LA DOMANDA DIRETTA AD OTTENERE IL RIMBORSO DELLE SPESE PER CURE NON OTTENIBILI DAL SERVIZIO SANITARIO DEVE ESSERE PROPOSTA DAVANTI AL GIUDICE ORDINARIO – Perché è fondata sul diritto alla salute (Cassazione Sezioni Unite Civili n. 13548  del 24 giugno 2005, Pres. Carbone, Rel. Roselli).
            Principia M. essendo stata colpita da adenocarcinoma con metastasi si è sottoposta alla cure previste dal “protocollo Di Bella” ed ha ottenuto dal Tribunale di Melfi un provvedimento di urgenza con il quale è stato ordinato all’Azienda sanitaria locale di Venosa la fornitura gratuita dei relativi farmaci. Successivamente, avendo anticipato la spesa, essa ha proposto un giudizio di merito davanti allo stesso Tribunale per ottenere la condanna dell’Azienda al rimborso. L’Azienda, costituendosi in giudizio, ha accertato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sostenendo che la causa andava promossa davanti al Tribunale Regionale Amministrativo. Principia M. ha proposto regolamento preventivo di giurisdizione, chiedendo alla Suprema Corte di affermare la giurisdizione del giudice ordinario.
            La Suprema Corte (Sezioni Unite Civili n. 13548 del 24 giugno 2005, Pres. Carbone, Rel. Roselli) ha accolto il ricorso. La situazione soggettiva dedotta in giudizio – ha rilevato la Corte – dev’essere qualificata come diritto soggettivo, e non come interesse legittimo, alla stregua della costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui la pubblica amministrazione è titolare di un potere autorizzativo discrezionale nel valutare sia le esigenze sanitarie di chi chieda una prestazione del Servizio nazionale sia le proprie disponibilità finanziarie, sì che il richiedente risulta titolare di un mero interesse legittimo, e tuttavia la discrezionalità viene meno quando il richiedente deduca una situazione di urgenza, superabile soltanto con cure tempestive e non ottenibili dal servizio pubblico, trattandosi in tal caso del fondamentale diritto alla salute.
            Pertanto in tal caso, riscontrabile nella concreta fattispecie – ha affermato la Corte – la pretesa dev’essere fatta valere davanti al giudice ordinario ai sensi degli artt. 2 e 4 L. 20 marzo 1865 n. 2248, all. E; a questa soluzione della questione non osta l’art. 33 d.lgs. n. 80 del 1998, modificato dall’art. 7, lett. a, L. 21 luglio 2000 n. 205, che devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ed in particolare quelle riguardanti le prestazioni, anche patrimoniali, nell’ambito del servizio sanitario nazionale. Deve in proposito ricordarsi – ha osservato la Corte – che con sentenza del 6 luglio 2004 n. 204 la Corte costituzionale ha dichiarato in parte illegittimi gli artt. 33 e 7 della predetta legge, con la conseguenza che sono rimaste devolute al giudice amministrativo in sede esclusiva solamente le controversie relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento disciplinato dalla legge 7 agosto 1990 n. 241, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore. L’attuale controversia – ha considerato la Corte – non rientra in alcuna di queste previsioni di giurisdizione esclusiva né, trattandosi, come s’è detto, di diritto soggettivo perfetto, nella giurisdizione amministrativa di legittimità. 
 

L’obbligo di invio del certificato medico al datore di lavoro sussiste anche nel caso di malattia verificatasi all’estero – In base ai principi di correttezza e buona fede – In materia di assenza per malattia l’art. 2 d.l. 30 dicembre 1979 n. 663, convertito in legge 29 febbraio 1980 n. 33 tratta congiuntamente degli obblighi gravanti sul lavoratore nei confronti dell’istituto previdenziale (incidenti quindi sul rapporto previdenziale) e del datore di lavoro (incidenti sul rapporto di lavoro), disponendo che nei casi di infermità comportante incapacità lavorativa, il medico curante redige in duplice copia e consegna al lavoratore il certificato di diagnosi e l’attestazione sull’inizio e la durata presunta della malattia (primo comma), che il lavoratore ha l’obbligo (2° comma) di recapitare o trasmettere, entro due giorni dal relativo rilascio, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, rispettivamente, all’Istituto nazionale della previdenza sociale e al datore di lavoro. In tale obbligo è compreso quello di indicare il domicilio durante la malattia (che può essere diverso dalla residenza abituale), al fine dei controlli dello stato di malattia.
         Non vi è perciò necessità di una specifica norma legale o contrattuale che disciplini l’assenza per malattia verificatasi all’estero. Il principio di correttezza (art. 1175 cod. civ.) e buona fede (art. 1375 cod. civ.), che informa il rapporto di lavoro, impone di applicare la regola dell’art. 3 d.l. 30 dicembre 1979 n. 663, convertito in legge 29 febbraio 1980 n. 33, nei rapporti con il datore di lavoro, secondo le circostanze del caso, anche alla malattia contratta all’estero (Cassazione Sezione Lavoro n. 13622 del 24 giugno 2005, Pres. Senese, Rel. De Matteis).