di sicurezza non ha alcun nesso di causalità con l'incidente stradale, il
quale dipendeva solo dalla violazione delle norme stradali da parte del
conducente; che in ogni caso mancava la prova che al momento
dell'incidente la L. C. non avesse allacciata la cintura; che, in tal
senso, la consulenza tecnica d'ufficio non può costituire la prova che la
trasportata non avesse la cintura al momento dell'incidente, poiché le
uniche prove possibili erano costituite da testimonianze, documenti o
confessione; che quindi la disposta consulenza tecnica era inammissibile.
12.1. Ritiene questa Corte che il motivo sia infondato.
Anzitutto va osservato che il giudice di appello, come era suo dovere, ha
accertato quali fossero le cause che avevano prodotto il danno alla
persona subito dalla L.. Ha individuato queste cause nell'incidente
stradale ed inoltre nella mancata adozione delle cinture.
Questa omissione, in parte (30%) imputabile alla L. come sopra detto, ha
concorso nella misura del 50% alla produzione del danno fisico della L. e
di tutti gli altri danni subiti dalla stessa e dai propri genitori.
Il giudice di merito, sulla base della consulenza tecnica d'ufficio, ha
infatti accertato che se detta cintura fosse stata "allacciata" non si
sarebbe verificata l'espulsione dall'auto della L. e non si sarebbero
verificate le gravi lesioni al capo della stessa, che sbatté sull'asfalto.
12.2. Quanto alla censura, secondo cui non era stata fornita la prova, che
al momento dell'incidente la L. non aveva azionato la cintura di
sicurezza, in quanto detta prova poteva essere fornita solo con testimoni,
documenti o confessioni, e non con consulenza tecnica, anche essa è
infondata.
Va, anzitutto, osservato che la consulenza tecnica non è soltanto
strumento di valutazione tecnica, ma anche di accertamento e di
ricostruzione dei fatti storici prospettati dalle parti, senza peraltro
costituire un mezzo sostitutivo dell'onus probandi gravante su di esse (cfr.
Cassazione 3734/1983; 8256/1987).
12.3. Nella fattispecie, in ogni caso, la ricostruzione dell'incidente,
per la parte che riguardava la cintura di sicurezza, è stata effettuata
dal consulente tecnico sulla base del dato incontestato tra le parti che
la L. era stata sbalzata - a seguito dell'urto contro il muro dell'auto -
fuori dell'abitacolo e ad alcuni metri di distanza dall'auto stessa,
battendo il capo contro l'asfalto.
Sulla base di questo dato storico certo, che è pacifico tra le parti, il
consulente ha effettuato la valutazione tecnica che non era allacciata la
cintura ed ha quindi accertato quale fosse stata l'incidenza eziologica
della mancanza della cintura nella produzione dell'evento dannoso.
Il giudice ha ritenuto di dover condividere detta conclusione del c.t.u.
Peraltro i ricorrenti incidentali non danno alcuna altra spiegazione al
fatto che la trasportata fosse stata sbalzata fuori dalla vettura, fatto
certo ed incompatibile con l'ipotesi che la cintura fosse allacciata.
La ricostruzione di un incidente stradale, attenendo ad un accertamento
fattuale, rientra nei poteri del giudice di merito e non è censurabile in
sede di legittimità, se non per vizio motivazionale, che nella specie non
si ravvisa, avendo il giudicante ritenuto che la L. non avesse la cintura
sulla base delle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio.
13. In definitiva i ricorsi vanno rigettati.
Esistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio
di cassazione.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese del
giudizio di cassazione.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4993 dell'11 marzo 2004, precisando che qualora il conducente abbia accettato il rischio della circolazione in condizioni di insicurezza, quale quella in cui il trasportato non abbia "allacciato le cinture di sicurezza", si verifica un'ipotesi di cooperazione nel fatto colposo del trasportato.
(Altalex, 23 marzo 2004)