SI PRESCRIVE IN DIECI ANNI, E NON IN CINQUE, IL DIRITTO AL RISARCIMENTO DEL
DANNO DA MANCATO RIPOSO SETTIMANALE – Non si
tratta di una voce retributiva (Sezione Lavoro n. 3298 del 7 marzo 2002, Pres.
Dell’Anno, Rel. Mazzarella).
Stefano
S., dipendente della Fiat Auto s.p.a., con mansioni di sorvegliante, ha
lavorato con orario articolato su tre turni avvicendati. Ciò ha comportato
alcune volte, in occasione del passaggio dal terzo al primo o al secondo turno
di lavoro, il mancato godimento del riposo settimanale in aggiunta a quello
giornaliero. Egli ha chiesto al Pretore di Torino la condanna dell’azienda al
risarcimento del danno per mancato godimento di riposi settimanali. L’azienda
si è difesa negando l’esistenza di un danno ed ha eccepito la prescrizione
quinquennale del credito.Il Pretore ha condannato l’azienda al pagamento di
lire due milioni duecentomila circa, applicando la prescrizione decennale e
determinando il risarcimento in misura pari alla retribuzione giornaliera per
ogni mancato riposo. In grado di appello il Tribunale ha leggermente ridotto
l’importo del risarcimento in quanto ha ritenuto che il lavoratore abbia
perduto solo parzialmente il riposo settimanale, da determinarsi in 24 ore,
per effetto della sua sovrapposizione a quello giornaliero dovuto in misura di
sedici ore.
La
Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 3298 del 7 marzo 2002, Pres. Dell’Anno, Rel.
Mazzarella) ha rigettato il ricorso dell’azienda. Costituisce principio
consolidato – ha ricordato la Corte – che il riposo settimanale necessario,
dopo sei giorni consecutivi di lavoro, per il recupero delle energie
psico-fisiche, costituisce oggetto di un diritto garantito, oltre che
dall’art. 2109, comma 1, cod. civ., dall’art. 36, comma terzo, della
Costituzione, che ne ha sancito l’irrinunciabilità. Pertanto, la mancata
concessione del riposo settimanale, con definitiva perdita del medesimo (in
quanto dal lavoratore non utilizzato, o non utilizzato completamente, in un
tempo utile al recupero delle energie psico-fisiche), è illegittima, siccome
in contrasto con il precetto costituzionale. Questa perdita – ha aggiunto la
Corte – non può essere validamente disciplinata né da clausole di contratto
(collettivo o individuale), che sarebbero nulle per contrarietà a norma
imperative o, più precisamente, per illiceità dell’oggetto (artt. 1418 e 1346
cod. civ.), né dalla legge che sarebbe fondatamente sospettabile di
illegittimità costituzionale. Il danno – di natura contrattuale perché
correlato all’inadempimento del datore di lavoro, il quale compie una scelta
organizzativa in contrasto con norme imperative – è oggetto, di presunzione
assoluta, posto che dalla norma dell’art. 36 Cost., si desume che la mancata
fruizione del riposo settimanale è lesiva di un diritto fondamentale, che deve
essere rispettato per tutelare il benessere fisico e psichico dei lavoratori.
L’entità del danno, non determinabile in astratto – ha affermato la Corte –
deve essere stabilita (eventualmente in via equitativa) dal giudice di merito
secondo una motivata valutazione, che tenga conto della gravosità delle varie
prestazioni lavorative e di eventuali strumenti ed istituti affini della
disciplina collettiva, nonché di clausole collettive che, a differenza di
quelle (nulle e, perciò, inutilizzabili), che direttamente regolamentino
l’ipotesi dell’illecita prestazione nel settimo giorno con definitiva perdita
del riposo, si limitano a disciplinare il risarcimento riconosciuto al
lavoratore nell’ipotesi anzidetta. La Corte ha inoltre ritenuto che il
Tribunale abbia correttamente applicato, in materia, la prescrizione decennale
invece di quella quinquennale, trattandosi di diritto che non ha ad oggetto il
pagamento di una componente ordinaria o straordinaria della retribuzione,
bensì il risarcimento del danno da inadempienza contrattuale.