IL DATORE DI LAVORO CHE HA NOTIZIA DI UN ILLECITO PENALE COMMESSO DAL DIPENDENTE E LO DENUNZIA ALL’AUTORITA’ GIUDIZIARIA, DEVE NEL CONTEMPO CONTESTARE L’ADDEBITO IN SEDE DISCIPLINARE – La contestazione eseguita dopo la definizione del processo penale deve ritenersi tardiva, se non si è provveduto alla sospensione cautelare del dipendente (Cassazione Sezione Lavoro n. 241 dell’11 gennaio 2006, Pres. Mileo, Rel. Curcuruto).
            Nel marzo del 1994 la Spa Poste Italiane ha disposto un’ispezione presso un ufficio locale cui era addetta l’impiegata Valeria S. Nella loro relazione, in data 19 marzo 1994, gli ispettori hanno segnalato all’ufficio del personale che la lavoratrice aveva trattenuto indebitamente l’importo di due contrassegni. L’azienda ha quindi denunciato quanto accertato alla Procura della Repubblica di Chieti. In seguito a ciò la lavoratrice è stata sottoposta a processo penale, che è stato definito con sentenza di patteggiamento emessa il 14 dicembre 1994. Quattro mesi dopo, il 19 aprile 1995, l’azienda ha contestato alla lavoratrice l’addebito disciplinare di avere trattenuto indebitamente l’importo dei due contrassegni e successivamente l’ha licenziata. Valeria S. ha impugnato il licenziamento davanti al Pretore di Chieti, rilevando, tra l’altro, la tardività della contestazione dell’addebito. Il Pretore ha annullato il licenziamento ordinando la reintegrazione della dipendente nel posto di lavoro e condannando l’azienda al risarcimento del danno. Questa decisione è stata confermata in grado di appello dal Tribunale di Chieti, che ha ravvisato la violazione del principio di immediatezza, osservando che la contestazione disciplinare era stata effettuata vari mesi dopo la pronuncia di patteggiamento e concerneva comunque quanto già accertato dagli ispettori aziendali nel marzo del 1994. L’azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione del Tribunale di Chieti per vizi di motivazione e violazione di legge.
            La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 241 dell’11 gennaio 2006, Pres. Mileo, Rel. Curcuruto) ha rigettato il ricorso, richiamando la sua giurisprudenza secondo cui la presentazione, da parte del datore di lavoro, di una denuncia in sede penale per fatti attribuiti a un dipendente non esclude l’onere di promuovere tempestivamente il procedimento disciplinare contro il lavoratore, non sottoposto a sospensione cautelare, a carico del quale siano stati già rilevati elementi di responsabilità; se invece sia stata disposta la sospensione cautelare del lavoratore sottoposto a procedimento penale, la contestazione dell’addebito disciplinare può essere differita  in relazione alla pendenza di tale procedimento.  Nel caso di specie – ha osservato la Corte – il giudice di merito ha correttamente motivato la sua decisione accertando che il datore di lavoro aveva sostanziale consapevolezza della responsabilità della propria dipendente fin dalla relazione ispettiva, non aveva provveduto a sospenderla cautelarmente ed aveva lasciato trascorrere diversi mesi dalla data di sentenza di patteggiamento

AI FINI DEL RICONOSCIMENTO DELLA RAPPRESENTANZA IN AZIENDA NON E’ SUFFICIENTE CHE IL SINDACATO ABBIA SOTTOSCRITTO UN CONTRATTO COLLETTIVO – Occorre un’effettiva partecipazione al processo di formazione dell’accordo (Cassazione Sezione Lavoro n. 26239 del 2 dicembre 2005, Pres. Ciciretti, Rel. Curcuruto).
            In base all’art. 19 St. Lav. le rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva. Il sindacato autonomo Faisa ha chiesto alla Star, Società Trasporti Automobilistici Regionali, con sede in Lodi, il riconoscimento della propria rappresentanza sindacale aziendale, facendo presente di avere sottoscritto un contratto collettivo applicato nell’unità produttiva. La Star ha rifiutato il riconoscimento. Il sindacato Faisa ha promosso davanti al Tribunale di Lodi un procedimento in base all’art. 28 St. Lav. per repressione di comportamento antisindacale. Nella fase cautelare il Tribunale ha rigettato il ricorso. Il sindacato ha proposto opposizione davanti allo stesso Tribunale che l’ha accolta dichiarando il carattere antisindacale del comportamento della Star S.p.A. consistente nel non riconoscere la rappresentanza sindacale aziendale costituita dalla Faisa. Questa decisione è stata impugnata dalla Star davanti alla Corte di Appello di Milano, che ha ritenuto fondata l’impugnazione ed ha pertanto escluso la configurabilità di un comportamento antisindacale.
            La Corte di Milano ha motivato la sua decisione richiamando i principi affermati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 244 del 1996, secondo cui l’art. 19 St. Lav. deve essere interpretato rigorosamente nel senso che, per potere costituire una rappresentanza sindacale aziendale, il sindacato deve dimostrare di avere partecipato attivamente al processo di formazione del contratto, dimostrando la capacità di imporsi al datore di lavoro come controparte contrattuale. La Corte ha osservato che  nel caso in esame era risultato che la Faisa non aveva partecipato attivamente al processo di formazione del contratto aziendale, ma si era limitata a sottoscrivere un contratto negoziato da altri sindacati. La Faisa ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte di Appello per violazione e falsa applicazione dell’art. 19 St. Lav..
            La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 26239 del 2 dicembre 2005, Pres. Ciciretti, Rel. Curcuruto) ha rigettato il ricorso. Il criterio selettivo desumibile dall’art. 19 St. Lav. – ha osservato la Corte – equivale in sostanza alla capacità del sindacato di imporsi come controparte contrattuale; risulta evidente quindi che sotto tale aspetto la sottoscrizione di un testo negoziato e approvato da altre parti contrattuali non solo non indica una capacità di imporsi alla controparte ma costituisce significativo indizio del contrario, rappresentando in definitiva uno strumento autopromozione, compensativo di una situazione deficitaria sul piano degli effettivi rapporti di forza. Si comprende quindi che, come è stato affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 244 del 1996, “non è sufficiente la mera adesione formale ad un contratto negoziato da altri sindacati, ma occorre una partecipazione attiva al processo di formazione del contratto” e si comprende anche, nel quadro del criterio di effettività dell’apporto negoziale, come, sempre secondo detta sentenza, “nemmeno è sufficiente la stipulazione di un contratto qualsiasi” e si debba trattare, invece, “di un contratto normativo che regoli in modo organico i rapporti di lavoro, almeno per un settore o un istituto importante della loro disciplina, anche in via integrativa, a livello aziendale di un contratto nazionale o provinciale già applicato nella stessa unità produttiva”. In conclusione, la tesi accolta dalla Corte territoriale – ha affermato la Cassazione – si muove indiscutibilmente nell’alveo della interpretazione costituzionalmente orientata delle norme di riferimento


L’indennità di trasferta rientra nella retribuzione ordinaria quando viene corrisposta ai trasferisti abituali – Perché inerisce strutturalmente alla loro prestazione lavorativa - L’indennità di trasferta rientra integralmente nella retribuzione ordinaria, ai fini della determinazione delle spettanze per istituti contrattuali e per il t.f.r., quando essa viene corrisposta ai trasfertisti abituali.
            Per i trasferisti di professione il disagio derivante dal fatto di operare fuori sede è inerente strutturalmente alla prestazione lavorativa che sono tenuti a dare e come tale viene retribuito con una voce specifica che fa parte della loro retribuzione ordinaria, allo stesso modo in cui altri lavoratori godono di voci retributive specifiche per altri generi di disagi o di rischio che ineriscono alle loro rispettive prestazioni professionali. Per il trasfertista occasionale, al contrario, il fatto di essere inviato occasionalmente ad operare fuori sede, ed il disagio che questo comporta, sono estranei alla normale prestazione cui è tenuto, e come tale deve essere remunerato (o almeno viene normalmente remunerato) con una voce retributiva a parte, anch’essa estranea alla retribuzione ordinaria (Cassazione Sezione Lavoro n. 28162 del 20 dicembre 2005, Pres. Ciciretti, Rel. Monaci).