TRIBUNALE  ORDINARIO DI  PISA

GIUDICE MONOCRATICO DEL LAVORO

GIUDICE : Dr. G. Schiavone

 

Cron n. 3235     Dep il 25. 07. 2003

 

 

Il Giudice del Lavoro, sciogliendo la riserva in ordine al ricorso ex art. 28 St.Lav.,

N  O  T  A

Principio base del nostro ordinamento è la libertà sindacale. Lo afferma la Costituzione (art. 39, com. 1), lo afferma la fondamentale legge statutaria (art. 14 St. Lav.).

Corollario di tale principio è che di ogni limitazione, legalmente posta, se ne debba dare un’interpretazione strictu sensu.

E’ noto che il godimento dei diritti di libertà, posti dagli artt. 14 ss. St. Lav., non ha natura concessoria, bensì possa essere subordinato all’adempimento di talune modalità poste più che altro a garanzia dell’ordinato svolgimento dei rapporti sui posti di lavoro (es.: art. 26 St.Lav.). nonché alla sicurezza.

Altro principio fondamentale che presiede ai rapporti di lavoro è quello della c.d. fissità delle contestazioni disciplinari, per cui la sanzione deve trovare esatta corrispondenza nella contestazione, conseguendone l’irrilevanza di fatti diversi, sebbene contestuali  e concorrenti ma non contestati. A maggior ragione il principio vale quando la sanzione attiene direttamente, come nella fattispecie, alla fruizione di diritti sindacali.

Parte ricorrente deduce l’antisindacalità della condotta di controparte concretatasi nella comminazione di una serie di sanzioni per comportamenti connessi con l’attività sindacale e, di fatto, non è in discussione, anzi è ammesso (ma con le peculiarità di cui appresso), che la sanzione avesse ad oggetto le modalità di fruizione dei permessi sindacali di cui all’art. 23 St. Lav.-

I fatti contestati consistono in sei sanzioni disciplinari (procedimentalizzate ex art. 7 St.Lav.) di cui cinque così motivate: “Il giorno … si è recato sulla linea … senza alcuna autorizzazione”, una ulteriore meglio specifica che il permesso (id est: l’autorizzazione) era stato previamente negato ed aggiunge che il sindacalista, ciò nonostante, si fosse recato in altro reparto “per parlare con i lavoratori sul posto di lavoro, disturbando in tal modo l’attività lavorativa, nonostante il Responsabile di Reparto l’abbia espressamente diffidato dal porre in essere tale comportamento”.

Queste, dunque, le contestazioni e le conseguenti sanzioni che parte ricorrente deduce come indicative di una condotta antisindacale, in quanto dirette, di fatto, a colpire l’esercizio di un diritto garantito dalla legge.

 

L’allegazione è fondata.

Il datore di lavoro ha sostanzialmente sanzionato che controparte abbia fruito di permessi (sindacali) senza autorizzazione alcuna. La circostanza è pacifica fra le parti e d’altronde delle due l’una o il lavoratore attende a qualcosa di diverso dalla produzione perché in permesso, ovvero non gli è consentito.

Detta fruizione non abbisogna, però, di autorizzazione.

Le stesse parti concordano nella categoria giuridica del diritto potestativo a cui fare riferimento per spiegare le caratteristiche delle prerogative che lo statuto riconosce ai sindacalisti e figure legalmente o contrattualmente assimilate (in effetti nel caso che occupa si tratta di membro della RSU a cui il CCNL ha esteso i diritti dello Statuto).

In comparsa di costituzione viene detto che oggetto delle sanzioni sarebbe stata non già la mancanza di autorizzazione, quanto il mancato rispetto delle modalità che devono presiedere alla corretta fruizione di tale diritto e che, in sostanza debbono precedere l’autorizzazione.

In realtà si legge nell’ult. com. art. 23 cit.: “Il lavoratore che intende esercitare il diritto di cui al primo comma (n.d.g.:diritto a permessi retribuiti) deve darne comunicazione scritta al datore di lavoro di regola 24 ore prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali”.

Ora, a parte il vedere se la mancanza di  previa richiesta nelle ventiquattro ore precedenti, ovvero l’assenza di forma scritta siano carenze tali da poter legittimare il diniego datoriale, a parte ciò, non è l’esistenza o meno di quelle modalità l’oggetto del presente giudizio, anche perché parte ricorrente, in limine, ha rifiutato il contraddittorio sul punto.

Né può essere consentito che, da un lato, venga surrettiziamente inserito un elemento così importante, estraneo alle contestazioni disciplinari e dall’altro, che la mancanza di autorizzazione sia parificata a tutto quanto possa ritenersi idoneo a legittimare parte datoriale a non accordare la autorizzazione. Non v’è chi non veda, infatti, che in quest’ultimo caso si violerebbe altro principio fondamentale previsto dall’art. 7 St. Lav., cioè la specificità della contestazione, come strumento indispensabile per il corretto esercizio del diritto di difesa.

E’ vero, petitum di causa non è il ricorso del lavoratore avverso una sanzione disciplinare, bensì è il sindacato che si duole che attraverso l’uso delle prerogative disciplinari datoriali venga di fatto sanzionato l’esercizio della libertà sindacale come legislativamente disciplinata ma è del tutto evidente che la dimostrazione dell’illegittimità, quando non della pretestuosità dell’azione disciplinare datoriale, comporta in maniera pressochè automatica, specie in tema di libertà sindacale, l’accertamento dell’antisindacalità della condotta, la quale, in estrema sintesi, consiste nell’aver considerato illegittima la fruizione dei permessi di cui all’art. 23 St.Lav. in assenza di un’autorizzazione, però, non richiesta dalla legge.

 

Alla natura di diritto potestativo che questo giudice condivide, fa da contraltare l’assoluta svincolatività da obbligo alcuno ed anche le prescrizioni, di cui all’ult. com. art. 23 St. Lav. possono piuttosto farsi rientrare nella categoria dell’onere che non degli obblighi.

E’, comunque, jus receputm che la sua fruizione esclude ogni potere discrezionale di concessione od autorizzazione del datore di lavoro (e anche quello in causa condivide, sia pure teoricamente). Mentre è nulla ogni clausola del CCNL che subordina la fruizione dei permessi alla compatibilità con le esigenze aziendali (Cass. n. 5675/87) ed è pacifico che il datore di lavoro non abbia alcun potere di controllo anteriore o successivo in merito all’attività svolta dai rappresentanti sindacali nel periodo di fruizione (Cass. n. 4839/92), tranne che per fini completamente avulsi da quelli sindacali.

        Appartiene al patrimonio comune del diritto sindacale che il sindacato tragga la sua linfa anche dall’immagine di antagonista datoriale che riesce a manifestare nei confronti dei lavoratori, orbene comminare ad un sindacalista una serie di sanzioni con la motivazione sopra riportata, vale a diffondere nella base sindacale il convincimento che per lo svolgimento di qualsiasi attività il sindacato necessiti di autorizzazione datoriale; il che, al di fuori dei limiti di legge, è palesemnente falso e, quindi, tale da ledere le prerogative sindacali.

        Né vale l’escamotage di dire che ad essere sanzionato è il lavoratore e non il sindacalista. In verità, solo adottando la formula usata si poteva procedere a sanzionare del fatto di essersi mosso dal posto di lavoro ed in effetti, dire ad un lavoratore di essersi recato in altro reparto senza autorizzazione vuol dire contestare qualcosa di correttamente sanzionabile. Qualora, invece, fosse stata contestata al sindacalista l’omessa osservanza di alcune modalità (legali, contrattuali od usuali), per l’esercizio di un diritto potestativo sindacale, il datore di lavoro si sarebbe impelagato nella discettazione sul cosa, come e quando necessiti di comunicazione al datore di lavoro. Insomma, avrebbe finito con l’aprire una vera e propria vertenza sindacale che è sempre cosa poco gradita. Ad esempio, è emerso che uno dei fatti contestati si riferisse ad un corteo interno (che è la più tradizionale fra le forme aspre di lotta sindacale) ma a ben vedere non è questo il fatto contestato, non è la mancata comunicazione ad essere evidenziata (e, poi, di cosa, di un corteo?), in quanto ben sa parte datoriale che, se vi è stato addirittura un corteo, ciò vuol dire che il contenuto della reazione sindacale era di tale spessore ed urgenza da non consentire la previa comunicazione.

        In sostanza, parte datoriale evitando di dedurre le questioni relative alle modalità di comunicazione, ha inteso evitare un confronto sul merito dei permessi che avrebbe comportato certamente un rischio, qualora fosse emerso che, nella singola fattispecie, l’obbligo del preavviso nel termine delle ventiquattro ore non era richiedibile, anche perché la legge stessa lo prevede testualmente “di regola”, il che vuol dire: salvo le eccezioni.

        Ad ogni modo, la scelta datoriale di scindere nei comportamenti del lavoratore, i doveri che su lui incombono in quanto tale, da quelli (pochi) che gli derivano in quanto sindacalista non può essere condivisa, poiché, come detto, in questo caso non è, ad esempio, il ritardo del lavoratore ad essere sanzionato, ma è (anzi, meglio, sarebbe dovuta venire) in discussione l’attività sindacale da questo svolta in fabbrica per la non ortodossia delle modalità. Ed allora è palesemente illegittimo non fare neppure menzione, nella contestazione disciplinare, di questo tanto e limitarsi a considerare gli spostamenti all’interno dell’azienda, pur nella fruizione di permessi sindacali (il dato è pacifico), come spostamenti arbitrari di un qualsiasi lavoratore.

        Ed inoltre, quand’anche l’autorizzazione la si intendesse come a presidio della prosecuzione dell’attività produttiva, la contestazione datoriale avrebbe dovuto essere di tale analiticità da dimostrare che la legittima attività di proselitismo sindacale (art. 26 St. Lav.), non poteva svolgersi perché in concreto pregiudizievole del “normale svolgimento dell’attività aziendale”. Ma la contestazione non ha avuto quest’oggetto ed il Giudicante non può se non censurare questo tentativo di by-passare gli snodi degli artt. 23 e 26 dello St.Lav.-

        Il particolare rigore che deve guidare ogni riflessione intorno ai limiti della libertà sindacale, induce pertanto a mantenere un rigido e formale ancoraggio (non dissimilmente da come la giurisprudenza ha insegnato per il procedimento ex art. 7 St. Lav.) alle motivazioni adottate dal datore di lavoro nei surriferiti atti e a concludere per l’antisindacalità della condotta posta in essere comminando le suddette sanzioni.

       

A tale declaratoria segue la rimozione degli effetti, cioè la dichiarazione di nullità delle sanzioni comminate e la conseguente condanna del datore di lavoro a rimborsare le indebite trattenute, maggiorate degli interessi sulle somme rivalutate.

       

 E’ appena il caso di precisare che non è funzione certo della giurisdizione quella di munire le parti di un decalogo comportamentale ed in questo senso va disattesa la domanda avanzata, sia pure “occorrendo”, da parte ricorrente diretta ad ottenere un edictum nel quale il Giudice dica a parte datoriale quali siano i diritti connessi con la carica di rappresentante sindacale, in sintesi ciò che sia lecito fare ad un sindacalista, senza necessità di consenso alcuno.

 

        Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

P.          Q.         M.

 

        Il Giudice del Lavoro ACCOGLIE il ricorso della FIOM-CGIL e per l’effetto DICHIARA antisindacale la condotta della P-spa. concretatasi nelle sanzioni comminate al rappresentante RSU MC il 19 febbraio, 6 marzo, 12 aprile 2002; 3 e 23 aprile, 28 maggio 2003. DICHIARA la nullità delle dette sanzioni e CONDANNA la P spa. a pagare al C le trattenute orario indebitamente operate in dipendenza delle dette sanzioni, maggiorate degli interesi sulle somme rivalutate. CONDANNA sempre la P-spa. a rimborsare alla FIOM-CGIL le spese di lite che liquida in complessivi €. 2.500,00, di cui €. 50,00 per spese, €. 1.900,0 per onorari ed il resto per diritti, oltre IVA e CAP di legge.

Schiavone-G.d.L.