LO SCRUTINIO DEI CANDIDATI AD UNA PROMOZIONE VA ESEGUITO IN BASE A CRITERI OGGETTIVI – Deve essere prestabilito il “peso” dei vari requisiti (Cassazione Sezione Lavoro n. 11127 dell’11 giugno 2004, Pres. Mileo, Rel. Cuoco).
           Mario B., dipendente dell’allora Cassa di Risparmio di Roma, è stato escluso nel 1989 dalla promozione a funzionario di grado terzo in seguito a scrutinio per merito conclusosi con esito positivo per altri suoi colleghi. Egli si è rivolto al Pretore di Roma, sostenendo che la banca aveva violato le regole di correttezza e buona fede, nonché le disposizioni recate in materia dal contratto collettivo, in quanto non aveva applicato criteri oggettivi e razionali ed aveva perciò promosso candidati aventi titoli inferiori ai suoi; egli ha pertanto chiesto il riconoscimento del suo diritto alla promozione e la condanna dell’azienda al risarcimento del danno. La banca si è difesa affermando di essersi attenuta all’art. 95 del contratto collettivo, secondo cui il merito doveva essere determinato sulla base delle competenze professionali e dell’attitudine ad ulteriori sviluppi di carriera, tenendo conto anche dei precedenti di lavoro e delle note di qualifica e dando preferenza, a parità di merito, all’anzianità di servizio. Il Pretore ha rigettato la domanda, ma la sua decisione è stata integralmente riformata, in grado di appello, dal Tribunale di Roma, che ha condannato la banca al risarcimento dei danni. Il Tribunale ha rilevato in particolare che la banca era incorsa in violazione delle regole di correttezza in quanto non aveva stabilito il peso differenziato da attribuire ad ogni singolo criterio e in questo modo si era riservata una libertà non di valutazione di merito bensì di scelta dello stesso criterio selettivo. La banca ha proposto ricorso per cassazione censurando la sentenza del Tribunale, tra l’altro, per avere erroneamente applicato l’art. 1175 cod. civ. in materia di regole di correttezza.
           La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 11127 dell’ 11 giugno 2004, Pres. Mileo, Rel. Cuoco) ha rigettato il ricorso, ricordando preliminarmente che, secondo la Relazione al codice civile, il principio di correttezza e buona fede richiama nella sfera della singola parte la considerazione ed il giusto riguardo all’interesse della controparte. L’obbligo di rispettare i principi di correttezza e buona fede, essendo immanente ad ogni rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.) – ha affermato la Corte – sussiste anche nel procedimento di selezione del personale, disposto dal datore; nell’ambito di questa selezione, il “giusto riguardo all’interesse” della controparte diventa giusto riguardo all’interesse di ogni singolo partecipante alla posizione di parità, che si concretizza nella preordinazione di criteri da adottare per la selezione, quali regole da applicare nei confronti di ogni partecipante. L’interesse del partecipante (che non si esaurisce nella mera esistenza di regole, le quali non avrebbero funzione ove fossero manifestamente inadeguate alla loro finalità) – ha osservato la Corte – è inoltre riferibile alla finalità stessa della selezione: all’esistenza di regole non manifestamente inadeguate alla scelta.
           Il generale obbligo di correttezza e buona fede, specificato nell’ambito della selezione disposta per la progressione nella carriera, si concretizza pertanto nel giusto riguardo che l’imprenditore deve avere per l’interesse di tutti i partecipanti; ed ove, ai fini di questo riguardo, norme di leggi o regolamenti o collettive o della sua stessa azienda non sussistano o siano insufficienti, egli ha l’obbligo di predisporre regole che pongano i dipendenti in condizioni di parità e che non siano manifestamente inadeguate ai fini della selezione. Nel quadro di questa esigenza – ha affermato la Corte – ove sussistano molteplici criteri di valutazione, diventa necessario un criterio di coordinamento, che conferisca il peso differenziato ad ogni singolo requisito (e, in concreto, alla valutazione che sulla sua base sia eseguita): l’assenza di questo criterio di coordinamento (per l’assenza di vincoli, nel rapporto astratto, fra i singoli criteri – e, conseguentemente, nel rapporto concreto, fra le singole valutazioni) diventa assenza di regole ed in tal modo di limiti al potere di scelta del datore, con conseguente violazione dell’obbligo di correttezza e buona fede.

 
Cassazione: cani aggressivi? Ecco quando e' lecita difesa preventiva
Autore: Adnkronos

Difesa preventiva contro i cani aggressivi? Puo' essere messa in atto soltanto se la ''probabilita' di aggressione'' del cane e' 'alta'. Diversamente si va incontro ad una condanna penale per il reato di 'maltrattamento di animali'. A stabilire sin dove un cittadino puo' spingersi per difendersi dalle aggressioni dei quattro zampe e' la Corte di Cassazione che ha annullato l'assoluzione accordata ad un postino piemontese. Temendo di essere aggredito dai cani, Maggiorino B., postino di Pinerolo, aveva colpito a colpi di zappa i cani di una signora dalla quale si era recato per consegnare la posta. Una ''forma di tutela preventiva'' aveva sancito il Tribunale di Pinerolo che, nell'ottobre del 2002, aveva assolto il postino ''perche' il fatto non sussiste''. Contro l'assoluzione ha protestato in Cassazione il pm del Tribunale di Pinerolo che ha chiesto la condanna per il postino che aveva infierito sui cani. La Terza sezione penale, giudicando ''fondato'' il ricorso del pm, contrariamente alla richiesta della pubblica accusa che ne aveva chiesto il rigetto, ha disposto un nuovo esame dela vicenda, facendo notare che ''dall'esame della sentenza non risulta che fosse in atto, o comunque, che fosse molto probabile un'aggressione da parte dei cani''.
 

Sinistri stradali: aggiornati gli importi per i danni alla persona
 
Con D.M. 3 giugno 2004 il Ministro delle attivita' produttive ha aggiornato l'importo dovuto per il riconoscimento dei danni alla persona di lieve entita' derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti. A decorrere dal mese di aprile 2004 sono cosi aggiornati: - 663 ,50 euro per l'importo relativo al valore del primo punto di invalidita', - 38,71 euro per quanto riguarda l'importo relativo ad ogni giorno di inabilita' assoluta.

(Ministero delle attivita' produttive, D.M. 03/06/2004, G.U. 10/06/2004, 134)

 

Cassazione: Sentenza violazione limiti massimi per il lavoro straordinario


La Corte di Cassazione ha ripercorso i propri orientamenti in materia di condotta antisindacale. Nel caso di specie hanno assunto particolare rilievo i diritti di informazione del sindacato (prerogativa sindacale di natura collettiva). La Cassazione ha stabilito il seguente principio di diritto: ove la disciplina dettata dalla contrattazione collettiva, nel fissare i limiti massimi per il lavoro straordinario di ciascun dipendente, preveda anche l'obbligo del datore di lavoro di informare il sindacato in ordine al numero di ore di lavoro straordinario svolto dai dipendenti, l'inottemperanza del datore di lavoro a quest'obbligo di informativa e' idonea ex se oggettivamente a costituire condotta antisindacale ed a legittimare, in presenza degli altri presupposti di legge, il ricorso dei sindacato al procedimento di repressione contemplato dall'art. 28 dello Statuto dei lavoratori (Legge n.300 del 1970). (Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 17 aprile 2004, n.7347: Contrattazione collettiva - Limiti massimi per il lavoro straordinario - Violazione di obblighi di informazione e condotta antisindacale).
 

 
Interruzione di pubblico servizio: bastano pochi minuti e scattano le manette


La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione (sent. N. 26077/04) ha stabilito che l'entita' del turbamento della regolarita' dell'ufficio o l'interruzione dell'ufficio medesimo, per permettere l'integrazione del reato di interruzione di pubblico servizio di cui all'art. 340 cod. pen., devono essere idonei ad alterare il tempestivo, ordinato ed efficiente sviluppo del servizio, anche in termini di limitata durata temporale e di coinvolgimento di uno solo settore. E questo anche se durata dell'interruzione e' limitata temporalmente e non cagiona in concreto l'effetto di una cessazione reale dell'attivita' o uno scompiglio durevole del funzionamento.
 



17/06/2004 - Cassazione: non e' reato bombardare di sms chi ci molesta via cavo

Bombardare di sms chi ci molesta via cavo non e' reato. Si tratta di una legittima ''reazione'' alle ''molestie'' telefoniche subite. A dare il via libera al bombardamento di sms come forma di reazione ai disturbi via cavo e' la Corte di Cassazione che ha annullato la condanna inflitta ad una 46enne di Cagliari, Gianna P., punita dal Tribunale ''per avere arrecato molestia e disturbo a Jenni V.'', la nuova compagna del marito, ''inviandole vari messaggini telefonici''. Una reazione, quella di Gianna, la ex consorte, adottata come reazione alle ''ritorsioni della nuova compagna del marito che la molestava telefonicamente''. Ecco perche' la Suprema Corte, legittimando il detto 'chi la fa l'aspetti', l'ha assolta ''perche' il fatto non sussiste''. Aver subissato di messaggini la nuova compagna del marito era costato a Gianna una condanna a 40 euro di ammenda per il reato di molestie (art. 660 c.p.), oltre al risarcimento dei danni liquidati in 1 euro. Il Tribunale di Cagliari, infatti, nel settembre del 2003 aveva ritenuto la signora Gianna colpevole ''per aver arrecato molestia e disturbo, per petulanza, a Jenni V'', appunto la nuova compagna del marito. Una condanna ingiusta per la ex moglie che si e' difesa in Cassazione sostenendo che la sua reazione via sms era stata scatenata dalle ''molteplici telefonate'' che aveva ricevuto dalla nuova fiamma del consorte. Come dimostravano anche i ''tabulati telefonici''.
 

 
 

16/06/2004 - Diffusione di numeri telefonici riservati: scatta il risarcimento del danno

Il Garante per la protezione dei dati personali (Newsletter 31 maggio- 6 giugno 2004) ha reso noto di aver condannato un noto gestore telefonico per aver diffuso il numero di telefono (inclusione del numero nell'elenco cartaceo e on line) di un abbonato che invece aveva richiesto un numero riservato per motivi di sicurezza personale. Nel provvedimento il Garante ha inoltre stabilito che l'abbonato ha diritto di chiedere, in sede civile, il risarcimento del danno anche non patrimoniale e che, la societa' telefonica, per non essere condannata, deve dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee per evitare la verificazione del danno all'abbonato.
 



16/06/2004 - Cassazione: cibo a gatti randagi? La vicina puo' essere insultata


Via libera agli insulti nei confronti dei vicini di casa che hanno l'abitudine di dare cibo ai gatti randagi. Per quanto riprovevoli, infatti, le ingiurie saranno legittimate dall'aver agito ''in stato d'ira'' per ''il fatto ingiusto altrui''. Lo ha sancito la Corte di Cassazione che ha annullato la condanna per ingiurie continuate inflitta a Rosalba Z., una 47enne di Benevento che aveva insultato la vicina di casa per aver dato spesso cibo ai gatti randagi nel terrazzo condominiale. Assolta dal Tribunale di Benevento, la signora Rosalba si era vista condannare dalla Corte d'appello di Napoli nel gennaio del 2003 per ingiurie continuate nei confronti della condomina Giulia Z. del tutto ingiustificate, ad avviso dei giudici di merito, le ingiurie di Rosalba nei confronti di Giulia poiche' il dare ''abitualmente cibo ai gatti randagi non poteva considerarsi illegittimo e neppure disdicevole''.
 



15/06/2004 - Mobbing nel pubblico impiego: decide il Giudice Amministrativo

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Sent. 8438/2004) hanno stabilito che e' competente il Giudice Amministrativo a decidere in merito alla richiesta di risarcimento danni avanzata dal dipendente pubblico (nei confronti del proprio datore di lavoro) che subisce il "mobbing". I Giudici di Piazza Cavour hanno inoltre chiarito che, fermo restanto la competenza del Giudice civile per le questioni che non derivano dal contratto di lavoro, il lavoratore puo' rivolgersi al TAR solo se il proprio rapporto di lavoro sia sorto antecedentemente al 30 giugno 1998.