PER OTTENERE IL TRATTAMENTO DI MATERNITA’ NON E’ INDISPENSABILE CHE LA LAVORATRICE PRODUCA LE PREVISTE CERTIFICAZIONI Se, di fatto, il datore di lavoro è a conoscenza di quanto verificatosi (Cassazione Sezione Lavoro n. 3620 del 16 febbraio 2007, Pres. De Luca, Rel. Monaci).
           
Maria T., dipendente della Ditta La Scaurese, dopo avere avuto un bambino, è stata licenziata al termine del periodo di astensione obbligatoria per maternità. Ella ha chiesto al Pretore di Napoli di dichiarare la nullità del licenziamento per violazione della normativa posta a tutela delle lavoratrici madri, di ordinare la sua reintegrazione nel posto di lavoro e di condannare l’azienda al pagamento della retribuzione dovuta dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione. L’azienda si è difesa sostenendo, tra l’altro, che la dipendente non aveva presentato né il certificato di gravidanza né quello di assistenza al parto, né quello di esistenza in vita del bambino. Il Pretore ha dichiarato nullo il licenziamento ed ha ordinato la reintegrazione di Maria T. nel posto di lavoro, ma non ha riconosciuto il suo diritto a percepire la retribuzione maturata nel periodo dal licenziamento alla reintegrazione. In grado di appello il Tribunale di Napoli, oltre a confermare la nullità del licenziamento e l’ordine di reintegrazione, ha condannato l’azienda al pagamento delle retribuzioni per il periodo successivo al licenziamento, osservando che dagli atti processuali risultava l’effettiva conoscenza, da parte del datore di lavoro, della gravidanza e della maternità. L’azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione del Tribunale di Napoli, tra l’altro, per non avere attribuito rilevanza alla mancata presentazione da parte della lavoratrice, della documentazione relativa alla maternità.
           
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 3620 del 16 febbraio 2007, Pres. De Luca, Rel. Monaci) ha rigettato il ricorso. E’ vero – ha osservato la Corte –  che la lavoratrice è tenuta a presentare al datore di lavoro e all’istituto assicurativo il certificato di gravidanza, e che, come prevede l’art. 4, terzo comma, del D.P.R. 25 novembre 1976, n. 1026, “la mancata prestazione di lavoro durante il tempo intercorrente tra la data di cessazione effettiva del rapporto di lavoro e la presentazione non dà luogo a retribuzione”, ma questo non significa che la presentazione del certificato sia indispensabile, anche soltanto al fine limitato del diritto alla retribuzione, e che non possa essere sostituita, a tutti gli effetti, dalla conoscenza effettiva, ottenuta anche altrimenti, che il datore di lavoro abbia avuto dello stato di gravidanza della lavoratrice. Quello che rileva, e che condiziona il diritto alla retribuzione – ha affermato la Corte – , è, in realtà, il fatto sostanziale della conoscenza da parte del datore di lavoro dello stato di gravidanza della dipendente, non il fatto formale dell’invio del certificato medico. Altrettanto vale, del resto, per quel che riguarda il parto e l’esistenza in vita del bambino: quello che rileva ai fini del diritto alle prestazioni collegate a questi eventi è la conoscenza effettiva che ne abbia il datore, non l’invio delle relative certificazioni mediche. Nel caso in esame – ha precisato la Corte – occorreva accertare perciò se in concreto la società La Scaurense avesse avuto conoscenza della gravidanza della signora Maria T.; il Tribunale di Napoli ha compiuto questa indagine ed è giunto alla conclusione che era “indiscussa la preventiva conoscenza” da parte della società “dello stato di gravidanza della dipendente, chiaramente evincibile dalla documentazione versata in atti, relativa alla corrispondenza intercorsa tra le parti”. Di conseguenza la dipendente aveva diritto alla retribuzione intera, indipendentemente dal fatto formale della trasmissione, o meno, del certificato medico.


LA QUALIFICA DI DIRIGENTE DELLO STATO SI ACQUISISCE MEDIANTE LA STIPULA DEL CONTRATTO CON L’AMMINISTRAZIONE Non è sufficiente il superamento del concorso (Cassazione Sezione Lavoro n. 3003 del 12 febbraio 2007, Pres. Est. De Luca).
           
Giuseppe S. dipendente dell’Agenzia delle Entrate è stato sospeso in via cautelare dal servizio, nell’agosto del 2000, in seguito al suo rinvio a giudizio in sede penale per fatti direttamente attinenti al rapporto di lavoro. La sospensione è stata disposta in base all’art. 27 del contratto collettivo per il personale non dirigente del comparto ministeri. Il lavoratore ha chiesto al Tribunale di Genova di dichiarare illegittimo il provvedimento, in quanto emanato in base ad un contratto collettivo non applicabile nei suoi confronti, dal momento che egli doveva ritenersi dirigente per aver superato nel 1992 il relativo concorso. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Genova hanno ritenuto la domanda priva di fondamento, rilevando che il ricorrente, pur avendo superato il concorso per dirigente ed essendo stato iscritto nel ruolo unico della dirigenza delle amministrazioni statali, non aveva la qualifica di dirigente perché questa si acquista solo mediante contratto individuale con l’Amministrazione avente ad oggetto la prestazione di attività dirigenziale. Giuseppe S. ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Genova per vizi di motivazione e violazione di legge.
           
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 3003 del 12 febbraio 2007, Pres. Est. De Luca) ha rigettato il ricorso affermando che – base all’art. 19 del decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29, confluito nell’art. 19 decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 – il vincitore del concorso per la dirigenza nelle amministrazioni statali risulta bensì in possesso dell’idoneità professionale a svolgere le mansioni corrispondenti, ma acquista tuttavia la qualifica dirigenziale soltanto mediante contratto individuale di lavoro, per la stessa qualifica, con l’amministrazione. Peraltro né l’esito delle procedure concorsuali, né l’atto unilaterale e non recettizio di conferimento dell’incarico dirigenziale costituiscono titolo per l’insorgenza del diritto a stipulare contratto, in quanto si tratta di atti preliminari; in relazione a tali atti – ha precisato la Corte – sono configurabili posizioni di interesse legittimo di diritto privato, come tali suscettibili di tutela giurisdizionale.
           
La sentenza impugnata – ha concluso la Cassazione – non merita censure, laddove ha ritenuto che al ricorrente, sebbene iscritto nel ruolo unico della dirigenza delle amministrazioni statali, dovesse trovare applicazione la disciplina della sospensione cautelare dal servizio prevista per il personale non dirigente anche per quanto riguarda l’identificazione dell’organo competente ad adottarla.

 
Le assenze per malattia la cui responsabilità sia imputabile al datore di lavoro non devono essere computate nel periodo di comporto – Il nesso causale deve essere provato dal lavoratore Ai fini del superamento del c.d. periodo di comporto, previsto dall’art. 2110 cod. civ., non sono computabili le assenze del lavoratore per malattia nelle ipotesi in cui l’infermità sia comunque imputabile a responsabilità del datore di lavoro, in dipendenza della nocività delle mansioni e dell’ambiente di lavoro, che egli abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell’obbligo di sicurezza o di specifiche norme. Incombe, peraltro, sul lavoratore l’onere di provare il collegamento causale fra la malattia e il carattere morbigeno delle mansioni espletate. Inoltre, al fine dell’affermazione della responsabilità del datore di lavoro per mancato rispetto dell’obbligo di prevenzione di cui all’art. 2087 cod. civ., è necessario che l’evento dannoso sia riferibile a sua colpa (Cassazione Sezione Lavoro n. 1333 del 22 gennaio 2007, Pres. Mileo, Rel. Di Cerbo). 

 


Le controversie relative a concorsi per la promozione di pubblici dipendenti a qualifica superiore nell’ambito della stessa area contrattuale devono essere decise dal Giudice ordinario – In base all’art. 65 D. Lgs. n. 165 del 2001 Il quarto comma dell’art. 63 D.Lgs. n. 165 del 2001, nel riservare alla giurisdizione del giudice amministrativo “le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni” assegna al giudice ordinario le controversie attinenti a concorsi per soli interni che comportino il passaggio da una qualifica ad un’altra, ma nell’ambito della stessa area (o categoria) sia con acquisizione di posizioni più elevate meramente retributive, sia con il conferimento di qualifiche superiori, in base a procedure che l’amministrazione pone in essere con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro. Ai fini di questo criterio di riparto della giurisdizione, assume rilevanza determinante il contenuto della contrattazione collettiva (Cassazione Sezioni Unite Civili n. 3186 del 14 febbraio 2007, Pres. Carbone, Rel. Miani Canevari).


 
NEL PROCESSO DEL LAVORO LA TARDIVITÀ NEL DEPOSITO DI DOCUMENTI NON PUÒ ESSERE RILEVATA D’UFFICIO DAL GIUDICE – Deve essere eccepita dalla controparte (Cassazione Sezione Lavoro n. 3916 del 20 febbraio 2007, Pres. De Luca, Rel. Stile).
         Nel processo del lavoro i documenti offerti come prova devono essere indicati nell’atto introduttivo del giudizio e contestualmente depositati. Il mancato rispetto di tale onere comporta la decadenza del diritto a produrre, in un momento successivo, i documenti salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione. La tardività dell’esibizione o del deposito dei documenti ad opera dell’attore o del convenuto, essendo i relativi termini stabiliti nell’esclusivo interesse delle parti, può essere eccepita nell’udienza di discussione, ma non può essere rilevata d’ufficio dal giudice.       


Nella liquidazione del danno morale per la perdita di un congiunto, il Giudice deve tener presente l’intensità del dolore patito – In via equitativa La liquidazione del danno morale per la morte di un congiunto non può che avvenire in base all’apprezzamento discrezionale del Giudice di merito, improntato a criteri equitativi. Nel motivare la liquidazione, è sufficiente che il Giudice dimostri di avere tenuto presenti la gravità dei fatti, l’intensità del dolore patito a causa dell’evento luttuoso ed ogni altro elemento della fattispecie concreta. Costituisce motivazione adeguata, in proposito, il rilievo che la morte del congiunto abbia costituito una vera tragedia per i suoi familiari (Cassazione Sezione Terza Civile n. 3758 del 16 febbraio 2007, Pres. Fiduccia, Rel. Durante).