Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio , Sezione I Quater, sentenza n. 2387/2005

Il Tribunale Amministrativo regionale per il Lazio

Sez.I Quater

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 9273/04, proposto dall’agente di polizia penitenziaria A. R., rappresentata e difesa dagli Avvocati E. Tanno e A. D’Andrea ed elettivamente domiciliata presso gli stessi in Roma, via Crescenzio, 9;

contro

IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA – DIPARTIMENTO DELL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege presso la sede di roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del provvedimento n. GDAP-0257347-2004 del 7.7.2004, notificato il 26.7.2004, con cui veniva rigettata l’istanza di trasferimento, presentata ai sensi dell’art. 33 della legge 5.2.1992, n. 104 ;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore, alla pubblica udienza in data 10 gennaio 2005, il Consigliere G. De Michele, uditi altresì gli Avvocati delle parti, come da verbale di udienza in data odierna;

FATTO

Attraverso il ricorso in esame, notificato il 21.9.2004, si contesta il diniego opposto dall’Amministrazione ad una istanza di trasferimento, presentata ai sensi dell’art. 33, comma 5, della legge 5.2.1992, n. 104 .

Nel caso di specie, l’istanza risulta respinta, in quanto "l’oggettiva lontananza, che intercorre tra la sede di servizio ed il domicilio del disabile è considerata ostativa, in senso sia spaziale che temporale, con riguardo alla continuità dell’assistenza prestata".

Avverso la predetta determinazione, nell’impugnativa vengono prospettati i seguenti motivi di gravame:

violazione o falsa applicazione dell’art. 33 della legge n. 104/92[1], nonché delle circolari del Ministero della Giustizia nn. 12855/1.1 del 6.10.2000 e 0213520-2003 del 16.5.2003; violazione dell’art. 3 della legge n.241/90 [2]; eccesso di potere per carenza di istruttoria, illogicità e contraddittorietà, in quanto la lontananza fra la sede di lavoro del dipendente e il domicilio del disabile non potrebbe essere ritenuta, in assoluto, ostativa per il riconoscimento della continuità dell’assistenza, prestata al disabile stesso, quanto meno sotto il profilo morale, ovvero psicologico e affettivo.

L’Amministrazione intimata, costituitasi in giudizio, ribadisce l’avvenuto accertamento dei requisiti di legge, nei termini di cui alla circolare n. 021352-2003 del 16.5.2003 e la rilevata assenza, nel caso di specie, dei requisiti della continuità ed esclusività dell’assistenza. La continuità dell’assistenza, infatti, implicherebbe "una effettiva e regolare presenza del dipendente presso l’abitazione del familiare disabile, per attendere alle necessità quotidiane di quest’ultimo".

DIRITTO

La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne i presupposti applicativi dell’art. 33, quinto comma, della legge 5.2.1992, n. 104, secondo cui "il genitore o il familiare lavoratore, pubblico o privato, che assista con continuità un parente o affine entro il terzo grado handicappato, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede".

La norma in questione ha come scopo primario quello di ampliare la sfera di tutela del portatore di handicap, salvaguardando situazioni di assistenza in atto, accettate dal disabile, "al fine di evitare rotture traumatiche e dannose", entro limiti rimessi alla discrezionalità del legislatore, che può ampliare o restringere i limiti delle situazioni, considerate meritevoli della tutela in questione (Corte Cost., 29.7.1996, n. 325).

Detta discrezionalità è stata esercitata, in un primo tempo, riconoscendo il diritto di cui si discute solo in caso di convivenza del dipendente con il portatore di handicap, poi (nel testo della norma, modificato con legge 8.3.2000, n. 53) anche al di fuori di tale circostanza, purchè comunque sussista il requisito attuale della continuità dell’assistenza.

Giova sottolineare, peraltro, che nella circolare n. 213520/2003 del 16.5.2003 si indica come "termine tollerabile" di distanza, tale da non pregiudicare l’espletamento del dovere di assistere il disabile, una lontananza di 90 Km. tra la sede richiesta ed il luogo di residenza del disabile stesso (fatte salve, ovviamente, possibilità di avvicinamento anche maggiori).

In tale contesto, l’Amministrazione ha dettagliatamente indicato i presupposti soggettivi ed oggettivi, richiesti per l’istruzione delle pratiche di cui trattasi, nei termini di seguito riportati:

1) Riconoscimento – da parte della competente Azienda Sanitaria Locale – dell’handicap in situazione di gravità dell’assistito;

2) insussistenza di ricovero a tempo pieno di quest’ultimo presso strutture ospedaliere o simili;

3) relazione di parentela o affinità entro il terzo grado con il dipendente;

4) continuità dell’assistenza;

5) - 6) inesistenza di altri parenti o affini che abbiano usufruito della medesima normativa o siano comunque in grado di sopperire alle esigenze del portatore di handicap;

6) gradimento del disabile all’assistenza da parte del richiedente.

In presenza di tutti i requisiti sopra indicati (che l’interessato deve attestare con idonea documentazione), la legge attribuisce al dipendente un diritto condizionato - ovvero, più propriamente, un interesse legittimo - ad ottenere in via di prima assegnazione, o per trasferimento, una sede che consenta la prosecuzione del rapporto di assistenza, purchè non ostino a tale assegnazione superiori esigenze organizzative dell’Amministrazione (esigenze, per lo più identificabili con la disponibilità di posti in organico nelle sedi richieste).

In base alla disciplina legislativa, nonché alle norme interne emanate per la relativa attuazione, non può in effetti ritenersi che "l’assistenza continuativa" – recepita dalla norma come presupposto per l’assegnazione di sedi di servizio, il più possibile vicine alla residenza del disabile – debba avere carattere quotidiano ed esclusivo: è difficilmente immaginabile, infatti, che soggetti impegnati in una attività lavorativa, non conviventi con il disabile ed assegnati ad una sede di servizio distante 90 Km. dalla residenza del medesimo possano fornire un’assistenza del tipo sopra indicato. Deve ritenersi, pertanto, che la legge in via generale, e l’Amministrazione con disposizioni di dettaglio (conformi, queste ultime, alla "ratio legis", ove si tenga conto dell’ampia accezione del concetto di assistenza) abbiano preso a riferimento situazioni, in cui il dipendente sia il fondamentale punto di riferimento per l’assistenza del disabile, quanto meno sotto il profilo della costante organizzazione e supervisione delle cure necessarie, delle buone condizioni di vita e delle relazioni affettive, anche senza assumere necessariamente in proprio l’intera effettuazione materiale dell’assistenza stessa.

La situazione sopra descritta non può, comunque, prescindere da una frequente presenza fisica del dipendente, a fianco del congiunto portatore di handicap, e da un suo attivo coinvolgimento in ogni esigenza di vita del medesimo, di modo che non può ritenersi sufficiente la mera intenzione di instaurare il rapporto di assistenza, una volta ottenuto il trasferimento (con terminologia che non lascia adito ad equivoci, infatti, il legislatore – esercitando una discrezionalità conforme al dettato costituzionale, nei termini di cui alla citata sentenza della Suprema Corte n. 325/96 – ha accordato la tutela in questione a chi già "assista con continuità" e non anche chi inoltri la domanda a futuri fini assistenzali).

Premesso quanto sopra, appare anche evidente la necessità di valutazioni caso per caso, sulla base della documentazione fornita dall’interessato e di considerazioni anche presuntive, circa la consistenza degli elementi probatori da ritenere necessari.

In via generale, di più agevole accertamento appare la situazione di chi abbia dovuto interrompere una documentata situazione di assistenza, in atto al momento dell’assunzione, rispetto a quella di chi – trovandosi in altra località – intenda instaurare tale assistenza ex novo (cfr. in tal senso Cons. St., sez. III, 17.10.2000, parere n. 1623).

Se non si vuole svuotare la norma di qualsiasi contenuto, dunque, non può aprioristicamente escludersi l’individuazione di un rapporto di assistenza continuativa, ai fini di cui trattasi, ogni qual volta la domanda venga inoltrata per una sede lontana da quella di attuale servizio; tale lontananza tuttavia (soprattutto se in atto da tempo ed anche antecedente all’insorgere della situazione di handicap del congiunto) costituisce elemento presuntivo contrario a detta continuità di assistenza, con conseguente necessità di supporti probatori maggiori, rispetto a quelli riconducibili a mere affermazioni dell’interessato.

L’Amministrazione resistente, a sua volta, ha chiarito che – pur adottando per semplicità motivazioni standardizzate – gli uffici competenti non omettono di valutare ogni domanda in base alla specifica documentazione presentata, escludendo dal beneficio coloro che non sappiano produrre elementi probatori attendibili, in situazioni che appaiono quanto meno difficoltose, per l’individuazione dei presupposti applicativi del più volte citato art. 33 L. n. 104/92.

In tale situazione il Collegio non può che sentirsi chiamato, a sua volta, a valutazioni da effettuare caso per caso, al fine di verificare se – e sotto quale profilo – il diniego opposto dall’Amministrazione ad una domanda, presentata ai sensi del citato art. 33 della legge n. 104/92 appaia contrastante con il dettato legislativo, oppure funzionalmente deviato per carenza istruttoria ed illogicità della motivazione: un profilo, quest’ultimo, che può scaturire solo da una valutazione complessiva della situazione di fatto e delle documentate argomentazioni del singolo interessato.

In tale prospettiva la documentazione probatoria, allegata alla domanda di trasferimento, dovrebbe risultare di una certa consistenza, nei termini normalmente possibili in circostanze del tipo in esame, non potendosi addossare all’Amministrazione l’onere di ricercare quegli elementi di supporto della domanda, che dovrebbero normalmente essere nella disponibilità dell’interessato (si citano a mero titolo esemplificativo: attestazioni dei dirigenti dell’ufficio di appartenenza, ovvero di autorità o pubblici ufficiali locali, ove al corrente della situazione di assistenza di cui trattasi, attestazioni dei medici curanti del congiunto, ove in contatto costante col dipendente, eventuali deleghe attribuite a quest’ultimo, per la cura degli interessi del congiunto stesso, corrispondenza o altro carteggio attestante istruzioni impartite per l’assistenza, effettuata da persone diverse, ricevute per prestazioni, rese al disabile su richiesta del medesimo dipendente e così via).

Nel caso di specie la ricorrente – in servizio presso la casa di reclusione Verziano di Brescia – chiede di avvicinarsi al luogo di residenza del padre (Aversa), ponendo a sostegno della propria domanda (oltre alla documentazione di rito) le seguenti circostanze:

- assegnazione della medesima all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa da oltre sei mesi, alla data di proposizione della domanda di trasferimento (24.3.2003), a seguito di distacco protrattosi dal mese di settembre 2002 fino al mese di giugno 2003, per ragioni di assistenza al proprio padre, sig. A. R.;

- riconoscimento della situazione di handicap grave del citato sig. R., con verbale della Commissione Medica della ASL di Caserta 2 in data 22.11.2002;

- certificato rilasciato in data 12 marzo 2004 dall’Ufficio Politiche sociali del Comune di Aversa, nel quale si attesta che la ricorrente stessa "presta assistenza al proprio genitore in via esclusiva, essendovi indisponibilità oggettiva e soggettiva di altre persone, in grado di sopperire alle esigenze del sig. R. A., portatore di grave handicap fisico".

In presenza del quadro probatorio sopra sintetizzato, il Collegio ritiene che sia stata, in effetti, prodotta documentazione idonea, per rappresentare una situazione conforme alla fattispecie, tutelata dalla normativa in esame.

E’ già stato chiarito, infatti, come il Collegio stesso ritenga troppo restrittiva una interpretazione di tale normativa che – come sostenuto dall’Amministrazione – richieda "effettiva e regolare presenza del dipendente presso l’abitazione del familiare disabile", potendo detta presenza, anche saltuaria, risultare compensata da una oggettiva, assidua supervisione dell’assistenza (medica, infermieristica e morale) da prestare al familiare infermo, soprattutto quando, come nella situazione in esame, il dipendente interessato al trasferimento abbia avuto la possibilità di instaurare il rapporto – tutelato dalla legge – con detto familiare, in un periodo di maggiore vicinanza fisica, antecedente all’assegnazione ad altra sede di servizio, o comunque in atto alla data di proposizione della domanda.

Per quanto sopra il Collegio ritiene che la motivazione dell’atto impugnato – di per sé generica e quindi da supportare con elementi integrativi, circa la completezza dell’istruttoria espletata – non trovi riscontro nella situazione di fatto, documentata dall’interessata, con conseguente fondatezza delle censure di violazione dell’art. 33 della legge n. 104/92, nonchè di eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria.

Il ricorso in esame può dunque essere accolto, con conseguente annullamento del diniego impugnato e fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione, da adottare previo opportuno approfondimento dell’anzidetta fase istruttoria; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, ne appare equa la compensazione.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sezione I Quater, ACCOGLIE il ricorso n. 9273/04, specificato in epigrafe e, per l’effetto, ANNULLA il diniego di trasferimento n. GDAP-0257347-2004 del 7.7.2004, notificato il 26.7.2004; COMPENSA le spese.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 10 febbraio 2005 in prosecuzione di quella del 10 gennaio 2005, con l'intervento dei Magistrati:

Presidente Pio Guerrieri

Consigliere est. Gabriella De Michele

Referendario Antonella Mangia

 

Depositata in Segreteria il primo aprile 2005