IL LAVORATORE DIVENUTO FISICAMENTE NON IDONEO PUO’ ESSERE ASSEGNATO A MANSIONI INFERIORI SOLO CON IL SUO CONSENSO – Per evitare il licenziamento (Cassazione Sezione Lavoro n. 5112 del 6 marzo 2007, Pres. Mattone, Rel. Monaci).
           
Giovanni G., dipendente della S.p.A. Comel con mansioni di autista addetto alla guida di autoveicoli industriali pesanti, è stato sottoposto, su richiesta della datrice di lavoro, ad accertamenti idoneità fisica presso una struttura sanitaria pubblica. Egli è stato visitato da cinque specialisti (tra cui un cardiologo, un medico del lavoro e un oculista) che lo hanno giudicato non idoneo alle mansioni svolte. L’azienda lo ha conseguentemente licenziato. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento davanti al Tribunale di Ragusa, sostenendo che il giudizio espresso dai sanitari della struttura pubblica doveva ritenersi inattendibile perché non adeguatamente motivato. L’azienda si è difesa sostenendo, tra l’altro, di avere offerto al lavoratore la possibilità di continuare a lavorare con mansioni di custode. Il Tribunale, dopo avere nominato un consulente tecnico che ha ritenuto il lavoratore idoneo alle mansioni di autista in precedenza svolte, ha annullato il licenziamento, ordinando la reintegrazione di Giovanni G. nel posto di lavoro e condannando l’azienda al risarcimento del danno. In seguito ad impugnazione proposta alla società, la Corte d’Appello di Catania ha nominato un collegio di periti per un nuovo accertamento delle condizioni di salute del lavoratore. Il collegio, disattendendo il giudizio espresso dal consulente tecnico nominato dal Tribunale, ha accertato la non idoneità del lavoratore alle mansioni di autista di automezzi pesanti, in particolare per la cardiopatia ischemica da cui egli era affetto. Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte d’Appello, tra l’altro, per non avere verificato se l’azienda fosse in grado di impiegarlo con mansioni diverse, anche di livello inferiore, compatibili con le condizioni di salute.
           
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 5112 del 6 marzo 2007, Pres. Mattone, Rel. Monaci) ha rigettato il ricorso, ricordando la sua giurisprudenza secondo cui il datore di lavoro ha l’obbligo di verificare se sussista la possibilità di adibire ad altre mansioni, se pure di livello inferiore, il lavoratore diventato non idoneo alle mansioni originariamente assegnategli, sempre che questi si dichiari disposto ad accettare la dequalificazione, per evitare il licenziamento (Cass. n. 10574/2001, n. 19686/2005, n. 10339/2000). Nel caso in esame – ha osservato la Corte – non risulta che il Giovanni G. si sia dichiarato disposto ad accertare una eventuale proposta di assegnazione a mansioni inferiori, né, per la verità, la circostanza viene da lui allegata; al contrario, il datore di lavoro sostiene di avere offerto a Giovanni G. il posto di custode e di avere chiesto di provare il fatto di avere manifestato a Giovanni G. l’offerta del posto di custode e che né quest’ultimo né i sindacati di appartenenza, avevano dato alcun riscontro; a ciò si aggiunga che il lavoratore non ha indicato quali sarebbero state le mansioni cui avrebbe potuto essere adibito senza subire alcuna dequalificazione.


IN MATERIA DI PROCEDURE SELETTIVE NEL PUBBLICO IMPIEGO LA GIURISDIZIONE DEL GIUDICE ORDINARIO E’ LIMITATA ALLE CONTROVERSIE SUI CONCORSI PER SOLI INTERNI – Quando non comportino il passaggio ad aree funzionali o a categorie più elevate (Cassazione Sezioni Unite Civili n. 5079 del 6 marzo 2007, Pres. Vittoria, Rel. Toffoli).
            
Per quanto riguarda la giurisdizione nelle procedure selettive concorsuali per la copertura di posizioni lavorative nell’ambito del c.d. pubblico impiego privatizzato queste Sezioni unite hanno delineato il seguente quadro complessivo: a) indubbia giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie relative a concorsi per soli esterni; b) identica giurisdizione su controversie relative a concorsi misti (restando irrilevante che il posto da coprire sia compreso o meno nell’ambito della medesima area funzionale alla quale sia riconducibile la posizione di lavoro di interni ammessi alla procedura selettiva, perché, in tal caso, la circostanza che non si tratti di passaggio ad area diversa viene vanificata dalla presenza di possibili vincitori esterni; c) ancora giurisdizione amministrativa quando si tratti di concorsi per soli interni che comportino passaggio ad aree funzionali o a categorie più elevate (spettando, poi, al giudice del merito l’eventuale verifica di legittimità delle norme che escludono l’apertura della selezione all’esterno); d) residuale giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie attinenti a concorsi per soli interni, che comportino l’acquisizione di posizioni più elevate meramente retributive oppure di passaggio da una qualifica ad un’altra nell’ambito della medesima area.


 
 
PER GIUSTIFICARE L’ASSENZA DA CASA DEL LAVORATORE MALATO IN OCCASIONE DELLA VISITA DI CONTROLLO NON E’ SUFFICIENTE LA NECESSITA’ DI SOTTOPORSI A UN ACCERTAMENTO SPECIALISTICO – Se questo può essere effettuato in ore non comprese nelle fasce di controllo (Cassazione Sezione Lavoro n. 3921 del 20 febbraio 2007, Pres. Sciarelli, Rel. De Matteis).
           
Giuseppe C., dipendente della S.p.A. Linificio Canaficio Nazionale, mentre era assente per malattia, nel marzo 1995, è stato oggetto di visita di controllo disposta dall’INPS. Il sanitario incaricato del controllo non ha trovato il lavoratore a casa in quanto egli si era assentato per sottoporsi a visita medica specialistica. Il giorno dopo Giuseppe C. si è sottoposto a visita ambulatoriale che ha confermato lo stato di malattia con prognosi di ulteriori dieci giorni. L’INPS, per l’assenza al controllo, ha ritenuto il lavoratore decaduto dal trattamento di malattia, con conseguente perdita dell’indennità. Giuseppe C. ha chiesto al Pretore di Napoli di riconoscere il suo diritto al trattamento di malattia, sostenendo che l’assenza al controllo doveva ritenersi giustificata, dal momento che egli quel giorno era stato sottoposto a visita medica presso lo studio di uno specialista. Il Pretore ha rigettato la domanda, ma la sua decisione è stata riformata, in grado di appello, dal Tribunale di Napoli che ha affermato il diritto del lavoratore al trattamento di malattia. L’INPS ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione del Tribunale di Napoli per insufficienza di motivazione e violazione di legge.
           
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 3921 del 20 febbraio 2007, Pres. Sciarelli, Rel. De Matteis) ha accolto il ricorso e, decidendo nel merito, ha rigettato la domanda proposta dal lavoratore nei confronti dell’INPS. La Corte ha ricordato la sua giurisprudenza secondo cui: “l’assenza alla visita di controllo, per non essere sanzionata dalla perdita del trattamento economico di malattia ai sensi dell’art. 5, comma 14, del D.L. n. 463 del 1983, convertito nella legge n. 638, può essere giustificata oltre che dal caso di forza maggiore, da ogni situazione, la quale, ancorché non insuperabile e nemmeno tale da determinare, ove non osservata, la lesione di beni primari, abbia reso indifferibile altrove la presenza personale dell’assicurato, come la concomitanza di visite mediche, prestazioni sanitarie o accertamenti specialistici, purchè il lavoratore dimostri l’impossibilità di effettuare tali visite in orario diverso da quello corrispondente alle fasce orarie di reperibilità”. Trattasi – ha osservato la Corte – con ogni evidenza, di accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito, sindacabile in sede di legittimità solo per violazione di legge o per illogicità e contraddittorietà della motivazione; nella sentenza impugnata manca l’accertamento della indifferibilità della visita medica, e della impossibilità di effettuare tali visite in orario diverso da quello corrispondente alle fasce orarie di reperibilità.

 


Ai fini della promozione automatica le mansioni superiori svolte devono essere prevalenti anche sul piano quantitativo – In base all’art. 2103 cod. civ. – Nell’ipotesi di svolgimento, da parte del lavoratore subordinato, di attività promiscue a favore dello stesso datore di lavoro, la qualifica da attribuire al dipendente, in base all’art. 2103 cod. civ., deve essere determinata con esclusivo riferimento al contenuto della mansione primaria e caratterizzante; in tal caso l’indagine del giudice del merito non può limitarsi a considerare le mansioni di maggior rilevanza qualitativa, ma deve anche accertare se queste prevalgano sulle altre sotto il profilo quantitativo, atteso che la mansione primaria è quella svolta con maggiore frequenza e ripetitività, ma deve anche accertare se queste prevalgano sulle altre sotto il profilo quantitativo, atteso che la mansione primaria è quella svolta con maggiore frequenza e ripetitività, così da rappresentare un dato ricorrente e normale nelle diverse mansioni espletate dal dipendente, salva l’ipotesi di una diversa previsione della contrattazione collettiva (Cassazione Sezione Lavoro n. 4272 del 23 febbraio 2007, Pres. De Luca, Rel. D’Agostino).


 


I PASSEGGERI DI UN TRAGHETTO COSTRETTI A UN PERNOTTAMENTO DI FORTUNA, PER UN PREVEDIBILE PEGGIORAMENTO DELLE CONDIZIONI METEREOLOGICHE, HANNO DIRITTO AL RISARCIMENTO DEL DANNO ESISTENZIALE – Per inadempienza e violazione dell’obbligo di solidarietà (Cassazione Sezione Terza Civile n. 3462 del 15 febbraio 2007, Pres. Preden, Rel. Scarano).
           
L’11 agosto del 2001 Lucia B. e Damiano M. si sono imbarcati a Peschici su un traghetto della S.r.l. C.T.M. per una breve gita alle Isole Tremiti con rientro previsto in giornata. A causa del peggioramento delle condizioni meterologiche, il traghetto è rimasto bloccato nel porto dell’Isola di S. Nicola, non essendo in grado di affrontare le condizioni del mare. La S.r.l. C.T.M. non ha provveduto a sistemare i passeggeri sul traghetto di un’altra compagnia, in grado di rientrare a Peschici. Conseguentemente i gitanti hanno dovuto pernottare a Peschici, in un museo e in una chiesa dove i Carabinieri, il Comune e la Protezione Civile hanno allestito giacigli di fortuna. Lucia B. e Damiano M. hanno chiesto al Giudice di Pace di Bari di condannare la s.r.l. C.T.M. al risarcimento dei danni, nella misura di mille euro ciascuno. Il Giudice ha accolto la domanda in quanto ha accertato che, al momento della partenza del traghetto per Peschici, il peggioramento delle condizioni del tempo e del mare era previsto dai bollettini meterologici ed ha pertanto ritenuto che la s.r.l. C.T.M. non avrebbe dovuto effettuare il viaggio, poiché la motonave non era in grado di affrontare il mare mosso; ha inoltre ritenuto che la società avrebbe dovuto quanto meno provvedere ad assicurare il rientro a Peschici dei passeggeri con la nave di altra compagnia, sostenendo il relativo maggior costo. Pertanto il Giudice ha affermato la responsabilità dell’azienda per “i disagi, le traversie, le afflizioni e le allucinanti difficoltà cui furono sottoposti i passeggeri” ed ha ravvisato la configurabilità anche del danno esistenziale “inteso come peggioramento della sfera personale determinato da alterazione, ad opera del fatto illecito di un terzo, delle normali attività quotidiane, quali le attività familiari, sociali, di svago, di riposto, di relax, cui ciascun soggetto ha diritto e che incidono nella sfera psichica del soggetto leso in relazione alla diversa sensibilità individuale e struttura della personalità”. L’azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione del Giudice di Pace per difetto di motivazione.
           
La Suprema Corte (Sezione Terza Civile n. 3462 del 15 febbraio 2007, Pres. Preden, Rel. Scarano) ha rigettato il ricorso. Il Giudice di Bari – ha osservato la Corte – ha correttamente accertato la mancanza di adeguata diligenza nell’adempimento, da parte della società dell’obbligazione contrattuale assunta, nonché la configurabilità nel caso in esame anche di una responsabilità extracontrattuale per la mancata sistemazione dei passeggeri sulla nave di altra compagnia per il rientro. Tale comportamento – ha affermato la Corte – configura violazione dell’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza, quale generale principio di solidarietà sociale che trova applicazione in ambito sia contrattuale che extracontrattuale, imponendo al soggetto di mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale – specificantesi in obblighi di informazione e di avviso – nonché volto alla salvaguardia dell’utilità altrui, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio.


LA CRITICA DEVE ESSERE RIFERITA A FATTI DI PUBBLICO INTERESSE REALMENTE ACCADUTI – Perché all’autore possa essere riconosciuta l’esimente dell’esercizio di un diritto (Cassazione Sezione Quinta Penale n. 7662 del 23 febbraio 2007, Pres. Foscarini, Rel. Didone).
           L’esimente del diritto di critica può rendere non punibili espressioni anche aspre e giudizi che di per sé sarebbero diffamatori, tesi a stigmatizzare un comportamento realmente tenuto dal personaggio pubblico, ma non può scriminare la falsa attribuzione di una condotta scorretta, utilizzata come fondamento per la critica. Il diritto di cronaca e quello di critica, invero, si differenziano essenzialmente perché per l’esercizio di quest’ultimo il limite della continenza è assai meno rigido, mentre non è vero che gli altri presupposti richiesti per riconoscere l’esimente di cui all’articolo 51 c.p. – la verità del fatto attribuito e l’interesse pubblico al fatto narrato e/o criticato – siano diversi per i due diritti. La critica si articola in due momenti logici che vanno tenuti ben distinti; il primo è caratterizzato dalla esposizione del fatto attribuito all’uomo politico, il secondo dalle critiche che alle parole pronunciate o ai comportamenti assunti dalla persona oggetto di attenzione vengono rivolte. Non vi può essere alcun dubbio che il fatto che costituisce il presupposto delle espressioni critiche debba essere vero, perché non può essere assolutamente consentito attribuire ad una persona comportamenti mai tenuti o frasi mai pronunciate e poi esporlo a critica come se quelle parole e quei fatti fossero davvero a lui attribuibili. Quindi in ordine alla verità del fatto che costituisce il presupposto della critica non è ravvisabile nessuna differenza apprezzabile tra l’esercizio del diritto di cronaca e di critica, dal momento che entrambe le esimenti richiedono la verità del fatto, e le modalità espressive – continenza – del concreto esercizio dei due diritti. E’ certamente vero che la verità assoluta non esiste e che la realtà non può essere percepita in modo differente; cosicché può accadere che due narrazioni dello stesso fatto presentino delle divergenze, talvolta anche marcate, perché ciascuno può dare risalto ad aspetti specifici dello stesso accadimento, determinando così percezioni e, quindi, conseguenti valutazioni differenti. Ma ciò non può accadere per specifici comportamenti attribuiti ad una persona.