LUNGAGGINI BUROCRATICHE NON GIUSTIFICANO IL RITARDO NELLA CONTESTAZIONE DI UN ADDEBITO DISCIPLINARE
Illegittimità del licenziamento (Cassazione Sezione Lavoro n. 15467 del 10 agosto 2004, Pres. Prestipino, Rel. Maiorano).
          Lucia D., dipendente della s.p.a. Poste Italiane, addetta alla cassa di un’agenzia pugliese, in occasione di un’ispezione avvenuta nel novembre 1998 ha riconosciuto, con dichiarazione scritta, di essersi appropriata della somma di 15 milioni di lire in contanti custodita in cassa e di averla sostituita con suoi assegni bancari privi di copertura. Ella ha provveduto alla restituzione della somma. Gli ispettori hanno inviato agli organi centrali la loro relazione sull’episodio nel gennaio del 1999. La sede centrale ha comunicato le sue decisioni alla direzione regionale della Puglia nel luglio 1999. Nel successivo mese di settembre la direzione regionale ha avviato il procedimento disciplinare nei confronti della lavoratrice contestandole l’addebito di avere illegittimamente prelevato denaro dalla cassa affidatale. La lavoratrice è stata licenziata nel dicembre del 1999.
          Ella ha impugnato il licenziamento davanti al Tribunale di Foggia, sostenendone fra l’altro l’illegittimità per tardiva contestazione dell’addebito. Il Tribunale ha rigettato la domanda, ma la sua decisione è stata integralmente riformata dalla Corte di Appello di Bari che ha annullato il licenziamento. La Corte ha rilevato che sin dal novembre 1998 l’azienda era informata del fatto e che il ritardo di circa un anno nella contestazione dell’addebito non poteva ritenersi giustificato. La s.p.a. Poste Italiane ha proposto ricorso per cassazione, censurando la Corte di Appello di Bari per non avere tenuto conto della complessità della sua organizzazione imprenditoriale, tale da giustificare il ritardo.
          La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 15467 del 10 agosto 2004, Pres. Prestipino, Rel. Maiorano) ha rigettato il ricorso, osservando che la Corte di Appello di Bari ha correttamente rilevato che la complessità dell’organizzazione aziendale non vale a giustificare un ritardo di dieci mesi dall’ispezione e di otto dalla trasmissione della relazione ispettiva, per due ragioni: perché manca la prova rigorosa della sussistenza di specifiche ragioni organizzative impeditive di una più celere definizione della procedura disciplinare e perché le lungaggini burocratiche non possono che essere ascritte a colpa delle Poste. Il giudice di merito – ha osservato la Corte – quindi, ha tenuto conto della complessità dell’azienda ed ha ugualmente espresso un giudizio negativo per non avere il datore di lavoro “organizzato le proprie strutture in modo da garantire un minimo di efficienza e tempestività, così da consentire accertamenti in tempi ragionevolmente brevi ..... e la trasmissione delle relazioni ispettive all’organo deputato alla valutazione della infrazione e all’irrogazione della sanzione in tempi altrettanto ragionevolmente brevi”. Questa motivazione – ha osservato la Corte – è pienamente conforme al principio di diritto già affermato dalla giurisprudenza, secondo cui “ai fini della valutazione dell’immediatezza della contestazione e del tempestivo esercizio dell’azione disciplinare, il ritardo nella contestazione dell’addebito non può essere giustificato dal fatto che i diretti superiori gerarchici del lavoratore abbiano omesso di riferire tempestivamente agli organi titolari del potere disciplinare in ordine all’infrazione posta in essere dal dipendente” (Cass. n. 9894 del 6.1.1993).

 

 

 

 

 

 


 

 

Se alla sospensione cautelare non fa seguito il licenziamento, il rapporto di lavoro si ripristina, con diritto del dipendente alla retribuzione per il periodo di inattività – Con la rivalutazione monetaria e gli interessi – Il datore di lavoro può sospendere dal lavoro il dipendente sottoposto a processo penale, per poi decidere se licenziarlo o meno a seconda dell’esito del giudizio.
      La sospensione cautelare non può mai assumere carattere sanzionatorio e non può quindi incidere sulle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro ed è destinata a cadere con l’accertamento di merito, che solo può incidere sul rapporto di lavoro. In caso di esito positivo per il lavoratore, questi avrà diritto di essere sollevato da tutte le conseguenze dannose derivanti dalla sospensione, in quanto la misura cautelare non può incidere sul rapporto sostanziale ed il rapporto di lavoro riprende il suo corso, a tutti gli effetti, dal momento in cui fu sospeso. La misura cautelare della sospensione si pone come una vera e propria condizione sospensiva della risoluzione del rapporto e come tale opera retroattivamente, con l’ulteriore conseguenza che – in caso di avveramento della condizione – il recesso del datore di lavoro avrà effetto dalla data di applicazione della misura cautelare. 
      Nel caso opposto, di mancato avveramento della condizione a seguito dell’insussistenza dei presupposti per la risoluzione del rapporto di lavoro, il rapporto di lavoro dovrà proseguire regolarmente fin dall’inizio della sospensione e la maturazione delle retribuzioni dovrà intendersi, con una “fictio iuris”, avvenuta di mese in mese, con le normali scadenze contrattuali. Da questi principi generali si ricava anche il diritto del lavoratore sospeso a percepire, oltre alla retribuzione arretrata, la rivalutazione e gli interessi dalle singole scadenze al saldo, applicandosi alla fattispecie la regola di cui all’art. 429 codice di procedura civile (Cassazione Sezione Lavoro n. 17763 del 2 settembre 2004, Pres. Senese, Rel. Filadoro).

 


 

 

 

Contrasti interpretativi sulle pensioni di inabilità (art.2, comma 12, L. 8/8/95, n. 355)

Articolo del Prof. Sergio Sabetta

Il decreto legislativo 30/12/92, n. 503 ha introdotto, a seguito dell’art. 3 della legge n. 421/92, sostanziali modifiche nell’ambito del sistema pensionistico statale introducendo il sistema della media delle retribuzioni contributive percepite nel relativo periodo di riferimento (art. 7) in sostituzione di quello di base pensionabile, ex art. 43 del d.p.r. n. 1092/73, relativo all’ultimo stipendio integrato con gli assegni in attribuzione alla data del pensionamento, ed un diverso sistema di calcolo della pensione (art. 13) il cui importo dalla data del 1/1/93 è determinato dalla somma della quota di pensione corrispondente all’importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1° gennaio ‘93, calcolato secondo la normativa vigente precedentemente alla predetta data, con la quota di pensione corrispondente all’importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite dal 1 gennaio 1993, calcolata secondo le norme di cui al D.L.vo n. 503/92.
La successiva L. 335/95 ha introdotto il sistema di calcolo c.d. “misto” con riferimento al personale che alla data del 31/12/95 presenti una anzianità contributiva inferiore ad anni 18, calcolando la quota anteriore alla predetta data con il sistema retributivo e la quota successiva con il sistema contributivo.
Sorge il problema dell’applicazione dei benefici previsti dall’art. 65 del D.P.R. n. 1092/73 in rapporto a queste due riforme.
Sia la Corte dei conti che l’I.N.P.D.A.P. ritengono “cedevole” il meccanismo di calcolo c.d.”contributivo” quando venga ad integrare la fattispecie prevista dall’art. 65, comma 2, d.p.r. 1092/73, in quanto non si ritiene che il beneficio incrementativo possa essere stato eliminato dalla legge n. 335/95 ed il solo sistema di calcolo che attualmente è idoneo ad esplicare gli effetti di cui alla formulazione letterale dell’art. 65 stesso è il sistema retributivo.
Al contrario vi è un contrasto nell’applicazione dell’art. 65 al D.L.vo 503/92 per il quale la Corte dei conti con propria deliberazione n. 11/P del 13/6/2003 ritiene che la liquidazione ex art 65 non possa essere determinata esclusivamente secondo le disposizioni previgenti, ossia sull’ultimo stipendio integrato con gli assegni ex art. 43, senza tenere in nessuna considerazione le innovazioni di cui al D.Lg.vo 503/92, il quale ha al riguardo introdotto un diverso meccanismo di calcolo che la Sezione Stato ritiene doversi applicare sia alle pensioni normali che privilegiate. Questo in linea con la circolare del Ministero del Tesoro n. 57/1998.
L’INPDAP, all’opposto, a seguito della circolare d’Istituto del 17/12/03 n. 33 ha esteso al personale delle amministrazioni statali la liquidazione del trattamento pensionistico secondo le modalità di cui alla propria circolare n. 57/97 e non con la circolare del Tesoro n. 57/98.
Vengono disapplicate in altre parole le disposizioni di cui all’art. 13 del D. L.Lg.vo n. 503/92 sulle differenti modalità di calcolo per i periodi anteriori o successivi al 31/12/92.
Mentre l’INPDAP nella determinazione dell’importo della pensione privilegiata applica sia le retribuzioni utili ai fini del calcolo per il periodo anteriore al 32/12/92 che le medie per il periodo successivo, indipendentemente dal sistema di calcolo retributivo o misto, la circolare del Tesoro considera come base pensionabile nella determinazione della pensione privilegiata esclusivamente la retribuzione precedente al 31/12/92.
Circa la determinazione del limite temporale dell’importo l’INPDAP ritiene che la media ponderata delle retribuzioni sia determinata per il periodo successivo al 31/12/92 fino alla data di cessazione del servizio, indipendentemente che si tratti del sistema retributivo o misto, mentre la circolare del Tesoro in caso di sistema misto limita tale importo ad un periodo non successivo al 31/12/1995.
Si evidenzia chiaramente il contrasto creatosi tra Amministrazioni dello Stato e la necessità che in futuro, quanto prima, la questione venga superata riportandola ad unitarietà

 

 

 

 

Reti telefoniche piu’ protette

Accordo Polizia-Telecom per la protezione dagli attacchi informatici. Previste iniziative comuni di formazione.

 

La rete di telefonia fissa gestita da Telecom rappresenta in Italia una infrastruttura di importanza critica e strategica; la gestione delle comunicazioni di rete fissa in Italia avviene per lo più con il supporto dei suoi sistemi informatici.
Eventuali attacchi informatici a tali sistemi non solo potrebbero avere importanti ripercussioni sull’azienda Telecom, ma potrebbero mettere in serio pericolo anche altre strutture strategiche.
Per rafforzare le misure di sicurezza, anche Telecom, come GRTN che gestisce l’energia elettrica ed altre aziende, ha firmato con la Polizia di Stato un accordo al fine di migliorare la prevenzione dei crimini informatici a danno delle infrastrutture informatiche critiche per la sicurezza del Paese.

In particolare l’intesa intende sviluppare misure di prevenzione di attacchi contro i sistemi informatici e telematici delle telecomunicazioni di rete fissa gestiti da Telecom Italia.

L'accordo prevede che sia realizzato un sistema di protezione finalizzato all’individuazione delle minacce. "L’obiettivo è quello di elevare i livelli di protezione e rendere più facilmente identificabili le cause di eventuali attacchi."
Polizia e Telecom Italia hanno anche previsto la possibilità di sviluppare insieme attività di formazione e addestramento sulle nuove tipologie di attacchi e sulle nuove tecnologie a difesa delle infrastrutture informatiche.

L’accordo Telecom-Polizia si aggiunge a quelli già sottoscritti con Ferrovie dello Stato S.p.A., con l’ACI (Automobile Club Italia), con GRTN (Gestore Rete Trasmissione Nazionale), con la RAI (Radio Televisione Italiana), con SNAM Rete Gas e con A.B.I. (Associazione Bancaria Italiana).

Presso la Polizia Postale e delle Comunicazioni è in fase di realizzazione del “Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche”, che sarà in collegamento costante con analoghi organismi di altri Paesi, con provider e gestori nazionali ed internazionali di internet.
 

 

 


ANCHE I RAPPRESENTANTI DEI SINDACATI MINORI DI PUBBLICI IMPIEGATI HANNO DIRITTO ALL’ASPETTATIVA SE CHIAMATI A RICOPRIRE CARICHE PROVINCIALI E NAZIONALI In base all’art. 31 St. Lav. (Cassazione Sezione Lavoro n. 15135 del 5 agosto 2004, Pres. Mattone, Rel. D’Agostino).
          Il Sindacato di Base S.D.B.-F.P. Sincobas ha chiesto al Comune di Milano il riconoscimento del diritto, in base all’art. 31 St. Lav., a periodi di aspettativa non retribuita in favore dei propri rappresentanti chiamati a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali. Il Comune non ha accolto la richiesta sostenendo che il Sincobas non rientrava fra i sindacati maggiormente rappresentativi a livello nazionale definiti dalla legislazione sul pubblico impiego contrattualizzato (art. 47 D. Lgs. n. 80 del 1998, ora art. 43 D. Lgs. n. 165 del 2001). Il Sincobas ha chiesto al Pretore di Milano, in base all’art. 28 St. Lav., di dichiarare l’antisindacalità del comportamento tenuto dal Comune di Milano con il rifiuto dei periodi di aspettativa richiesti.
          Il Pretore ha rigettato il ricorso e la sua decisione è stata confermata dal Tribunale di Milano in seguito all’opposizione proposta dal sindacato. La Corte di Appello di Milano ha invece dichiarato antisindacale il comportamento del Comune per aver disconosciuto le prerogative di cui all’art. 31 St. Lav. Il Comune ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Appello per erronea applicazione dell’art. 31 St. Lav.
          La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 15135 del 5 agosto 2004, Pres. Mattone, Rel. D’Agostino) ha rigettato il ricorso. L’art. 31 St. Lav., secondo cui i lavoratori chiamati a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali hanno diritto all’aspettativa non retribuita – ha affermato la Corte – è norma applicabile a tutti i lavoratori, anche se rappresentanti di sindacati non rientranti fra quelli definiti dall’art. 19 St. Lav. (associazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi di lavoro) ed è norma certamente di carattere imperativo, non derogabile dalla contrattazione collettiva; si tratta infatti di un diritto riconosciuto a tutela della libertà sindacale del lavoratore e della libera esplicazione delle relative attività, costituzionalmente garantito, non suscettibile di limitazione o di discriminazione. In base all’art. 55 D. Lgs. n. 29 del 1993 – ha rilevato la Corte – lo Statuto dei Lavoratori si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti. 

 

 

 

 

 

 

Il giudice può accertare in base a presunzioni il danno da demansionamento – Per la determinazione dell’importo è consentito il ricorso alla valutazione equitativa, riferita ad elementi concreti, come la retribuzione – In caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell’art. 2103 cod. civ., il giudice del merito può desumere l’esistenza del relativo danno, determinandone anche l’entità in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla durata della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto e con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato. In generale, l’esigenza di motivazione sull’ammontare del danno, liquidato equitativamente è assolta con le indicazioni di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico in base al quale si è pervenuto alla sua adozione. In caso di demansionamento il giudice può fare riferimento all’entità della retribuzione risultante dalle buste paga prodotte in giudizio. Quel che si richiede è che la valutazione sia agganciata ad elementi concreti e che la motivazione della decisione indichi il processo logico e valutativo seguito. Va da sè che la durata del demansionamento sia un fattore di aggravamento del danno, sicché essa rientra nel novero di quegli elementi che è ragionevole considerare ai fini della relativa liquidazione. L’anzianità di servizio, sinonimo, in linea di massima, di esperienza professionale, è anch’essa parametro non irragionevole, perché essendo normalmente accompagnata da migliore qualità della prestazione, rende ancora più marcato il divario tra i compiti che sulla base del formale inquadramento il dipendente avrebbe potuto svolgere e quelli concretamente assegnatigli (Cassazione Sezione Lavoro n. 15955 del 16 agosto 2004, Pres. Mattone, Rel. Curcuruto).