Multe: Cassazione, valide anche se manca l'importo sul verbale

Sono valide, dunque, devono essere pagate le multe che sul verbale non riportano l'importo della sanzione. Lo specifica la Corte di Cassazione in una sentenza della Seconda sezione civile (la numero 1412) con la quale ricorda che ''nessuna norma impone la comunicazione della sanzione al trasgressore''. In ogni caso, ''il diritto di difesa non resta menomato dalla mancata conoscenza'' del costo della multa, a patto che nel verbale ''sia indicata la condotta materiale che integra la violazione'' del Codice della strada. Sulla base di questo principio, la Suprema Corte ha ribaltato la sentenza del Giudice di pace di Carrara, del maggio 2002, che aveva annullato la multa inflitta ad un automobilista del luogo, Nicola B., proprio sulla base del fatto che sul verbale non era stato specificato l'importo della multa. In questo modo, gli 'ermellini' hanno accolto il ricorso del Prefetto di Massa Carrara che, art. 383 del Codice della strada alla mano, ha ricordato cheil regolamento ''non prescrive che sul verbale contestato al contravventore sia indicato l'importo della sanzione da corrispondere''. La Suprema Corte, inoltre, bocciando le rivendicazioni dell'automobilista che chiedeva in ogni caso il pagamento in misura ridotta della sanzione, ricorda che ''per quanto concerne la mancata comunicazione della somma necessaria per effettuare il pagamento in misura ridotta, l'art. 202 c. 1 del Cds dispone che per le violazioni, per le quali e' stabilita una sanzione amministrativa pecuniaria, il trasgressore e' ammesso a pagare, entro sessanta giorni dalla contestazione o dalla notificazione, una somma pari al minimo fissato dalle singole norme''.

 


 

 

 

Cassazione: il capo non si offende, neanche nelle riunioni sindacali

Rischia il licenziamento il dipendente che offende il capo. Nessuna attenuante nemmeno se l'ingiuria viene pronunciata nel corso di una accesa riunione sindacale ''connotata da aggressioni reciproche''. Parola della Corte di Cassazione che ha ritenuto ''adeguata'' la sanzione espulsiva inflitta nel maggio 2000 dalla Cirio Finanziaria ad un impiegato napoletano, Bruno D.C. che, nel corso appunto di una riunione sindacale, aveva inveito prima contro un collega passando alle vie di fatto, poi aveva ingiuriato il capo del personale dandogli del 'delinquente' per denunciare che l'amministrazione aziendale, pur avendone la possibilita', era rimasta indifferente rispetto all'anomala gestione dello spaccio aziendale Secondo la Cassazione, che ha respinto il ricorso dell'impiegato, anche se la discussione accesa era maturata in un contesto di ''aggressioni reciproche'', il comportamento del dipendente e' censurabile in quanto ''l'episodio e' avvenuto in presenza di numerosi impiegati e l'incidenza offensiva dell'epiteto deve essere valutata in relazione alle regole che disciplinano lo speciale vincolo esistente fra il lavoratore subordinato ed il suo superiore gerarchico''.

 


 

 

 

Calcio: Cassazione, via dallo stadio i tifosi che intonano cori razzisti

Via dallo stadio i tifosi che intonano cori razzisti. La linea dura arriva dalla Corte di Cassazione che, in una sentenza della Terza sezione penale depositata oggi, si e' occupata della vicenda accaduta al calciatore di colore del Messina, Marc Andre' Zoro, che il 27 novembre del 2005 nello stadio 'San Filippo' di Messina subi' ''reiterati episodi d'intolleranza razzista'' consistiti in ''slogan di scherno provenienti dal settore dei tifosi dell'Inter, la squadra ospite''. La Suprema Corte, che ha confermato il divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono le manifestazioni sportive nelle quali era impegnata l'Inter imposto ad un ultras interista di 30 anni Riccardo D. C., ha sottolineato come nei confronti di Zoro siano stati compiuti episodi di vero razzismo, ''forieri di uno sperimentato allarme sociale con serio pericolo per l'ordine pubblico quando in tempi utili non si apprestino le necessarie cautele''. Piu' in generale, i supremi giudici, nella sentenza 1872 con la quale e' stato respinto il ricorso dell'ultras al quale il Gip del Tribunale di Messina il 23 dicembre del 2005 aveva intimato il divieto di accesso allo stadio, ricordano che con ''razzismo'' si deve intendere ''tutto quel complesso di manifestazioni o atteggiamenti d'intolleranza originati da profondi e radicati pregiudizi sociali ed espressi attraverso forme di disprezzo e di emarginazione nei confronti di individui o gruppi appartenenti a comunita' etniche e culturali diverse, assai spesso ritenute inferiori''

 

 


 

 

 

Cassazione: dopo l'incidente non riesce più a fare sesso? Va risarcito il danno esistenziale

La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. 2311/2007) ha stabilito che deve essere riconosciuto il cd. danno esistenziale a chi, a causa di un sinistro stradale, subisce un trauma per cui non riesce più ad avere rapporti sessuali.
Secondo la Cassazione, infatti, il diritto alla sessualità rientra tra i diritti umani inviolabili e, conseguentemente, la perdita o comunque la compromissione (anche solo psichica), della sessualità costituisce di per sé un danno esistenziale meritevole di essere risarcito.
In particolare la Corte ha ricordato che il diritto alla sessualità è tutelato dalla stessa Costituzione che lo inquadra "tra i diritti inviolabili della persona, come modus vivendi essenziale per l'espressione e lo sviluppo della persona".
Con questa decisione la Corte ha accolto il ricorso di un giovane single rimasto impotente in seguito a un incidente automobilistico a responsabilità esclusiva dell'altro conducente

 

 


 

 

 

Cassazione: decesso del dipendente? La colpa medica non esclude la responsabilità del datore di lavoro

"Nel caso di lesioni personali cui sia seguito il decesso della vittima la colpa dei medici, anche se grave, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente rispetto al comportamento dell’agente perchè questi provocando tale evento (le lesioni) ha reso necessario l’intervento dei sanitari, la cui imperizia o negligenza non costituisce un fatto imprevedibile ed atipico, ma un'ipotesi che si inserisce nello sviluppo della serie causale". E' quanto hanno di recente affermato i Giudici della Suprema Corte (Sent. 41943/ 2006) precisando che “mentre è possibile escludere il nesso di causa in situazioni di colpa commissiva, nel caso di omissioni di terapie che dovevano essere applicate per impedire le complicanze, l’errore del medico non può prescindere dall’evento che ha fatto sorgere la necessità della prestazione sanitaria, per cui la catena causale resta integra". Così statuendo la Cassazione ha rigettato i ricorsi promossi dal legale rappresentante di una ditta e dal responsabile della sicurezza avverso una sentenza di condanna della Corte di Appello per omicidio colposo in danno di un proprio dipendente. Nel caso di specie, il dipendente, un autista, mentre si trovava con la propria squadra nel cantiere dove era in atto l’attività di posa di cavi elettrici in uno scavo della lunghezza di circa 400 mentri, recintato una retina sostenuta da bacchette di ferro, scendendo dal camion per fumare una sigaretta, perdeva l’equilibrio e finiva con le parti basse del corpo su uno di questi tondini che lo feriva. Ricoverato in Ospedale non gli veniva somministrata terapia antibiotica per tempo e pochi giorni dopo decedeva per gangrena.