Nuove disposizioni in materia di beni confiscati alla malavita

Vari progetti di legge tendono a modificare la legge n. 575 del 1965 in materia di utilizzo e destinazione dei beni confiscati alla malavita. L'atto senato n. 2140, di prossima discussione, favorisce la possibilità di risolvere l'annoso problema della cronica carenza di caserme per le forze dell'ordine sul territorio.
La destinazione e la gestione dei beni confiscati alla malavita organizzata, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, costituiscono ormai un problema assai delicato, in considerazione dell'ormai acclarata inadeguatezza della predetta normativa.
Infatti tali beni vengono trasferiti al demanio dello Stato e successivamente, sentito il parere dei Prefetti e dei sindaci dei comuni in cui tali beni si trovano, vengono destinati ad attività socialmente utili.
Il percorso procedurale è lento e farraginoso - tanto per la tempistica che per l'enorme mole di passaggi burocratici da rispettare - e, a volte, si rivela inutile per l'inadeguatezza e l'inattività delle istituzioni chiamate ad assolvere ad uno dei momenti del complesso procedimento voluto dal legislatore a scopi puramente garantistici, ma poco considerando l'aspetto dell'efficacia e dell'efficienza.
A superare tali disfunzioni mirano i numerosi progetti di legge che sono stati presentati in ambedue i rami del Parlamento, ma il cui esame, purtroppo, non è ancora iniziato.
Miglior fortuna sembra avere il disegno di legge Atto Senato n. 2140, presentato nel marzo scorso, ma che, in virtù del fatto di essere stato fatto proprio da un gruppo parlamentare lo scorso 3 luglio, a norma del Regolamento dovrà obbligatoriamente iniziare la trattazione entro un mese da questa data.
A calcoli fatti, certamente, si comprende che il 2 agosto con estrema probabilità le Camere saranno in pausa estiva, ma, in ogni caso l'essere già stato assegnato in Commissione permetterà a tale progetto quantomeno la presa effettiva in considerazione alla riapertura estiva.
L'Atto Senato 2140 è titolato " Disposizioni in materia di gestione e destinazione di beni confiscati ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575.
Innanzitutto tale progetto di legge mira a superare la logica ed il contesto del "Commissario straordinario del Governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali" di cui al decreto del Presidentte della Repubblica del 19 gennaio 2001, e snellire il procedimento successivo alla confisca definitiva. Inoltre è necessario valorizzare, in materia, la figura del Prefetto, istituzione - come si può leggere nella relazione della legge - " che costituisce la rappresentazione più autorevole e più qualificata dello Stato democratico nel territorio".
Ulteriore esigenza, è la esplicita previsione di risorse finanziarie da destinare al recupero funzionale dei beni confiscati, troppo spesso ridotti in stato di abbandono dopo lunghi anni di approssimativa e superficiale amministrazione giudiziaria.
Nel dettaglio il disegno di legge prevede, all'articolo 1, l'istituzione dell'Agenzia nazionale per la gestione e la destinazione dei beni confiscati, alla quale passano le competenze del predetto Commissario, e che opera alla diretta dipendenza funzionale del Ministero dell'Interno. Per il funzionamento di tale agenzia è autorizzata la spesa di circa 100.000 euro all'anno.
L'articolo 2, in sostanza, destina i beni confiscati allo Stato e stabilisce che dopo la confisca definitiva, l'amministratore di tali beni opera sotto il controllo dell'Agenzia di cui all'articolo 1.
E' l'Agenzia che destina i beni confiscati, secondo quanto stabilisce l'articolo 3, ma sentito il parere del Prefetto della provincia in cui i beni si trovano: è questa una ulteriore e importante conferma del ruolo del Prefetto e del riconoscimento dell'infungibile livello di conoscenza delle esigenze del territorio che egli possiede.
Ancor più importante è la disposizione del terzo comma dell'articolo 3 che prevede che possa essere il Prefetto a proporre la destinazione dei beni.
L'articolo 4 stabilisce infine che l'Agenzia consegna il bene confiscato al soggetto assegnatario.
I restanti articoli si occupano delle modalità organizzative e normative della istituenda Agenzia e "il passaggio delle consegne" con l'attuale Commissario straordinario.
Fin qui il disegno di legge che, collegato però ad un altro problema, diventato di estrema attualità in questi ultimi mesi: la carenza "immobiliare" delle dotazioni delle forze dell'ordine.
Nell'ottica delle pesanti riduzioni finanziarie a seguito della politica economica del Governo, spesso le Forze dell'ordine si sono lamentati dei pesanti tagli monetari. Lo scorso 4 giugno, rispondendo ad un interrogazione a risposta immediata in Aula Camera, il Minsitro dell'Interno lamentò questa "carenza immobiliare", dovuta a varie ragioni, fra cui l'indisponibilità degli immobili, la difficoltà degli enti locali di accollarsi le spese per il mantenimento di essi, pur condividendo anch'essi l'esigenza della sicurezza pubblica integrata, nell'ottica della nuova condivisione dei poteri tipica dello stato federale, concludendo, amaramente, che la situazione non vedeva, al momento, sicure e definitive vie d'uscita.
Una risposta ineccepibile dal punto di vista del realismo finanziario, ma, certamente preoccupante dal punto di vista dell'ordine e della sicurezza pubblica, uno dei cui elementi essenziali è la "presenza fisica" delle sedi territoriali delle forze dell'ordine, che possa fungere da deterrente prodromico al compimento di attività illegali.
Proprio questo disegno di legge potrebbe fungere da veicolo per risolvere la situazione.
Se il Prefetto, constatata la presenza di un immobile da confiscare in un'area ove è necessaria la presenza di un sito per la Polizia, o i Carabinieri, o la Guardia di Finanza - considerando che la malavita, fra l'altro, non risparmia in qualità per le proprie abitazioni - propone all'Agenzia che "immediatamente" tale immobile sia assegnato alle Forze dell'Ordine, si risparmierebbero tempo e denaro, ma, soprattutto, si conderirebbe un risarcimento a tutte le vittime delle Forze dell'ordine che sacrificano la propria vita, o la propria completa incolumità fisica, proprio per perseguire i criminali.
Sarebbe una sorta di positiva legge del contrappasso, così come è già stato effettuato in altre occasioni, ove immobili e terreni appartenenti a trafficanti di droga sono serviti proprio per garantire la costruzione di comunità di recupero.
 



 

Opposizione al Giudice di Pace: 30 o 60 giorni ?

Il dilemma sembrava quasi definitivamente risolto con la sentenza della Corte di Cassazione sez. III civ., 29 settembre 1999, n. 10768, sancendo una sorta di equilibrio nel meccanismo del sistema sanzionatorio in materia di violazioni al codice della strada.
In definitiva, al fine di "realizzare in maniera più compiuta la tutela giurisdizionale", si parificava il termine di 60 giorni per proporre ricorso alla competente Prefettura, proporre opposizione all'Autorità giudiziaria, e per ammettere il pagamento in misura ridotta.
A fronte di una giurisprudenza ormai costante circa la duplice possibilità di tutela da parte del trasgressore : ricorso al prefetto, nei modi indicati dall'art. 203 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, oppure opposizione contro il verbale di accertata violazione nei modi indicati dall'art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689, continua invece il dilemma circa il termine di impugnazione del verbale all'Autorità giudiziaria competente. (Giudice di Pace)
Un'ordinanza del 21 maggio 2001 del Giudice di Pace di Torino smentisce infatti la Cassazione ribadendo il termine di 30 giorni.
Una cosa è invece certa, sarà comunque il Giudice di merito a dichiarare inammissibile o rimettere in termini il ricorso considerato nella circostanza tardivo.

Sentenza della Corte di Cassazione sez. III civ., 29 settembre 1999, n. 10768


REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

 

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Manfredo GROSSI - Presidente -
Dott. Antonio LIMONGELLI - Consigliere -
Dott. Luigi Francesco DI NANNI - Rel. Consigliere -
Dott. Alberto TALEVI - Consigliere -
Dott. Alfonso AMATUCCI - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso proposto da:
ANDRETTA CARMINE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ASIAGO 8, presso lo studio dell'avvocato GIANCARLO SABBADINI, che lo difende, con procura speciale del dott. Notaio Luca Sabbadini Fano 5-1-1998
Repertorio n. 1.646;

- ricorrente -
contro

PREFETTO TERNI, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso gli uffici dell'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difeso per legge;

- controricorrente -

avverso il provvedimento del Pretore di TERNI, depositato il 06-11-97; RG. 1184-97;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26-03-99 dal Consigliere Dott. Luigi Francesco DI NANNI;
udito l'Avvocato DIEGO GIORDANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo NARDI che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

FATTO

1. Carmine Andretta, con ricorso del 6 novembre 1997 rivolto al pretore di Terni, ha proposto opposizione contro il verbale della polizia stradale di Perugia, con il quale gli erano state contestate infrazioni al codice stradale, ed ha eccepito, tra l'altro, che il verbale era stato notificato oltre il termine di sessanta giorni stabilito per legge.

2. Il pretore, con ordinanza del 6 novembre 1997, ha dichiarato l'inammissibilità dell'opposizione, fondando la decisione sulle ragioni che l'opposizione era stata proposta oltre il termine di trenta giorni dalla notificazione del verbale di contravvenzione e che l'atto di contestazione della contravvenzione non era immediatamente impugnabile davanti all'autorità giudiziaria.

3. Carmine Andretta ha proposto ricorso per cassazione, articolandolo in due motivi illustrati con memoria. Resiste con controricorso l'Avvocatura generale dello Stato nell'interesse del Prefetto di Terni.

DIRITTO

1. Il primo motivo del ricorso è rivolto contro la dichiarazione di inammissibilità dell'opposizione per la ragione che l'opposizione era stata proposta oltre il termine di trenta giorni dalla notificazione del verbale di contravvenzione.
Il pretore ha ritenuto che l'impugnativa diretta del verbale di contestazione di illecito amministrativo davanti all'autorità giudiziaria deve essere svolta mediante ricorso da depositarsi nella cancelleria del giudice nel termine di trenta giorni dalla notificazione del verbale di contestazione e che tale termine era scaduto.
Il ricorrente sostiene che il termine di trenta giorni indicato dal pretore si riferisce al verbale esecutivo e che per l'impugnativa del verbale di contravvenzione da lui proposta è stabilito il maggior termine di sessanta giorni: primo motivo di violazione e falsa applicazione dell'art. 203 d.legs. n. 285 del 1992.
Con il secondo motivo del ricorso è censurato il capo della decisione con il quale è stato dichiarato che il verbale di contravvenzione oggetto del ricorso non è direttamente impugnabile con l'opposizione in sede giudiziale: censura di insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all'art. 23 della legge 689 del 1981, all'art. 203 del nuovo codice della strada ed all'art. 1 del dl. n. 270 del 1996. Il primo motivo è fondato secondo quanto si dirà.

2. In materia di sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni al codice della strada la Corte costituzionale, investita della questione di legittimità dell'art. 203 del codice della strada, ha ritenuto, con "interpretazione adeguatrice" alla disposizione contenuta nell'art. 24 della Costituzione, che il previo ricorso amministrativo contro il verbale di accertamento della contravvenzione è facoltativo e non condiziona l'impugnazione in via giurisdizionale.
La Corte ha soggiunto che "mancando una specifica disciplina circa i termini e le modalità da osservarsi per l'esperimento dell'azione giudiziaria ... spetta al giudice dinanzi al quale l'azione è proposta di verificare, alla stregua del diritto vigente, il quomodo ed il quando della sua esperibilità, affinchè la tutela risulti assicurata nella sua pienezza": sent. 23 giugno 1994 n. 255, seguita dalle decisioni n. 311 del 1994, n. 315 del 1995 e 437 del 1995.
La giurisprudenza di questa Corte ha ricavato da queste pronunce il principio che nella materia il contravventore ha la possibilità di esperire il ricorso al prefetto, nei modi indicati dall'art. 203 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, oppure di proporre opposizione contro il verbale di contravvenzione nei modi indicati dall'art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689: ss.uu. 1 luglio 1997, n. 5897.
La stessa giurisprudenza ha ritenuto che il contravventore può proporre opposizione anche contro il verbale di accertamento dell'infrazione perché la mancanza dell'ordinanza ingiunzione lo ha privato del rimedio attribuito dalla legge e che tale momento di garanzia deve essere recuperato a livello di verbale di contravvenzione al codice della strada: ss.uu. 10 gennaio 1992, n. 190; 23 novembre 1995, n. 12107; 21 agosto 1998, n. 8310; 7 novembre 1998, n. 11244; 20 gennaio 1999 n. 482; 22 gennaio 1999, n. 574. La soluzione è condivisibile, in quanto riconosce il dispiegarsi del diritto di difesa giurisdizionale che, diversamente, risulterebbe ingiustificatamente limitato.

3. Si pone a questo punto il problema, che deve essere risolto con efficacia decisoria in questo giudizio, del termine (perentorio) entro il quale deve essere proposta l'opposizione giudiziale contro il verbale di accertamento della contravvenzione.

3.1. La tesi, secondo la quale il termine è quello di trenta giorni dalla notifica del verbale di accertamento della contravvenzione, seguita da una parte della giurisprudenza di merito e da Cass. 20 gennaio 1999 n. 482, aveva un riscontro normativo nel decreto legge 17 maggio 1996, n. 270; il decreto, tuttavia, non è stato convertito in legge, nè riproposto ed ha perduto ogni efficacia sin dall'inizio. Da questo primo punto di vista non è, quindi, condivisibile.
Essa, inoltre, presenta l'inconveniente di interferire con il termine per il pagamento in misura ridotta indicato dall'art. 202 del codice della strada, che è di sessanta giorni dalla contestazione o dalla notificazione della violazione ed estingue l'azione amministrativa e di determinare una preclusione dell'azione giudiziaria in pendenza del termine, anch'esso di sessanta giorni, per proporre il ricorso al prefetto indicato dal successivo art. 203.

3.2. Si deve quindi ritenere che l'opposizione contro il verbale di contravvenzione al codice della strada deve essere determinato in sessanta giorni dalla contestazione della contravvenzione o dalla notificazione di questo atto. Discende da ciò che, nel termine di sessanta giorni prima indicato, il sistema vigente offre al contravventore un ventaglio di possibilità: pagamento in misura ridotta della contravvenzione; proposizione del ricorso al prefetto; proposizione dell'opposizione davanti all'autorità giudiziaria.
La soluzione indicata è da preferire all'altra anche perchè consente i seguenti vantaggi: - realizzare nella maniera più compiuta la tutela giurisdizionale; - non porre nel nulla la tutela amministrativa che sarebbe preclusa dalla proposizione di quella giudiziaria; - non vanificare la stessa tutela giudiziaria per avvenuto pagamento in misura ridotta.

4.1. Da queste premesse discende che, nel caso in cui l'interessato propone direttamente l'opposizione davanti al pretore, l'atto deve essere depositato, a pena di inammissibilità, nella cancelleria del giudice nel termine di sessanta giorni dalla contestazione o dalla notificazione della contravvenzione: artt. 22, primo comma, e 23, primo comma della legge 689 del 1981.

4.2. L'obbiezione che il termine predetto possa decorrere dalla data in cui il verbale di contravvenzione sia diventato esecutivo non è condivisibile. Il terzo comma del citato art. 23 dispone che "qualora nei termini previsti non sia stato proposto ricorso (al prefetto) e non sia avvenuto il pagamento ..., il verbale, in deroga alle disposizioni di cui all'art. 17 della legge 24 novembre 1981 n. 698, costituisce titolo esecutivo ...". Come risulta testualmente, la norma pone l'esecutività del verbale di contestazione come conseguenza della mancata opposizione all'ingiunzione, ma non sposta in avanti il termine per la proposizione di questa.

5. Conclusivamente la sentenza impugnata, la quale non si è attenuta ai principi prima indicati deve essere cassata con rinvio. La decisione comprende l'esame del secondo motivo del ricorso il quale, come risulta dalla motivazione che precede, è rigettato. 6. Il rinvio della causa deve essere disposto al tribunale di Terni.
Infatti, ai sensi dell'art. 247 del decreto legislativo 19 febbraio 1998 n. 51, modificato dall'art. 1 della legge 16 giugno 1998 n. 188 e non ulteriormente emendato nella materia che qui interessa dal recente d.l. 24 maggio 1999 n. 145, il giorno 2 giugno 1999 sono divenute efficaci le seguenti norme: - l'art. 1 del d.lgs. 19 febbraio 1998 n. 51 citato, il quale ha disposto la soppressione dell'ufficio del pretore, fatta salva l'attività necessaria per l'esaurimento degli affari pendenti; - l'art. 49 di detto decreto, il quale ha abrogato l'art. 8 del codice di procedura civile contenente disposizioni sulla competenza del pretore; - il successivo art. 50, il quale ha modificato l'art. 9 dello stesso codice di procedura, disponendo che il tribunale è competente per tutte le cause che non sono di competenza di altro giudice.
La determinazione delle spese di questo giudizio può essere devoluta al giudice del rinvio.

P. Q. M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e rigetta il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio anche per le spese di questo giudizio al tribunale di Terni.

Così deciso in Roma, il 4 giugno 1999, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione.

Ugo Sergio Auteri

 

 


 

 

Corte di Cassazione sez. I Civile - Sentenza 28 agosto 2001 n.11293

Autovelox
Non costituisce obbligo imprescindibile la contestazione immediata


SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

 

SENTENZA n.11293/2001



SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


In data 23.10.1997 M. D. proponeva opposizione avverso l'ordinanza ingiunzione emessa dal Prefetto di La Spezia, con la quale gli si chiedeva il pagamento della somma di £ 432.000, a titolo di sanzione amministrativa, per avere violato il disposto dell'art.142/8 del c.d.s..

Assumeva l'opponente che la contestazione era illegittima in quanto fondata solo sulle risultanze fotografiche che possono costituire supporto alle attività di controllo ma non le possono sostituire; in quanto non si era proceduto alla contestazione personale immediata dell'infrazione e vi era una situazione di incertezza in ordine alle modalità del rilievo.

Con sentenza in data 22.12.1998 il Pretore di La Spezia accoglieva il ricorso ed annullava l'ordinanza ingiunzione emessa dal Prefetto.

Per la cassazione della sentenza del Pretore propone ricorso, fondato su unico, articolato motivo, il Prefetto di La Spezia.

Non svolge attività difensiva M. D..


MOTIVI DELLA DECISIONE


Con l'unico motivo di ricorso, articolato in più censure, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt.142 commi 9 e 1, 200 e 201 del c.d.s. nonché dell'art.184 del reg. al c.d.s..

Con la prima doglianza lamenta che il Pretore ha annullato l'ordinanza ingiunzione sull'assunto che:

a) la contestazione non era stata immediatamente effettuata;

b) la fotografia rilasciata dall'autovelox non costituiva prova sufficiente della velocità tenuta dall'autoveicolo;

c) sussistevano dubbi in ordine all'installazione ed al funzionamento dell'apparecchio rilevatore.

L'assunto del Pretore è errato in quanto:

1) la velocità del veicolo è stata rilevata con apparecchiatura omologata;

2) non costituisce obbligo imprescindibile la contestazione immediata dell'infrazione;

3) nella specie inoltre fermare il veicolo lanciato a forte velocità avrebbe potuto costituire pericolo per l'incolumità delle persone.

Il ricorso è fondato e va quindi accolto.

Invero riguardo alla prima censura si osserva che questa Corte Suprema ha più volte precisato che le rilevazioni effettuate a mezzo di apparecchio autovelox, appartenente a tipo debitamente omologato, sono sufficienti a costituire la prova dell'infrazione, qualora non siano emersi elementi che incidendo sul regolare funzionamento dell'apparecchio ne abbiano alterato i dati.

Nella specie non è dedotto che sia emerso nel giudizio di merito l'esistenza di elementi che influendo sul regolare funzionamento dell'apparecchio rilevatore ne abbiano alterato i dati.

Pertanto erronea deve ritenersi l'affermazione del Pretore secondo la quale la sola fotografia, non suffragata da convincenti dichiarazioni dei verbalizzanti, relative al perfetto funzionamento dell'apparecchio ed alla sua regolare installazione non sarebbe sufficiente a fornire la prova dell'infrazione, posto che è vero l'esatto contrario, essendo la fotografia sufficiente a fornire la prova dell'illecito mentre resta a carico dell'opponente l'onere di provare l'esistenza in concreto delle indicate anomalie.

In riferimento alla seconda doglianza si osserva che effettivamente non costituisce obbligo imprescindibile dei verbalizzanti procedere alla contestazione immediata della contravvenzione.

Invero al'art.384 del reg. al c.d.s. stabilisce al primo comma lettera e) che la contestazione dell'infrazione possa essere differita allorché la rilevazione dell'infrazione sia stata effettuata con apparecchi che consentono la determinazione della velocità in tempi successivi, come avvenuto nella specie.

Anche la seconda censura va quindi accolta.

Assorbita deve ritenersi la terza censura che, peraltro, comporterebbe un'indagine in fatto non consentita nel giudizio di legittimità.

Il ricorso va quindi accolto, l'impugnata sentenza va cassata senza rinvio e, giudicando nel merito ex art.384 c.p.c., l'opposizione proposta avverso l'ordinanza ingiunzione va respinta.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, in relazione al giudizio di legittimità.

Nulla al contrario è dovuto per il giudizio di merito essendo stata la Prefettura rappresentata in quel giudizio da proprio funzionario per cui non sono dovuti i diritti e gli onorari di avvocato ed il rimborso forfettario delle spese di organizzazione generale, mentre per le spese vive la P.A. non ha presentato apposita nota delle spese sostenute.
 


P.Q.M.
 

 

accoglie il ricorso, cassa senza rinvio l'impugnata sentenza e giudicando ex art.384 c.p.c. respinge l'opposizione proposta avverso l'ordinanza ingiunzione del Prefetto di La Spezia; condanna M. D. al pagamento delle spese del giudizio di cassazione di cui £ 600.000 per onorari, oltre alle spese prenotate a debito.
 

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione Civile, in data 3 maggio 2001.

Depositata in Cancelleria il 28 agosto 2001.