Consiglio di Stato

Sezione VI

Decisione 18 settembre 2009, n. 5615
 

N. 05615/2009 REG.DEC.
N. 09038/2004 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 9038 del 2004, proposto da:
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato,ed ivi domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;

contro

@@@@@@@, costituitosi in giudizio;

per la riforma o l’annullamento

della sentenza del Tar del Lazio – Sede di Roma - n. 05692/2003, resa tra le parti, concernente DINIEGO REINTEGRAZIONE IN SERVIZIO PRESSO LA POLIZIA DI STATO.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 luglio 2009 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


 

FATTO

Con il ricorso introduttivo del giudizio era stato chiesto dall’odierna parte appellata l'annullamento del diniego di reintegrazione in servizio presso la Polizia di Stato e degli atti connessi.

Con la sentenza impugnata i primi Giudici hanno accolto il ricorso, disattendendo le contrarie difese dell’amministrazione odierna appellante.

Hanno rilevato che l’appellato, destinatario di ordinanza custodiale per i reati di cui agli artt. 609 e 479 cp aveva ottenuto ex art. 311 cpp, dalla Corte di Cassazione l’annullamento del titolo coercitivo cautelare a cagione della riscontrata carenza sia del quadro indiziario ex art. 273 cpp, che di quello relativo alle esigenze cautelari ex art. 274 cpp.

Venuto meno ex tunc il titolo cautelare (evenienza reputata dal Tar differente dal caso della mera revoca del medesimo) si imponeva, ex art. 9 del DPR n. 737/1981, la riammissione in servizio dell’appellato: ciò perché tale disposizione concerneva (unicamente) le ipotesi di (mera) revoca ex nunc, e non quelle di annullamento ex tunc.

Avverso la sentenza in epigrafe l’amministrazione originaria resistente in primo grado ha proposto un articolato appello: ex art. 9 del DPR n. n. 737/1981 v’era ampia discrezionalità nel delibare sulla istanza di riammissione susseguente al riacquisto della libertà personale da parte del dipendente; in ogni caso, il procedimento penale era progredito, l’appellato era stato condannato alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione, di guisa che la statuzione denegatoria era esatta ed immune dalle censure erroneamente ravvisate dal Tar.

Alla camera di consiglio del 2/12/2004 fissata per l’esame dell’istanza cautelare di sospensione della esecutività della sentenza appellata, la Sezione ha accolto con ordinanza n. 5765/2004 l’istanza di sospensione della esecutività della sentenza proposta dalla difesa erariale.

DIRITTO

La sentenza deve essere annullata, previa declaratoria di fondatezza dell’appello, con conseguente reiezione del ricorso di primo grado.

La disposizione di cui ai commi 1-3 dell’art. 9 del DPR n. 737/1981 così recita: “l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, colto da ordine o mandato di cattura o che si trovi, comunque, in stato di carcerazione preventiva, deve essere sospeso dal servizio con provvedimento del capo dell'ufficio dal quale gerarchicamente dipende, che deve, altresì, riferire immediatamente alla direzione centrale del personale presso il dipartimento della pubblica sicurezza.

Fuori dai casi previsti nel comma precedente, l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza sottoposto a procedimento penale, quando la natura del reato sia particolarmente grave, può essere sospeso dal servizio con provvedimento del Ministro su rapporto motivato del capo dell'ufficio dal quale dipende .

In caso di concessione di libertà provvisoria ovvero di revoca dell'ordine o mandato di cattura o dell'ordine di arresto ovvero di scarcerazione per decorrenza dei termini, ove le circostanze lo consiglino, la sospensione cautelare può essere revocata con effetto dal giorno successivo a quello in cui il dipendente ha riacquistato la libertà e con riserva di riesame del caso quando sul procedimento penale si è formato il giudicato.”

Il terzo comma della medesima è stato costantemente interpretato nel senso attributivo all'amministrazione dell'Interno della facoltà e non già dell'obbligo di revocare la misura cautelare (si veda Consiglio Stato , sez. VI, 11 marzo 2008, n. 1047).

Il Tar ha sostanzialmente ritenuto che, poiché la Cassazione aveva annullato il provvedimento restrittivo, quest’ultimo era venuto meno ex tunc: in tale ipotesi, i primi Giudici hanno ritenuto che la riammissione in servizio si appalesasse obbligatoria, così introducendo una distinzione tra (mera) revoca del provvedimento custodiale (che lasciava integra la facoltà dell’amministrazione di non procedere alla reintegrazione), ed annullamento del medesimo (a fronte del quale la riammissione in servizio si appalesava quale atto dovuto) .

La tesi del Tar, seppur non priva di elementi di suggestione, è non condivisibile in punto di diritto.

Ciò per una duplice ragione.

In primo luogo, perché la distinzione processualpenalistica dicotomica dei provvedimenti demolitori dei titoli cautelari risale ad epoca successiva al 24.11.1989, (data di entrata in vigore del nuovo codice di rito), e la disposizione di cui al DPR n. 737/1981 che ad essa preesiste, non poteva avervi fatto riferimento.

E’ evidente che, in tale testo normativo da ultimo citato, il termine “revoca” è utilizzato in senso atecnico, con riferimento ad ogni ipotesi in cui si verifichi il venir meno del titolo custodiale: il richiamo contenuto nel citato comma III dell’art. 9 ad un istituto (la “libertà provvisoria”) non più in vigore, rende palese che, ovviamente, il DPR citato faceva riferimento al codice di rito vigente allorchè esso fu emanato.

Detta valutazione differenziata tra provvedimenti revocatori ed annullatori, poi, non ha cittadinanza neppure – almeno a livello normativo, e fatte salve alcune voci in dottrina- nel vigente codice di rito penale.

L’art. 299 cpp, al comma I, (“le misure coercitive e interdittive sono immediatamente revocate quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità previste dall'articolo 273 o dalle disposizioni relative alle singole misure ovvero le esigenze cautelari previste dall'articolo 274”) nel fare riferimento “anche” a fatti sopravvenuti, e nel riferire tale proposizione al dato gravemente indiziante di cui all’art. 273 cpp, rende palese che alla “revoca” si addivenga pur laddove i gravi indizi non sussistessero al momento dell’adozione del titolo.

Il comma IX dell’art. 309 cpp, nel fare riferimento alla statuizione annullatoria del Tribunale del Riesame anche fondata su elementi sopravvenuti, comprova l’atecnicità dell’utilizzo codicistico dei termini “revoca” ed “annullamento”.

Il vero è che il Tar ha applicato alla fattispecie la tradizionale distinzione classificatoria dei provvedimenti amministrativi espressione dell’esercizio di autotutela, senza che ne ricorressero i presupposti, ed omettendo di prendere in esame il dato normativo processualpenalistico.

E’ gravemente erronea, pertanto, e non poggia su dato normativo alcuno la tesi secondo cui la facoltà di cui al comma III dell’art. 9 del DPR 737/1981 non possa esercitarsi ogniqualvolta il titolo custodiale sia stato annullato per carenza delle condizioni legittimanti ab origine accertate.

A tacere d’altro, tale ultimo evento potrebbe essere determinato anche da vizi processuali non inficianti in se la gravità e rilevanza del compendio indiziario, ma determinanti l’inutilizzabilità di detto compendio nella fase incidentale cautelare (il che, sia detto per incidens, alla luce degli ulteriori sviluppi della vicenda processuale dell’appellato è plausibile sia accaduto nel caso di specie): si immagini l’omesso deposito in fase cautelare delle trascrizioni di intercettazioni,dei brogliacci delle medesime, di verbali di atti pur utilizzati nella ordinanza cautelare etc.

In tale ipotesi (non unica, per il vero), non avrebbe senso privare l’amministrazione di un potere discrezionale valutativo volto a verificare se sussistano o meno le condizioni per la riammissione in servizio.

Su un elemento che traspare dalla appellata decisione può invece concordarsi: cautela valutativa impone che l’amministrazione vagli i provvedimenti annullatori dei titoli custodiali, ed eserciti la propria facoltà di cui al comma III dell’art. 9 citato tenendo conto della motivazione del provvedimento demolitorio; certamente, laddove il titolo sia stato annullato per carenza dell’elemento gravemente indiziante, si impone a carico dell’amministrazione un più penetrante onere motivazionale, laddove la stessa ritenga di non giovarsi della facoltà di revoca del provvedimento sospensivo.

Ma, lo si ripete, tale evenienza non le è affatto ed in radice preclusa, diversamente da quanto affermato dal Tar, in ipotesi di annullamento del titolo custodiale per carenza degli elementi indizianti.

Per completezza, e sebbene la motivazione della appellata decisione non contenga (né poteva, avuto riguardo al tempo in cui fu resa) alcun riferimento sul punto, qualche argomento di contrario segno rispetto a quanto sinora affermato, ed a sostegno della tesi sostenuta dal Tar, poteva in via sistematica (ed a posteriori) ricavarsi dal disposto di cui all’art. 405 comma 1 bis cpp (comma, quest’ultimo, inserito dall'articolo 3 della legge 20 febbraio 2006, n.46.).

Tale disposizione così recita: “il pubblico ministero, al termine delle indagini, formula richiesta di archiviazione quando la Corte di cassazione si è pronunciata in ordine alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ai sensi dell' articolo 273, e non sono stati acquisiti, successivamente, ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle indagini.”.

Mercè tale norma, pertanto il Legislatore ha attribuito una portata espansiva orizzontale alla statuizione della Corte di Cassazione ( e soltanto di essa, con esclusione delle statuizioni demolitorie del Tribunale del riesame rese ex art. 309 cpp), travalicante la fase incidentale cautelare ed idonea a incidere in senso impeditivo sull’esercizio dell’azione penale del PM.

Arduo apparirebbe sostenere che, a fronte di un sistema processuale penalistico ove la decisione demolitoria del Supremo Collegio che abbia escluso la sussistenza ab origine del quadro gravemente indiziante (e fatte salve le sopravvenienze in sfavore) addirittura condizioni negativamente l’esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero, imponendo a questi la formulazione della richiesta di archiviazione del procedimento, permanesse in capo all’amministrazione un potere valutativo in ordine al mantenimento della sospensione dal servizio del dipendente.

Senonchè la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 121 del 2009 ha espunto dal sistema tale ultima disposizione, proprio censurando la “vis espansiva” attribuita dal Legislatore all’incidente cautelare, pervenendo all’affermazione secondo cui “È dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 405, comma 1 bis, c.p.p., aggiunto dall'art. 3 l. n. 46/2006, in riferimento agli art. 3 e 112 cost. Tale norma riconosce a determinate pronunce, emesse in sede cautelare, un'efficacia preclusiva sul procedimento principale. Più in particolare, la norma attribuisce a talune ipotesi “qualificate” di c.d. giudicato cautelare una valenza condizionante, che viene a incidere sulla possibilità di apertura del processo, inibendo l'atto di esercizio dell'azione penale. La regola dettata dall'art. 405, comma 1 bis, c.p.p. si presenta, irragionevole per un triplice ordine di profili.Il primo e fondamentale di essi risiede nella diversità tra le regole di giudizio che presiedono alla cognizione cautelare e quelle che legittimano l'esercizio dell'azione penale. Sotto un secondo profilo, la norma censurata si rivela incongruente in quanto trascura la diversità della base probatoria delle due valutazioni a confronto. In terzo luogo, infine, va osservato che la Corte di cassazione, quando si pronuncia in materia cautelare, non accerta in modo diretto la mancanza del "fumus commissi delicti".”.

La decisione del Tar, pertanto, non condivisibile secondo le disposizioni vigenti al tempo in cui fu adottata, non può essere condivisa neppure alla stregua del sistema processuale penalistico vigente.

Può senz’altro valutarsi quindi il merito della controversia, soffermando l’attenzione sulla legittimità dei provvedimenti adottati.

Ed all’uopo può affermarsi che appare al Collegio corretta, immune da contraddizioni, e pienamente rientrante nell’ambito della discrezionalità attribuitagli, la determinazione dell’amministrazione che, avuto riguardo alla estrema gravità (non soltanto edittale) dei reati ascritti all’appellante, ha ritenuto opportuno non procedere alla reintegrazione in servizio del medesimo.

Ex post, peraltro, la determinazione dell’amministrazione risulta vieppiù immune da contraddizioni, laddove si consideri che l’appellato in sede di giudizio di merito è stato condannato ad una consistente pena dal Giudice penale, che ha all’evidenza ritenuto sussistere a carico del medesimo un compendio probatorio ben più solido della (mera) concordanza indiziaria richiesta in sede di vaglio sulla misura cautelare.

La sentenza non resiste pertanto ad alcuna delle censure contenute nel ricorso in appello, che deve essere conseguentemente accolto.

Ne consegue l’annullamento della appellata decisione e la conseguente reiezione del ricorso di primo grado.

Devono essere compensate le spese processuali sostenute dalle parti a cagione della specificità della situazione fattuale e giuridica sottesa alla controversia e della novità delle questioni affrontate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe lo accoglie e per l’effetto annulla l’appellata sentenza e respinge il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2009 con l'intervento dei Magistrati:

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Il Segretario

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18/09/2009