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Il diritto alle ferie si estingue solo in caso di irragionevole rifiuto di ogni soluzione offerta – Che contemperi l’esigenza del riposo con il funzionamento dell’azienda - In base all’art. 2109 cod. civ. il lavoratore ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito da fruire nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del dipendente. L’imprenditore deve preventivamente comunicare al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento delle ferie. Il diritto alle ferie o all’indennità sostitutiva di estingue soltanto in caso di irragionevole rifiuto del lavoratore di accettare per la sua fruizione, ogni soluzione, offerta dal datore di lavoro, in grado di contemperare il suo diritto al riposo annuale retribuito con le esigenze di funzionalità aziendali (Cassazione Sezione Lavoro n. 2326 del 17 febbraio 2003, Pres. Ianniruberto, Rel. Foglia
Il diritto all’indennità di accompagnamento può
essere riconosciuto anche nel caso di un bambino in tenera età - Per la
necessità di una assistenza diversa da quella normale - L’indennità
di accompagnamento può essere attribuita anche nel caso di un bambino di
poco più di un anno. La situazione d’inabilità (impossibilità di deambulare
senza l’aiuto di un accompagnatore o necessità di assistenza continua per
impossibilità di compiere gli atti quotidiani della vita), necessaria per
l’attribuzione dell’indennità di accompagnamento ex art. 1 legge n. 18 del
1980, può configurarsi anche con riguardo a bambini in tenera età, ancorché
questi, per il solo fatto di essere tali, abbisognino comunque di
assistenza. La legge, che attribuisce il diritto anche ai minori degli anni
18, non pone un limite minimo di età. Ai fini della sua applicazione, deve
tenersi conto che detti bambini possono trovarsi in uno stato tale da
comportare, per le condizioni patologiche del soggetto, la necessità di
un’assistenza diversa, per forme e tempi di esplicazione, da quella
occorrente ad un bambino sano (Cassazione Sezione Lavoro n. 1377 del 29
gennaio 2003, Pres. Dell’Anno, Rel. Giacalone).
NEL RAPPORTO DI FORMAZIONE E LAVORO, L’ADDESTRAMENTO NON PUO’ ESSERE LIMITATO ALLO SVOLGIMENTO DELLE MANSIONI TIPICHE DEL PROFILO PROFESSIONALE CON LA SUPERVISIONE DEL SUPERIORE GERARCHICO - I richiami rivolti al lavoratore in caso di errori non costituiscono attività formativa (Cassazione, Sezione Lavoro n. 1006 del 23 gennaio 2003, Pres. Mercurio, Rel. Morcavallo).
Luigi D. è stato assunto alle dipendenze della S.r.l. DIMO con contratto di formazione e lavoro di durata biennale, che prevedeva l’inquadramento iniziale nel sesto livello e il raggiungimento finale del quinto livello come preparatore di commissioni per la spedizione della merce. Scaduto il biennio, l’azienda ha posto termine al rapporto. Il lavoratore ha chiesto al Pretore di Latina di accertare l’esistenza di un normale rapporto di lavoro, di dichiarare la nullità del termine apposto al contratto e di condannare l’azienda a reintegrarlo nel suo posto e a risarcirgli i danni. Egli ha sostenuto che non gli era stato consegnato il progetto di formazione e che nei suoi confronti non era stata svolta alcuna attività formativa. Il Pretore, dopo aver sentito alcuni testimoni, ha rigettato la domanda, in quanto ha ritenuto che tra le parti si sia effettivamente svolto un rapporto di formazione e lavoro. Questa decisione è stata riformata, in grado di appello, dal Tribunale di Latina che ha accolto le domande proposte dal lavoratore, osservando che la mancata consegna del progetto di formazione rilevava, nella specie, non tanto come autonoma causa di invalidità, quanto come circostanza che aveva impedito il controllo sul concreto svolgimento dell’attività formativa, avente ad oggetto l’acquisizione dell’esperienza necessaria per svolgere le mansioni di preparatore di commissioni per la spedizione della merce; dalla prova testimoniale era emerso che l’inserimento del lavoratore nella posizione cui era preordinata la formazione era stata immediata e non graduale, mentre l’iniziale addestramento gli era stato impartito non dal titolare o dai suoi più diretti collaboratori, come previsto in contratto, bensì da un operaio di pari livello professionale che esercitava le medesime mansioni; l’espletamento del programma formativo si era risolto nel mero richiamo del lavoratore le volte in cui sbagliava, con la spiegazione degli errori commessi, senza alcuna formazione teorica; il lavoratore aveva svolto costantemente lavoro straordinario, mentre il contratto prevedeva un orario di 40 ore a settimana; in definitiva, tutte tali circostanze, ivi compreso il controllo gerarchico ed il richiamo del dipendente nel caso di non perfetta esecuzione della prestazione, erano espressione della natura subordinata del rapporto e non già dell’espletamento di un’attività di formazione professionale.L’azienda ha proposto ricorso per cassazione, censurando la sentenza impugnata per violazione della legge n. 863 del 1984 che disciplina i contratti di formazione e lavoro.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 1006 del 23 gennaio 2003, Pres. Mercurio, Rel. Morcavallo) ha rigettato il ricorso.Nel contratto di formazione e lavoro l’attività formativa, che è compresa nella causa del contratto -ha osservato la Corte- è modulabile in relazione alla natura e alle caratteristiche delle mansioni che il lavoratore è chiamato a svolgere, potendo assumere maggiore o minore rilievo, a seconda che si tratti di lavoro di elevata professionalità o di semplici prestazioni di mera esecuzione, e potendo atteggiarsi con anticipazione della fase teorica rispetto a quella pratica, o viceversa. E’ necessario, peraltro, in ogni caso, che lo svolgimento dell’attività formativa sia adeguato ed effettivamente idoneo a raggiungere lo scopo del contratto, che è quello di attuare una sorta di ingresso guidato del giovane nel mondo del lavoro; e la valutazione di tale adeguatezza e idoneità è rimessa al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivata.
Nella specie
-ha rilevato la Corte- i giudici di merito, pur senza escludere che la
formazione possa avvenire durante lo svolgimento delle mansioni, hanno
tuttavia escluso che la datrice di lavoro avesse provato di avere posto in
essere una effettiva attività formativa; in particolare, avendo constatato, in
punto di fatto, che l’addestramento non trascendeva il mero svolgimento delle
mansioni tipiche del profilo professionale previsto in contratto, con la
supervisione del superiore gerarchico ed il richiamo in caso di errori nella
esecuzione della prestazione, il Tribunale ha correttamente escluso che tali
modalità potessero configurare l’adempimento dell’obbligazione – assunta
contrattualmente dalla datrice di lavoro – di impartire la formazione
professionale relativa al conseguimento della qualifica prevista.
ILLEGITTIMO IL TRASFERIMENTO DI UN GIORNALISTA DISPOSTO PER RITORSIONE
ALL’ATTIVITA’ SINDACALE DA LUI SVOLTA – Anche se
l’interessato non è titolare di una carica nel sindacato (Tribunale di Roma,
Sezione Lavoro, ordinanza del 25 novembre 2000, Est. Mariani).
Il
giornalista F. M., dipendente della S.p.A. Il Messaggero, addetto alla
redazione di Roma, pur non essendo titolare di alcuna carica sindacale ha
partecipato attivamente ad una serie di iniziative di protesta, promosse, nel
periodo dal febbraio al giugno 2000, dal comitato di redazione e
dall’assemblea per contestare le limitazioni poste dall’editore all’autonomia
professionale, nonché la collocazione del giornale Il Messaggero nel sito web
“Caltanet”. In particolare egli si è distinto per gli interventi svolti
durante le assemblee redazionali e per l’azione di proselitismo condotta in
occasione di uno sciopero svoltosi il 21 giugno 2000. Nel successivo mese di
luglio l’azienda ha comunicato a F. M. il trasferimento da Roma a Pescara,
motivando il provvedimento con la necessità di reintegrare l’organico della
redazione abruzzese. Il giornalista ha chiesto al Tribunale di Roma di
sospendere, con provvedimento d’urgenza, l’efficacia del trasferimento,
sostenendo l’inesistenza delle ragioni organizzative addotte dall’azienda e la
natura illecitamente discriminatoria del provvedimento, in quanto diretto a
recargli pregiudizio per la sua partecipazione all’attività sindacale, in
violazione dell’art. 15 St. Lav. L’azienda si è difesa sostenendo, tra
l’altro, che la tutela prevista dall’art. 15 St. Lav. è applicabile soltanto
ai lavoratori titolari di cariche sindacali. Nel giudizio è intervenuta
l’Associazione Stampa Romana per sostenere le ragioni del giornalista.
Il
Tribunale di Roma, con ordinanza del 25 novembre 2000 (Est. Mariani), ha
sospeso l’efficacia del trasferimento, in quanto ha ritenuto che l’azienda non
abbia provato l’esistenza delle ragioni organizzative per il trasferimento e
che dagli atti siano emersi indizi sufficienti per affermare che il
provvedimento sia stato disposto per finalità discriminatorie. Il Tribunale ha
richiamato la costante giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui la
tutela prevista dall’art. 15 St. Lav. si estende a tutti i dipendenti
attivamente impegnati nelle attività sindacali, ancorché non rivestano
specifici incarichi nel sindacato.
– Se lo ha indotto a lasciare il lavoro sull’erroneo presupposto di avere maturato il diritto a pensione (Corte d’Appello di Milano, Sezione Lavoro 16 novembre 2000 n. 307 Pres. Ruiz, Rel. Accardo).
– Ne consegue il diritto al risarcimento del danno da liquidarsi in via equitativa, anche se non via sia la prova di conseguenze patrimoniali negative (Sezione Lavoro n. 14443 del 6 novembre 2000, Pres. Trezza, Rel. Mammone).
– Se il periodo di riposo previsto dal contratto non viene tempestivamente concesso, il dipendente ha diritto al risarcimento (Cassazione Sezione Lavoro n. 13980 del 24 ottobre 2000, Pres. Trezza, Rel. Giannantonio).
L’AZIENDA NON PUO’ DILAZIONARE LA FRUIZIONE DELLE FERIE OLTRE L’ANNO DI
COMPETENZA E IMPORRE SUCCESSIVAMENTE AL LAVORATORE DI SMALTIRE L’ARRETRATO
– Se il periodo di riposo previsto dal contratto non viene
tempestivamente concesso, il dipendente ha diritto al risarcimento (Cassazione
Sezione Lavoro n. 13980 del 24 ottobre 2000, Pres. Trezza, Rel. Giannantonio).
Pubblichiamo
il testo integrale della decisione la cui sintesi è nella sezione
Fatto e Diritto
REPUBBLICA ITALIANA
Composta
dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Vincenzo TREZZA |
Presidente |
Dott. Ettore Raffaele GIANNANTONIO |
Rel. Consigliere |
Dott. Federico ROSELLI |
Consigliere |
Dott. Maura LA TERZA |
Consigliere |
Dott. Giovanni MAMMONE |
Consigliere |
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
Sul ricorso proposto da:
ricorrenti -
CONTRO
VICCARDI GIORGIO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA FLAMINIA 195, rappresentato e difeso dall’avvocato VACIRCA SERGIO, giusta delega in atti;
controricorrente –
avverso la sentenza n. 2679/97 del Tribunale di GENOVA, depositata il 25/09/97; R.G.N. 3665/97;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con
ricorso depositato il 27 ottobre 1995 il Dott. Giorgio Viccardi conveniva in
giudizio dinanzi al Pretore di Genova, quale giudice del lavoro, la Ansaldo
Industria S.p.A. e l’Ansaldo montaggi s.r.l., in persona dei loro legali
rappresentanti pro-tempore. Esponeva, tra l’altro, di essere stato preposto,
fino al novembre del 1994, al settore montaggi esterni della Ansaldo industria
S.p.A. con la qualifica di quadro; che dal 22 febbraio al 28 aprile 1995 era
stato posto unilateralmente in ferie dalla società convenuta per il parziale
recupero delle numerose ferie non godute negli anni precedenti, nonostante le
sue rimostranze per il periodo scelto; che in data 11 settembre 1995 gli era
stata recapitata una comunicazione interna con la quale la società disponeva
un nuovo periodo forzoso di ferie in attesa della definizione della sua
posizione. Assumeva che il potere di fissazione unilaterale del periodo delle
ferie da parte della società era stato illegittimamente esercitato. Chiedeva
che fosse dichiarata illegittima la messa in ferie dal 18 settembre al 17
dicembre 1995 unilateralmente disposta dall’Ansaldo Industria S.p.A., con ogni
conseguenza in termini di qualificazione giuridica e trattamento economico e
normativo nel relativo periodo di astensione lavorativa; che, di conseguenza,
fossero condannate l’Ansaldo Industria S.p.A. e l’Ansaldo montaggi s.r.l., in
solido tra loro, a ricostituire il monte ferie arretrate del dott. Giorgio
Viccardi, senza tenere conto dell’astensione lavorativa predetta.
Con
il primo motivo le società ricorrenti denunziano la violazione degli articoli
115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., nonché il vizio di omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Lamentano
che il dott. Viccardi non abbia dimostrato che la società da cui dipendeva
avesse rifiutato il godimento delle ferie nei relativi anni di competenza.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso e condanna le società ricorrenti, l’Ansaldo Industria
in liquidazione S.p.A., in persona del suo liquidatore, e l’Ansaldo montaggi
s.r.l. in persona del suo legale rappresentante pro tempore, a pagare al dott.
Giorgio Viccardi le spese di questo giudizio di legittimità, spese che si
liquidano in lire 23.000 e al pagamento degli onorari di avvocato che si
liquidano in lire 3.000.000.
F.to Il Presidente
F.to il Consigliere Estensore