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NEL RAPPORTO DI FORMAZIONE E LAVORO, L’ADDESTRAMENTO NON PUO’ ESSERE LIMITATO ALLO SVOLGIMENTO DELLE MANSIONI TIPICHE DEL PROFILO PROFESSIONALE CON LA SUPERVISIONE DEL SUPERIORE GERARCHICO - I richiami rivolti al lavoratore in caso di errori non costituiscono attività formativa (Cassazione, Sezione Lavoro n. 1006 del 23 gennaio 2003, Pres. Mercurio, Rel. Morcavallo).
Luigi D. è stato assunto alle dipendenze della S.r.l. DIMO con contratto di formazione e lavoro di durata biennale, che prevedeva l’inquadramento iniziale nel sesto livello e il raggiungimento finale del quinto livello come preparatore di commissioni per la spedizione della merce. Scaduto il biennio, l’azienda ha posto termine al rapporto. Il lavoratore ha chiesto al Pretore di Latina di accertare l’esistenza di un normale rapporto di lavoro, di dichiarare la nullità del termine apposto al contratto e di condannare l’azienda a reintegrarlo nel suo posto e a risarcirgli i danni. Egli ha sostenuto che non gli era stato consegnato il progetto di formazione e che nei suoi confronti non era stata svolta alcuna attività formativa. Il Pretore, dopo aver sentito alcuni testimoni, ha rigettato la domanda, in quanto ha ritenuto che tra le parti si sia effettivamente svolto un rapporto di formazione e lavoro. Questa decisione è stata riformata, in grado di appello, dal Tribunale di Latina che ha accolto le domande proposte dal lavoratore, osservando che la mancata consegna del progetto di formazione rilevava, nella specie, non tanto come autonoma causa di invalidità, quanto come circostanza che aveva impedito il controllo sul concreto svolgimento dell’attività formativa, avente ad oggetto l’acquisizione dell’esperienza necessaria per svolgere le mansioni di preparatore di commissioni per la spedizione della merce; dalla prova testimoniale era emerso che l’inserimento del lavoratore nella posizione cui era preordinata la formazione era stata immediata e non graduale, mentre l’iniziale addestramento gli era stato impartito non dal titolare o dai suoi più diretti collaboratori, come previsto in contratto, bensì da un operaio di pari livello professionale che esercitava le medesime mansioni; l’espletamento del programma formativo si era risolto nel mero richiamo del lavoratore le volte in cui sbagliava, con la spiegazione degli errori commessi, senza alcuna formazione teorica; il lavoratore aveva svolto costantemente lavoro straordinario, mentre il contratto prevedeva un orario di 40 ore a settimana; in definitiva, tutte tali circostanze, ivi compreso il controllo gerarchico ed il richiamo del dipendente nel caso di non perfetta esecuzione della prestazione, erano espressione della natura subordinata del rapporto e non già dell’espletamento di un’attività di formazione professionale.L’azienda ha proposto ricorso per cassazione, censurando la sentenza impugnata per violazione della legge n. 863 del 1984 che disciplina i contratti di formazione e lavoro.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 1006 del 23 gennaio 2003, Pres. Mercurio, Rel. Morcavallo) ha rigettato il ricorso.Nel contratto di formazione e lavoro l’attività formativa, che è compresa nella causa del contratto -ha osservato la Corte- è modulabile in relazione alla natura e alle caratteristiche delle mansioni che il lavoratore è chiamato a svolgere, potendo assumere maggiore o minore rilievo, a seconda che si tratti di lavoro di elevata professionalità o di semplici prestazioni di mera esecuzione, e potendo atteggiarsi con anticipazione della fase teorica rispetto a quella pratica, o viceversa. E’ necessario, peraltro, in ogni caso, che lo svolgimento dell’attività formativa sia adeguato ed effettivamente idoneo a raggiungere lo scopo del contratto, che è quello di attuare una sorta di ingresso guidato del giovane nel mondo del lavoro; e la valutazione di tale adeguatezza e idoneità è rimessa al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivata.
Nella specie -ha rilevato la
Corte- i giudici di merito, pur senza escludere che la formazione possa
avvenire durante lo svolgimento delle mansioni, hanno tuttavia escluso che
la datrice di lavoro avesse provato di avere posto in essere una effettiva
attività formativa; in particolare, avendo constatato, in punto di fatto,
che l’addestramento non trascendeva il mero svolgimento delle mansioni
tipiche del profilo professionale previsto in contratto, con la supervisione
del superiore gerarchico ed il richiamo in caso di errori nella esecuzione
della prestazione, il Tribunale ha correttamente escluso che tali modalità
potessero configurare l’adempimento dell’obbligazione – assunta
contrattualmente dalla datrice di lavoro – di impartire la formazione
professionale relativa al conseguimento della qualifica prevista.
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Natascia C. ha vinto un concorso bandito nel 1995 dall’amministrazione provinciale di Roma, che l’ha assunta come assistente di biblioteca con contratto del giugno 1999, destinandola ad un Liceo Scientifico. Poco prima della sua assunzione, il 25 maggio 1999, è entrata in vigore la legge 3 maggio 1999 n. 124 recante disposizioni urgenti in materia di personale scolastico. La legge stabiliva che: a) il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario, dipendente dagli Enti locali ed in servizio nelle istituzioni scolastiche statali alla data di entrata in vigore della legge medesima, transitasse alle dipendenze dello Stato, con inquadramento in qualifiche funzionali e profili professionali corrispondenti a quelli di provenienza, nonché con conservazione, ad ogni effetto, della pregressa anzianità e della sede di lavoro; b) in difetto di tale corrispondenza, il personale interessato poteva esercitare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, l’opzione per il mantenimento del rapporto con l’Ente locale.
Mentre la legge prevedeva il passaggio allo Stato del personale degli Enti locali in servizio alla data della sua entrata in vigore (25 maggio 1999), nelle norme di attuazione, emanate dal Ministro della Pubblica Istruzione con decreto n. 184 del 23 luglio 1999, si è stabilito che il passaggio avvenisse anche per il personale degli Enti locali assunto successivamente al 25 maggio 1999 e sino al 31 dicembre dello stesso anno.
Natascia C., assunta dopo l’entrata in vigore della legge, ha chiesto di restare nei ruoli dell’Amministrazione Provinciale, in applicazione della legge stessa. La sua richiesta è stata respinta dall’Amministrazione, che ha fatto riferimento, anziché alla legge, al regolamento di attuazione emanato con il decreto n. 184 del 23 luglio 1999. L’impiegata si è rivolta al Tribunale di Roma, chiedendo in via d’urgenza la sospensione del suo trasferimento alle dipendenze dello Stato e nel merito che fosse accertata l’illegittimità di tale provvedimento in base alla legge n. 124 del 1999, che consentiva il trasferimento solo per il personale assunto prima della sua entrata in vigore.
La richiesta di sospensione in via d’urgenza è stata rigettata. Il Tribunale ha rilevato che il trasferimento era stato disposto in base al decreto ministeriale n. 184 del 1999 ed ha ritenuto che tale provvedimento, in quanto avente natura normativa, con caratteristiche di generalità ed astrattezza, non fosse disapplicabile da parte del giudice ordinario e dovesse essere impugnato davanti al giudice amministrativo.
Natascia C. ha proposto, nel corso del giudizio di merito, regolamento preventivo di giurisdizione, chiedendo alla Suprema Corte di affermare la giurisdizione del giudice ordinario.
La Suprema Corte (Sezioni
Unite Civili n. 1807 del 6 febbraio 2003, Pres. Corona, Rel. Evangelista)
ha accolto il ricorso. Con la “privatizzazione” del rapporto di pubblico
impiego –ha affermato la Corte- il legislatore ha attribuito al giudice
ordinario il controllo non solo degli atti di organizzazione e gestione dei
rapporti di lavoro, ma anche dell’atto amministrativo “presupposto”; a tal
fine va utilizzato dal giudice ordinario lo strumento della cognizione in
via incidentale, senza effetti di giudicato, dell’atto amministrativo. Anche
nelle materie riservate alla legge e sottratte alla contrattazione, le
situazioni giuridiche del dipendente pubblico –ha affermato la Corte- hanno,
se inerenti al rapporto, la consistenza del diritto soggettivo; le linee
generali del nuovo sistema sono coerenti al fenomeno di un’amministrazione
che si procura anche le risorse umane mediante la stipula di contratti di
tipo privato, al pari degli altri mezzi e beni (che si procura, per esempio,
con contratti di appalto o fornitura).