IL RITARDO NEL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE NON HA EFFETTI INVALIDANTI SE E’ STATO CAUSATO DALLA NECESSITA’ DI SENTIRE LA DIFESA DEL DIPENDENTE ASSENTE PER MALATTIA In base all’art. 7 St. Lav. (Cassazione Sezione Lavoro n. 7848 del 4 aprile 2006, Pres. Sciarelli, Rel. Amoroso).            Giuseppe N., dipendente della s.p.a. Banco di Roma, è stato preposto, alla fine del 1992, alla neocostituita filiale di S. Gennarello (Napoli). Egli è stato sottoposto, nel maggio del 1993, a procedimento disciplinare, con l’addebito di avere concesso crediti oltre i limiti consentiti, sia con scoperti di conto corrente che con cambio di assegni bancari mediante consegna contestuale di assegni circolari, e con sconto di portafoglio in assenza delle prescritte linee di credito. Ricevuta la lettera di contestazione dell’addebito, egli ha risposto di avere sempre correttamente esercitato i suoi doveri ed ha chiesto di essere sentito, con l’assistenza di un rappresentante sindacale, per precisare verbalmente la sua difesa e per poter prendere visione dei documenti concernenti le operazioni contestategli. Nel contempo egli ha inviato alla banca un certificato medico attestante il suo stato di malattia. La Banca, in considerazione del suo impedimento, non lo ha convocato per l’audizione in sede disciplinare. La malattia, debitamente certificata e ripetutamente accertata mediante visite di controllo, si è protratta per circa 16 mesi. Scaduto l’ultimo certificato, la Banca ha convocato il lavoratore, nel settembre 1994, ed ha dato luogo alla sua audizione in sede disciplinare. Successivamente con lettera del 26 ottobre 1994 l’azienda ha comunicato al dipendente il licenziamento, motivato con riferimento agli addebiti contestatigli nel maggio 1993. Giuseppe N. ha impugnato il licenziamento davanti al Pretore di Nola, sostenendo che esso doveva ritenersi nullo, perché intimato circa 18 mesi dopo la contestazione dell’addebito, in violazione del principio di immediatezza e comunque illegittimo per infondatezza degli addebiti. La Banca si è difesa affermando di aver dovuto attendere la guarigione del dipendente, per potere dar corso all’audizione in sede disciplinare ed ha offerto prove testimoniali e documentali per dimostrare la fondatezza degli addebiti; ha inoltre proposto domanda riconvenzionale diretta ad ottenere la condanna del lavoratore al risarcimento dei danni derivati dalle operazioni creditizie irregolari attribuitegli. Il Pretore, espletata l’istruttoria, ha dichiarato nullo il licenziamento, ed ha condannato il ricorrente a risarcire in parte il danno lamentato dalla Banca. In seguito ad impugnazione proposta da entrambe le parti, la Corte di Appello di Napoli ha dichiarato legittimo il licenziamento ed ha confermato la condanna del lavoratore al risarcimento del danno. Giuseppe N. ha proposto ricorso per cassazione, censurando la sentenza della Corte di Appello di Napoli per vizi di motivazione e violazione di legge.
            La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 7848 del 4 aprile 2006, Pres. Sciarelli, Rel. Amoroso) ha rigettato il ricorso. In ragione delle garanzie procedimentali previste dall’art. 7 St. Lav. – ha osservato la Corte – il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza averlo sentito a sua difesa ove quest’ultimo, dopo la contestazione dell’addebito, abbia chiesto di essere sentito oralmente, anche in ipotesi con l’assistenza di un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. L’art. 7 St. Lav. subordina la legittimità del procedimento di irrogazione della sanzione disciplinare alla previa contestazione degli addebiti, al fine di consentire al lavoratore di esporre le proprie difese in relazione al comportamento ascrittogli, e comporta per il datore di lavoro un dovere autonomo di convocazione del dipendente per l’audizione orale ove quest’ultimo abbia manifestato tempestivamente (entro il quinto giorno dalla contestazione) la volontà di essere sentito di persona. Pertanto – ha concluso la Corte – ove l’audizione sia di fatto impedita, e quindi rinviata, per lo stato di malattia del dipendente, che certo non autorizza il datore di lavoro ad omettere l’audizione del dipendente incolpato che l’abbia espressamente richiesta, il conseguente ritardo nell’intimazione del licenziamento disciplinare non inficia quest’ultimo come carente del requisito della tempestività.

 


La disciplina legislativa del distacco ha confermato i principi precedentemente stabiliti dalla giurisprudenza – In armonia con l’art. 2103 cod. civ. – L’istituto del distacco è stato delineato dalla giurisprudenza, nei suoi tratti caratteristici e nella regolamentazione, fino all’entrata in vigore dell’art. 30 D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30”. La regolamentazione legislativa del distacco, peraltro, ricalca esattamente lo schema già definito dalla giurisprudenza nella parte in cui condiziona la legittimità delle messa a disposizione di altro soggetto del lavoratore, per svolgere una determinata attività lavorativa, alla soddisfazione di un interesse proprio del datore di lavoro e alla temporaneità (comma 1), stabilendo altresì che il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore (comma 2). Nondimeno, anche con riguardo alle previsioni, contenute nel comma 3, che potrebbero apparire innovative – necessità del consenso del lavoratore, ove il distacco comporti una mutamento di mansioni, e di comprovare le ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive, quando il distacco comporti un trasferimento a unità produttiva sita a più di 50 Km. – deve ritenersi che, in realtà, siano state esplicitate, e precisate nei contenuti, regole già desumibili dall’art. 2103 cod. civ. e dal principio per il quale non è consentito al datore di lavoro assumere decisioni arbitrarie, non riconducibili ai poteri che gli sono conferiti dal contratto di lavoro e dall’inserimento del dipendente nell’organizzazione aziendale (Cassazione Sezione Lavoro n. 9557 del 26 aprile 2006, Pres. Mattone, Rel. Picone).


 
SPETTA AL TAR LA GIURISDIZIONE SULLE CONTROVERSIE RELATIVE A CONCORSI INTERNI “MISTI” PER LA PROMOZIONE DI DIPENDENTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE In applicazione del principio di economia processuale (Cassazione Sezioni Unite Civili ordinanza n. 9168 del 20 aprile 2006, Pres. Carbone, Rel. Amoroso).
         Nel maggio 2001 il Comune di Torino ha bandito un concorso interno, riservato a sottoufficiali di categoria D e a vigili urbani di categoria C, con nove anni di anzianità, per la nomina ad ufficiali di polizia municipale (categoria D1).
         Roberto B. ed altri dipendenti del Comune, essendo rimasti esclusi dalla nomina, hanno contestato sotto vari profili, davanti al Tribunale di Torino, Sezione Lavoro, l’esito del concorso. Nel corso del giudizio essi hanno proposto regolamento di giurisdizione in base all’art. 41 cod. proc. civ. per fare dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario.
         La Suprema Corte (Sezioni Unite Civili ordinanza n. 9168 del 20 aprile 2006, Pres. Carbone, Rel. Amoroso) ha dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo. In materia di giurisdizione sulle controversie relative ai concorsi nelle pubbliche amministrazioni (art. 63, comma quattro, D. Lgs. n. 165 del 2001) – hanno affermato le Sezioni Unite – devono applicarsi, i seguenti principi: a) indubbia giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie relative a concorsi per soli esterni; b) identica giurisdizione su controversie relative a concorsi misti (restando irrilevante che il posto da coprire si compreso o meno nell’ambito della medesima area funzionale alla quale sia riconducibile la posizione di lavoro di interni ammessi alla procedura selettiva, perché, in tal caso, la circostanza che non si tratti di passaggio ad un’area diversa viene vanificata dalla presenza di possibili vincitori esterni, secondo il criterio di riparto originario); c) ancora giurisdizione amministrativa quando si tratti di concorsi per soli interni che comportino passaggio da un’”area” ad un’altra, spettando, poi, al giudice del merito la verifica di legittimità delle norme che escludono l’apertura del concorso all’esterno; d) invece giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie attinenti a concorsi per soli interni, che comportino passaggio da una qualifica ad altra, ma nell’ambito della medesima “area”.
         Nel caso in esame – ha osservato la Corte – si tratta di un concorso interno per funzionario di polizia municipale che prevede il passaggio dall’area C all’area D; esso quindi all’evidenza implica un mutamento di area, a nulla rilevando che al concorso suddetto possano partecipare anche sottoufficiali già inquadrati nell’area D che concorrono per la progressione alla qualifica di funzionari; così come la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che i concorsi “misti” – tali perché aperti all’esterno – sono attratti alla giurisdizione del giudice amministrativo, analogamente i concorsi interni “misti”, che riguardano sia la progressione nell’ambito della stessa area, che tra aree diverse, sono parimenti attratti alla giurisdizione del giudice amministrativo in ragione di un generale principio di economia processuale che fa escludere che delle medesime operazioni concorsuali possano conoscere contemporaneamente sia il giudice ordinario che quello amministrativo.
 

 


In caso di richiesta di risarcimento per responsabilità professionale del medico, questi deve provare che la prestazione professionale sia stata eseguita con diligenza – O che si sia verificato un evento imprevedibile – In materia di responsabilità professionale del medico, la giurisprudenza ha recentemente modificato la disciplina dell’onere probatorio, affermando che il paziente il quale agisce in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria deve provare il contratto e allegare l’inadempimento del sanitario restando a carico del debitore l’onere di provare l’esatto adempimento. Più precisamente, consistendo l’obbligazione professionale di un’obbligazione di mezzi, il paziente deve provare l’esistenza del contratto e l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento, restando a carico del sanitario o dell’ente ospedaliero la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (Cassazione Sezione Terza Civile n. 9085 del 19 aprile 2008, Pres. Fantacchiotti, Rel. Manzo).