Privacy: accertamenti negli alberghi
I clienti devono essere informati sull’uso dei dati forniti e devono poter decidere se acconsentire all’invio di pubblicità.
Dati rilevati per legge, ma utilizzati a fini pubblicitari senza il consenso dell’utente. Il Garante della privacy sta compiendo accertamenti sull’abitudine di alcuni alberghi di utilizzare per l’invio di proposte commerciali i dati rilasciati dai clienti per l’identificazione (obbligatoria).
In particolare l’Autorità vuole verificare la correttezza e la completezza delle informazioni, fornite ai clienti al momento della registrazione, su uso, conservazione, eventuale comunicazione a terzi dei dati personali e sulle modalità di raccolta del consenso, necessario per il trattamento da parte di privati.

L’Autorità intende accertare, in particolare, la presenza di una idonea informativa sulle “schede di dichiarazione” in cui si riportano, sottoscritti dal cliente, nome, cognome, data di nascita, residenza e che secondo quanto previsto dalle leggi di pubblica sicurezza devono essere trasmesse in questura entro ventiquattro ore dall’arrivo in albergo.

Secondo il Garante l’informativa deve essere formulata in modo chiaro e comprensibile e deve consentire al cliente opzioni diverse sull’uso dei dati personali che sta dichiarando. Purtroppo invece non è raro il caso in cui con un’unica firma necessaria venga carpita anche l’autorizzazione all’invio di materiale commerciale o pubblicitario o la comunicazione dei dati a terzi.

 

 

 

 

Istruzione: equiparazione dei diplomi di laurea

Lo scorso 21 agosto è' stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto del ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca (firmato dal Ministro Moratti lo scorso 5 marzo dopo la pronuncia favorevole del Consiglio Universitario Nazionale) contenente la tabella di equiparazione dei diplomi di laurea (DL) conseguiti con il vecchio ordinamento con i nuovi diplomi di laurea specialistica (LS) valida ai fini della partecipazione ai concorsi pubblici. Attualmente, nel nostro ordinamento, il sistema universitario comprende un diploma di laurea di primo livello (dopo un triennio di studi) e un diploma di secondo livello (dopo un biennio di studi specialistici) ed è regolamentato dai decreti ministeriali 28/11/2000 e 12/4/2001.

(Data: 10/09/2004 - Autore: Marina Demaria)
 

 

 

 

 

 

Cassazione: Responsabilità medica in caso di diagnosi errata

La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. 4400/2004) ha stabilito che in tema di responsabilità contrattuale del medico che si sia reso responsabile di una diagnosi errata, integrante di per sè l'inadempimento, in presenza di un quadro clinico complesso per la gravità della patologia e le precarie condizioni di salute del paziente, la prova della mancanza di colpa per la morte del paziente deve essere fornita dal debitore della prestazione, e dell'eventuale situazione di incertezza sulla stessa si deve giovare il creditore e non il debitore. I Giudici hanno inoltre precisato che il nesso causale tra la condotta omissiva del medico e la morte del paziente può ritenersi sussistente quando ricorrano due requisiti a) la ragionevole probabilità (da valutare con riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, e non soltanto con riferimento alla statistica clinica) che, se il medico avesse tenuto la condotta omessa, il paziente sarebbe sopravvissuto; b) la mancanza di prova della preesistenza, concomitanza o sopravvenienza di altri fattori determinanti l'"exitus". Con questa decisione la Corte ha cassato la Sentenza di merito che non aveva fatto corretta applicazione del principio sulla ripartizione dell'onere probatorio in quanto, in una situazione in cui al paziente, presentatosi presso un Pronto Soccorso, non era stato diagnosticato sulla base del solo esame clinico l'aneurisma addominale in atto, si era ritenuto che il medico di turno fosse esente da colpa, nell'incertezza circa la presenza di acuti dolori addominali che avrebbero consentito la diagnosi immediata.

(Data: 27/07/2004 - Autore: Cristina Matricardi)

 


 

 

 

 

Cassazione: anche 'tu non sei nessuno' diventa 'off limits'

Da oggi anche l'espressione 'Tu non sei nessuno' diventa 'off limits'. Ad allungare la lista delle frasi da mettere al bando, la Corte di Cassazione che ha reso definitiva la condanna per il reato di ingiurie a Giulio C., 'reo' di aver inveito contro un parcheggiatore dicendogli 'tu non sei nessuno'. Per la Suprema Corte, l'espressione alla quale a volte si ricorre nel colmo di uno scontro e' ''offensiva'' e ''lesiva della dignita'' della persona. Invano l'autore della frase ha protestato in Cassazione. La Quinta sezione penale (sentenza 29241), confermando il verdetto del Tribunale di Trieste, ha dichiarato ''inammissibile'' il ricorso. Il relatore Gennaro Marasca scrive che ''la frase 'tu non sei nessuno' significa precisamente affermare che una persona e' una nullita' e, per la coscienza comune e' certamente offensivo, perche' lesivo del decoro di una persona, ovvero della dignita' fisica, sociale ed intellettuale''. Per effetto della inammissibilita' del ricorso, Giulio C. dovra' versare anche 500 euro alla cassa delle ammende

 

 
 

 

Sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite sul fenomeno del Mobbing.

 


 

Da  “il GIORNALE  nuovo DEI MILITARI”, con piacere, apprendiamo e volentieri riportiamo una notizia che interesserà molti: finalmente la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha stabilito che la cognizione del danno da mobbing,  in un rapporto di lavoro pubblico, spetta al Giudice Amministrativo, trattandosi di una violazione contrattuale e non extracontrattuale che, diversamente, avrebbe comportato la competenza del Giudice ordinario nella veste di Giudice del lavoro.

In allegato l’articolo de “il GIORNALE nuovo DEI MILITARI”  per la cui pubblicazione ringraziamo l’amica Antonella Manotti.

IL    RISARCIMENTO  DA MOBBING

 

L’azione di risarcimento del danno da mobbing ha natura contrattuale perché discende dalla violazione da parte del datore di lavoro di obblighi che trovano la loro fonte direttamente nel contratto di lavoro.

Questo il principio pronunciato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite il 4 maggio 2004, n. 8438, nella controversia relativa ad un rapporto di lavoro pubblico, dove la scelta tra la natura contrattuale o extra contrattuale del risarcimento del danno da mobbing, ha estrema rilevanza ai fini della determinazione del giudice che ha giurisdizione per la cognizione della causa.

Infatti, qualora si tratti di azione contrattuale, la cognizione della domanda di risarcimento del danno rientrerebbe nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, purchè comunque la controversia abbia per oggetto una questione relativa a un periodo antecedente al 30 giugno 1998, cioè prima della data a partire dalla quale il decreto legislativo 80 del 1998 ha devoluto al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione.

Diversamente, qualora, si tratti di azione extracontrattuale, la giurisdizione apparterrebbe al giudice ordinario.

Considerata la natura contrattuale, pertanto, come stabilito dalla sentenza in esame,, l’azione di risarcimento del danno da mobbing nei confronti di un datore di lavoro pubblico deve essere  esperita davanti al giudice amministrativo.

Dopo anni di contrasto giurisprudenziale circa la natura contrattuale o extracontrattuale del risarcimento del danno da mobbing, la Corte  di cassazione, quindi, condivide l’orientamento di quella parte di giurisprudenza che sostiene che il danno da mobbing abbia natura  contrattuale.

Molto interessante è la motivazione di questa scelta.

La Corte inizialmente indaga sull’utilizzo del termine mobbing per indicare “ pratiche vessatorie, poste in essere da uno o più soggetti diversi per danneggiare in modo sistematico un lavoratore nel suo ambiente di lavoro”, conclude affermando che tali comportamenti altro non sono se non violazioni di specifici obblighi contrattuali derivanti dal rapporto di lavoro, rappresentando dei tipici atti di esercizio del potere datoriale, posti in essere in violazione del principio di protezione delle condizioni di lavoro, oltre che della tutela della professionalità prevista dall’articolo 2103 del Codice civile. Quanto poi alla determinazione del momento in cui tali eventi lesivi devono considerarsi verificati, la sentenza, ricordando un precedente del 2000, precisa che se la lesione del diritto del lavoratore è prodotta con un atto con natura di provvedimenti o negoziale, deve farsi riferimento alla sua emanazione; altrimenti, se la pretesa deriva da un comportamento illecito del datore di lavoro, si deve far riferimento al momento di realizzazione del fatto dannoso.

A tal fine, a dire della Corte, ciò che rileva nel  mobbing “ non è il danno, ma il rapporto eziologico tra questo ed il comportamento contra ius dell’agente” indipendentemente dal fatto che tali comportamenti o i loro effetti si protraggano nel tempo.

Si segnala, peraltro che tale sentenza è stata pubblicata in un periodo di grande e diffuso interesse per il fenomeno del mobbing.

Basta a tal fine, pensare alla circolare Inail n. 71 del 17 dicembre 2003 che ha espressamente fatto rientrare nel rischio coperto dall’assicurazione tutte le situazioni di costrittività organizzata sul lavoro (tra cui lo svuotamento di mansioni, la mancata assegnazione di strumenti di lavoro e la marginalizzazione dell’attività lavorativa).