Cassazione: valide intercettazioni captate in modo fortuito |
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Le intercettazioni telefoniche che avvengono in modo fortuito, a 'cornetta sollevata', possono essere utilizzate anche per applicare la custodia cautelare. Ascoltare le conversazioni dal ricevitore alzato, infatti, ''non viola la privacy''. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che ha respinto il ricorso di Claudio F. nei confronti del quale e' stata applicata la custodia cautelare (in base al reato di associazione di tipo mafioso previsto dall'art. 416 bis c.p.) dopo intercettazioni avvenute in maniera ''fortuita''. Per la Suprema Corte, ''il casuale ascolto delle conversazioni nel corso di un' intercettazione telefonica ritualmente autorizzata e' utilizzabile ai fini dell'applicazione di una misura cautelare''. Per effetto di questa decisione, Claudio F. si e' visto confermare dalla Quinta sezione penale la custodia cautelare disposta dal Tribunale del Riesame di Catanzaro, nel gennaio 2003, in seguito ad una conversazione captata casualmente durante le intercettazioni telefoniche avvenute nell'aprile del '98. In quella occasione, Antonio A., accingendosi a parlare sul cellulare con un'altra persona, nell'attesa della linea si era messo a parlare con la persona che sedeva a fianco nell'auto, pronunciando una frase ritenuta determinante ai fini dell'appplicazione della misura restrittiva nei confronti di Claudio F. sia dal gip che dal Tribunale del Riesame. |
Cassazione: dipendente pubblico fa firmare ad altri il cartellino? E' truffa |
La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. 39077/2003) ha stabilito che il dipendente pubblico che fa timbrare a un'altra persona il proprio cartellino mentre non è sul posto di lavoro, può essere considerato responsabile dei reati di truffa e di falso. I Giudici di Piazza Cavour hanno infatti precisato che il lavoratore, nel momento in cui timbra, operando una certificazione, è da considerarsi pubblico ufficiale e che, per quanto attiene al cartellino rivelatore delle presenze, è indubbio che esso "contenga una attestazione in punto di effettuazione e durata della prestazione lavorativa, attestazione idonea a produrre effetti giuridici non solo per quanto riguarda la retribuzione, ma anche il controllo dell'attività e regolarità dell'ufficio". La Corte inoltre ha evidenziato che il cartellino, a prescindere dal fatto che sia un atto interno "è destinato a fornire un contributo a fini di conoscenza e determinazione della Pubblica amministrazione". Con questa decisione la Corte ha rigettato il ricorso di un lavoratore condannandolo al pagamento delle spese del procedimento |
Garante: rischi sulle banche dati sulla salute |
Il Garante per la protezione dei dati personali (Newsletter 27 ottobre / 2 novembre 2003) ha richiamato l'attenzione sui delicatissimi problemi sollevati dall'art. 50 del decreto legge 30/9/2003, n. 269, attualmente in attesa del voto del Senato, che prevede la realizzazione di un modello di ricetta medica a lettura ottica e la costituzione di una banca dati contenente il codice fiscale di tutti gli assistiti, al fine di controllo della spesa sanitaria. L'Autorità ha sottolineato come, in materia di monitoraggio della spesa sanitaria pubblica, la legislazione vigente prevede delle procedure che possono e debbono certamente essere rivisitate e migliorate anche se tutto questo non può tradursi in una compressione del diritto di protezione dei dati personali. Il Garante ha inoltre aggiunto che, "qualora non si adottasse la soluzione dei dati anonimi, si correrebbe concretamente il rischio di introdurre nel sistema giuridico una disciplina che discriminerebbe i cittadini in base alla possibilità, per quanti possono pagare direttamente i farmaci e le prestazioni specialistiche, di non vedere inseriti i loro dati personali nella banca dati".
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Privacy: malattie professionali e segnalazioni diretta dei medici all'Inail |
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Il Garante per la protezione dei dati personali (Newsletter 27 ottobre / 2 novembre 2003) ha confermato che i medici che diagnosticano ai propri pazienti malattie che possono essere state provocate da determinate attività lavorative potenzialmente nocive, possono trasmettere direttamente all'Inail la denuncia della diagnosi. L'Autorità, nella risposta la quesito di un ufficio giuridico che chiedeva di verificare la legittimità, rispetto alla normativa sulla privacy, della trasmissione direttamente da parte dei medici all'Istituto assicuratore delle denunce di alcune malattie collegate alle attività lavorative dei loro pazienti, ha ribadito che "non sussiste il divieto per i medici a trasmettere direttamente all'Inail la segnalazione delle predette malattie professionali potenzialmente nocive, corredate da un'anamnesi lavorativa e dai rischi e dalle sostanze alle quali il lavoratore sia, o sia stato, esposto nello svolgimento della sua prestazione professionale, purché ciò avvenga nel rispetto delle finalità prescritte dalle specifiche disposizioni in materia di assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali quali quelle previste dal principio di pertinenza (art. 9, legge 675/1996) in merito agli scopi per i quali i dati vengono raccolti".
Malattie professionali: lecite le segnalazioni dei medici all’Inail I medici che diagnosticano ai loro pazienti malattie che possono essere state provocate da determinate attività lavorative potenzialmente nocive possono trasmettere direttamente all’Inail la denuncia della diagnosi. Lo ha confermato il Garante nella risposta al quesito di un ufficio giuridico che chiedeva di verificare la legittimità, rispetto alla normativa sulla privacy, della trasmissione direttamente da parte dei medici all’Istituto assicuratore delle denunce di alcune malattie collegate alle attività lavorative dei loro pazienti. Generalmente la denuncia dell’insorgenza di malattie professionali, corredata del certificato medico contenente il domicilio dell’ammalato, il luogo in cui è ricoverato e una relazione sulla sintomatologia accusata dal paziente e una su quella rilevata dal medico certificatore, viene trasmessa dal datore di lavoro all’Istituto assicuratore, entro i cinque giorni successivi a quello nel quale il prestatore d’opera ha fatto denuncia al datore di lavoro della manifestazione della malattia (art. 53 del d. P.R. n. 11124/1965), con l’obbligo per il medico, qualora l’Inail le richieda, di fornire tutte le notizie ritenute necessarie all’espletamento della causa. Rispetto ad alcune malattie professionali elencate in un decreto vige tuttavia comunque nell’attuale ordinamento giuridico l’obbligo - per il medico che venga a conoscenza nell’esercizio della sua attività di determinate malattie professionali - di denuncia, oltre che all’azienda sanitaria locale, anche alla sede dell’Istituto assicuratore competente per territorio (art. 139 del d.P.R. n. 1124/1965 e art. 10 del decreto legislativo n.38/2000). Va ricordato, a tale proposito, che la pertinente normativa stabilisce che l’elenco delle malattie professionali, contenga anche una lista di malattie di probabile e di possibile origine lavorativa da tenere sotto osservazione ai fini dell’eventuale revisione dell’elenco. Per quanto concerne, poi, le disposizioni in materia di protezione dei dati personali, l’art. 112 del nuovo Codice, in vigore dal prossimo 1° gennaio 2004, considera di rilevante interesse pubblico i trattamenti di dati finalizzati all’attuazione della disciplina in materia di igiene e sicurezza del lavoro. Pertanto, non ravvisandosi un contrasto con il quadro normativo vigente, l’Autorità ha ribadito che non sussiste il divieto per i medici a trasmettere direttamente all’Inail la segnalazione delle predette malattie professionali potenzialmente nocive, corredate da un’anamnesi lavorativa e dai rischi e dalle sostanze alle quali il lavoratore sia, o sia stato, esposto nello svolgimento della sua prestazione professionale, purché ciò avvenga nel rispetto delle finalità prescritte dalle specifiche disposizioni in materia di assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali quali quelle previste dal principio di pertinenza (art. 9, legge 675/1996) in merito agli scopi per i quali i dati vengono raccolti.
Banche dati sulla salute: i rischi secondo il Garante “Le banche dati sulla salute dei cittadini devono contenere solo dati anonimi”. L’Autorità Garante per la protezione dei dati personali richiama l’attenzione sui delicatissimi problemi sollevati dall’art.50 del decreto legge 30 settembre, n. 269, da oggi al voto del Senato, che prevede la realizzazione di un modello di ricetta medica a lettura ottica e la costituzione di una banca dati contenente il codice fiscale di tutti gli assistiti, al fine di controllo della spesa sanitaria. Tali finalità, sicuramente apprezzabili per l’obiettivo di un più razionale monitoraggio della spesa pubblica – ha spiegato il Garante - sono tuttavia perseguite attraverso una strumentazione che violerebbe il diritto dei cittadini alla protezione dei dati personali per quanto riguarda le informazioni riguardanti la salute e quindi protette da particolari garanzie. L’Autorità ha ricordato che la legislazione vigente già prevede procedure per il monitoraggio della spesa sanitaria che non richiedono banche dati centralizzate. Tali procedure possono certamente essere rese più efficienti (permettendo, ad esempio, un rapido accertamento dei requisiti che danno diritto all’esenzione), ma non possono tradursi in una compressione del diritto alla protezione dei dati personali. Se si intende mettere a punto un sistema di controllo conforme a quanto disposto dalla normativa sulla protezione dei dati personali, l’unica soluzione corretta è quella di escludere il trattamento di qualsiasi dato identificativo degli assistiti, costituendo eventualmente un archivio di soli dati anonimi. La garanzia prevista dal legislatore laddove stabilisce che “al Ministero dell’economia e delle finanze non è consentito trattare i dati acquisiti nell’archivio relativo ai codici fiscali degli assistiti” appare, infatti, insufficiente, dal momento che la semplice esistenza di tale archivio conserva nel sistema la possibilità di risalire (ad opera di soggetti diversi) dal codice fiscale - e quindi dall’identità dell’assistito - all’intera sua storia sanitaria, documentata da ricette mediche e prescrizioni specialistiche. L’Autorità ha sottolineato che, qualora non si adottasse la soluzione dei dati anonimi, si correrebbe concretamente il rischio di introdurre nel sistema giuridico una disciplina che discriminerebbe i cittadini in base alla possibilità, per quanti possono pagare direttamente i farmaci e le prestazioni specialistiche, di non vedere inseriti i loro dati personali nella banca dati Infine, la nuova “carta
sanitaria”, aggiungendosi a quelle già annunciate o in fase di
sperimentazione, contribuirebbe alla proliferazione di carte elettroniche
della quale il Garante ha più volte sottolineato i rischi.
In caso di
“sostituzione a cascata” di un assente con diritto
alla conservazione del posto, lo svolgimento delle mansioni superiori non
è utile per il conseguimento della qualifica – In base all’art. 2103 cod.
civ. – L’art. 2103 cod. civ. stabilisce che nel caso di
assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento
corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva –
ove non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con
diritto alla conservazione del posto – dopo un periodo fissato dai
contratti collettivi e comunque non superiore a tre mesi. |