ANCHE IL DANNO MORALE DA MALATTIA PROFESSIONALE HA NATURA CONTRATTUALE IN QUANTO CAUSATO DALLA MANCANZA DI MISURE DI PREVENZIONE Il diritto al risarcimento si prescrive in dieci anni (Cassazione Sezione Lavoro n. 10441 dell’8 maggio 2007, Pres. De Luca, Rel. Maiorano).
           
Guido C., dopo aver lavorato alle dipendenze della s.r.l. Nuova Sacelit, ha chiesto, nel giugno del 1995, al Pretore di Bergamo, la condanna dell’azienda al risarcimento del danno per averlo fatto lavorare negli anni 1980-1983, in un ambiente ove erano presenti polveri di amianto, causandogli l’asbestosi, diagnosticata nel dicembre del 1987. L’azienda ha contestato la fondatezza dell’eccezione ed ha comunque eccepito la prescrizione del diritto fatto valere dal lavoratore. Il Pretore, dopo aver sentito alcuni testimoni, ha condannato la società al pagamento, in favore del lavoratore, della somma di lire 346 milioni a titolo di risarcimento del danno biologico e morale conseguente alla malattia professionale contratta. L’azienda ha proposto appello davanti al Tribunale di Bergamo, censurando la sentenza di primo grado, tra l’altro, per non avere ritenuto prescritto il diritto del lavoratore e per avergli attribuito il risarcimento del danno morale, non specificamente richiesto. L’appellante ha sostenuto che sia il termine decennale di prescrizione del danno biologico, di natura contrattuale, che il termine quinquennale per la prescrizione del danno morale, di natura extracontrattuale, dovevano ritenersi ampiamente decorsi al momento in cui il lavoratore si era rivolto al giudice. Il Tribunale ha rigettato l’impugnazione, affermando che nella richiesta iniziale di risarcimento del danno, doveva ritenersi ricompresa anche la domanda relativa al danno morale, che sia il danno patrimoniale che quello morale avevano natura contrattuale, onde per la loro prescrizione si applicava il termine decennale e che questo termine aveva iniziato a decorrere nel dicembre del 1997 quando per la prima volta al lavoratore era stata diagnosticata l’asbestosi. L’azienda ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione del Tribunale di Bergamo per vizi di motivazione e violazione di legge.
           
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 10441 dell’8 maggio 2007, Pres. De Luca, Rel. Maiorano) ha rigettato il ricorso affermando, in primo luogo, che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da malattia professionale inizia nel momento in cui si verifica la sua conoscibilità da parte del lavoratore. Anche il danno morale – ha aggiunto la Corte – in caso di malattia professionale derivata da inosservanza del dovere di tutela della salute del lavoratore, previsto dall’art. 2087 cod. civ., ha natura contrattuale onde il termine di prescrizione del relativo diritto al risarcimento è decennale.
           
Quanto all’eccezione di ultrapetizione per avere la parte fatto riferimento alla responsabilità extracontrattuale ed avere invece il giudice riconosciuto quella contrattuale, la Corte ha osservato innanzi tutto che spetta al giudicante sia la interpretazione della domanda, che la qualificazione giuridica del fatto; in ogni caso, il giudice deve sempre liquidare l’intero danno che il soggetto abbia subito, compreso quello morale, in conseguenza del fatto illecito altrui, a prescindere dalla specificazione delle singole voci da parte dell’attore. Non incorre nel vizio di ultrapetizione – ha affermato la Corte – il giudice che, anche senza una specifica domanda della parte, le attribuisca il risarcimento dei danni non patrimoniali di cui essa risulti aver sofferto in conseguenza del fatto illecito costituente reato posto a fondamento della sua domanda di risarcimento di danni, la quale – salva espressa specificazione – deve ritenersi comprensiva di tutti i danni e, quindi, anche di quelli morali.
           
Il giudice del merito – ha rilevato la Corte – ha correttamente inquadrato la fattispecie nell’ambito del danno contrattuale, avendo la parte dedotto in giudizio la violazione delle misure di sicurezza pur in presenza di una notevole polverosità ambientale, comprendente l’amianto; non è quindi esatta la censura che il giudice abbia errato ad inquadrare l’eccezione di prescrizione del danno morale nell’ambito del danno contrattuale ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. escludendo invece l’applicabilità della prescrizione breve ex art. 2947 cod. civ. prevista per l’illecito aquiliano. 

           
 

 
L’anzianità di servizio del lavoratore è un mero fatto giuridico – Non è soggetta a prescrizione – L’anzianità di servizio del lavoratore, presupposto per il conseguimento di determinati diritti, come il trattamento di fine rapporto o gli scatti di anzianità, configura un mero fatto giuridico, che non ricade sotto il regime della prescrizione di cui agli artt. 2934, 2946 e 2948 del codice civile, con la conseguenza che, anche nella ipotesi di prescrizione dell’aumento retribuito derivante da uno o da alcuni scatti di retribuzione, il lavoratore ha comunque diritto che gli aumenti retributivi commisurati agli scatti successivi vengano liquidati come se lo scatto o gli scatti precedenti, maturati ma non più dovuti per effetto della prescrizione, fossero stati corrisposti (Cassazione Sezione Lavoro n. 12373 del 28 maggio 2007, Pres. De Luca, Rel. Celentano).              

 


IN CASO DI SCIOPERO DEGLI UFFICIALI GIUDIZIARI NEL GIORNO IN CUI SCADE IL TERMINE PER NOTIFICARE UN ATTO, E’ AMMISSIBILE LA NOTIFICA ESEGUITA IL GIORNO DOPO Il diritto di difesa deve essere garantito (Cassazione Sezione Prima Civile n. 10209 del 3 maggio 2007, Pres. Criscuolo, Rel. Felicetti).
            
Il 19 aprile 2004 gli ufficiali giudiziari di Roma hanno scioperato. Conseguentemente l’ufficio di accettazione degli atti per le notifiche è rimasto chiuso. Quel giorno scadeva per A.C. il termine per proporre ricorso per cassazione avverso una sentenza della Corte d’Appello di Milano. Il legale di A.C. ha pertanto consegnato il ricorso all’ufficio notifiche il giorno successivo, 20 aprile 2004; quando il termine per l’impugnazione era scaduto. Egli si è fatto rilasciare dal dirigente dell’ufficio un certificato attestante che il 19 aprile 2004 l’ufficio era rimasto chiuso per sciopero e lo ha depositato con il ricorso tardivamente notificato. Nel giudizio davanti alla Suprema Corte, la controparte di A.C. ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, perché non notificato nel termine previsto dalla legge.
            
La Suprema Corte (Sezione Prima Civile n. 10209 del 3 maggio 2007, Pres. Criscuolo, Rel. Felicetti), ha ritenuto ammissibile il ricorso affermando che la notifica doveva essere ritenuta regolare. In materia – ha affermato la Cassazione – devono applicarsi i principi affermati nelle sentenze n. 69 del 1994, n. 477 del 2002 e n. 28 del 2004 della Corte Costituzionale, volti a garantire l’effettività del diritto di difesa, tutelato dall’art. 24 della Costituzione, in materia di notificazione di atti processuali da compiersi entro termini di decadenza. La Corte Costituzionale infatti (sentenza n. 28 del 2004), in tale specifica materia, ha ritenuto “palesemente irragionevole, oltre che lesivo del diritto di difesa del notificante, che un effetto di decadenza possa discendere dal ritardo nel compimento di attività riferibili non al notificante, ma a soggetti diversi (ufficiale giudiziario e l’agente postale suo ausiliario) e perciò del tutto estranee alla sua disponibilità”.
            
Poiché anche nel caso di specie la decadenza è correlabile unicamente a un diniego di attività (accettazione dell’atto da notificare) degli ufficiali giudiziari (a causa di sciopero) e non a un difetto di attività del notificante – ha affermato la Corte – è soluzione interpretativa costituzionalmente obbligata considerare come tempestiva, nel caso di specie, la notifica del ricorso; ciò a prescindere dal rimedio predisposto dal D. Lgs. 9.4.1948 n. 437 – che nel caso di specie non risulta che sia stato attivato – e cioè dalla emanazione, da parte del Ministero della Giustizia, del decreto (previsto dall’art. 2) che accerta l’eccezionalità dell’evento e il periodo di mancato o irregolare funzionamento degli uffici giudiziari, con conseguente proroga (art. 1), con carattere di generalità, di tutti “i termini di decadenza per il compimento di atti” presso gli uffici interessati all’evento “o a mezzo del personale addetto ai predetti uffici” scadenti “durante il periodo di mancato o irregolare funzionamento, o nei cinque giorni successivi”: proroga che l’art. 1 determina in quindici giorni a decorrere dalla sua emanazione.