P.A. - trattamento dei dati sensibili - il trattamento che concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale - limiti al trattamento dei dati - la valutazione dell’amministrazione del conflitto tra l’interesse del terzo a conseguire l’accesso e quello alla riservatezza dell’interessato. L’incapacità del coniuge ad assumersi gli obblighi matrimoniali essenziali per cause di natura psichica, sono dati da considerare particolarmente sensibili, per i quali l’art. 22 L. 31.12.1996 n. 675 prescrive perfino il consenso scritto del titolare e, se trattati da Enti pubblici, ne subordina l’ostensibilità ad un’espressa previsione legislativa. In materia è intervenuto poi l’art. 16 D. L.vo 11.5.1999 n. 135, il quale ha espressamente statuito, per quanto interessa, che quando il trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, il trattamento è consentito se il diritto da far valere o difendere è di rango almeno pari a quello dell’interessato. Con la conseguenza che il menzionato art. 16 non risolve in astratto il conflitto tra l’interesse del terzo a conseguire l’accesso e quello alla riservatezza dell’interessato, ma consente all’Amministrazione che detiene i dati sensibili, ed in sostituzione al giudice amministrativo, di valutare in concreto ciascuna fattispecie al fine di stabilire se l’accesso sia necessario o meno per far valere o difendere un diritto almeno pari a quello dell’interessato (v. le decisioni di questo Consiglio, sez. VI, n. 1882 del 30.3.2001 e n. 2542 del del 9.5.2002). Consiglio di Stato, Sezione V, - 3 luglio 2003, Sentenza n. 4002
 

Silenzio-rifiuto serbato dalla p.a. su un'istanza procedimentale - il ricorso giurisdizionale contro l'inerzia dell'amministrazione - l'onere di notificare - l'immediata impugnazione del silenzio - atto di diffida - termini. Il ricorso giurisdizionale contro l'inerzia dell'amministrazione potrà essere proposto solo se l'interessato (dopo la presentazione dell'eventuale istanza) avrà adempiuto l'onere di notificare, con le forme previste per gli atti giudiziari, un'apposita diffida a provvedere entro un congruo termine, comunque non inferiore a trenta giorni, non essendo ammissibile l'immediata impugnazione del silenzio conseguente alla mancata risposta all'istanza formulata dal privato, se non si sia fatto ritualmente constatare l'inadempimento della p.a. mediante una formale diffida all'amministrazione. Inoltre, come chiarito da questa Sezione, il silenzio - rifiuto serbato dalla p.a. su un'istanza procedimentale ha valore provvedimentale, per cui il ricorso giurisdizionale proposto a seguito di esso va notificato, a pena di decadenza, entro il sessantesimo giorno dalla sua formazione, decorrente dalla scadenza di quello assegnato alla p.a. stessa nell'atto di diffida (Consiglio Stato sez. V, 17 ottobre 2000, n. 5565; si veda anche Consiglio Stato sez. III, 2 giugno 1998, n. 113). Risultano, pertanto, corrette le determinazioni del giudice di prime cure che ha ritenuto inammissibile (per alcuni ricorrenti) il ricorso contra silentium in quanto proposto oltre il termine di sessanta giorni dalla scadenza del termine di trenta giorni assegnati con l’atto di diffida e la determinazione di inammissibilità del ricorso (per gli altri ricorrenti) in quanto proposto allorchè non erano ancora decorsi i termini per la formazione del silenzio. Consiglio di Stato Sez. V, - 11 giugno 2003, sentenza n. 3288

 

La tipicità del rapporto di impiego con le Pubbliche amministrazioni e l’obbligatoria osservanza delle procedure comparative e selettive di alimentazione dei ruoli - limiti all'obbligo di trasformazione del rapporto di lavoro subordinato a termine in rapporto a tempo indeterminato - l’Amministrazione deve essere legittimata da apposita fonte - la nullità ex lege degli atti di assunzione o di riconoscimento dei rapporti di pubblico impiego. La tipicità del rapporto di impiego con le Pubbliche amministrazioni e l’obbligatoria osservanza delle procedure comparative e selettive di alimentazione dei ruoli impediscono, infatti, l'applicazione automatica e meccanica, nell’ambito del pubblico impiego, del principio ricavabile dall'art. 2 l. 18 aprile 1962 n. 230 in tema di conversione del rapporto a termine in quello a tempo indeterminato. Nel pubblico impiego, infatti, l'obbligo di trasformazione del rapporto di lavoro subordinato a termine in rapporto a tempo indeterminato, stabilito in presenza di specifiche condizioni dall'art. 2 l. 18 aprile 1962 n. 230, può essere applicato solo se l’Amministrazione venga legittimata da apposita fonte che recepisca il principio nell'ambito e nei limiti connessi all'esercizio della potestà organizzatoria della stessa (Consiglio Stato sez. V, 22 giugno 1998, n. 918). Tale obbligo non si configura in capo ad un Comune (e in capo agli enti locali in genere), poichè l'art. 5 Decreto Legge 10 novembre 1978 n. 702 convertito con modificazioni con Legge 8 gennaio 1979 n. 3, fissa il divieto, sanzionato con la nullità del rapporto, di assunzione temporanea o di conferma in servizio di personale avventizio in violazione delle norme sul reclutamento di tali dipendenti. La norma imperativa ex art. 5 d.l. 10 novembre 1978 n. 702, convertito dalla l. 8 gennaio 1979 n. 3, per la oramai consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, nel disporre la nullità ex lege degli atti di assunzione o di riconoscimento dei rapporti di pubblico impiego, ha inteso arginare le assunzioni anomale e ridurre la spesa pubblica ed ha previsto la nullità in senso tecnico, ossia che i medesimi atti non possono produrre effetti (Ad. plen., 29 febbraio 1992, nn. 1 e 2 ; Ad. plen., 5 marzo 1992, nn. 5 e 6). In altri termini, la richiamata previsione legislativa della nullità evidenzia che il legislatore ha qualificato come rapporto di pubblico impiego solo quello che sia riconducibile ai provvedimenti tipici previsti dall’ordinamento: ne consegue che al giudice amministrativo è preclusa la statuizione di accertamento sull'esistenza di un rapporto prodotto da un atto nullo per violazione delle norme sui concorsi (cfr. Sez. IV, 16 febbraio 1998, n. 282; Cons.giust. amm. Sicilia, Sez. giurisd., 4 novembre 1998, n. 646). (In specie il giudice di prima istanza, ha rigettato la pretesa relativa al diritto di immissione nei ruoli comunali, avendo correttamente ravvisato l’inesistenza delle condizioni legislativamente fissate per l’immissione. Difetta, infatti il presupposto fondamentale dei “posti vacanti”, e vi osta anche la previsione dell’art. 5 d.l. 10 novembre 1978 n. 702, convertito dalla l. 8 gennaio 1979 n. 3, che esclude l’immissione per il personale <<...con rapporto di servizio a tempo parziale e/o di durata limitata nel corso dell’anno>>). Conforme: Consiglio di Stato Sez. V, - 11 giugno 2003, sentenze nn. 3283 - 3282 - 3281. Consiglio di Stato Sez. V, - 11 giugno 2003, sentenza n. 3284

 

P.A. - presupposti condizionanti la retribuibilità dello svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego - l’onere della prova. Vi sono due fondamentali presupposti condizionanti la retribuibilità dello svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego (cfr. Cons. Stato, V, 10 luglio 2000, n. 3845), ovvero la disponibilità del posto in organico (per vacanza od assenza non occasionale del titolare), nonché l’esistenza di un puntuale incarico formale, conferito, ovviamente nel periodo antecedente alla notifica del gravame, dall’organo competente ed espressamente riferito alle mansioni superiori; requisito quest’ultimo che va ritenuto indispensabile con la sola eccezione dei posti apicali delle strutture ospedaliere, in quanto mirante ad impedire che il singolo dipendente, di propria iniziativa o col consenso compiacente di altri organi incompetenti, possa assumere incarichi di livello superiore, aggirando le prescritte procedure di selezione del personale, e che non può essere in alcun modo rimediato attraverso un atto ricognitivo dell’organo competente, che attesti ex post l’effettivo svolgimento di mansioni superiori, atteso che diversamente, tra l’altro, sarebbe frustrata l’esigenza di condizionare il pagamento delle reclamate differenze retributive alle determinazioni dell’Amministrazione (cfr., ex multis, Cons. Stato, V, 8 aprile 1999, n. 390; per l’onere della prova Cons. Stato, IV, 28 agosto 1997, n. 931). Consiglio di Stato Sez. V, - 9 giugno 2003, sentenza n. 3235

 

Rapporto di pubblico impiego - il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato - l’esercizio di mansioni superiori. L’art. 36 Cost., che sancisce il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato, non può trovare, infatti, incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall’art. 98 Cost. (che nel disporre che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione” vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e dall’art. 97 Cost., contrastando l’esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con il buon andamento e l’imparzialità dell'Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità proprie dei funzionari. Il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento delle funzioni di livello immediatamente superiore da parte dei pubblici dipendenti va, invece, riconosciuto nei limiti di legge, ma comunque con carattere di generalità, a decorrere dall’entrata in vigore del d.lg. 29 ottobre 1998 n. 387, che con l’art. 15 ha reso anticipatamente operativa la disciplina di cui all’art. 56 del d.lg 3 febbraio 1993 n. 29 (nei termini complessivamente sopraesposti: Cons. Stato, A.P., 18 novembre 1999, n. 22; 28 gennaio, n. 10 e 23 febbraio n. 11). Consiglio di Stato Sez. V, - 9 giugno 2003, sentenza n. 3235

 

La determinazione autoritativa delle tariffe relative all’erogazione di un servizio pubblico - imposizione di prestazioni patrimoniali, tale determinazione non può essere rimessa all'arbitrio dell'autorità - il principio della riserva (relativa) di legge - tributi a struttura progressiva - le contribuzioni relative a prestazioni di servizi. Costituisce ormai principio pacifico che la determinazione autoritativa delle tariffe relative all’erogazione di un servizio pubblico deve assimilarsi ad una vera e propria imposizione di prestazioni patrimoniali, con la conseguenza che tale determinazione non può essere rimessa all'arbitrio dell'autorità, ma deve essere assistita dalle garanzie di cui all'articolo 23 della Costituzione (Corte Cost., n.72/1969). La Corte Costituzionale ha ritenuto che il principio della riserva (relativa) di legge sia salvaguardato quando una norma di legge rimetta la concreta fissazione delle tariffe ad atti dell'autorità amministrativa. Inoltre, l'asserita violazione del principio di progressività non tiene conto della pacifica interpretazione dell'articolo 53, comma 2, della Costituzione, quale norma non precettiva ma di principio, che impone al legislatore ordinario di assegnare ai tributi a struttura progressiva un valore caratterizzante del sistema. Sono peraltro escluse dalla previsione di cui al citato articolo 53 le contribuzioni relative a prestazioni di servizi il cui costo si può determinare divisibilmente, mentre sono ricompresi solo le prestazioni contributive caratterizzate dal conseguimento di finalità generali (Corte Cost., n.30/1964; n.23/1968; n.91/1972). Consiglio di Stato Sez. VI, - 6 giugno 2003, sentenza n. 3166
 

P.A. - il potere di ritiro dell’aggiudicazione di un pubblico appalto - persino dopo la stipulazione del contratto - in costanza di concrete ed adeguate ragioni di interesse pubblico - informativa supplementare atipica - il diniego di approvazione del contratto. Nel settore degli appalti pubblici di lavori, poi, assume particolare rilievo l’esigenza di assicurare il puntuale rispetto delle regole della concorrenza tra le imprese, nell’interesse generale alla corretta ed efficace gestione delle risorse pubbliche, conformemente ai principi enunciati dall’articolo 1 della legge n.109/1994 (C. Stato, V, 3 febbraio 2000, n. 661). La giurisprudenza di questo Consesso riconosce il potere di ritiro dell’aggiudicazione di un pubblico appalto - persino dopo la stipulazione del contratto - in costanza di concrete ed adeguate ragioni di interesse pubblico (C. Stato, V, 24 ottobre 2000, n.5710; C. Stato, V, 3 febbraio 2000, n.661; C. Stato, VI, 14 gennaio 2000, n.244). Il diniego di approvazione del contratto previsto dall’art.113, r.d. n.827/1924, è applicabile in presenza di un’informativa supplementare atipica, sussistendo in tal caso ragioni di interesse pubblico che si ricollegano al contenuto dell’informativa antimafia (C. Stato, V, n.5710/2000; C. Stato, VI, n.149/2002). Conforme: Consiglio di Stato sez. VI, del 6 giugno 2003, sentenza n. 3163. Consiglio di Stato sez. VI, del 5 giugno 2003, sentenza n. 3124 (vedi: sentenza per esteso)

 

Le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e gli altri soggetti devono acquisire le informazioni prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire le concessioni o erogazioni - tipi di informativa - c.d. interdittive - informazione prefettizia - l’alto commissario antimafia - c.d. informativa supplementare atipica - il pericolo di collegamenti tra l’impresa e la criminalità organizzata - il tentativo di infiltrazione mafiosa - l’attivazione degli ordinari poteri discrezionali di ritiro del contratto da parte della stazione appaltante. L’art.4, d.lgs. n.490/1994 dispone, al co. 1, che “Le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e gli altri soggetti di cui all'art.1, devono acquisire le informazioni di cui al comma 4 prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire le concessioni o erogazioni indicati nell'allegato 3, il cui valore sia: a) pari o superiore a quello determinato dalla legge in attuazione delle direttive comunitarie in materia di opere e lavori pubblici, servizi pubblici e pubbliche forniture, indipendentemente dai casi di esclusione ivi indicati; b) superiore a 300 milioni di lire per le concessioni di acque pubbliche o di beni demaniali per lo svolgimento di attività imprenditoriali, ovvero per la concessione di contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di attività imprenditoriali; c) superiore a 200 milioni di lire per l'autorizzazione di subcontratti, cessioni o cottimi, concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o la prestazione di servizi o forniture pubbliche”. Il successivo co. 4 dispone, nel suo primo periodo, che: “Il prefetto trasmette alle amministrazioni richiedenti, nel termine massimo di quindici giorni dalla ricezione della richiesta, le informazioni concernenti la sussistenza o meno, a carico di uno dei soggetti indicati nelle lettere d) ed e) dell'allegato 4, delle cause di divieto o di sospensione dei procedimenti indicate nell'allegato 1, nonché le informazioni relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”. La norma recata dal co. 4 prevede due tipi di informative c.d. interdittive, che impediscono la contrattazione: informazione prefettizia che comunica la sussistenza a carico dei soggetti responsabili dell’impresa ovvero dei soggetti familiari, anche di fatto, conviventi nel territorio dello Stato, delle cause di divieto o sospensione dei procedimenti indicate nell’allegato 1 (vale a dire le cause di divieto, sospensione, decadenza, previste dall’art.10, l. 31 maggio 1965, n.575); informazione prefettizia da cui risultino eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte o gli indirizzi delle società o imprese interessate. La prassi dell’amministrazione sviluppatasi sulla base dell’esegesi delle norme vigenti, sostenuta dall’elaborazione giurisprudenziale, conosce, infine, un terzo tipo di informativa, la c.d. informativa supplementare atipica, fondata sull’accertamento di elementi i quali, pur denotando il pericolo di collegamenti tra l’impresa e la criminalità organizzata, non raggiungono la soglia di gravità prevista dall’art.4, d.lgs. n.490/1994, vuoi perché carenti di alcuni requisiti soggettivi o oggettivi pertinenti alle cause di divieto o sospensione, vuoi perché non integranti del tutto il tentativo di infiltrazione mafiosa. La stessa è priva di efficacia interdittiva automatica, ma consente l’attivazione degli ordinari poteri discrezionali di ritiro del contratto da parte della stazione appaltante (C. Stato, V, 24 ottobre 2000, n.5710; C. Stato, IV, 1° marzo 2001, n.1148; C. Stato, VI, 14 gennaio 2002, n.149), laddove tali poteri siano previsti dall’ordinamento. Tale potere - dovere di informativa supplementare da parte del Prefetto nei confronti delle stazioni appaltanti trova, secondo le statuizioni di questo Consesso, che il Collegio condivide, il suo fondamento: da un lato nell’art.1 septies, d.l. 6 settembre 1982, conv. nella l. 12 ottobre 1982, n.726, a tenore del quale l’alto commissario antimafia (le cui competenze sono state nelle more devolute ai Prefetti) può “comunicare alle autorità competenti al rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni (…) per lo svolgimento di attività economiche (…) elementi di fatto ed altre indicazioni utili alla valutazione, nell’ambito della discrezionalità ammessa dalla legge, dei requisiti soggettivi richiesti (…)”; dall’altro lato, nel principio generale di collaborazione reciproca, con correlati obblighi di trasmissione di conoscenze, tra le pubbliche istituzioni. Conforme: Consiglio di Stato sez. VI, del 6 giugno 2003, sentenza n. 3163. Consiglio di Stato sez. VI, del 5 giugno 2003, sentenza n. 3124 (vedi: sentenza per esteso)

 

Canone per la concessione di suolo pubblico - occupazione dello spazio pubblico - cumulabilità della tassa con il canone concessorio - diversità di natura dei due istituti - canone di concessione - tassa di occupazione - definizione e differenziazione - TOSAP - commercio su aree pubbliche - competenza a deliberare il canone. Il giudice amministrativo si è costantemente espresso sulla cumulabilità della tassa con il canone concessorio (Cons. St., Sez. V, 26 marzo 2003 n. 1751; Sez. IV 22 aprile 1996 n. 524; TAR Emilia Romagna – Parma – 7 giugno 2001 n. 309; 18 ottobre 1999 n. 651; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 9 gennaio 1995 n. 26; TAR Toscana, Sez. I, 3 maggio 1995 n. 296). Tale orientamento si fonda sulla considerazione della diversità di natura dei due istituti. Mentre il canone di concessione trova la sua giustificazione nella necessità per l’ente pubblico proprietario del terreno di trarre un corrispettivo per l’uso esclusivo e per l’occupazione dello spazio, concessi contrattualmente o in base a provvedimento amministrativo a soggetti terzi, la tassa di occupazione di spazi ed aree pubbliche è istituto di diritto tributario, dovuta al Comune quale ente impositore al verificarsi di determinati presupposti, ritenuti dal legislatore indici seppure indiretti di capacità contributiva. Ne consegue che al canone concessorio non può essere attribuita natura di prestazione patrimoniale imposta, e quindi non ha fondamento la censura di violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost.. La delineata differenziazione sostanziale tra i due istituti si riflette nella diversità della disciplina riguardante la determinazione della misura dell’uno e dell’altro provento. Mentre, a mente dell’art. 38 e seguenti del d.lgs. 15 novembre 1993 n. 507, disciplinanti la TOSAP, la discrezionalità dei comuni risulta fortemente limitata dalla suddivisione degli stessi in cinque classi per numero di abitanti e dalla fissazione di un minimo ed un massimo, oltre che da disposizioni particolari per occupazioni permanenti e temporanee ed altre ipotesi particolari (ad es. per gli spazi soprastanti e sottostanti il suolo, ecc), i principi relativi al canone di concessione dettati dall’art. 27 d.lgs. n. 285 del 1992 (codice della strada), che riproduce la corrispondente norma del r.d. n. 1740 del 1933 (art. 8), assumono tutt’altro tenore, denotando il conferimento di un’ampia area di discrezionalità all’ente concedente. Il comma 8 recita infatti che “Nel determinare la misura della somma (dovuta per l’occupazione) si ha riguardo alle soggezioni che derivano alla strada o autostrada, quando la concessione costituisce l’oggetto principale dell’impresa, al valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e al vantaggio che l’utente ne ricava.”. Né può disconoscersi il peso del dato testuale offerto dall’art. 8, comma 2, del r.d. n. 1740 del 1933, applicato nella specie, secondo cui: “Per le licenze e per le concessioni di cui agli artt.2, 3, e 6 primo comma, sono inoltre stabiliti la loro durata, la somma dovuta per l’occupazione o per l’uso concesso e l’annuo canone”. Con specifico riferimento al commercio su aree pubbliche, l’art. 3, comma 12 della legge 28 marzo 1991 n. 112, disciplinando la materia prevedeva la competenza del consiglio comunale a deliberare il canone per la concessione del posteggio. Le norme poste dal Titolo X del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 114 (Commercio al dettaglio su aree pubbliche), nel costante riferimento all’istituto della concessione per l’uso del posteggio, non sembrano introdurre modifiche significative sul punto. Nello stesso senso: Consiglio di Stato, Sezione V - 4 giugno 2003 - sentenza n. 3063. Consiglio di Stato, Sezione V - 4 giugno 2003 - sentenza n. 3064

 

P.A. - sentenza penale di patteggiamento (art. 444 cod. proc. pen.) - effetti in sede di procedimento disciplinare - ricorso agli atti del procedimento penale - legittimità. La prevalente giurisprudenza risultava orientata nel senso che i fatti che hanno dato luogo alla sentenza penale di patteggiamento devono formare oggetto di un'autonoma considerazione in sede di procedimento disciplinare e la relativa sanzione deve essere irrogata sulla base di un separato giudizio di responsabilità disciplinare, senza che la sentenza possa assurgere a presupposto unico per l'applicazione del provvedimento sanzionatorio, ovvero a parametro valutativo cui conformare la gravità della sanzione da irrogare (fra le tante IV Sez. 23.5.2001 n. 2853). Ed è proprio sull’assunto di un diritto vivente in tal senso orientato che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 10 della citata legge n. 97 del 2001, nella parte in cui conferiva rilievo - nei procedimenti disciplinari in corso - ai giudicati patteggiati prima della riforma. (Corte cost. 25.7.2002 n. 394). Fermo dunque che la sentenza penale resa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. non può essere assunta a presupposto unico dell’applicazione del provvedimento disciplinare, la giurisprudenza ha però costantemente ammesso la possibilità per l’Autorità procedente di fare ricorso agli atti del procedimento penale, per ritenere accertati i fatti ammessi o, comunque, addebitabili all’incolpato (V Sez. 12.11.2002 n. 6268). In particolare, è stato precisato che i fatti emersi nel procedimento penale possono ritenersi accertati nell’ipotesi che non siano contestati dall’incolpato oppure qualora, in base ad un ragionevole apprezzamento delle risultanze processuali, risultino fondatamente ascrivibili al dipendente. (Csi 10.12.2001 n. 664). Consiglio di Stato, Sezione IV - 31 maggio 2003 - sentenza n. 3044


La colpevolezza del ritardo della Pubblica amministrazione nell’erogazione degli emolumenti - il credito nascente da una norma che prevede la decorrenza retroattiva dell’inquadramento di un dipendente - erogazione degli emolumenti - rivalutazione delle retribuzioni. La giurisprudenza ha già affermato che il credito nascente da una norma che prevede la decorrenza retroattiva dell’inquadramento di un dipendente in una determinata amministrazione, non deve essere soddisfatto aumentandone l’importo con interessi e rivalutazione monetaria per il periodo che intercorre tra la data di riconosciuta decorrenza del provvedimento e la data di entrata in vigore della norma stessa. Ciò non tanto per il fatto che mancherebbe, in tale ipotesi, la colpevolezza del ritardo della Pubblica amministrazione nell’erogazione degli emolumenti - ritenuto che la rivalutazione delle retribuzioni costituisce soltanto un mezzo per l’attualizzazione del credito - quanto perché mancherebbe lo stesso credito retributivo, chiaramente inesistente in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge che ha previsto il beneficio (Cons. St., Sez, IV, n. 756 del 1.10.1991). Consiglio di Stato, Sezione IV - 31 maggio 2003 - sentenza n. 3034

 

L’indennità di bilinguismo attribuita ai dipendenti degli enti locali - limiti. Ai sensi dell’art. 60 d.P.R. n. 268 del 1987, l’indennità di bilinguismo attribuita ai dipendenti degli enti locali non spetta qualora il personale non abbia uno specifico obbligo di utilizzare la lingua (nel caso di specie slovena) nei rapporti istituzionali e con gli utenti. Conforme: Consiglio di Stato, Sezione IV - 31 maggio 2003 - sentenza n. 3027. Consiglio di Stato, Sezione IV - 31 maggio 2003 - sentenza n. 3028

 

Ogni attività dell’Amministrazione è vincolata all’interesse collettivo - istituti di diritto privato - applicazione dei principi di buona fede, correttezza e di legalità - enti pubblici economici ed i gestori di pubblici servizi - disciplina. Ogni attività dell’Amministrazione, anche quando le leggi amministrative consentono l’utilizzazione di istituti di diritto privato, è vincolata all’interesse collettivo, in quanto deve tendere alla sua cura privata, mediante atti e comportamenti comunque finalizzati al perseguimento dell’interesse generale. L’attività amministrativa è, quindi, configurabile non solo quando l’Amministrazione eserciti pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando essa (nei limiti consentiti dall’ordinamento) persegua le proprie finalità istituzionali mediante un’attività sottoposta, in tutto o in parte, alla disciplina prevista, per i rapporti tra i soggetti privati (anche quando gestisca un servizio pubblico o amministri il proprio patrimonio o il proprio personale) e chi ne ha interesse, anche quale dipendente, può accedere agli atti di un procedimento dominato dai principi di buona fede e correttezza oltre che da quello di legalità (cfr. C.d.S., A.P. 22 aprile 1999, n. 4). Per quanto concerne gli enti pubblici economici ed i gestori di pubblici servizi, la giurisprudenza ha chiarito che la loro attività, quando si manifesta nella gestione di interessi pubblici, rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 97 della Costituzione (e non dell’art. 41, sulla libertà dell’iniziativa economica): essa, pur se sottoposta di regola al diritto comune, è svolta, oltre che nell’interesse proprio, anche per soddisfare quelli della collettività ed ha rilievo pubblicistico, sicché si deve attenere ai principi della trasparenza e del buon andamento (cfr., C.d.S., A.P. n. 4/1999, cit. e , più di recente, questa Sezione, 21 giugno 2001, n. 3304). Consiglio di Stato, Sezione VI - 30 maggio 2003 - sentenza n. 3000

 

Consulenti esterni - elementi caratterizzanti il rapporto del lavoro dipendente e del rapporto di collaborazione professionale esterna - la presenza di alcuni tratti di lavoro subordinato non è sufficiente a trasformare il rapporto contrattuale in rapporto di pubblico impiego. Non rileva, ai fini della modifica della natura del rapporto, il fatto che il lavoro dei consulenti fosse necessariamente coordinato dal dirigente del Dipartimento affari giuridici e legali e che la loro attività potesse essere utilizzata in gruppi a composizione mista, apparendo del tutto normale che l’Amministrazione si avvalga dell’apporto dei consulenti esterni secondo un piano di lavoro e con modalità prefissati. A tale riguardo non può ritenersi che il fatto che gli appellanti fossero presenti, per esigenze di coordinamento del loro incarico (svolto anche, come si è detto, in gruppi a composizione mista) nella cd. fascia rigida dell’orario funzionale, integrasse l’assoggettamento dei medesimi all’orario di servizio dei dipendenti regionali, essendo l’obbligo di orario dei dipendenti pubblici articolato in maniera più complessa (servizio ordinario, straordinario, festività, ferie), e non essendo la presenza di alcuni tratti di lavoro subordinato sufficiente a trasformare il rapporto contrattuale in rapporto di pubblico impiego (Cfr. Cons. St., V sez., n. 4887/00; C.G.A. n. 621/99). Né, d’altra parte, di tale assoggettamento sussiste in atti supporto probatorio. (Nella specie gli elementi caratterizzanti il rapporto appaiono, incompatibili con la tipologia del lavoro dipendente ed, invece, riconducibili alla tipologia del rapporto di collaborazione professionale esterna, mancando, come ha affermato il giudice di prime cure, nei rapporti instaurati il requisito fondamentale per qualificare un rapporto come di pubblico impiego e cioè l’inserimento del soggetto privato nell’organizzazione burocratica pubblica). Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2837

 

Promovibilità alla qualifica di direttore di divisione ad esaurimento dei soli dipendenti già inquadrati quali direttori aggiunti di divisione - sussiste - art. 155 della legge 11 luglio 1980 n. 312 - norma eccezionale - estensibilità analogica a categorie solo astrattamente equiparabili - non sussiste. L’art. 155 della legge 11 luglio 1980 n. 312 limita l’avanzamento alla qualifica di direttore di divisione ad esaurimento ai soli dipendenti ministeriali già in possesso della specifica qualifica di direttore aggiunto di divisione (od equiparata) prima dell’entrata in vigore della citata legge n. 312/1980, con esclusione di ogni altra situazione non espressamente contemplata, alla luce della natura palesemente eccezionale di tale disposizione legislativa. Vedi anche: Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenze nn. 2821 – 2820 - 2815. Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2822

 

P.A. - elementi di calcolo del credito retributivo - la rivalutazione monetaria nelle due ipotesi del risarcimento del danno e della determinazione dell'equivalente monetari. Al fine di evitare ingiustificate forme di duplicazione degli elementi di calcolo del credito retributivo, gli interessi legali che il giudice deve determinare ai sensi dell'art. 429, 3º comma, c.p.c. si computano sull'importo originario del credito e non su quello risultante dalla rivalutazione sulle somme via via rivalutate, a nulla rilevando l'assimilabilità dei detti crediti ai crediti di valore, sotto il profilo della valutabilità poiché, indipendentemente dalla diversa funzione della rivalutazione monetaria nelle due ipotesi del risarcimento del danno e della determinazione dell'equivalente monetario, dalla disciplina del danno da ritardato adempimento dell'obbligazione non è deducibile un principio di rivalutazione degli interessi neppure in riferimento ai debiti di valore (C. Stato, ad. plen., 30-03-1999, n. 3; C. Stato, sez. V, 13-06-1998, n. 829). I pagamenti effettuati dall’amministrazione vanno imputati, prioritariamente, agli interessi ed alla rivalutazione e, successivamente, alla sorte capitale. Consiglio di Stato sez. V del 22.05.2003 sentenza n. 2780 (vedi: sentenza per esteso)

 

Sussistenza di un rapporto di pubblico impiego - elementi. Per giurisprudenza ormai pacifica, ai fini della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego, ancorché nullo per disposizione di legge, è decisivo l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione dell’ente pubblico, la prestazione di una attività di carattere continuativo e con vincolo di subordinazione, essendo invece irrilevante la mancanza di un atto formale di nomina, la durata prestabilita dell’incarico e la qualificazione di esso come contratto di opera professionale o di appalto (Cons. St., Sez. VI, 12 febbraio 2001 n. 670). Consiglio di Stato sez. V del 20.05.2003 sentenza n. 2741

 

Svolgimento di mansioni superiori nell’ambito del pubblico impiego - effetti. Lo svolgimento di mansioni superiori nell’ambito del pubblico impiego non produce alcuna rilevanza, ne’ dal punto di vista giuridico dello status e della carriera del dipendente, ne’ da quello strettamente economico del riconoscimento delle differenze retributive. Consiglio di Stato sez. V del 22.05.2003 sentenza n. 2779

 

I requisiti per la partecipazione ad un concorso per l’accesso ai posti di pubblico impiego debbono essere posseduti dai concorrenti al momento della scadenza del termine della presentazione della domanda - irrilevanza della sopravvenienza del requisito il termine anche se con effetto retroattivo. Il Consiglio ha statuito in proposito che i requisiti per la partecipazione ad un concorso per l’accesso ai posti di pubblico impiego debbono essere posseduti dai concorrenti al momento della scadenza del termine per la presentazione della domanda stabilito dal bando, ed è irrilevante, a tal fine, la sopravvenienza del requisito dopo tale termine, anche se con effetto retroattivo (nella specie, si trattava di una promozione) (C. Stato, sez.IV, 23.2.1998, n.333). Consiglio di Stato, Sezione VI - 5 maggio 2003 - sentenza n. 2334

 

Pubblico impiego - esercizio di mansioni superiori - il diritto alle differenze retributive va riconosciuto con carattere di generalità solo a decorrere dall’entrata in vigore del D. Lvo 29 ottobre 1998, n. 387. L’Adunanza Plenaria con decisioni nn. 10 e 11 del 2000 ha statuito che il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori da parte dei pubblici dipendenti va riconosciuto con carattere di generalità solo a decorrere dall’entrata in vigore del D.Lvo 29 ottobre 1998 n. 387 che con l’art. 15 ha reso anticipatamente operativa la disciplina di cui all’art. 56 D.Lvo 1993, n 29 (nel testo sostituito con l’art. 25 D.Lvo 31 marzo 1998, n 810). E ciò in virtù di quanto disposto al 5° comma del citato art. 15, secondo cui al dipendente adibito a mansioni proprie di una qualifica superiore è corrisposta in ogni caso la differenza di trattamento con la qualifica superiore, pur se la assegnazione delle mansioni superiori sia avvenuta al di fuori delle ipotesi specificamente previste dal precedente comma 2°. La stessa Adunanza Plenaria ha però confermato che per il periodo antecedente alla entrata in vigore del D.Lvo n 387/1998 non può che farsi applicazione della regola giurisprudenziale della irrilevanza, sia ai fini giuridici che economici, dello svolgimento delle mansioni superiori (in assenza di una espressa disposizione di legge che regoli diversamente la materia). Il riconoscimento legislativo del diritto al trattamento economico corrispondente alle mansioni superiori svolte, quale è consacrato della normativa del 1998, non esplica i suoi effetti relativamente alle situazioni pregresse. Consiglio di Stato, V Sezione, 18.04.2003, sentenza n. 2114

 

Differenze retributive corrisposte in ritardo dall’amministrazione - diritto dei dipendenti agli interessi e alla rivalutazione monetaria. E’ consolidata giurisprudenza amministrativa che sulle somme corrisposte in ritardo dall’Amministrazione debbano essere corrisposti ai pubblici dipendenti gli interessi e la rivalutazione monetaria, essendo caduto il divieto di cui all’articolo 26, comma 4, della legge n. 448/98 ad opera della sentenza della Corte Costituzionale n. 136 del 17 maggio 2001. Consiglio di Stato, Sezione IV, 17.04.2003, sentenza n. 2048
 

Le materie ricomprese nei casi di esclusione dall'accesso ai documenti - ammissibilità dell'accesso ai mandati di pagamento emessi da una Amministrazione in un determinato periodo, trattandosi di atti di ufficio. Le materie ricomprese nei casi di esclusione dall'accesso ai documenti previsti dall'art. 24 L. 7 agosto 1990 n. 241 e dall'art. 8 D.P.R. 27 giugno 1992 n. 352 si riferiscono ai documenti che riguardano la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, di persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari; pertanto, va escluso che abbiano attitudine ad incidere sulla riservatezza di terzi l'accesso ai mandati di pagamento emessi da una Amministrazione in un determinato periodo, trattandosi di atti di ufficio, attuativi di disposizioni legislative o di delibere pubblicate nelle forme di legge. (Cons.di Stato IV Sez. 24.2.1996 n. 176). Consiglio di Stato Sezione IV, del 31 marzo 2003 sentenza n. 1677

 

P.A. - Commissione di disciplina e procedimenti disciplinari - rapporti tra giudizio penale e giudizio disciplinare autonomia di quest’ultimo - impiegati dello Stato - specifica motivazione della sanzione - necessità. La Commissione di disciplina non deve limitarsi ad esprimere il proprio voto sull’argomento posto all’ordine del giorno, senza argomentare alcunchè e senza esprimere alcuna valutazione specifica circa la vicenda sottoposta al suo esame, poiché in tal modo mancherebbe ogni elemento costitutivo di un autonomo giudizio finale, che deve invece essere espresso dopo un approfondito esame di tutte le circostanze del caso. Consiglio di Stato Sezione IV, del 31 marzo 2003 sentenza n. 1669

 

Inottemperanza ad un incombente istruttorio ordinato dal giudice da parte della Pubblica Amministrazione - elemento di prova a favore del ricorrente. Il comportamento dell’Amministrazione di inottemperanza ad un incombente istruttorio ordinato dal giudice può essere valutato come elemento di prova a favore del ricorrente privato (Sez. VI, 21 maggio 2001 n. 2784) e che, in presenza di una istruttoria disposta e non adempiuta da parte della pubblica Amministrazione, il giudice amministrativo può dare per provati i fatti affermati dalla parte privata, ove tale conclusione non si ponga in contrasto con altri fatti rilevabili dagli atti di causa. Consiglio di Stato Sezione VI, del 27 marzo 2003 sentenza n. 1594 (vedi: sentenza per esteso)

 

Pubblica Amministrazione - il trasferimento d'ufficio di un pubblico dipendente per incompatibilità ambientale - nesso di correlazione tra la situazione accertata e la condotta tenuta dal dipendente - necessità. E’ pacifico l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il trasferimento d'ufficio di un pubblico dipendente per incompatibilità ambientale, pur se non postula espressamente e necessariamente un rapporto di imputabilità al dipendente, richiede pur sempre un nesso di correlazione tra la situazione accertata e la condotta tenuta dal dipendente medesimo nella sede (per tutte, Sez. VI, 19 novembre 1984 n. 634 e 8 ottobre 1988 n. 1092) con la conseguenza che è da escludere che possa logicamente parlarsi di incompatibilità nel caso in cui il comportamento del dipendente sia stato legittimo e doveroso, anche se dal comportamento stesso siano derivate reazioni ambientali (per tutte, Sez. VI, 28 luglio 1992 n. 393 e 24 settembre 1996 n. 1247). Consiglio di Stato Sezione VI, del 27 marzo 2003 sentenza n. 1587

 

Tassa di occupazione del suolo pubblico - canone imposto al concessionario per l’utilità che egli ricava dalla utilizzazione esclusiva del bene comune - distinzione - natura - compatibilità tra la percezione della tassa e l’imposizione del canone. La percezione da parte del comune della tassa di occupazione del suolo pubblico non è incompatibile con la imposizione al concessionario di un canone per l’utilità che egli ricava dalla utilizzazione esclusiva del bene comune. La giurisprudenza amministrativa afferma concordemente che i due istituti della tassa e del canone vanno tenuti distinti perché si raccordano a diversi presupposti e soddisfano esigenze diverse. La prima costituisce espressione della potestà impositiva dell’ente pubblico in relazione ad un fatto cui la legge attribuisce il valore di indizio di capacità contributiva; il secondo ha natura di corrispettivo dovuto all’ente esponenziale della comunità in relazione alla utilizzazione in esclusiva del bene comune (T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 7 giugno 2001 n. 309; 18 ottobre 1999 n. 651; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 9 gennaio 1995 n. 26; T.A.R. Toscana, Sez. I, 3 maggio 1995 n. 296). Tale differenziazione sostanziale si riflette nella diversità della disciplina riguardante l’individuazione degli importi imponibili. Mentre, a mente dell’art. 38 e seguenti del d.lgs. 15 novembre 1993 n. 507, la discrezionalità dei comuni risulta fortemente limitata dalla suddivisione degli stessi in cinque classi per numero di abitanti e dalla fissazione di un minimo ed un massimo, oltre che da disposizioni particolari per occupazioni permanenti e temporanee ed altre ipotesi particolari (ad es. per gli spazi soprastanti e sottostanti il suolo, ecc), i principi relativi al canone di concessione dettati dall’art. 27 d.lgs. n. 285 del 1992 (codice della strada) assumono tuttaltro tenore, denotando il conferimento di un’ampia area di discrezionalità all’ente concedente. Il comma 8 recita infatti che “Nel determinare la misura della somma (dovuta per l’occupazione, corsivo aggiunto) si ha riguardo alle soggezioni che derivano alla strada o autostrada, quando la concessione costituisce l’oggetto principale dell’impresa, al valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e al vantaggio che l’utente ne ricava.”. Consiglio di Stato, Sez. V, sent. 26 marzo 2003, n. 1571

 

La formazione del silenzio assenso - poteri di autotutela - diniego esplicito. In presenza della formazione del silenzio assenso, l’Amministrazione può solo esercitare i propri poteri di autotutela, ma non è più legittimata a denegare quanto ormai acquisito dall’interessato in virtù del silenzio dalla stessa serbato (sul principio della illegittimità del diniego di rilascio di titolo che amplia la sfera giuridica dell’interessato in mancanza del previo annullamento dell’assenso tacito, cfr. le decisioni della Sezione 21 luglio 1999, n. 877; 4 maggio 1998, n. 500; 24 marzo 1997, n. 286; 3 luglio 1996, n. 834; 3 luglio 1996, n. 834; 17 dicembre 1990 n. 884). E qualora un diniego esplicito sopravvenga alla formazione del silenzio assenso, ad esso sostituendosi, si versa, come rilevato al punto 2) che precede, in una situazione in cui all’assenso tacito fa seguito, in effetti, una rinnovata espressione, stavolta, in via di sostanziale autotutela, del potere di regolazione della materia di cui l’amministrazione è e resta titolare; esercizio di autotutela di cui va, quindi, comunque verificata la legittimità. Consiglio di Stato, Sezione V del 17.03.2003, Sentenza n. 1381

La scadenza del piano commerciale - il decorso del prescritto quadriennio - l’onere di provvedere sulle istanze autorizzatorie. La giurisprudenza della Sezione è ferma nel ritenere, da un lato, che la scadenza del piano commerciale non ne determina l’inefficacia, ma solo l’onere, per la P.A., di dare corso ad una nuova pianificazione dopo il decorso del prescritto quadriennio (cfr., tra le altre, le decisioni della Sezione 25 settembre 2000, n. 5069; 25 ottobre 1999, n. 1703; 11 maggio 1998, n. 554; 29 novembre 1994, n. 1424), senza alcun travolgimento, per il semplice decorso del quadriennio stesso, della precedente programmazione. Sicché è da escludere che il motivo addotto (scadenza del piano) possa comunque legittimamente supportare il diniego in esame. Dall’altro lato, che anche in assenza del piano per il commercio la P.A. non può sottrarsi all’onere di provvedere sulle istanze autorizzatorie, osservando, in tal caso, i criteri stabiliti dalla legge n. 426 del 1971 per la formazione del piano stesso (cfr., tra le altre, la decisione della Sezione 20 ottobre 1998, n. 1487). Consiglio di Stato, Sezione V del 17.03.2003, Sentenza n. 1381

Provvedimento di destituzione del dipendente pubblico adottato dalla commissione disciplinare -patteggiamento - il provvedimento è valido ove la commissione abbia assunto a fondamento della sua decisione il comportamento tenuto dal dipendente, come emergente dagli atti del procedimento penale. La Sezione ha già avuto modo di osservare come "è' legittimo il provvedimento di destituzione ove la commissione disciplinare abbia assunto a fondamento della sua decisione non la sentenza di condanna patteggiata, bensì il comportamento tenuto dal ricorrente, emergente dagli atti del procedimento penale e riconosciuto nell'audizione, senza che in tal caso sia necessario alcun ulteriore accertamento dei fatti" (Consiglio Stato sez. V, 6 giugno 2001, n. 3076). L’indirizzo merita di essere condiviso, posto che l’accertamento dei fatti disposto in sede disciplinare indubbiamente possiede una forza giuridica minore rispetto a quello effettuato in sede di giudizio penale, per l’assorbente considerazione che esso è affidato ad un organo amministrativo dotato di poteri d’indagine assai più limitati rispetto a quelli di cui dispone l’autorità giudiziaria. Tra l’altro, la commissione di disciplina non ha il potere di obbligare soggetti estranei all’amministrazione a prestare testimonianza. Per cui, pretendere che l’accertamento dei fatti, in sede amministrativa, avvenga con lo stesso rigore e con i formalismi propri del giudizio penale significa, in definitiva, impedire all’amministrazione di valutare se la condotta del proprio dipendente, che non è stato possibile accertare in via definitiva in sede penale per ragioni sulle quali essa non ha potuto in alcun modo influire, rappresenti un pericolo, soprattutto sotto i profili dell’allarme recato tra gli utenti e della sua possibile reiterazione, per la corretta gestione del servizio pubblico. Laddove la commissione di disciplina ha affermato che "l'elemento probatorio fondamentale ai fini della valutazione del caso è costituito dalla sentenza del tribunale penale passata in giudicato, emessa nei confronti del dipendente", non ha inteso affatto basare il proprio giudizio unicamente su tale fonte, ma ha inserito il dato, comunque significativo ai fini della ricostruzione complessiva della condotta dell'incolpato, nell'ambito degli altri elementi già in possesso dell'amministrazione. Consiglio di Stato, V sezione, del 17.03.2003 sentenza n. 1380

Commissione disciplinare - sentenza di condanna penale - contestazione degli addebiti al dipendente - termini. Il termine per la contestazione degli addebiti da parte della commissione disciplinare decorre " non dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna bensì dal successivo momento in cui il passaggio in giudicato perviene a conoscenza dell'amministrazione." (Consiglio Stato sez. IV, 7 ottobre 1998, n. 1298). Consiglio di Stato, V sezione, del 17.03.2003 sentenza n. 1380

 

Falsità in atti pubblici - la falsità in documenti informatici commessa dal pubblico ufficiale - sussistenza. Si realizza la fattispecie del delitto di falsità in atti pubblici quando il pubblico impiegato inserisca in una banca dati pubblica dati falsi, a nulla rilevando che il relativo record dell'archivio non venga stampato su carta. II delitto previsto dall'art. 491 bis c.p. costituisce norma speciale, e non già una nuova fattispecie incriminatrice, rispetto a quello previsto dall'art. 476 c.p. Ne consegue che integra comunque gli estremi di quest'ultimo reato la falsità in documenti informatici commessa dal pubblico ufficiale prima dell'entrata in vigore dell'art. 491 bis c.p. Cassazione penale, sez. V, 14 marzo 2003, n. 20723
 

Procedimento disciplinare - discrezionalità da parte dell’Amministrazione - il giudice amministrativo - limiti - travisamento dei fatti - processo logico e coerente. Nel procedimento disciplinare il giudizio si svolge con una larga discrezionalità da parte dell’Amministrazione in ordine al convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e della conseguente sanzione da irrogare e che il giudice amministrativo non può sostituirsi agli organi dell’Amministrazione nella valutazione dei fatti contestati se non nei limiti in cui la valutazione contenga un travisamento dei fatti ovvero il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente (tra le tante, V, 1226 dell’1 dicembre 1993; VI, 1193 del 5 settembre 1996). Consiglio di Stato, Sezione IV del 11.3.2003, sentenza n. 1319

 

I lavori socialmente utili rientrano nel quadro dei c.d. ammortizzatori sociali - si tratta di attività non assimilabili ad un rapporto d’impiego - titolo per partecipare alla procedura concorsuale - assenza. I lavori socialmente utili rientrano, nel quadro dei c.d. ammortizzatori sociali, con la conseguenza che spetta al legislatore, nell’ambito della sua discrezionalità, disciplinare i modi e tempi di eventuali possibilità di stabilizzazione, come effettuato con le riserve e i diritti di precedenza previsti; resta però fermo che si tratta di attività non assimilabili ad un rapporto d’impiego e tale mancata equiparazione non comporta alcun dubbio di costituzionalità, trattandosi, come dimostrato, di una fattispecie diversa (e con finalità differenti) dal rapporto di impiego. Pertanto, in assenza dell’equiparazione ad un rapporto di impiego, i lavoratori socialmente utili non avevano titolo per partecipare alla procedura concorsuale in questione e risulta così legittimo l’impugnato provvedimento di esclusione. Tale interpretazione risulta peraltro in linea con la giurisprudenza di primo grado (vedi Tar Calabria, I, n. 127/2002; Tar Campania, II, n. 3560/2002; Tar Sicilia - Palermo, II, n. 1426/2002; Tar Puglia – Bari, n. 1969/2002; Tar Toscana, n. 373/2002). Consiglio di Stato, Sezione VI del 10.3.2003, sentenza n. 1288

 

L'obbligo della comunicazione di avvio del procedimento amministrativo. La giurisprudenza è univoca nel ritenere che l'obbligo della comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, ex artt. 7 e ss. della L. n. 241 del 1990, sussiste solo quando l'Amministrazione si attivi d'ufficio, e non anche quando essa adotti un provvedimento, ancorché di segno negativo, in seguito ad una iniziativa del destinatario dell'atto (cfr., tra le dec. più recenti, C.d.S., Sez. VI, 25.9.2002 n. 4879). Consiglio di Stato, Sezione V del 10.3.2003, sentenza n. 1283

 

L’accertamento della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego tra l’istante ed il Comune - lo schema formale della convenzione - termine per l’impugnazione se ritenuto lesivo - acquiescenza. Considerato, quanto alla domanda intesa all’accertamento della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego tra l’istante ed il Comune resistente, nonostante lo schema formale della convenzione, che, per giurisprudenza costante (cfr. ex multis C.d.S., Sez. VI, 20 aprile 2001, n.2388), l’atto con il quale l’Amministrazione pubblica regola la posizione di lavoro con un privato, definendo titolo e contenuti del rapporto, va impugnato tempestivamente, se ritenuto lesivo, con la conseguenza che, in caso di acquiescenza alla determinazione costituiva del vincolo di collaborazione, quest’ultimo resta inoppugnabilmente regolato dall’atto medesimo. Ritenuto, pertanto, che, in applicazione del principio di diritto appena indicato, l’omessa, tempestiva contestazione della delibera con la quale il vincolo in questione è stato costituito, definito e regolato come rapporto di convenzione a tempo determinato impedisce, anche prescindendo dal rilievo dell’insussistenza nella fattispecie in esame degli elementi costitutivi essenziali del rapporto di pubblico impiego, di procedere all’accertamento giudiziale dell’avvenuta costituzione di quest’ultimo. Consiglio di Stato, Sezione V del 10.3.2003, sentenza n. 1279

 

L’impugnativa di una graduatoria a posti di pubblico impiego - ricorso - notificata a tutti i graduati qualora il ricorrente deduca censure che se fondate, travolgerebbero l’intera graduatoria anche per la parte in cui concerne gli idonei - necesstità. Costituisce principio generale in materia di concorsi, che nel caso di impugnativa di una graduatoria a posti di pubblico impiego, il ricorso deve essere notificato a tutti i graduati qualora il ricorrente deduca censure che se fondate (come nel caso di specie), travolgerebbero l’intera graduatoria anche per la parte in cui concerne gli idonei (cfr. ex plurimis, Cons, Stato, sez. VI, 8 aprile 2002, n. 1908; sez. VI, 20 aprile 1991, 225; sez. IV, 27 marzo 2002, n. 1723). Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1198

 

Provvedimento amministrativo - la nozione di controinteressato in senso tecnico - elementi - formale (immediata individuabilità) e sostanziale (interesse al mantenimento della situazione esistente). La nozione di controinteressato in senso tecnico, a mente dell’art. 21, l. 6 dicembre 1971, n. 1034, esige la simultanea presenza di due elementi parimenti essenziali: quello formale, scaturente dalla esplicita contemplazione del soggetto nel provvedimento impugnato, ovvero della sua immediata individuabilità; quello sostanziale, discendente dal riconoscimento, in capo al controinteressato, di un interesse al mantenimento della situazione esistente, chè è proprio di coloro che sono coinvolti da un provvedimento amministrativo ed abbiano acquisito, in relazione a detto provvedimento, una posizione giuridica qualificata alla sua conservazione (cfr. Cons. St., sez. IV, 11 luglio 2001, n. 3895; sez. IV, 1 dicembre 1998, n. 1516; Ad. plen., 8 maggio 1996, n. 2). Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1198

 

Dall’annullamento di un provvedimento amministrativo non discende in via automatica l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno - necessità di dimostrare il nesso eziologico con i provvedimenti illegittimi annullati. Dall’annullamento di un provvedimento amministrativo non discende in via automatica l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno, occorrendo la dimostrazione, fra gli altri elementi costitutivi, del danno patrimoniale in concreto subito e del nesso eziologico con i provvedimenti illegittimi annullati (cfr. Cons. giust. amm. 22 aprile 2002, n. 202; sez. VI, 26 aprile 2000, n. 2490). Pertanto la richiesta di c.t.u. volta a fornire la prova dell’esistenza del danno deve essere disattesa, potendo intervenire tale mezzo ausiliario di conoscenza del giudice solo per determinare il quantum debeatur, purchè a monte sia stato soddisfatto l’onere di allegazione dei fatti costitutivi della domanda. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1196 (vedi: sentenza per esteso)
 

Dirigenti: la responsabilità piena del funzionario - attribuzione ai dirigenti «della responsabilità delle procedure d'appalto» - ai dirigenti compete anche il correlativo potere di approvazione - contratti degli enti locali - la verifica tecnica e di legittimità degli atti di gara - atto istruttorio endoprocedimentale. E’ sufficiente richiamare in tema di contratti degli enti locali la giurisprudenza (C.d.S., V, 26 gennaio 1999, n. 64) secondo la quale “l'art. 6, 2º comma, l. 15 maggio 1997 n. 127, attribuisce ai dirigenti «la responsabilità delle procedure d'appalto» (oltre alla presidenza delle commissioni) e la stipula dei contratti; pertanto, ai medesimi dirigenti (e non alla giunta municipale) compete anche il correlativo potere di approvazione per quanto attiene alla verifica tecnica e di legittimità degli atti di gara, a questa ricollegandosi quel perfezionamento dell'iter procedimentale al quale solo può ricollegarsi la responsabilità piena del funzionario” per revocare ogni fondamento alla doglianza. In ogni caso, l’atto in questione non aveva neppure valenza di approvazione, ma solo di parere (atto istruttorio endoprocedimentale) sulla regolarità degli incombenti. Se la legge consente al medesimo dirigente di approvare il contratto nel quale ha concorso a gestire l’attività di giudizio, a maggior ragione si deve riconoscere a quella figura l’adempimento di mera verifica di conformità. Consiglio di Stato Sezione V, - 19.02. 2003 - Sentenza n. 920

 

Pubblico dipendente - cautelarmente sospeso dal servizio e condannato in seguito, in sede penale e sottoposto a procedimento disciplinare definito con l’irrogazione di una sanzione diversa dalla destituzione dall’impiego ha diritto alla restitutio in integrum - il quantum dovuto a titolo di restituzione delle retribuzioni perse durante il periodo di sospensione cautelare. La Sezione non ha motivo di discostarsi dall’orientamento di recente espresso dall’adunanza Plenaria 2 maggio 2002 n. 4, secondo cui, ai sensi dell’art. 96, 2° comma, del d.P.R. n. 3/1957, deve ritenersi che un pubblico dipendente che - già cautelarmente sospeso dal servizio - sia stato in seguito, per i medesimi fatti, condannato in sede penale e sottoposto a procedimento disciplinare definito con l’irrogazione di una sanzione diversa dalla destituzione dall’impiego ha diritto alla restitutio in integrum, e, in particolare, alla restituzione delle retribuzioni perse durante il periodo di sospensione cautelare, limitatamente all’eventuale maggior periodo di sospensione cautelare subita rispetto a quello di effettiva sospensione dalla qualifica irrogatagli all’esito del procedimento disciplinare. Secondo detta pronuncia, dal quantum dovuto a titolo di restituzione delle retribuzioni perse durante il periodo di sospensione cautelare va dedotto solo l’importo delle retribuzioni corrispondenti al tempo della condanna penale detentiva, quand’anche questa non sia stata effettivamente scontata per intervenuta sospensione condizionale della pena, atteso che i periodi di detenzione, anche se non scontati, vanno esclusi dal riconoscimento dei benefici economici al dipendente condannato in sede penale. Consiglio di Stato Sezione V, - 19 febbraio 2003 - Sentenza n. 915
 

Il giudizio introdotto con ricorso avverso il silenzio dell’Amministrazione deve intendersi circoscritto al solo accertamento dell’illegittimità dell’inerzia dell’Amministrazione e non anche esteso alla disamina della fondatezza della pretesa sostanziale del privato - la verifica dell’illegittimità del silenzio - l’obbligo di provvedere. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, ha chiarito (cfr. decisione n.1 del 9 gennaio 2002) che il giudizio introdotto con ricorso avverso il silenzio dell’Amministrazione, secondo le modalità del suddetto rito speciale, deve intendersi circoscritto al solo accertamento dell’illegittimità dell’inerzia dell’Amministrazione e non anche esteso alla disamina della fondatezza della pretesa sostanziale del privato. Con la medesima decisione è stato, inoltre, precisato che la verifica dell’illegittimità del silenzio postula il preliminare accertamento della violazione dell’obbligo di provvedere, ravvisabile nelle ipotesi nelle quali l’Amministrazione sia rimasta inadempiente al dovere di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, nei casi in cui esso consegua obbligatoriamente ad una istanza ovvero debba essere iniziato d’ufficio, secondo il precetto contenuto nell’art. 2 c.1 L. 7 agosto 1990, n.241. Consiglio di Stato, Sezione V - 14 febbraio 2003 - Sentenza n. 808 (vedi: sentenza per esteso)

 

Il procedimento di controllo sostitutivo sugli atti degli enti locali - provvedimento di autotutela. Il procedimento di controllo sostitutivo sugli atti degli enti locali (nella regione Piemonte previsto dall’art. 21, l. r. n. 42 del 1976), pur articolandosi in due fasi – richiesta [eventuale] di intervento da parte della Regione seguita dall’invito a provvedere del Co.Re.co.; nomina del commissario ad acta che provvede all’adozione degli atti necessari – mantiene il suo carattere unitario e culmina nella nomina del commissario ad acta e nella contestuale individuazione della funzione da svolgere in luogo dell’ente inadempiente (cfr. in termini Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2000, n. 3537). Conseguentemente, l’atto col quale l’organo di controllo invita l’amministrazione ad adottare un provvedimento di autotutela o comunque esecutivo dell’obbligo che si assume inevaso, costituendo una mera proposta volta ad assicurare il rispetto della normativa vigente e non rappresentando carattere vincolante, è intrinsecamente inidoneo a ledere la posizione dell’amministrazione soggetta a controllo (cfr. Cons. Stato, sez. V, 4 novembre 1997, n. 1236; sez. V, 19 settembre 1992, n. 850). Lo stesso è a dire, a fortiori, per la richiesta formulata dalla Regione all’organo di controllo di invitare l’ente controllato a provvedere. Consiglio di Stato, Sezione IV - 11 febbraio 2003 - Sentenza n. 750

 

Il controllo sostitutivo sugli atti degli enti locali. Nell’ambito del controllo sostitutivo sugli atti degli enti locali, non è impugnabile, per carenza di interesse ad agire, la richiesta che la Regione (regione Piemonte) rivolge al Comitato regionale di controllo di diffidare l’ente controllato a provvedere, nonché l’invito che l’organo di controllo rivolge a quest’ultimo di adempiere entro un certo termine. Consiglio di Stato, Sezione IV - 11 febbraio 2003 - Sentenza n. 750

 

Segretari capi - il requisito di cinque anni di servizio effettivo di ruolo in tale qualifica alla data di pubblicazione del bando per la nomina a segretario generale comunale - i vice segretari titolari comunali e provinciali. E’ manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 8, d.p.r. n. 749 del 1972, nella parte in cui individua per i soli segretari capi, il requisito di cinque anni di servizio effettivo di ruolo in tale qualifica alla data di pubblicazione del bando per la nomina a segretario generale comunale di seconda classe, anziché a quella di scadenza del termine di presentazione delle domande, come previsto, invece, per i vice segretari titolari comunali e provinciali. Consiglio di Stato, Sezione IV - 11 febbraio 2003 - Sentenza n. 749

 

L’inquadramento dei pubblici dipendenti - l’annullamento disposto solo per vizi formali - il potere dell'Amministrazione di provvedere anche negativamente in ordine all'oggetto del precedente atto annullato. Conviene ricordare, in via preliminare, che l’inquadramento dei pubblici dipendenti è provvedimento con il quale l’amministrazione definisce lo stato giuridico ed economico del personale nell’ambito del proprio apparato organizzativo e, pertanto, nei confronti di tale atto sono configurabili solo posizioni di interesse legittimo, e non di diritto soggettivo, come tali insuscettibili di autonoma azione di accertamento. L’annullamento sul quale si è formato il giudicato è stato disposto solo per vizi formali, giudicato che, secondo il pacifico orientamento di questo Consiglio di Stato (cfr., tra le altre, Sez. IV, n. 4744 del 11 settembre 2001; Sez. VI, n. 29 del 7 gennaio 1998; n. 566 del 18 aprile 1996; n. 138, 7 marzo 1991), non elimina né sostanzialmente riduce il potere dell'Amministrazione di provvedere anche negativamente in ordine all'oggetto del precedente atto annullato e solo impone di esplicitare i motivi posti a fondamento della nuova determinazione sfavorevole, non chiaramente enunciati nell'atto precedente, secondo la valutazione fattane dal giudice, con il solo limite di non poter incidere retroattivamente su situazioni giuridiche sorte o risorte sulla base della sentenza di annullamento in conseguenza dell'automatico effetto restitutorio tipico di questo tipo di decisione. Consiglio di Stato, Sezione IV - 11 febbraio 2003 - Sentenza n. 737

 

Il ricorso contro il provvedimento col quale un ente pubblico a carattere ultraregionale colloca a riposo un proprio dipendente - competenza territoriale. Il ricorso contro il provvedimento col quale un ente pubblico a carattere ultraregionale colloca a riposo un proprio dipendente, rientra nella competenza territoriale (non del T.A.R. del Lazio, ma) del T.A.R. nella cui circoscrizione tale dipendente aveva la sua sede di servizio (cfr. Cons. St., VI, 14 luglio 1978, n.974; Cons. St., IV, 24 novembre 1978, n.1042; Cons. St., VI, 14 luglio 1982, n.379). Conforme: Consiglio di Stato, Sezione IV - 11 febbraio 2003 - Sentenze nn. 714 –713 - 711. Consiglio di Stato, Sezione IV - 11 febbraio 2003 - Sentenza n. 724
 

L’attività di inquadramento nei livelli retributivo-funzionali - discrezionalità - difetto di motivazione - manifesta ingiustizia. L’attività di inquadramento nei livelli retributivo-funzionali costituisce, invero, attività vincolata, priva di qualsiasi discrezionalità, nel senso che occorre attenersi rigorosamente ai criteri normativamente stabiliti, donde la sua insindacabilità per eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione (essendo l’onere della motivazione assolto mediante il semplice richiamo alle disposizioni applicate) - oltre che della disparità di trattamento, della illogicità e irrazionalità, della contraddittorietà e della manifesta ingiustizia (cfr. Cons. St., IV, 7.3.1994, n.206; id., 23.1.1992, n.104; id., 26.3.1992, n.336; Cons. St., VI, 25.1.1995, n.49; id., 6.2.1995, n.51; Cons. St., V, 15.10.1992, n.1014; id., 5.5.1993, n.553; 15.5.1992, n.423). Consiglio di Stato, Sez. IV - 4 febbraio 2003 - Sentenza n. 541

 

La nozione di “atti obbligatori per legge”. La nozione di “atti obbligatori per legge” va ristretta agli atti espressamente sottoposti dalla legge a un termine perentorio (lì dove di regola i termini apposti all’esercizio della funzione amministrativa, in mancanza di una diversa qualificazione espressa di legge, sono meramente acceleratori, con esclusione di effetti di decadenza del potere). T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 31 gennaio 2003, n. 511

 

La scelta discrezionale del responsabile del servizio di Polizia Municipale da parte del Sindaco - la nomina di comandante del corpo di P.M. - la durata dell’incarico - mansioni superiori. Il Sindaco che ha esercitato la scelta discrezionale del responsabile del servizio di P.M. (nella specie eretto in corpo) deve rispettare appieno la disposizione dell’art. 51 comma 3 bis L. 142/90, fissando la durata dell’incarico nei termini di cui all’art. 24 del regolamento dei servizi). In difetto di tale indicazione, sempre ai sensi del citato art. 24 le funzioni si intendono attribuite fino al termine del mandato elettivo del sindaco, il quale potrà revocare tuttavia l’incarico medesimo per una delle specifiche ragioni stabilite nel detto regolamento. Di mansioni superiori può parlarsi allorché si attribuiscano ad un dipendente compiti ed attività proprie di un’altra fascia (ad esempio conferimento di funzioni di fascia D a dipendente di fascia C) mentre nella specie le funzioni ed i compiti di comandante del corpo di Polizia Municipale, come funzioni dirigenziali, sono state attribuite a soggetto di fascia D che, dunque, espletava mansioni di livello di appartenenza. Tribunale del Lavoro - di Patti - Ordinanza del 31 gennaio 2003.
 

Commissario ad acta - l’ipotesi in cui il Commissario venga nominato per la sostituzione oppure, per provvedere all’emanazione di specifici atti, su impulso dell’organo di vigilanza - caso di impugnazione. Nell’ambito della sostituzione amministrativa, anche se non mancano pronunce anche recenti che hanno ritenuto comunque imputabili all’Ente sostituito gli atti adottati dal Commissario ad acta (V. la decisone di questo Consiglio, sez. IV n. 3537 del 22.6.2000), occorre distinguere l’ipotesi in cui il Commissario venga nominato per la sostituzione, nell’esercizio di una competenza generale, di un organo di cui difetti radicalmente il funzionamento (ad es. per scioglimento degli organi ordinari dell’Ente) oppure, come nella specie, per provvedere all’emanazione di specifici atti, su impulso dell’organo di vigilanza (V. le decisioni di questa Sezione n. 304 del 23.4.1982, n. 1034 del l’8.7.1995 e n.1332 del 6.10.1999; nonché del Consiglio giustizia amministrativa per la reg. sic. n. 24 del 10.3.1983). Nel primo caso vi è l’esigenza di effettuare la sostituzione per assicurare il funzionamento degli organi dell’Ente venuti meno ed il Commissario interviene per svolgere il complesso dei relativi compiti, che altrimenti non potrebbero ricondursi ad alcun organo attivo dell’Ente, per cui il Commissario può considerarsi organo straordinario dell’Ente sostituito, cui vanno imputati gli atti adottati. Con la conseguenza che i ricorsi avverso gli atti del Commissario ad acta vanno notificati unicamente all’ Ente sostituito. Allorché invece la competenza del Commissario è circoscritta fin dall’inizio al compimento di determinati atti, per un verso l’Ente sostituito conserva in generale la titolarità dei suoi poteri, salvo i singoli affari che gli sono stati sottratti, e per l’altro verso il Commissario conserva un legame più diretto con l’autorità di vigilanza che l’ha nominato e cui deve rispondere. Per cui in caso di impugnazione è sufficiente la notifica del ricorso all’Autorità di vigilanza, come è avvenuto nella specie. Consiglio di Stato, Sez. V - 29 gennaio 2003 - Sentenza n. 439

 

Impugnazione del provvedimento conclusivo di un procedimento amministrativo - il privato non è tenuto a menzionare specificamente i singoli atti procedimentali - gli atti che hanno funzione meramente preparatoria rispetto al contenuto del provvedimento finale. Nell’impugnare il provvedimento conclusivo di un procedimento amministrativo il privato non è tenuto a menzionare specificamente i singoli atti procedimentali intervenuti non aventi una propria autonomia funzionale e strutturale, come appunto i pareri che hanno una funzione meramente preparatoria rispetto al contenuto del provvedimento finale (V. le decisioni di questa Sezione n. 625 del 13.7.1973 e n.2064 del 6.12.1999). Consiglio di Stato, Sez. V - 29 gennaio 2003 - Sentenza n. 439

 

Impugnazione del silenzio - inadempimento dell’amministrazione - poteri del giudice - la nomina di commissario ad acta nello stesso giudizio. In tema di impugnazione del silenzio - inadempimento dell’amministrazione, l’adunanza plenaria di questo Consesso ha statuito che il giudice può solo accertare l’illegittimità dell’inerzia dell’amministrazione, ma non anche accertare la fondatezza della pretesa sostanziale fatta valere, anche nel caso di atti vincolati (C. Stato, ad. plen., 9 gennaio 2002, n. 1: <<Il giudizio sul silenzio della pubblica amministrazione, di cui all’art. 21 bis, L. TAR, ha natura di accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere con atto espresso, ma non di verifica della fondatezza della pretesa sostanziale del ricorrente, nemmeno nel caso di atti vincolati o di atti a discrezionalità limitata: in tal senso depone l’oggetto del giudizio, individuato dall’art. 21 bis nel <<silenzio>>, e la previsione che il giudice non si sostituisce all’amministrazione, ma si limita ad ordinare a questa di provvedere, ovvero a nominare, in caso di perdurante inerzia, un commissario ad acta; né tale meccanismo processuale appare poco satisfattivo, in quanto il vantaggio è da ravvisare nei tempi veloci della tutela processuale e nella possibilità di ottenere la nomina di commissario ad acta nello stesso giudizio, senza necessità di promuovere ulteriore giudizio di ottemperanza, pur non essendovi il vantaggio della sostituzione giudiziale>>). Conforme: Consiglio di Stato, Sez. VI - 27 gennaio 2003 - Sentenze nn. 431 - 430 - 429 - 428 - 427 - 426. Consiglio di Stato, Sez. VI - 27 gennaio 2003 - Sentenza n. 432

 

Calcolo della riliquidazione dell’indennità - il complessivo servizio prestato - il diritto all’indennità di buonuscita. Ai sensi dell’art. 4, D.P.R. n. 1032/73, “al dipendente statale, che abbia conseguito il diritto all’indennità di buonuscita e venga riassunto, spetta la riliquidazione dell’indennità per il complessivo servizio prestato, purché il nuovo servizio sia durato almeno due anni consecutivi. La riliquidazione viene effettuata sull’ultima base contributiva. Dal nuovo importo viene detratto quello dell’indennità già conferita e dei relativi interessi composti al saggio annuo del 4,24 per cento per il periodo, computato in anni interi per difetto, intercorrente tra la prima attribuzione e quella definitiva”. Consiglio di Stato, Sez. VI - 27 gennaio 2003 - Sentenza n. 415

 

Il pagamento di alcuni oneri di attuazione del P.E.E.P. - la comunicazione di un atto di intimazione di pagamento - non rientra nell’ambito di competenza esclusiva dei dirigenti - tale atto può essere adottato anche dal Sindaco - intimazioni di pagamento natura dell’atto - i fatti illeciti e gli atti giuridici in senso stretto. L’adozione e la comunicazione di un atto di intimazione di pagamento (l’articolo 45 del d. lgs. n. 80 del 1998, dell’articolo 3 del d. lgs. n. 29 del 1993 (ora articolo 4 del d. lgs. n. 165 del 2001) ) non rientra nell’ambito di competenza esclusiva dei dirigenti, perché tale atto, in considerazione della sua natura, può essere adottato anche dal Sindaco. Gli atti con i quali il Comune determina gli importi che ritiene dovuti e ne chiede il pagamento agli interessati non hanno, quindi, natura di provvedimenti amministrativi. Va, inoltre, escluso che tali atti possano qualificarsi come negozi giuridici in quanto gli atti di intimazioni di pagamento hanno natura di atti giuridici in senso stretto e possono essere validamente compiuti anche da soggetti legalmente incapaci (da ultimo, Cass., 22 febbraio 2001; Cass., 16 agosto 1993, n. 8711; App. Bologna, 1 gennaio 1999). Non appare, quindi, applicabile alla fattispecie in esame la previsione dell’articolo 4, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per cui “ai dirigenti spetta l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’Amministrazione verso l'esterno […]”. Tale disposizione si riferisce, infatti, ai soli atti negoziali ed ai provvedimenti amministrativi, mentre gli atti ed i fatti che non siano riconducibili a tali categorie, come ad esempio i fatti illeciti e gli atti giuridici in senso stretto, possono essere compiuti da qualsiasi soggetto che sia attualmente inserito nell’organizzazione amministrativa e che operi nella qualità di agente o organo dell’Amministrazione. In particolare, il Sindaco di un Comune, nella sua qualifica, può validamente compiere atti di intimazione di pagamento in relazione a crediti vantati dal Comune. Conforme: Consiglio di Stato, Sezione IV - 25 gennaio 2003 - sentenze nn. 382; 381; 380; 379; 378; 377; 376; 375; 374; 373; 372; 371; 370; 369; 368; 367; 366; 365; 364; 363; 362; 361. Consiglio di Stato, Sezione IV - 25 gennaio 2003 - sentenza n. 383

 

Pubblica Amministrazione - lavoro - limiti di età - abrogazione delle norme che sancivano limiti di età per l’accesso lavorativo in determinate categorie - principio generale di liberalizzazione dell’accesso agli impieghi. L’art.3, comma VI, L. n. 127/97, ha introdotto il principio generale di liberalizzazione dell’accesso agli impieghi delle Pubbliche Amministrazioni, questa legge trova attuazione anche nella Regione siciliana e di conseguenza devono considerarsi abrogate anche le previdenti norme speciali di settore (in specie gli artt. 57, comma 6, e 59 comma IV L.r. n.16/96) che sancivano limiti di età per l’accesso di determinate categorie di personale nelle Pubbliche Amministrazioni. (cfr.sentenza n. 408 del 29 febbraio 2000). (Nella specie è stato impugnato il diniego di inclusione del ricorrente nella graduatoria unica motivato dal superamento del limite di età di 41 anni (L.r. n.16/96), legge inapplicabile in quanto risulta abrogata dalla successiva L. n.127/97). T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 24 gennaio 2003, n. 65 (vedi: sentenza per esteso)

 

La repressione della condotta antisindacale nel settore del pubblico impiego - la giurisdizione del giudice ordinario nel nuovo sistema - l'atto antisindacale del datore di lavoro pubblico ha la connotazione di atto privatistico. In tema di repressione della condotta antisindacale nel settore del pubblico impiego, le regole di riparto della giurisdizione, anche prima delle modificazioni introdotte dalla legge 12 luglio 1990 n. 146, sono state sempre fondate sul riconoscimento delle situazioni soggettive proprie ed esclusive delle associazioni sindacali (cosiddetti diritti sindacali in senso stretto), quali diritti soggettivi perfetti, tutelabili dinanzi al giudice ordinario. In applicazione di tali regole, è stato considerato irrilevante il fatto che il comportamento lesivo addebitato all'ente pubblico si sostanzi in un formale provvedimento o invece si traduca in una qualsiasi condotta materiale o in qualsiasi fatto che, per la sua intrinseca essenza o per il suo modo di essere e di manifestarsi, sia tale da assumere carattere antisindacale (Cass. ss. uu. 26 luglio 1984, n. 4390; 28 novembre 1990, n. 11461) o che l'ordine di cessazione della condotta antisindacale emesso dal giudice ordinario comporti l'imposizione alla pubblica amministrazione di un facere o di un pati (Cass. 14 agosto 1999, n. 592). L'art. 63, terzo comma, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, confermando l'avvenuta privatizzazione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, devolve al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, una cognizione incondizionata in materia di condotta antisindacale delle pubbliche amministrazioni. In coerenza con questi dati, l'art. 4 della legge 11 aprile 2000 n. 83 aveva già abrogato il sesto e settimo comma dell'art. 28 legge n. 300/1970, aggiunti con l'art. 6 della legge 12 giugno 1990 n. 146, con i quali era stabilito il frazionamento di tutela fra giudice ordinario e giudice amministrativo, correlata, la prima, a condotte lesive del solo sindacato e la seconda a quelle lesive, oltre che di interessi sindacali, di situazioni soggettive inerenti al pubblico impiego. Le riforme da ultimo intervenute non lasciano spazio neppure alla tesi che appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo la controversia nella quale sia chiesta anche la rimozione dei provvedimenti lesivi che investono la sfera dei singoli lavoratori. Nel nuovo sistema, infatti, anche l'atto antisindacale del datore di lavoro pubblico ha la connotazione di atto privatistico, omologo a quello scorretto del datore di lavoro privato, come tale suscettibile di cognizione da parte del giudice ordinario, anche se sia richiesta l'eliminazione dell'atto stesso e dei suoi effetti. Corte di Cassazione del 24 gennaio 2003 Ordinanza n. 1127

 

Il principio della mobilità non determina in capo alla Pubblica Amministrazione, un obbligo di coprire i posti vacanti con procedure di trasferimento anziché con concorso pubblico - discrezionalità della P.A. nell’organizzazione del personale in funzione del miglior andamento dell’azione amministrativa. Il principio della mobilità non determina in capo alla Pubblica Amministrazione, un obbligo di coprire i posti vacanti con procedure di trasferimento anziché con concorso pubblico, né la presentazione della domanda fa sorgere in capo all’Amministrazione l’obbligo di provvedere su di essa positivamente: ciò in considerazione della discrezionalità di cui gode l’Amministrazione nell’organizzazione del personale in funzione del miglior andamento dell’azione amministrativa. Sulla base della disciplina attualmente vigente, la scelta tra lo strumento del concorso pubblico per la copertura di posti vacanti senza, per questo, dover fornire una specifica motivazione sul punto, atteso che essa si basa sull’evidente intento della P.A. stessa di adottare una procedura maggiormente selettiva in quanto aperta anche a soggetti esterni all’organizzazione amministrativa ed articolata su prove d’esame, oltrechè sulla valutazione di titoli (Cons. St., sez. V, 8.7.1998, n. 1019). Tribunale di Lecce, Sezione Lavoro, del 22.01.2003
 

La scelta tra lo strumento del concorso e quello della mobilità è rimessa al discrezionale apprezzamento dell’amministrazione - l’indizione del concorso pubblico per la copertura di posti vacanti - legittimità della procedura maggiormente selettiva. Sulla base della disciplina attualmente vigente, la scelta tra lo strumento del concorso e quello della mobilità è rimessa al discrezionale apprezzamento dell’amministrazione che, dunque, può preferire l’indizione del concorso pubblico per la copertura di posti vacanti senza, per questo, dover fornire specifica motivazione sul punto, atteso che essa si basa sull’evidente intento della P.A. stessa di adottare una procedura maggiormente selettiva in quanto aperta anche a soggetti esterni all’organizzazione amministrativa ed articolata su prove d’esame, oltreché sulla valutazione di titoli (Consiglio di Stato, sez. V, 8.7.1998, n.1019). Tribunale del Lavoro - di Lecce Sentenza del 22.01.2003
 

La sentenza penale di condanna ex art. 444 c.p.p (c.d. patteggiamento) - procedimento disciplinare - l’estinzione - il termine perentorio di 90 - interruzione. Nel caso in cui la sentenza penale di condanna consegua alla richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p (c.d. patteggiamento) non si verifica quella compiutezza nella raccolta degli elementi di prova tipica del rito ordinario e non può escludersi che l’Amministrazione debba effettuare autonomi accertamenti in sede di procedimento disciplinare, per cui in tale ipotesi non è applicabile il termine di 90 giorni posto dall’art. 9 L.n.19/1990 per la conclusione del procedimento disciplinare ma la disciplina generale di cui al T.U. 10.1.1957 n.3. Una volta tempestivamente iniziato il procedimento disciplinare, al fine di impedirne l’estinzione, per superamento del termine perentorio di 90 giorni cui all’art. 120 D.P.R. n.3/1957, è necessario che tra i vari atti del procedimento non intercorra un periodo di tempo superiore a tale periodo di tempo (V. la decisione di questa Sezione n.1226 del del 1°.12.1993), dal momento che gli altri termini previsti per la prosecuzione del procedimento disciplinare hanno carattere sollecitatorio ( V. la decisione di questo consiglio, sez. IV, n. 500 del 27.5.1977). In particolare, il termine perentorio di 90 giorni si interrompe ogni qualvolta, prima della scadenza, venga adottato un atto, anche interno, proprio del procedimento disciplinare e che non abbia carattere meramente dilatorio (V. A.P. n.15/2000, già citata e la decisone di questa Sezione n.4840 del 17.9.2001). Conforme: Consiglio di Stato, Sezione V del 20 gennaio 2003, n. 175. Consiglio di Stato, Sezione V del 20 gennaio 2003, n. 176

 

Provvedimento illegittimo interruttivo del rapporto lavorativo - il principio della restitutio in integrum - il giudicato di annullamento di un provvedimento negativo - diniego di nomina a qualifica superiore. La giurisprudenza, con costante ed univoco orientamento (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. V, 12 aprile 2001, n. 2286), ha affermato il principio per cui la restitutio in integrum a fini economici è configurabile nei soli casi in cui la prestazione è stata impedita per l’adozione di un provvedimento illegittimo interruttivo del rapporto (sospensione, destituzione ecc.), mentre il giudicato di annullamento di un provvedimento negativo della costituzione del rapporto, cui è equiparabile quello del diniego di nomina a qualifica superiore in esito ad un concorso giudicato illegittimo, dà diritto, in applicazione del principio generale della sinallagmaticità, alla sola retrodatazione della nomina a fini giuridici ma non economici. Consiglio di Stato, Sezione V del 20 gennaio 2003, n. 169


Provvedimenti impugnati che provengono da organi centrali dello Stato ed hanno efficacia su tutto il territorio nazionale - competenza del T.a.r. Lazio. I provvedimenti impugnati (D.M. 4 dicembre 2001 e DPCM 29 novembre 2001) provengono da organi centrali dello Stato ed hanno efficacia su tutto il territorio nazionale, per cui non vi sono dubbi che il ricorso rientra nella competenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio a norma dell'art. 3, commi 1 e 3 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034. Consiglio di Stato, Sezione IV del 17 gennaio 2003, n. 164

 

Impiegati dello Stato - procedimento disciplinare garanzie procedimentali e profili sostanziali - verbali della commissione di disciplina - data indicata nel testo, anziché in calce o nell’epigrafe - adunanze della commissione di disciplina - presenza di funzionari delegati dal capo del personale - legittimità. S’impone una preventiva valutazione circa l’eventuale opportunità di sospendere un procedimento disciplinare concernente fatti di estrema gravità, per i quali le pur doverose garanzie procedimentali non possono e non devono far dimenticare gli aspetti sostanziali dell’intera vicenda. Assolutamente regolari si configurano sia il verbale dell’adunanza di una Commissione disciplinare nel cui testo (anziché in calce o nell’epigrafe) la prima pagina rechi chiaramente indicati giorno, mese ed anno, che il decreto ministeriale recante la destituzione di un dipendente, provvedimento per sua natura eccezionale e dunque esulante da normali atti di gestione che il decreto legislativo n. 29/1993 sottrae alle mani del Ministro per affidarli a quelle dei dirigenti ministeriali. Il capo del personale ben può presenziare, anche per interposta persona, ad una o più sedute in sede di Commissione di disciplina, magari delegando per l’incombente un altro funzionario con formali note d’incarico. Consiglio di Stato, Sezione IV del 17 gennaio 2003, n. 161

 

Pubblica Amministrazione - forme di controllo o di verifica dell’attività dei pubblici amministratori e dipendenti - esercizio della funzione di verifica - il comportamento illecito del soggetto agente. Forme di controllo o di verifica dell’attività dei pubblici amministratori e dipendenti sono puntualmente previste da norme di organizzazione o da norme sui vari procedimenti amministrativi (si pensi in particolare al procedimento dell’evidenza pubblica per i contratti della P.A.) emanate in attuazione di principi anche di livello costituzionale. In questa sede si attua la differenziazione tra attività del pubblico dipendente (che viene sottoposto a verifica) e posizione della P.A. che esercita poteri di verifica. Nell’esercizio della funzione di verifica diviene, pertanto, conoscibile per la P.A., in forza di specifiche norme giuridiche, il comportamento illecito del soggetto agente. Corte dei Conti Sezioni Riuniti del 15 gennaio 2003, sentenza n. 2/QM (vedi: sentenza per esteso)

 

Inizio della decorrenza della prescrizione - impedimento di ordine giuridico all’esercizio del diritto - la conoscibilità da parte dell’Amministrazione del comportamento illecito tenuto dal proprio amministratore o dipendente - il rapporto di immedesimazione organica tra organo agente ed ente persona giuridica - responsabilità amministrativa - doveri d’ufficio - procedimento amministrativo. La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto, pur essendo perfetto e potendo quindi essere esercitato, non è di fatto esercitato dal suo titolare. La prescrizione non inizia a decorrere in presenza di un impedimento di ordine giuridico all’esercizio del diritto, mentre comunemente (la tesi è però oggi contestata da parte della dottrina che fa in particolare riferimento alla prescrizione riguardante i crediti da lavoro subordinato) si ritiene che gli ostacoli di mero fatto che non rientrino nella impossibilità legale e che non siano stati considerati come causa della sospensione della prescrizione, non hanno alcuna rilevanza. Deve, pertanto, accertarsi se la conoscibilità da parte dell’Amministrazione del comportamento illecito tenuto dal proprio amministratore o dipendente costituisca o meno impedimento di ordine giuridico all’esercizio del diritto. Va in proposito ricordato che oggetto tipico dell’azione di responsabilità amministrativo-contabile è accertare se il danno sofferto da un ente pubblico è ascrivibile ad un comportamento illecito di un pubblico dipendente. Questo aspetto assume particolare rilievo nelle ipotesi nelle quali il danno venga causato attraverso l’emanazione di provvedimenti ovvero nell’ambito di un rapporto contrattuale che lega la pubblica amministrazione ad un privato. Infatti il rapporto di immedesimazione organica tra organo agente ed ente persona giuridica implica un’imputazione giuridica formale all’ente delle intere fattispecie dei comportamenti del titolare dell’organo (salvo che questi agisca per moventi personali, cioè in sostanza al di là e al di fuori delle sue attribuzioni di organo); pertanto nel rapporto esterno tra ente pubblico e privati è riferibile soltanto all’Amministrazione (e non al suo organo o agente) l’emanazione di un provvedimento amministrativo ovvero l’adempimento-inadempimento di una obbligazione. Ma laddove (ed è qui il fondamento della responsabilità amministrativa) all’agire dell’amministrazione consegua un danno alla stessa provocato da un comportamento illecito del funzionario agente, questi viene chiamato a rispondere nei confronti della persona giuridica di cui ricopre l’ufficio. Ora il momento giuridicamente rilevante per accertare se il comportamento del pubblico dipendente sia stato o meno conforme ai doveri d’ufficio è quello in cui i suoi atti o la sua attività vengono (o debbono venire) sottoposti a verifica nell’ambito di articolazioni tipiche dell’organizzazione della pubblica amministrazione o del procedimento amministrativo. Corte dei Conti Sezioni Riuniti del 15 gennaio 2003, sentenza n. 2/QM (vedi: sentenza per esteso)
 

La conoscibilità del fatto causativo del danno - comportamento del pubblico dipendente. Sotto il profilo della conoscibilità del fatto causativo del danno, l’accertamento dialettico del comportamento del pubblico dipendente può avvenire nella sequenza procedimentale secondo le articolazioni in essa previste ed in relazione all’atto o all’attività che si assumono causative del danno e nella cui adozione o espletamento è stato tenuto il comportamento illecito. Corte dei Conti Sezioni Riuniti del 15 gennaio 2003, sentenza n. 2/QM (vedi: sentenza per esteso)

 

L’accesso ai documenti amministrativi - la sospensione feriale dei termini processuali - il termine perentorio per ricorrere. Pur calcolando la sospensione feriale dei termini processuali fissata dalla legge n. 742/69, per costante giurisprudenza (Cons. di Stato, VI, nn. 184/96 e 260/97) applicabile anche al rito speciale previsto per l’accesso ai documenti amministrativi, il termine perentorio per ricorrere risulta, in specie, comunque superato, sia pure di pochi giorni. Dispone infatti il comma 5 dell’art. 25 della legge n. 241/90 che “contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso…è dato ricorso, nel termine di trenta giorni,…” decorrenti dalla data di ricezione del diniego (Cons. di Stato, VI, n. 1414/00). Va precisato che, nonostante l'intestazione del ricorso, non vi è dubbio che trattasi di un giudizio di tipo impugnatorio; diversamente, nella specie, non avrebbe senso la previsione normativa del predetto termine decadenziale. Il ricorso pertanto è irricevibile. TAR Toscana - Firenze sez. III, del 15 gennaio 2003 sentenza n. 8
 

L’attribuzione delle mansioni e del relativo trattamento economico - i requisiti costituzionali di proporzionalità e di sufficienza della retribuzione. Resta fermo, per il periodo antecedente l'entrata in vigore del d.lgs. n. 387/98, che lo svolgimento di mansioni superiori alla qualifica formalmente ricoperta non dà diritto alle differenze retributive (Cons. Stato Ad. plen., 28 gennaio 2000, n. 10 e 23 febbraio 2000, n. 11). Va richiamata la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio (che il collegio condivide e fa propria, in quanto ancora di recente ribadita dall’Adunanza Plenaria), per la quale: - salvo che una legge disponga altrimenti (anche in sanatoria delle situazioni già verificatesi), le mansioni svolte da un dipendente, se sono di livello superiori rispetto a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento, sono del tutto irrilevanti, sia ai fini economici che ai fini della progressione di carriera, ovvero della emanazione di un provvedimento di preposizione ad un ufficio (Cons. giust. Amm., 20 dicembre 2000, n. 491; Sez. IV, 20 ottobre 2000, n. 5626; Sez. VI, 19 settembre 2000, n. 4871; Sez. V, 24 agosto 2000, n. 4601; Sez. VI, 22 agosto 2000, n. 4553; Sez. VI, 11 luglio 2000, n. 3882; Sez. V, 24 marzo 1998, n. 354; Sez. IV, 28 ottobre 1996, n. 1157; Cons. giust. amm., 25 ottobre 1996, n. 363; Sez. V, 24 ottobre 1996, n. 1282; Sez. V, 24 maggio 1996, n. 597; Sez. V, 24 maggio 1996, n. 587; Sez. V, 2 febbraio 1996, n. 120; Comm. spec. pubblico impiego, 20 novembre 1995, n. 345; Sez. V, 22 marzo 1995, n. 452; Sez. V, 9 marzo 1995, n. 307; Sez. V, 18 gennaio 1995, n. 89; Sez. V, 23 novembre 1994, n. 1362); - la pretesa ad una retribuzione superiore a quella attribuita dalla normativa applicabile non può fondarsi sull’art. 36 Cost. (Sez. VI, 19 settembre 2000, n. 4871; Sez. V, 11 settembre 2000, n. 4805; Sez. VI, 11 luglio 2000, n. 3882; Sez. VI, 15 maggio 2000, n. 2785; Sez. IV, 3 maggio 2000, n. 2611; Ad. Plen., 23 febbraio 2000, n. 11; Ad. Plen., 18 novembre 1999, n. 22; Comm. spec. pubb. imp., 15 marzo 1999, n. 431/99; Sez. IV, 28 ottobre 1996, n. 1157; Sez. V, 24 ottobre 1996, n. 1282; Comm. spec. pubblico impiego, 20 novembre 1995, n. 345; Sez. IV, 15 ottobre 1990, n. 768; Ad. Plen., 5 maggio 1978, n. 16; Ad. Plen., 4 novembre 1977, n. 17), che non impone al legislatore di emanare periodicamente leggi di sanatoria ed invece costituisce il parametro per verificare (in sede costituzionale o amministrativa, se il quantum è determinato rispettivamente con leggi o con regolamenti) se le scelte del conditor iuris hanno violato il principio costituzionale (Sez. V, 24 maggio 1996, n. 587; Sez. V, 22 marzo 1995, n. 452); - gli artt. 51 e 97 Cost. comportano che l’attribuzione delle mansioni e del relativo trattamento economico non possono costituire oggetto di libere determinazioni dei funzionari amministrativi (Sez. VI, 19 settembre 2000, n. 4871; Sez. VI, 11 luglio 2000, n. 3882; Sez. IV, 3 maggio 2000, n. 2611; Sez. V, 17 maggio 1997, n. 1219; Sez. V, 24 maggio 1996, n. 587; Sez. V, 22 marzo 1995, n. 452); - i requisiti costituzionali di proporzionalità e di sufficienza della retribuzione devono essere valutati, secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, «non già in relazione ai singoli elementi che compongono il trattamento economico, ma considerando la retribuzione nel suo complesso» (Corte Cost., ord. 12 febbraio 1996, n. 33; ord. 30 marzo 1995, n. 98; sentt. 19 gennaio 1995, n. 15; 28 aprile 1994, n. 164), sicché non può essere considerata sproporzionata o insufficiente la retribuzione prevista da una norma per il pubblico dipendente in possesso di una certa qualifica, se questi svolga mansioni il cui esercizio è di regola consentito sulla base del previo superamento del concorso. E’ pertanto irrilevante, anche ai fini economici, il dedotto svolgimento delle mansioni superiori, così come è irrilevante l’effettiva sussistenza di un formale incarico e di un posto di qualifica superiore, come anche confermato dalla disciplina specificamente riguardante i presupposti per attribuire rilevanza alle mansioni superiori (Ad. Plen., 23 febbraio 2000, n. 11; Ad. Plen., 18 novembre 1999, n. 22, citate). Consiglio di Stato Sezione VI, 8 gennaio 2003 sentenze nn. 17 - 18