IN CASO DI RIPETUTA ASSEGNAZIONE DEL LAVORATORE A MANSIONI SUPERIORI PER UN PERIODO COMPLESSIVAMENTE SUPERIORE A TRE MESI PUO’ ESSERE RICONOSCIUTO IL SUO DIRITTO ALLA PROMOZIONE AUTOMATICA – Se il comportamento dell’azienda non sia stato reso necessario da effettive ragioni organizzative (Cassazione Sezione Lavoro n. 18270 del 15 settembre 2005, Pres. Senese, Rel. Curcuruto).
            Andrea D., dipendente dell’ACEA inquadrato nel livello retributivo C1 del contratto collettivo delle aziende elettriche municipalizzate, nell’arco di tempo tra il 29 febbraio 1988 e il 27 agosto 1994 è stato adibito alle mansioni superiori di “idraulico provetto capo turno” di seconda fascia presso l’impianto di depurazione di Fregene per nove periodi, inferiori ciascuno a 90 giorni. Egli ha chiesto al Pretore di Roma il riconoscimento del suo diritto all’inquadramento nella categoria B1 in base all’art. 2103 cod. civ. secondo cui l’assegnazione a mansioni superiori diviene definitiva ove sia durata tre mesi. Egli ha fatto presente che l’azienda aveva eluso la legge, provvedendo alla copertura del posto di capo turno in Fregene mediante l’impiego a rotazione di lavoratori di livello inferiore per periodi di poco inferiori a tre mesi. L’azienda si è difesa sostenendo che il ricorso al ripetuto impiego del lavoratore con mansioni superiori era stato reso necessario dalla lunghezza e laboriosità delle procedure concorsuali previste dal contratto collettivo per la copertura del posto di capo turno. Il Pretore ha rigettato la domanda, che invece è stata pienamente accolta in grado di appello dal Tribunale di Roma. Il diritto del lavoratore al superiore inquadramento – ha affermato il Tribunale – può derivare da distinte e reiterate assegnazioni provvisorie caratterizzate da sistematicità e frequenza, a prescindere dalla prova di un intento fraudolento del datore di lavoro; il carattere obbligatorio delle selezioni non può giustificare il ricorso continuo e sistematico alle assegnazioni provvisorie; gli ultimi due incarichi conferiti ad Andrea D. non erano concomitanti con alcuna procedura di concorso, anzi l’ultima utilizzazione come capo turno del lavoratore era stata disposta in vista del completamento del processo di gestione telecomandata che avrebbe comportato l’abolizione dei turni continui. L’ACEA ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione del Tribunale di Roma per difetto di motivazione e violazione di legge.
            La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 18270 del 15 settembre 2005, Pres. Senese, Rel. Curcuruto) ha rigettato il ricorso. Con riferimento alle assegnazioni disposte durante lo svolgimento delle procedure concorsuali – ha affermato la Corte – si deve escludere la maturazione del diritto alla qualifica superiore in considerazione del principio per cui, nel caso di successive applicazioni di uno o più lavoratori ad un posto di lavoro che implichi lo svolgimento di mansioni superiori, ipotesi caratterizzata dal fatto che ciascuna applicazione ha durata inferiore al termine contrattuale o legale previsto per l’acquisizione del diritto alla qualifica corrispondente, ma superiore ad esso se sommate, la circostanza che tali applicazioni siano effettuate in concomitanza con lo svolgimento della procedura concorsuale – prevista come obbligatoria dalla contrattazione collettiva – per la copertura di quel posto, non implica, di per sé, una presunzione di preordinazione utilitaristica, salvo prova contraria, e costituisce anzi una presunzione che la condotta del datore di lavoro sia determinata da un’esigenza organizzativa reale, idonea in quanto tale a mantenere l’effetto interruttivo della revoca dell’assegnazione alle mansioni superiori e ad evitare, pertanto, che maturi il diritto al superiore inquadramento. Infatti – ha precisato la Corte – l’ottemperanza all’obbligo contrattuale di bandire un concorso costituisce di per sé una reale esigenza di organizzazione della produzione, ed esclude, in assenza di ulteriori elementi diversificatori della fattispecie, che il fine del comportamento sia rivolto ad eludere la legge ed a locupletare la maggiore professionalità del lavoratore incaricato di svolgere quelle mansioni. Tale principio, che la sentenza impugnata ha preso in considerazione e dal quale, nella sostanza, non si è discostata – ha osservato la Corte – non può però giovare alla ricorrente nel caso concreto perché esso non è idoneo a legittimare le ulteriori assegnazioni avvenute al di là delle esigenze delle procedure concorsuali, così come accertate dal giudice di merito.

 

 
Sentenza: risarcimento per stress da multe

Un cittadino di Arnesano stressato per aver ricevuto ben 26 verbali per infrazioni che non aveva compiuto, è stato risarcito dal Comune in seguito alla decisione del Giudice di Pace. Il togato, con la sentenza n° 2776 "Stress per multa ingiusta" ha condannato il Comune a risarcire il malcapitato con 730 euro per aver causato, appunto, danni a metà tra il morale e il biologico. "Tale situazione ha creato stress ed agito come turbativa di una tranquilla esistenza" si legge nella sentenza e all’uomo, in concreto, è stata riconosciuta l'indennità temporanea totale per ogni giorno in cui ha ricevuto le multe.


Incidenti stradali: investito senza giubbotto, l'assicurazione non paga
 
Nessuna responsabilità civile per l'automobilista che travolge in autostrada chi era sceso dalla propria vettura in panne senza indossare il gilet arancione
 
 
Incidenti stradali, la mancanza del giubbotto catarifrangente esclude la tutela risarcitoria. Nessuna responsabilità civile, infatti, può essere addebitata all'automobilista che investe un pedone sceso dalla macchina in panne per chiedere aiuto, di notte e senza il giubbino segnaletico.
È quanto emerge dalla sentenza 18615/05 della Cassazione, depositata lo scorso 21 settembre e qui integralmente leggibile tra i documenti allegati. Nel confermare il verdetto con cui i giudici di merito avevano respinto la domanda di risarcimento danni presentata dagli eredi di un pedone che era stato investito mentre attraversava l'autostrada di notte senza segnalare in alcun modo la sua presenza, la terza sezione civile del Palazzaccio, infatti, ha affermato che "il conducente non può essere ritenuto in colpa in relazione a un fatto imprevedibile e inevitabile".
Partendo dalla norma principe in tema di fatto illecito da circolazione di veicoli, l'articolo 2054 del Codice civile, i magistrati di Piazza Cavour hanno ricordato come il primo comma di quest'ultimo "aggrava l'onere della prova del conducente, il quale deve dare la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno". Questa regola, però, non prevede una responsabilità oggettiva, ma è una norma di favore per la vittima dell'incidente stradale, precisano gli "ermellini". Spetterà ad essa, infatti, "dare la prova del nesso causale tra il fatto della circolazione e l'evento lesivo, mentre il conducente ha l'onere di provare la causa di giustificazione o di esonero della propria responsabilità".