IL DIRITTO ALLA QUALIFICA DI DIRIGENTE PUO’ ESSERE RICONOSCIUTO ANCHE A CHI SIA SUBORDINATO A UN ALTRO DIRIGENTE – In base al contratto collettivo (Cassazione Sezione Lavoro n. 17520 del 30 agosto 2005, Pres. Mattone, Rel. Maiorano).
            Mario D. ha chiesto al Pretore di Milano di accertare il suo diritto alla qualifica di dirigente per le mansioni svolte alle dipendenze della Enichem s.p.a. nel periodo dal 1986 al 1995, in cui egli era preposto, con inquadramento come funzionario, al settore “finanza e controllo”. L’azienda si è difesa sostenendo che il lavoratore non aveva occupato una posizione dirigenziale, in quanto era sottoposto ad altri dirigenti e che pertanto gli era stata correttamente attribuita la qualifica di quadro di VIII livello in base al contratto collettivo del settore chimico. Sia il Pretore che, in grado di appello, il Tribunale di Milano, hanno ritenuto fondata la domanda, riconoscendo il diritto del lavoratore alla qualifica di dirigente a far tempo dal 1991. Il Tribunale ha fatto riferimento al contratto collettivo per i dirigenti industriali, applicato dall’azienda, osservando che esso prevede espressamente la qualifica di dirigente per il lavoratore che svolge “mansioni caratterizzate da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell’impresa” indicando in via esemplificativa, come appartenenti alla categoria dirigenziale, “i direttori, i condirettori, coloro che sono preposti con ampi poteri di rappresentanza e di decisione a capo di importanti servizi ed uffici, gli institori e i procuratori con poteri di rappresentanza e di decisione”. La norma collettiva – ha rilevato il Tribunale – con il riferimento a soggetti non direttori o condirettori, preposti a importanti servizi e uffici ha chiaramente inteso riconoscere il diritto alla qualifica dirigenziale anche a lavoratori che sicuramente devono rispondere a direttori e condirettori e quindi sono subordinati agli stessi. L’azienda ha proposto ricorso per cassazione sostenendo, tra l’altro, che la qualifica dirigenziale, a termini di legge, va riconosciuta solo se il lavoratore possa influenzare la vita dell’azienda, senza essere subordinato ad altri ed abbia la posizione di “alter ego” dell’imprenditore.
            La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 17520 del 30 agosto 2005, Pres. Mattone, Rel. Maiorano) ha rigettato il ricorso, confermando il suo costante indirizzo secondo cui quando l’appartenenza alla categoria dei dirigenti è espressamente regolata dalla contrattazione collettiva, si deve necessariamente fare riferimento alle relative disposizioni per stabilire l’inquadramento del lavoratore, avendo il giudice l’obbligo di attenersi ai requisiti stabiliti dalle parti sociali, che hanno valore vincolante e decisivo. La Corte ha ritenuto che, interpretando la norma collettiva nel senso che essa preveda il riconoscimento della qualifica dirigenziale anche a soggetti sottoposti ad altri dirigenti, il Tribunale abbia correttamente applicato le regole di ermeneutica.

 


I LAVORATORI HANNO DIRITTO DI RIPOSARE NELLE FESTIVITÀ INFRASETTIMANALI –
L’azienda non può pretendere la prestazione lavorativa (Cassazione Sezione Lavoro n. 16634 dell’8 agosto 2005, Pres. Mileo, Rel. Balletti).
            La Fondazione Teatro alla Scala di Milano ha promosso davanti al Tribunale di Milano Sezione Lavoro un giudizio nei confronti di Felice B. e di altri 157 dipendenti tecnici di palcoscenico al fine di fare accertare l’obbligo di tali lavoratori a rendere la prestazione lavorativa anche nelle giornate festive infrasettimanali, in caso di esigenze aziendali.
            Il Tribunale ha rigettato la domanda, affermando il diritto dei lavoratori di astenersi dal lavoro nei giorni delle festività infrasettimanali. Questa decisione è stata riformata dalla Corte di Appello che ha invece ritenuto applicabile in via analogica alle festività infrasettimanali la disciplina del riposo domenicale, che è suscettibile di spostamento. I lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte di Appello per violazione di legge.
            La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 16634 dell’8 agosto 2005, Pres. Mileo, Rel. Balletti) ha accolto il ricorso. Ai lavoratori – ha affermato la Corte – deve essere riconosciuto il diritto soggettivo di astenersi dal lavoro in occasione delle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose, senza possibilità di applicazione in via analogica della normativa relativa al riposo settimanale. Il legislatore – ha osservato la Corte – ha espressamente limitato (art. 5 L n. 260/1949) il suo intervento alla regolamentazione del trattamento economico dovuto ai lavoratori nel caso in cui presti la sua opera nelle festività infrasettimanali ed ha espressamente stabilito soltanto per il personale dipendente delle istituzioni sanitarie pubbliche e private l’eventuale obbligo di prestare lavoro in tali festività per ragioni inerenti alle esigenze di servizio (legge n. 520/1952). Non esiste peraltro il divieto assoluto di prestare lavoro nelle festività infrasettimanali, giacché è possibile derogarvi mediante accordo tra le parti.
 


 


L’indennità di malattia deve essere corrisposta al lavoratore in caso di ritardato invio del certificato medico per seri motivi – Che devono essere da lui provati – Il diritto del lavoratore all’indennità di malattia è condizionato all’adempimento dell’onere di invio all’INPS del certificato medico entro il termine perentorio di due giorni dal suo rilascio. L’omesso o ritardato invio dà luogo a perdita dell’indennità in tutto o limitatamente ai giorni di ritardo. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 143 del 1988 ha ritenuto peraltro che “è eccessivamente gravoso e vessatorio l’onere dell’invio del certificato medico all’INPS entro il termine di due giorni, classificato come perentorio, senza consentire al lavoratore ammalato di addurre, a giustificazione dell’eventuale ritardo nell’inoltro, un serio ed apprezzabile motivo, da provarsi dallo stesso lavoratore, sia pure rigorosamente.
            Per potere affermare il diritto del lavoratore all’indennità di malattia anche in caso di ritardato invio del certificato medico all’INPS, il giudice del merito deve adeguatamente motivare l’accertamento di un serio e apprezzabile motivo che possa avere giustificato tale ritardo (Cassazione Sezione Lavoro n. 16627 dell’8 agosto 2005, Pres. Mileo, Rel. Figurelli).