Il licenziamento per inidoneità
fisica è legittimo quando non è prevedibile il recupero dell’idoneità in un
tempo ragionevole – Se si tratta di malattia potenzialmente reversibile –
La malattia del lavoratore e la sua inidoneità al lavoro sono cause di
impossibilità della prestazione lavorativa che hanno natura e disciplina
giuridica diverse: la prima ha carattere temporaneo, implica la totale
impossibilità della prestazione e determina, ai sensi dell’art. 2110 cod. civ.,
la legittimità del licenziamento quando ha causato l’astensione dal lavoro per
un tempo superiore al periodo di comporto; la seconda ha carattere permanente
o, quanto meno, durata indeterminata o determinabile, non implica
necessariamente l’impossibilità totale della prestazione e consente la
risoluzione del contratto ai sensi degli artt. 1256 e 1463 cod. civ.,
eventualmente previo accertamento di essa con la procedura stabilita dall’art.
5 della legge 20 maggio 1970 n. 300 (procedura peraltro non necessaria, ben
potendo l’inidoneità fisica posta a base del licenziamento risultare, oltre
che dalla obiettiva frequenza delle assenze per malattia, anche dalla
documentazione prodotta dal lavoratore), indipendentemente dal superamento del
periodo di comporto. Naturalmente, quando la inidoneità sopravvenuta non
dipende da menomazioni fisiche definitive, ma da una malattia potenzialmente
reversibile causa della inidoneità, il giudizio sulla durata della inidoneità
è meramente prognostico, ed occorre allora che decorra un congruo lasso di
tempo per accertare che non è prevedibile la cessazione della inidoneità
fisica in un termine ragionevole (Cassazione Sezione Lavoro n. 1373 del 24
gennaio 2005, Pres. Mercurio, Rel. De Matteis).
Nel procedimento disciplinare
devono essere rispettate le esigenze sostanziali del diritto di difesa – Ai
fini dell’applicazione del termine di cinque giorni previsto dall’art. 7 St.
Lav. – La portata delle garanzie apprestate dall’art. 7 Stat. Lav.,
secondo cui “il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento
disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente
contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa” (secondo comma) e
“in ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale
non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla
contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa” (quinto comma) deve
essere verificata alla luce dell’indirizzo espresso, con riguardo alla
funzione del termine previsto da questa ultima disposizione, dalle Sezioni
Unite di questa Corte con la sentenza 26 aprile 1994 n. 3965, e ribadito con
la più recente decisione n. 6900 del 7 maggio 2003. Con tali pronunzie si è
affermato che il provvedimento disciplinare può essere legittimamente irrogato
anche prima della scadenza del termine suddetto allorché il lavoratore abbia
esercitato pienamente il proprio diritto di difesa facendo pervenire al datore
di lavoro le proprie giustificazioni, senza manifestare alcuna esplicita
riserva di ulteriori produzioni documentali o motivazioni difensive; ciò in
considerazione della ratio della normativa in esame, rivolta ad
impedire che la irrogazione della sanzione possa avvenire senza che
l’incolpato abbia avuto la possibilità di raccogliere e di fornire le prove e
gli argomenti a propria giustificazione, sicché il termine previsto indica il
tempo massimo che si ritiene presuntivamente idoneo a consentire le difese. In
questa prospettiva, in cui acquista rilevanza decisiva la valutazione delle
effettive esigenze di difesa, (realizzabili compiutamente anche prima della
scadenza del detto termine) l’ulteriore attesa, prima della conclusione del
procedimento disciplinare, di un tempo superiore a quello massimo indicato –
al fine di consentire su richiesta del dipendente uno sviluppo delle difese
già presentate con le giustificazioni scritte – può ritenersi imposta al
datore di lavoro da una esigenza di rispetto sostanziale del diritto di difesa
dell’incolpato, nel senso che la necessità di accogliere la richiesta di
dilazione della conclusione dell’indagine disciplinare si prospetta, come
rilevato da Cass. n. 4187/2002, quando l’esigenza suddetta non possa essere
soddisfatta altrimenti, in relazione alla incompiutezza – per motivi
oggettivi, estranei alla volontà del lavoratore – delle giustificazioni già
presentate. La ricostruzione del sistema di garanzie dell’art. 7 Stat. Lav.
fornita dalle citate pronunzie delle Sezioni Unite consente di risolvere,
indipendentemente dalla questione della modalità temporale di applicazione
della sanzione (in relazione alla necessità o meno del decorso del termine di
cinque giorni) il diverso problema, che, sotto il profilo sostanziale della
garanzia del contraddittorio tra datore di lavoro e dipendente, riguarda
l’obbligo del primo di consentire – pur dopo la scadenza del termine suddetto
– supplementi di difesa dell’incolpato, anche se la stessa si sia già svolta
con l’audizione personale o con la presentazione di giustificazioni scritte.
La risposta a questo quesito si fonda sul rilievo, già richiamato,
della funzione della norma, finalizzata ad impedire che la sanzione venga
applicata senza che il lavoratore abbia potuto fornire le prove e gli
argomenti a propria discolpa (con conseguente possibilità di adottare il
provvedimento disciplinare quando tale garanzia si sia comunque realizzata);
dovendosi considerare, d’altro canto, che la legge non assegna alcun rilievo
alla valutazione di queste difese da parte del datore di lavoro, perché il
sindacato in ordine alla legittimità della sanzione resta in ogni caso
affidato al controllo del giudice.
Si deve quindi concludere, alla stregua del principio affermato
dalla citata sentenza n. 4187/2002, che l’obbligo del datore di lavoro di dar
seguito alla richiesta del dipendente di integrare le proprie giustificazioni
sussiste solo quando la stessa risponda ad esigenze di difesa non altrimenti
tutelabili, in quanto non sia stata possibile la piena realizzazione della
garanzia apprestata dalla legge; e la regola enunciata dai precedenti
giurisprudenziali richiamati – che esclude la irrogazione della sanzione prima
della scadenza del termine di cinque giorni, quando il lavoratore si sia
riservato di integrare le proprie giustificazioni – va precisata nel senso che
la presentazione di ulteriori difese dopo la scadenza del tempo massimo deve
essere consentita solo nell’ipotesi in cui entro questo termine il lavoratore
non sia stato in grado di presentare compiutamente la propria confutazione
dell’addebito. La valutazione di questo presupposto va operata, come ricordato
ancora da Cass. 4187/2002 cit., alla stregua dei principi di correttezza e
buona fede che devono regolare l’esercizio del potere disciplinare del datore
di lavoro (Cassazione Sezione Lavoro n. 488 del 13 gennaio 2005, Pres.
Mercurio, Rel. Miani Canevari).