UN TRASFERIMENTO PUO’ ESSERE RITENUTO ILLEGITTIMO PER MANCATO RISPETTO DELL’OBBLIGO CONTRATTUALE DI INTERPELLARE PREVIAMENTE IL LAVORATORE – Sull’eventuale esistenza di ragioni personali o familiari ostative al provvedimento (Cassazione Sezione Lavoro n. 4936 del 2 marzo 2007, Pres. Mattone, Rel. Di Cerbo).
           
Gennaro  C. dipendente dalla società di assicurazioni Commercial Union, è stato trasferito, nel 1998, da Napoli a Firenze. Egli ha chiesto al Pretore di Napoli l’annullamento del trasferimento, sostenendo che esso doveva ritenersi illegittimo perché l’azienda, in violazione dell’art. 60 del contratto collettivo nazionale, non gli aveva dato la possibilità di esporre le ragioni personali e familiari di particolare gravità ostative al trasferimento. Il Pretore ha rigettato la domanda. In grado di appello il Tribunale di Napoli ha invece annullato il trasferimento, in quanto ha ritenuto che in base all’art. 60 del ccnl l’azienda fosse tenuta a richiedere al lavoratore, prima di decidere il trasferimento, se sussistevano ragioni personali o familiari che si frapponevano al cambiamento del luogo di lavoro. La società ha proposto ricorso per cassazione sostenendo che il Tribunale non aveva correttamente interpretato la clausola contrattuale, secondo il suo testo letterale (come previsto dall’art. 1362 cod. civ.) in quanto questa doveva intendersi riferita a situazioni già a conoscenza dell’azienda e non comportava pertanto l’onere di un previo interpello del lavoratore.
           
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 4936 del 2 marzo 2007, Pres. Mattone, Rel. Di Cerbo) ha rigettato il ricorso. Nella specie – ha osservato la Corte – non è configurabile alcuna violazione delle regole di ermeneutica contrattuale atteso che appare del tutto conforme a logica, correttamente motivata e certamente non lesiva del criterio di cui all’art. 1362 cod. civ., la conclusione del giudice del gravame che, nell’interpretare la norma collettiva (art. 60 ccnl), ai sensi della quale, ai fini dell’adozione di un provvedimento di trasferimento, “l’impresa terrà conto di situazioni oggettive di particolare gravità del lavoratore/trice”, ha ritenuto che essa imponga al datore di lavoro un obbligo di collaborazione consistente nel consentire al dipendente di esporre, prima di attuare il trasferimento, le ragioni ostative dello stesso (ove sussistenti). La contraria interpretazione suggerita dalla società ricorrente, secondo la quale la norma citata farebbe riferimento unicamente alle situazioni familiari e personali a conoscenza dell’azienda – ha affermato la Corte – renderebbe l’applicazione della stessa del tutto aleatoria, in quanto affidata alla casuale conoscenza, da parte dell’azienda, di situazioni familiari e personali del lavoratore, ed appare pertanto certamente non conforme al criterio di cui al citato art. 1362 cod. civ..


 
LA SCARSA EFFICIENZA NELLA GESTIONE DEL PERSONALE PUO’ GIUSTIFICARE IL TRASFERIMENTO DI UN QUADRO – In base all’art. 2103 cod. civ. (Cassazione Sezione Lavoro n. 4265 del 23 febbraio 2007, Pres. Sciarelli, Rel. De Matteis).
           
Franco T., dipendente delle Poste Italiane con qualifica di quadro, preposto all’agenzia di Aprilia, è stato trasferito nel 1997 all’agenzia di Sabaudia, di minori dimensioni, con riduzione della sua indennità di funzione. Il provvedimento è stato motivato con riferimento ai risultati di un’indagine ispettiva secondo cui Franco T., presso l’agenzia di Aprilia, si era reso responsabile di disservizi nel recapito della corrispondenza, per carenze organizzative e scarsa efficienza nella gestione del personale. Il lavoratore ha chiesto al Pretore di Latina l’annullamento del trasferimento. Sia il Pretore, che, in grado di appello, il Tribunale di Latina hanno ritenuto il trasferimento illegittimo in quanto provvedimento disciplinare adottato dall’azienda senza avere previamente sentito le difese del lavoratore, in violazione dell’art. 7 St. Lav.. L’azienda ha proposto ricorso per cassazione, invocando tra l’altro, l’art. 41 della Costituzione, che tutela la libertà dell’iniziativa privata.
           
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 4265 del 23 febbraio 2007, Pres. Sciarelli, Rel. De Matteis) ha accolto il ricorso e, oltre a cassare la sentenza del Tribunale di Latina, ha deciso la causa nel merito, rigettando la domanda di annullamento del trasferimento. La Corte ha richiamato la sua giurisprudenza (Cass. n. 17786 del 2002) secondo cui: “Il trasferimento del dipendente dovuto ad incompatibilità aziendale, trovando la sua ragione nello stato di disorganizzazione e disfunzione dell’unità produttiva, va ricondotto alle esigenze tecniche, organizzative e produttive, di cui all’art. 2103 cod. civ., piuttosto che, sia pure tipicamente, a ragioni punitive e disciplinari, con la conseguenza che la legittimità del provvedimento datoriale di trasferimento prescinde dalla colpa (in senso lato) dei lavoratori trasferiti, come dall’osservanza di qualsiasi altra garanzia sostanziale o procedimentale che sia stabilita per le sanzioni disciplinari. In tali casi, il controllo giurisdizionale sulle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, che legittimano il trasferimento del lavoratore subordinato, deve essere diretto ad accertare soltanto se vi sia corrispondenza tra il provvedimento datoriale e le finalità tipiche dell’impresa, e, trovando un preciso limite nel principio di libertà dell’iniziativa economica privata (garantita dall’art. 41 Cost.), il controllo stesso non può essere esteso al merito della scelta imprenditoriale, né questa deve presentare necessariamente i caratteri della inevitabilità, essendo sufficiente che il trasferimento concreti una tra le scelte ragionevoli che il datore di lavoro possa adottare sul piano tecnico, organizzativo o produttivo.” Nel caso di specie – ha osservato la Cassazione – dal verbale ispettivo, per come riportato dalla sentenza impugnata, emerge che l’Ente Poste Italiane non ha contestato a Franco T. delle colpe specifiche, né le ha sanzionate con misure disciplinari, ma una inadeguatezza al ruolo di dirigente di una grande filiale, il che esclude anche che il trasferimento abbia avuto un carattere specificamente disciplinare; infatti l’inadeguatezza alla direzione di una struttura aziendale o al raggiungimento di risultati di efficienza non costituisce di per sé un fatto disciplinare, dovendo avere questo come connotato una responsabilità colposa soggettiva, per il quale si richiede un comportamento volontario almeno colposo.
           
Alla luce dell’art. 41 Cost. e dell’obbligo istituzionale della S.p.A. Poste Italiane di fornire un servizio pubblico essenziale ai cittadini ed al sistema produttivo dello Stato – ha affermato la Corte – lo strumento adottato dalla S.p.A. Poste Italiane per restituire funzionalità all’agenzia di Aprilia mediante l’assegnazione di un dirigente più capace risulta essere assolutamente legittimo, ed il trasferimento del precedente dirigente, sotto la cui gestione si erano verificati i gravi disservizi (mancata consegna della corrispondenza) rilevati dal servizio ispettivo e non contestati, deve ritenersi necessitato da obiettive esigenze organizzative.


Il datore di lavoro è garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale del dipendente – In base all’art. 2087 cod. civ. – Come è noto, in forza della disposizione generale di cui all’art. 2087 del codice civile e di quelle specifiche previste dalla normativa antinfortunistica, il datore di lavoro è costituito garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall’art. 40, comma 2, cod. pen. (“Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”).
             
Ne consegue che il datore di lavoro, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando altresì a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l’opera. In altri termini, il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l’adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all’attività lavorativa: tale obbligo dovendosi ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente, al disposto dell’art. 2087 cod. civ., in forza del quale il datore di lavoro è comunque costituito garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all’obbligo di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall’articolo 40, comma 2, cod. pen..
             
Tale obbligo comportamentale, che è conseguenza immediata e diretta della “posizione di garanzia” che il datore di lavoro assume nei confronti del lavoratore, in relazione all’obbligo di garantire condizioni di lavoro quanto più possibili sicure, è di tale spessore che non potrebbe neppure escludersi una responsabilità colposa del datore di lavoro allorquando questi tali condizioni non abbia assicurato, pur formalmente rispettando le norme tecniche, eventualmente dettate in materia al competente organo amministrativo, in quanto, al di là dell’obbligo di rispettare le suddette prescrizioni specificamente volte a prevenire situazioni di pericolo o di danno, sussiste pur sempre quello di agire in ogni caso con la diligenza, la prudenza e l’accortezza necessarie ad evitare che dalla propria attività derivi un nocumento a terzi (Cassazione Sezione Quarta Penale n. 10109 del 9 marzo 2007, Pres. Brusco, Rel. Piccialli). 


Giudice di Pace: sosta a pagamento con regolare titolo
 
Illegittima la multa elevata dagli ausiliari del traffico se viene provato il regolare possesso del titolo richiesto per la sosta a pagamento

Lo ha stabilito il Giudice di Pace di Lecce, Avv. Anna Maria Aventaggiato, con sentenza pubblicata il 13.02.07, con cui ha accolto il ricorso proposto da un cittadino avverso il verbale, emesso dalla Polizia Municipale di Lecce, con il quale gli è stato richiesto il pagamento di euro 43,00 quale sanzione amministrativa per violazione dell’art. 7 comma 1, lett. F) e 14 del C.d.S. per aver sostato in area regolamentata senza esporre il titolo di pagamento.

Con la richiamata pronuncia il Giudice di Pace di Lecce ha accolto le tesi prospettate dal ricorrente secondo cui non corrispondeva al vero la circostanza di cui al verbale perché, alla data ed orario contestati, lo stesso aveva provveduto regolarmente a munirsi dell’obbligatorio tagliando.

Il Comune di Lecce si è costituito in giudizio depositando la documentazione richiestagli, rilevando la regolarità e legittimità della violazione impugnata.

Con la citata sentenza il Giudice di Pace ha accolto il ricorso statuendo che “risulta pacifico dagli atti di causa che il ricorrente, il giorno 15.03.2006, alle ore 19,45, prima di sostare in area regolamentata, si era munito del relativo tagliando, come si evince dal documento in atti in cui è riportato l’orario di inizio sosta alle ore 19,37, con fine sosta alle ore 20,29, per il costo di euro 0,90 e, pertanto, la sosta essendo stata regolarmente pagata, copriva necessariamente anche il periodo contestato in verbale e cioè le ore 19,45”.

Ciò dimostra, ha concluso il Giudice, che il ricorrente ha sostato regolarmente, essendo in possesso del titolo richiesto per la sosta regolamenta, esposto sul cruscotto e, pertanto, non può che ritenersi il comportamento dello stesso osservante delle norme del codice della strada con conseguente annullamento dell’illegittimo verbale emesso.

(Giudice di Pace di Lecce, Sentenza 22 gennaio 2007)
 

Cassazione: figlio minore trucca il motorino? La responsabilità è dei genitori

La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. 6685/2007), ha stabilito che la responsabilità è sempre dei genitori se il figlio minorenne modifica le caratteristiche dello scooter, a suo servizio, al fine di ottenerne maggiori prestazioni a livello di velocità.
I Giudici del Palazzaccio hanno precisato che il genitore che eserciti la potestà su un minorenne “reo” di aver modificato il motorino (di proprietà del genitore), può essere ritenuto non responsabile del fatto solo se dimostra di non aver potuto impedire il fatto fornendo la prova di avere esercitato la massima vigilanza sul minore e di aver fatto tutto il possibile per evitare che il medesimo circolasse su strada con un veicolo capace di sviluppare una velocità superiore a quella consentita e di aver controllato che il veicolo non venisse a tal fine modificato.
Con questa decisione la Corte ha rigettato il ricorso presentato da un padre a cui il Prefetto aveva disposto la confisca dello scooter (modificato) di sua proprietà


Cassazione: il trasportato non indossa cinture? Va multato ma non perde i punti

La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. 6402/2007) ha stabilito che il passeggero che viaggia in auto senza allacciare le cinture di sicurezza può essere multato ma non possono essergli detratti i punti dalla patente.
I Giudici di Piazza Cavour hanno infatti rilevato che nelle ipotesi di mancato allacciamento della cintura la responsabilità maggiore è dell’autista e non di chi gli sta accanto.
E’ per questo, spiega la Corte, che "il passeggero risponde del mancato uso della cintura di sicurezza solo con la sanzione pecuniaria, e non anche con la detrazione dei punti dalla patente".

 


 

Cassazione: avances infantili in ufficio? Si rischia il licenziamento

Può bastare un avances anche grossolana e infantile a far perdere il posto di lavoro. E’ quanto stabilisce una sentenza della Corte di Cassazione (Sezione Lavoro Sent. n. 6621/2007) che ha confermato il licenziamento di un lavoratore “reo” di innocenti molestie verso una sua superiore gerarchica.
Anche se le molestie erano state poste in essere con modalità grossolane e infantili, la Corte ha ritenuto legittimo il licenziamento rilevando tra l’altro che il lavoratore si era vantato con i colleghi di stretta confidenzialità con la donna e di una “conoscenza intima”.
L’intraprendente lavoratore aveva sostenuto nel suo ricorso di non meritare il licenziamento sia perché le avances erano state infantili sia perché la posizione della donna che era un suo superiore gerarchico l’avrebbe comunque posta al riparo dal timore che un rifiuto potesse pregiudicare la sua posizione lavorativa.
Nel respingere il ricorso la Corte ha confermato la legittimità della sanzione rilevando che nella fattispecie è venuto meno "l'elemento fiduciario del rapporto di lavoro”.

 


 

Mutuo per costruzione o ristrutturazione dell'abitazione principale

L’articolo 3, comma 1, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, recante “Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica” ha disposto l’inserimento del comma 1-ter nell’art. 13-bis (oggi art. 15) del Tuir approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. In base a detta disposizione ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, si detrae dall’imposta lorda, e fino alla concorrenza del suo ammontare, un importo pari al 19 per cento dell’ammontare complessivo non superiore a euro 2.582,28. Deve trattarsi di oneri sostenuti per interessi passivi e relativi oneri accessori, nonché per quote di rivalutazione dipendenti da clausole di indicizzazione pagati a soggetti residenti nel territorio dello Stato o di uno Stato membro dell’Unione Europea, ovvero a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti, in dipendenza di mutui contratti a partire dal 1° gennaio 1998 e garantiti da ipoteca, per la costruzione dell’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale. Per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente o i suoi familiari dimorano abitualmente. A tal fine rilevano le risultanze dei registri anagrafici o l’autocertificazione effettuata ai sensi del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, con la quale il contribuente può attestare anche che dimora abitualmente in luogo diverso da quello indicato nei registri anagrafici. Per costruzione di unità immobiliare si intendono tutti gli interventi realizzati in conformità al provvedimento di abilitazione comunale che autorizzi una nuova costruzione, compresi gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 31, comma 1, lett. d), della L. 5 agosto 1978, n. 457.