La fotocopia è una valida prova se non viene contestata espressamente e specificamente – In base all’art. 2719 cod. civ. – In base all’art. 2719 cod. civ. le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero se non è espressamente disconosciuta. L’onere stabilito dall’art. 2719 cod. civ., di disconoscere “espressamente” la copia fotografica (o fotostatica) di una scrittura, con riguardo sia alla conformità della copia o al suo originale, sia alla sottoscrizione o al contenuto della scrittura stessa, implica che il disconoscimento sia fatto in modo specifico, con una dichiarazione che contenga una non equivoca negazione della genuinità della copia, pur non essendo richiesto l’uso di formule sacramentali. Pertanto, la relativa eccezione non può essere formulata in maniera solo generica o dubitativa, ma deve contenere specifico riferimento al documento ed al profilo di esso che venga contestato (Cassazione Sezione Lavoro n. 1264 del 23 gennaio 2006, Pres. Sciarelli, Rel. Picone).

 



La prova dell’avvenuto recapito di una comunicazione all’indirizzo del destinatario può fondarsi anche su presunzioni – E’ sufficiente provare l’invio di una raccomandata a mezzo del servizio postale anche senza ricevuta di ritorno – L’onere di provare l’avvenuto recapito di una comunicazione all’indirizzo del destinatario può essere assolto avvalendosi di qualsiasi mezzo di prova, e quindi anche di presunzioni, idonee a provare l’invio dell’atto in un luogo che per collegamento ordinario o normale frequenza o preventiva indicazione appartenga alla sfera di dominio o controllo del destinatario. La lettera raccomandata – anche in mancanza dell’avviso di ricevimento – costituisce prova certa della spedizione attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta, da cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale, di arrivo dell’atto al destinatario e di conoscenza ex art. 1335 cod. civ. dello stesso, per cui spetta al destinatario l’onere di dimostrare la mancata conoscenza dell’atto (Cassazione Sezione Lavoro n. 758 del 16 gennaio 2006, Pres. Sciarelli, Rel. Picone).
 

 

 


 

 

Cassazione: Carcere preventivo per chi manda sulla strada baby mendicanti

Carcere preventivo per chi sfrutta i baby mendicanti mandandoli sulla strada a chiedere l'elemosina. La linea dura arriva dalla Corte di Cassazione che, nel confermare la custodia cautelare in carcere disposta dal gip nei confronti di Robert M., 34enne indagato per avere sfruttato l'accatttonaggio di minorenni, ha chiarito che ''la finalita' di sfruttamento non e' esclusa dall'eventualita' che un margine degli introiti dell'accattonaggio vada a beneficio delle persone offese dal reato''. Determinante, invece, sottolinea la Quinta sezione penale nella sentenza 43868, ''e' lo stato di soggezione in cui'' i baby mendicanti ''versano, essendo sottoposti all'altrui potere di disposizione, che si estrinseca nell'esigere, con violenza fisica o psichica, prestazioni sessuali o lavorative, accattonaggio o altri obblighi di fare''. Invano Robert. M., per il quale il Tribunale della Liberta' di Firenze, nel marzo 2005, aveva disposto il carcere preventivo si e' rivolto alla Suprema Corte, sostenendo che non si poteva parlare di sfruttamento dal momento che i minorenni ''traevano utili dall'accattonaggio''. La Suprema Corte ha dichiarato 'inammissibile' il ricorso dell'uomo che resta dunque in carcere con l'accusa di avere sfruttato i baby mendicanti.

 

 


PERCHE’ UN’ASSOCIAZIONE SINDACALE POSSA ESSERE RITENUTA NAZIONALE, AGLI EFFETTI DELL’ART. 28 ST. LAV., NON E’ SUFFICIENTE LA SUA DIFFUSIONE SUL TERRITORIO – Deve farsi riferimento al livello della sua attività (Cassazione Sezione Lavoro n. 1307 del 24 gennaio 2006, Pres. Mileo, Rel. Amoroso).
            Nel giugno del 1995 il sindacato Slai Cobas di Cassino ha promosso nei confronti della s.p.a. Fiat Auto, davanti al locale Pretore, un procedimento per repressione di comportamento antisindacale in base all’art. 28 St. Lav., sostenendo che l’azienda aveva indebitamente limitato il diritto dei propri delegati a fruire di permessi retribuiti e non aveva messo a disposizione un locale all’interno dell’azienda, per fini sindacali. La Fiat Auto s.p.a. si è difesa sostenendo che il Flai non era legittimato a proporre un ricorso in base all’art. 28 St. Lav. in quanto non poteva essere ritenuto “associazione sindacale nazionale” e negando la fondatezza degli addebiti mossile. Nella fase cautelare il Pretore ha accolto la domanda del sindacato, accertando la natura antisindacale del comportamento denunciato. L’opposizione proposta dall’azienda è stata rigettata. La decisione emessa nel giudizio di primo grado è stata confermata, in grado di appello, dal Tribunale di Cassino che, tra l’altro, ha ritenuto priva di fondamento la tesi aziendale secondo cui il Flai non poteva essere ritenuto “associazione sindacale nazionale”. In proposito il Tribunale ha rilevato che il sindacato presentava “una notevole, anche se non uniforme, diffusione sull’intero territorio nazionale, essendo presente in 35 province e 13 regioni, con una concentrazione particolarmente significativa in alcuni settori produttivi, quale quello metalmeccanico” L’azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione del Tribunale di Cassino per violazione dell’art. 28 St. Lav. e per vizi di motivazione.
            La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 1307 del 24 gennaio 2006, Pres. Mileo, Rel. Amoroso) ha accolto il ricorso, osservando che il Tribunale ha errato nell’attribuire al sindacato Slai la natura di “associazione sindacale nazionale” in base a un rilievo meramente topografico. Il carattere “nazionale” dell’associazione sindacale – ha affermato la Corte – è un dato attinente non solo alla mera dimensione territoriale, ma anche all’attività in concreto svolta dalla stessa che deve avere un orizzonte “nazionale” e non già “locale”. L’art. 28 della legge n. 300 del 1970 – com’è noto – non riconosce la legittimazione ad agire a tutte le associazione sindacali, ma la limita agli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, dettando così una disciplina differenziata che opera una distinzione tra associazioni sindacali che hanno accesso (anche) a questo strumento processuale di rafforzata ed incisiva tutela dell’attività sindacale (tutela peraltro presidiata anche da una sanzione penale) ed altre associazioni sindacali che hanno l’accesso (solo) alla tutela ordinaria di un giudizio promosso ex art. 414 cod. proc. civ.
            Dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenze n. 54 del 1974, n. 334 del 1988 e n. 89 del 1995) emerge – ha osservato la Cassazione – che la ragione giustificatrice sottesa alla limitazione della legittimazione dell’art. 28 è anche sostanziale (legata all’attività del sindacato e agli interessi collettivi tutelati) e non già solo formale (discendente dalla mera dislocazione del sindacato sul territorio); ed anzi è soprattutto la ragione sostanziale della differenziazione che rende la stessa compatibile con il principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.) e con quello della libertà di azione sindacale (art. 39, primo comma, Cost.). In breve – ha affermato la Corte – la dimensione territoriale nazionale deve necessariamente coniugarsi ad un’attività orientata alla tutela dei lavoratori a quello stesso livello; pertanto un mero collegamento federativo pur a livello nazionale di plurimi sindacali locali, in ipotesi (come sembra essere nella specie) anche di categorie diverse, se vale a conferire al sindacato così federato la dimensione territoriale nazionale, non implica di per sé anche un’azione sindacale connotata dal carattere nazionale. Ove l’attività sindacale sia in concreto solo quella delle associazioni sindacali locali, scollegata da qualsivoglia politica sindacale nazionale perché inesistente – ha aggiunto la Corte – viene meno il carattere nazionale di siffatto sindacato “federato” ancorché le locali associazioni sindacali, legate dal vincolo federativo, siano plurime e diffuse su tutto il territorio nazionale; se così non fosse la mera creazione di un coordinamento nazionale costituirebbe un passe-partout per l’accesso alla legittimazione al ricorso all’art. 28 cit. a qualsivoglia associazione sindacale meramente locale e verrebbe frustrata quell’esigenza di fondo che giustifica, anche a livello costituzionale, la limitazione della legittimazione. Certo il legislatore dello Statuto dei lavoratori – ha osservato la Corte – non pensava ad una costellazione di plurime associazioni sindacali locali raccolte sotto un’etichetta unitaria, bensì ad un sindacato autenticamente “nazionale” che, avendo una visione ampia degli interessi dei lavoratori associati, ne perseguisse la tutela non già in un’area limitata, ma in tutto il paese e quindi con un’attività sindacale estrinsecantesi anche su tutto il territorio nazionale e non già solo localmente.