Giro di vite nei confronti
di chi usa prepotenza alla guida dell'auto. La Corte di Cassazione ha
infatti stabilito che tagliare la strada costituisce una vera e propria
violenza privata punibile perfino con la reclusione. In questo modo la
quinta Sezione penale (sentenza 42276) ha reso definitiva la condanna a 15
giorni di reclusione per il reato di violenza privata a Sandro T., un
46enne di Udine che in autostrada si era messo a fare l'arrogante alla
guida della sua Porsche, tagliando la strada a un altro conducente,
Maurizio B., costretto a brusche frenate. Secondo la Suprema Corte, che ha
dichiarato inammissibile il ricorso dell'automobilista udinese, configura
violenza privata ''la condotta del conducente di autoveicolo, il quale
compia deliberatamente manovre insidiose al fine di interferire con la
condotta di guida di altro utente della strada, realizzando così una
privazione della libertà di determinazione e di azione della persona
offesa''. Sandro T. è stato inoltre condannato a una multa di 300 euro per
ingiuria per aver fatto anche un gestaccio con il dito medio della mano
all'altro automobilista. Già la Corte d'Appello di Trieste, nel novembre
2005, aveva condannato a 15 giorni di reclusione per violenza privata e
alla multa per ingiuria il conducente della Porsche perché, in autostrada,
mentre Maurizio B. ''stava compiendo manovra di sorpasso sopraggiungeva la
Porsche che lampeggiava per ottenere strada''. ''Rientrava a destra - si
legge ancora nella sentenza - e la Porsche lo superava e rientrava
anch'essa bruscamente, tagliandogli la strada e frenando repentinamente,
così da costringerlo a frenata di emergenza per evitare il tamponamento''.
La Porsche proseguiva quindi ''alla modesta velocità di 50-60 chilometri
orari e l'altro automobilista decideva di sorpassarla ma iniziata la
manovra, la Porsche riaccelerava e si riportava sulla corsia di sorpasso,
tagliandogli di nuovo la strada e costringendolo ancora a brusca frenata e
al rientro a destra''. A quel punto l'altro automobilista suonava il
clacson e a questo punto il guidatore della Porsche alzava il dito medio,
cominciando a zigzagare in tutte le corsie per parecchi chilometri. Un
caso di prepotenza automobilistica finito davanti alla magistratura che ha
deciso di usare mano pesante per scoraggiare questi comportamenti. E oggi
la conferma da parte della Cassazione che ha dichiarato inammissibile il
ricorso dell'automobilista prepotente condannato pure al pagamento di 500
euro alla cassa delle ammende.
Cassazione: rischia carcere automobilista che non
si ferma anche per incidente lieve
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Rischia il carcere l'automobilista
che non si ferma a prestare soccorso anche in caso di incidente lieve.
Chi infatti si sottrae a questo dovere sentito come ''fastidioso''
rischia fino ad un anno di reclusione, oltre ad una multa. A
scoraggiare la cattive abitudini dei cosidetti 'pirati' della strada
e' la Corte di Cassazione che ha confermato la condanna penale (non e'
specificata l'entita' della pena) nei confronti di un automobilista
28enne, Gaetano F. per il reato di omissione di soccorso perche',
''sceso dalla propria autovettura e limitatosi a constatare i danni
provocati dalla sua autovettura dal tamponamento di quella che lo
precedeva, immediatamente dopo si dileguava senza averne
giustificazione dal luogo del sinistro, in tal modo dando la prova che
la fuga sia stata voluta per sottrarsi al dovere, ritenuto fastidioso,
di prestare l'assistenza occorrente alle vittime dell'incidente''. Per
la Cassazione, e' ''irrilevante'' ai fini della responsabilita' ''che
le lesioni patite dalle vittime dell'incidente siano gravi o lievi'',
l'automobilista deve comunque fermarsi e ha l'obbligo di ''prestare
assistenza'' in caso vi siano ''persone ferite''. La Quarta sezione
penale (sentenza 41962) ricorda che ''l'inottemperanza all'obbligo di
fermarsi e' punita con la sanzione amministrativa in caso di incidente
con danno alle sole cose e con quella penale della reclusione fino a
quattro mesi in caso di incidente con danno alle persone''. In questo
caso specifico, poi, annota la Suprema Corte, ''se il conducente si e'
dato alla fuga la norma contempla la possibilita' dell'arresto in
flagranza nonche' la sanzione accessoria della sospensione della
patente; la sanzione penale e' piu' grave per chi non ottempera
all'obbligo di prestare assistenza (reclusione fino ad un anno e
multa)''.
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Cassazione: lui si accolla il mutuo della casa?
Mantenga anche la ex
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Il fatto che il marito si sobbarchi
per intero il mutuo della casa in comproprieta' con la moglie non
significa, in caso di separazione, che questo lo esenti dal
mantenerla. Lo sottolinea la Corte di Cassazione in una sentenza della
Prima sezione civile (26835) con la quale ha respinto il ricorso di
Cristofaro L.C., divenuto questore nel 1996, che si era opposto al
mantenimento dell'ex moglie Franca G., dalla quale si era separato nel
'98, imostogli dalla Corte d'appello di Roma, nel dicembre 2002.
Secondo la Suprema Corte, e' del tutto irrilevante che l'uomo pagasse
''interamente il mutuo sulla casa in compropieta''' con la moglie,
perche' ''l'attribuzione dell'assegno richiede di accertare, sulla
base delle prove offerte, il tenore di vita del quale i coniugi erano
in grado di godere durante il matrimonio in base al reddito
complessivo; quindi di accertare se, con i propri mezzi, il coniuge
richiedente sia in grado di conservare un tenore di vita
tendenzialmente analogo''. In caso negativo, ''di valutare
comparativamente la posizione economica al momento della pronuncia
della separazione e, ove la situazione del coniuge richiedente sia
deteriore rispetto a quella dell'altro, di quantificare l'assegno in
funzione tendenzialemente restitutoria, in suo favore, del tenore di
vita''.
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Cassazione: il venditore non consegna la
documentazione al momento del rogito? Si può chiedere la risoluzione
del preliminare
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La Seconda Sezione Civile della
Corte di Cassazione (Sent. n. 25703/2006) ha stabilito che il
promissorio acquirente può chiedere la risoluzione del contratto
preliminare di compravendita per inadempimento da parte del
promittente venditore nel caso in cui questi non adempia all'obbligo
di consegnare, alla data del rogito, i documenti relativi all’immobile
promesso in vendita. I Giudici del Palazzaccio hanno infatti osservato
che la mancata produzione di documentazione relativa al accatastamento
dell’immobile, all’assenza di concessione edilizia e soprattutto alla
mancanza della abitabilità costituiscono “fatti impeditivi del
trasferimento della proprietà dell’immobile”. Con questa decisione la
Corte ha respinto il ricorso del promissorio venditore che si era
presentato alla data stabilita per il rogito senza la documentazione
relativa al certificato di abitabilità e alla concessione in
sanatoria.
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Cassazione: coniugi di fede diversa, non
condannabili per liti anche violente
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I coniugi con un diverso credo
religioso che hanno ''dissidi'' anche ''violenti'' a causa delle
divergenze sull'educazione da impartire ai figli non necessariamente
vanno condannati penalmente se il loro dissenso sfocia in reazioni
violente. In questo modo la Sesta sezione penale della Cassazione ha
confermato l'assoluzione dal reato di maltrattamenti ad un marito
calabrese Vincenzo E., 54 anni, denunciato dalla moglie Chiarina,
testimone di Geova, per ''averla maltrattata con ripetute offese,
minacce, aggressioni alla sua integrita' fisica''. Le liti tra la
coppia, come si legge nella sentenza 40789, erano diventate sempre
piu' accese ''in parte per i continui dissidi circa l'educazione
religiosa dei figli, che la moglie, testimone di Geova, impartiva
secondo la propria fede, in contrasto con il marito'', in parte per la
''relazione adulterina'' che il coniuge intratteneva con un'altra
donna. Secondo la Suprema Corte, che ha dichiarato inammissibile il
ricorso presentato dalla Procura presso la Corte d'appello di
Catanzaro che si era opposta all'assoluzione dell'uomo, legittimamente
l'uomo e' stato assolto sia in primo che in secondo grado (Corte
appello di Catanzaro, dicembre 2004), perche' ''si e' ritenuto che le
condotte'' a lui imputate ''fossero espressione di una reattivita'
estemporanea che affondava le sue radici nel clima del dissidio tra i
coniugi derivante sia dalla diversa religione praticata'' dalla donna
''sia, soprattutto, dalla relazione adulterina intrattenuta'' dal
marito ''che tuttavia la congiunta era disposta a subire, non
sollecitando la separazione dal marito''. In ''tale clima'', annota
ancora piazza Cavour, ''andavano collocati gli episodi di percosse di
cui aveva parlato la figlia Roberta''. Da qui la definitiva
assoluzione dell'uomo.
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LA MOBILITA’ VOLONTARIA
NELL’AMBITO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE DA’ LUOGO AD UNA CESSIONE
DI CONTRATTO –
Ciò impedisce la richiesta, da parte del nuovo datore
di lavoro, della firma di un patto di prova. (Cassazione Sezioni Unite
Civili n. 26420 del 12 dicembre 2006, Pres. Nicastro, Rel. De Matteis).
Paola M. è stata assunta il 3 novembre 1997 dal Comune di Trenzano
(BS) con contratto a tempo indeterminato, con la qualifica di
istruttore direttivo contabile-economico; passata, a seguito di
mobilità volontaria, al comune di Roccabianca (PR), vi ha preso
servizio il 29 giugno 1998; si è assentata per malattia dal 20 luglio
al 22 novembre 1998; l’11 dicembre successivo l’amministrazione
comunale di Roccabianca le ha sottoposto per la firma il contratto di
lavoro, con patto di prova; alla sua richiesta di tempo per
riflettere, in relazione alla inserzione del patto di prova, è stata
allontanata dal servizio. Paola M. ha proposto davanti al Tribunale di
Parma, giudice del lavoro, le seguenti domande:
1.
in via principale, accertata l’illegittimità del
licenziamento, ordinare la immediata reintegra con le mansioni di
istruttore direttivo contabile economico; condannare il comune di
Roccabianca a pagare tutte le retribuzioni spettanti ed il
risarcimento del danno, conseguente all’illegittimo demansionamento e
all’illegittimo recesso, ivi compreso il danno alla professionalità,
alla dignità della persona e biologico;
2.
in via subordinata, ritenuta la trilateralità del
rapporto, ordinare al comune di Trenzano la riammissione in servizio,
con le mansioni attribuite da tale ente prima del trasferimento,
nonché condannarlo al risarcimento del danno.
Il Giudice adito ha respinto la domanda. Egli ha ritenuto che la
delibera di assunzione abbia il valore di un atto di nomina; che il
rapporto di lavoro deve essere costituito in forma scritta
ad substantiam;
che, non avendo Paola M. sottoscritto il contratto di assunzione con
l’amministrazione di Roccabianca, il rapporto vada qualificato come
rapporto di fatto, disciplinato dall’art. 36, comma 8, D.lgs. 3
febbraio 1993, n. 29, e, per gli enti locali, dall’art. 5 legge 3 del
1979; che dall’art. 2126 cod. civ. non deriva il diritto alla
prosecuzione del rapporto. La sentenza è stata confermata dalla Corte
d’Appello di Bologna con sentenza 23 ottobre/28 novembre 2003 n. 362.
Il giudice d’appello ha preliminarmente qualificato la mobilità
volontaria come passaggio diretto che consente la costituzione, senza
soluzione di continuità, di un nuovo e diverso rapporto di lavoro con
altra amministrazione pubblica, senza l’espletamento di una nuova
procedura concorsuale; esso – secondo la Corte – comporta la
estinzione del rapporto originario con l’amministrazione cedente.
Paola M. ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione
impugnata per violazione di legge.
La Suprema Corte (Sezioni Unite Civili n. 26420 del 12 dicembre 2006,
Pres. Nicastro, Rel. De Matteis) ha accolto il ricorso. La mobilità
volontaria nel settore pubblico, prevista dall’art. 33 D. Lgs.
3.2.1993 n. 29 – ha osservato la Corte – è soggetta a vincoli quanto a
conservazione dell’anzianità, della qualifica, del trattamento
economico; la dottrina amministrativa, già sotto la vigenza del D.Lgs.
29/1993, aveva qualificato in maniera pressoché unanime tale fenomeno,
denominato nel testo legislativo passaggio diretto, come modificazione
meramente soggettiva del rapporto, con continuità del suo contenuto, e
quindi come cessione di contratto; tale qualificazione sembra corretta
alla luce del tipo contrattuale delineato nell’art. 1406 cod. civ. e
della giurisprudenza della Suprema Corte. Infatti – ha affermato la
Corte – la cessione del contratto, ammissibile anche per il contratto
di lavoro, comporta il trasferimento soggettivo del complesso unitario
di diritti ed obblighi derivanti dal contratto, lasciando immutati gli
elementi oggettivi essenziali; tale qualificazione riceve conforto
dall’art. 16 Legge 28.11.2005 n. 246 il quale, nel modificare l’art.
30 D. Lgs. 30.3.2001 n. 165, pur mantenendo la rubrica di “passaggio
diretto”, nel testo della norma parla testualmente di “cessione di
contratto”.
Trattandosi di cessione di contratto – ha concluso la Corte – ne
deriva l’illegittimità della pretesa, da parte del Comune di
Roccabianca, della stipulazione di un nuovo contratto di assunzione e
di un nuovo patto di prova; da ciò consegue altresì l’illegittimità
del licenziamento per mancata sottoscrizione del patto di prova. La
Corte ha cassato la sentenza impugnata rinviando la causa alla Corte
di Appello di Firenze per la quale ha enunciato il seguente principio
di diritto: “La
mobilità volontaria prevista dall’art. 33 D. Lgs. 3 febbraio 1993, n.
29, come modificato da ultimo dall’art. 16 legge 28 novembre 2005 n.
246, integra una modificazione soggettiva del rapporto di lavoro, con
il consenso di tutte le parti, e quindi una cessione del contratto,
per cui è illegittima la pretesa di un nuovo patto di prova
nell’amministrazione ad quem, ove il periodo di prova sia stato già
superato nell’amministrazione a quo”.
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La lesione
dell’integrità psico-fisica della persona può dar luogo a un
duplice risarcimento – Per il danno biologico e per la riduzione della
capacità lavorativa specifica
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Il comportamento illecito lesivo dell’integrità psico-fisica della
persona può dar luogo a due distinte voci di risarcimento,
rispettivamente a titolo di danno biologico e di danno patrimoniale
per la riduzione della capacità lavorativa specifica. Pertanto il
giudice è tenuto a verificare se le lesioni accertate, oltre ad
incidere sulla salute del soggetto, abbiano anche ridotto la sua
capacità lavorativa specifica, con riduzione, per il futuro, della sua
capacità di reddito (Cassazione Sezione Lavoro n. 238 del 10 gennaio
2007, Pres. Senese, Rel. De Matteis).
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