PROVOCAZIONI E DERISIONI
NELL’AMBIENTE DI LAVORO POSSONO CONFIGURARE UN’ATTENUANTE PER IL
LAVORATORE CHE REAGISCA CON CALCI E PUGNI ALL’USCITA DELLO STABILIMENTO
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La sanzione del licenziamento può essere ritenuta eccessiva
(Cassazione Sezione Lavoro n. 17956 del 9 agosto 2006, Pres. Mercurio,
Rel. Stile).
Fernando A., dipendente dell’Ilva s.p.a., è stato
sottoposto a procedimento disciplinare e licenziato in tronco con
l’addebito di aver aggredito il collega Salvatore S., colpendolo con calci
e pugni, all’uscita dallo spogliatoio dello stabilimento. Egli ha chiesto
al Tribunale di Taranto di annullare il licenziamento sostenendo, tra
l’altro, che nella valutazione del fatto si doveva tener presente che egli
era stato oggetto di continue provocazioni e derisioni da parte di
Salvatore S., nell’ambiente di lavoro. Il Tribunale, dopo aver svolto
l’istruttoria, ha respinto la richiesta di annullamento del licenziamento,
ma ha escluso la configurabilità di una giusta causa, ed ha ravvisato, nel
comportamento di Fernando A. un giustificato motivo soggettivo di recesso,
riconoscendo pertanto al lavoratore il diritto all’indennità sostitutiva
del preavviso. Questa decisione è stata riformata dalla Corte d’Appello di
Taranto che ha annullato il licenziamento in quanto ha ritenuto eccessiva
la sanzione, in considerazione del fatto che il comportamento di Fernando
A. trovava almeno parziale giustificazione nelle continue provocazioni e
derisioni da lui subita nell’ambiente di lavoro ad opera di Salvatore S.
L’azienda ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione
della Corte di Taranto per vizi di motivazione e violazione di legge.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 17956 del 9 agosto
2006, Pres. Mercurio, Rel. Stile) ha rigettato il ricorso, in quanto ha
ritenuto che la decisione impugnata sia stata adeguatamente motivata. Nel
caso in esame – ha osservato la Corte – il Giudice dell’appello, dopo
avere proceduto all’esame delle deposizioni dei testi escussi, ne ha
ricavato “un dato di fatto”, ritenuto di particolare rilevanza ai fini
della valutazione del comportamento posto a fondamento del provvedimento
espulsivo. Ha, in proposito, affermato che “la condotta dell’Angolano, pur
se riprovevole, perché lo è sempre quella che si impernia sulla violenza
fisica o psichica, non fu peraltro del tutto arbitraria e d’impeto”,
essendo stata la sua reazione “con ogni probabilità” la conseguenza del
rancore che era venuto accumulandosi a causa del continuo ed irritante
scherno”. La Corte di Appello – ha rilevato la Cassazione – ha anche
soggiunto, a maggior chiarimento della propria valutazione, avallata dalle
risultanze del libero interrogatorio dello stesso Fernando A., che,
potendo “dirsi provata” la circostanza che quest’ultimo agì in seguito
alle continue provocazioni subite, la sua condotta non poteva essere
considerata così grave, sotto il profilo psicologico, da legittimare
l’adozione nei suoi confronti del provvedimento espulsivo, dovendosi anche
tener conto che essa non era avvenuta per ragioni di lavoro, né era stata
posta in essere durante l’esecuzione delle prestazioni lavorative, né
nell’ambito del reparto, ma solo nello stabilimento, per giunta in tarda
ora, quando, per l’esiguo numero di persone presenti, non era nemmeno
ipotizzabile potesse aver provocato capannelli, pericolosi per lo
svolgimento dell’attività produttiva.
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