REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo regionale per il Lazio

Sez.I Quater

                                                                                                              

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 12494/04, proposto dall’agente di polizia penitenziaria .........., rappresentato e difeso dagli Avvocati F. Silvestri e C. De Stefanis ed elettivamente domiciliato  presso il primo in Roma,via U. De Carolis, 34;

contro

IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA – DIPARTIMENTO DELL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA, costituitosi  in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege presso la sede di roma, via dei Portoghesi, 12; 

                                 per l'annullamento

-         della nota n. prot. GDAP-0336116-2004 del 16.9.2004, notificato data 1.10.2004, con cui veniva rigettata l’istanza di trasferimento, presentata dal ricorrente ai sensi dell’art. 33 della legge 5.2.1992, n. 104;

-         della lettera circolare n. 0213520-2003 del 16.5.2003;

-         di ogni atto precedente, successivo e comunque connesso;                                    

         Visto il ricorso con i relativi allegati;

           Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata;      

         Visti gli atti tutti della causa;

         Relatore, alla pubblica udienza  in data 10 marzo 2005, il Consigliere G. De Michele, uditi altresi’ gli Avvocati delle parti, come da verbale di udienza in data odierna;

FATTO

Attraverso il ricorso in esame, notificato in data 11.11.2004, si contesta il diniego opposto dall’Amministrazione  ad una istanza di trasferimento, presentata ai sensi dell’art. 33, comma 5, della legge 5.2.1992, n. 104.

Detta istanza risulta respinta – sul piano della motivazione – nei seguenti termini: “l’oggettiva lontananza, che intercorre tra la sede di servizio ed il domicilio del disabile e’ considerata ostativa, in senso sia spaziale che temporale, con riguardo alla continuita’ dell’assistenza prestata”.

Avverso la predetta determinazione, nell’impugnativa vengono prospettate censure di violazione dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104/1992 e di eccesso di potere sotto vari profili, non essendo stata adeguatamente valutata la copiosa documentazione prodotta dal ricorrente, circa la continuita’ dell’assistenza prestata alla propria madre – invalida e bisognosa di assistenza – anche a seguito di congedi e di un periodo di distacco.

L’Amministrazione intimata, costituitasi in giudizio, si oppone all’accoglimento dell’impugnativa, eccependo la tardivita’ dell’impugnazione della lettera circolare n. 213520/2003 del 16.5.2003 e l’infondatezza delle censure avverso il diniego di trasferimento, in quanto il requisito della continuita’ dell’assistenza presupporrebbe “una effettiva e regolare presenza del dipendente presso l’abitazione del familiare disabile, per attendere alle necessita’ quotidiane di quest’ultimo”: circostanza – quella appena indicata – che non potrebbe verificarsi quando l’handicap del familiare sia insorto successivamente all’entrata in servizio del dipendente ed in caso di rilevante distanza di tale sede dal luogo di residenza del disabile.       

                                     DIRITTO                               

Il Collegio rileva, preliminarmente, l’inammissibilita’ (piu’ che la tardivita’, eccepita dall’Amministrazione resistente) dell’impugnativa riferita alla circolare n. 213520/03, in quanto atto interno, meramente interpretativo ed applicativo dei parametri legislativamente fissati, che restano unico termine di riscontro della legittimita’ del diniego di trasferimento, impugnato in via principale.

Nel merito, la questione sottoposta all’esame del Collegio stesso concerne i presupposti applicativi dell’art. 33, quinto comma, della legge 5.2.1992, n. 104, secondo cui “il genitore o il familiare lavoratore, pubblico o privato, che assista con continuita’ un parente o affine entro il terzo grado handicappato, ha  diritto a scegliere, ove possibile, la sede piu’ vicina al proprio domicilio e non puo’ essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”.

La norma in questione ha come scopo primario quello di ampliare la sfera di tutela del portatore di handicap, salvaguardando situazioni di assistenza in atto, accettate dal disabile, “al fine di evitare rotture traumatiche e dannose”, secondo parametri rimessi alla discrezionalita’ del legislatore, che puo’ ampliare o restringere i limiti delle situazioni, considerate meritevoli della tutela in questione (Corte Cost., 29.7.1996, n. 325).

Detta discrezionalita’ e’ stata esercitata, in un primo tempo, riconoscendo il diritto di cui si discute solo in caso di convivenza del dipendente con il portatore di handicap, poi (nel testo della norma, modificato con legge 8.3.2000, n. 53) anche al di fuori di tale circostanza, purche’ comunque sussista il requisito attuale della continuita’ dell’assistenza.

Giova sottolineare, peraltro, che nella circolare n. 213520/2003 del 16.5.2003 si indica come “termine tollerabile” di distanza, tale da non pregiudicare l’espletamento del dovere di assistere il disabile, una lontananza di 90 Km. tra la sede richiesta ed il luogo di residenza del disabile stesso (fatte salve, ovviamente, possibilita’ di avvicinamento anche maggiori).

In tale contesto, l’Amministrazione ha dettagliatamente indicato i presupposti soggettivi ed oggettivi, richiesti per l’istruzione delle pratiche di cui trattasi, nei termini di seguito riportati:

1)      Riconoscimento – da parte della competente Azienda Sanitaria Locale –  dell’handicap in situazione di gravita’ dell’assistito;

2)      insussistenza di ricovero a tempo pieno di quest’ultimo presso strutture ospedaliere o simili;

3)      relazione di parentela o affinita’ entro il terzo grado con il dipendente;

4)      continuita’ dell’assistenza;

5)      - 6) inesistenza di altri parenti o affini che abbiano usufruito della medesima normativa o siano comunque in grado di sopperire alle esigenze del portatore di handicap;

6)      gradimento del disabile all’assistenza da parte del richiedente.

In presenza di tutti i requisiti sopra indicati (che l’interessato deve attestare con idonea documentazione), la legge attribuisce al dipendente un diritto condizionato - ovvero, piu’ propriamente, un interesse legittimo - ad ottenere in via di prima assegnazione, o per trasferimento, una sede che consenta la prosecuzione del rapporto di assistenza, purche’ non ostino a tale assegnazione superiori esigenze organizzative dell’Amministrazione (esigenze, per lo piu’ identificabili con la disponibilita’ di posti in organico nelle sedi richieste).

In base alla disciplina legislativa, nonche’ alle norme interne emanate per la relativa attuazione, non puo’ in effetti ritenersi che “l’assistenza continuativa” – recepita dalla norma come presupposto per l’assegnazione di sedi di servizio, il piu’ possibile vicine alla residenza del disabile – debba avere carattere quotidiano ed esclusivo: e’ difficilmente immaginabile, infatti, che soggetti impegnati in una attivita’ lavorativa, non conviventi con il disabile ed assegnati ad una sede di servizio distante 90 Km. dalla residenza del medesimo possano fornire un’assistenza del tipo sopra indicato. Deve ritenersi, pertanto, che la legge in via generale, e l’Amministrazione con disposizioni di dettaglio (conformi, queste ultime, alla “ratio legis”, ove si tenga conto dell’ampia accezione del concetto di assistenza) abbiano preso a riferimento situazioni, in cui il dipendente sia il fondamentale punto di riferimento per l’assistenza del disabile, quanto meno sotto il profilo della costante organizzazione e supervisione delle cure necessarie, delle buone condizioni di vita e delle relazioni affettive, anche senza assumere necessariamente in proprio l’intera effettuazione materiale dell’assistenza stessa.

La situazione sopra descritta non puo’, comunque, prescindere da una frequente presenza fisica del dipendente, a fianco del congiunto portatore di handicap, e da un suo attivo coinvolgimento in ogni esigenza di vita del medesimo, di modo che non puo’ ritenersi sufficiente la mera intenzione di instaurare il rapporto di assistenza, una volta ottenuto il trasferimento (con terminologia che non lascia adito ad equivoci, infatti, il legislatore – esercitando una discrezionalita’ conforme al dettato costituzionale, nei termini di cui alla citata sentenza della Suprema Corte n. 325/96 – ha accordato la tutela in questione a chi gia’ “assista con continuita’” e non anche chi inoltri la domanda a futuri fini assistenzali).

Premesso quanto sopra, appare anche evidente la necessita’ di valutazioni caso per caso, sulla base della documentazione fornita dall’interessato e di considerazioni anche presuntive, circa la consistenza degli elementi probatori da ritenere necessari.

In via generale, di piu’ agevole accertamento appare la situazione di chi abbia dovuto interrompere una documentata situazione di assistenza, in atto al momento dell’assunzione, rispetto a quella di chi – trovandosi in altra localita’ – intenda instaurare tale assistenza ex novo (cfr. in tal senso Cons. St., sez. III, 17.10.2000, parere n. 1623).

Se non si vuole svuotare la norma di qualsiasi contenuto, dunque, non puo’ aprioristicamente escludersi l’individuazione di un rapporto di assistenza continuativa, ai fini di cui trattasi, ogni qual volta la domanda venga inoltrata per una sede lontana da quella di attuale servizio; tale lontananza tuttavia (soprattutto se in atto da tempo ed anche antecedente all’insorgere della situazione di handicap del congiunto) costituisce elemento presuntivo contrario a detta continuita’ di assistenza, con conseguente necessita’ di supporti probatori maggiori, rispetto a quelli riconducibili a mere affermazioni dell’interessato.

L’Amministrazione resistente, a sua volta, – pur adottando per semplicita’ motivazioni standardizzate – sostiene di avere valutato ogni domanda in base alla specifica documentazione presentata, escludendo dal beneficio coloro che non abbiano saputo produrre elementi probatori attendibili, in situazioni quanto meno difficoltose, per l’individuazione dei presupposti applicativi del piu’ volte citato art. 33 L. n. 104/92.

In tale situazione il Collegio non puo’ che sentirsi chiamato, a sua volta, a valutazioni da effettuare caso per caso, al fine di verificare se – e sotto quale profilo – il diniego opposto dall’Amministrazione ad una domanda, presentata ai sensi del citato art. 33 della legge n. 104/92 appaia contrastante con il dettato legislativo, oppure funzionalmente deviato per carenza istruttoria ed illogicita’ della motivazione: un profilo, quest’ultimo, che puo’ scaturire solo da una valutazione complessiva della situazione di fatto e delle documentate argomentazioni del singolo interessato.

Nel caso di specie il ricorrente – in servizio presso la casa circondariale di Palmi (Reggio Calabria), come agente scelto di polizia penitenziaria – aveva richiesto in data 23.12.2003  di essere trasferito presso le case circondariali di Secondigliano (Napoli), Santa Maria di Capua (Caserta), Poggioreale (Napoli), Avellino o Salerno, per poter assistere la propria madre, affetta da “disturbo depressivo maggiore melanconico con grave apatia, insonnia, turbe dell’attenzione e della memoria”, dopo la perdita di un altro figlio per incidente stradale.

A sostegno della domanda – oltre alla documentazione di rito (circa la situazione clinica della congiunta e l’assistenza prestata, anche a seguito di numerosi permessi e distacchi) – risulta prodotta una certificazione medica di parte del 16.11.2003, a firma del Dirigente del Dipartimento di salute mentale della ASL Napoli 3, attestante le possibilita’ di miglioramento delle condizioni neuropsichiatriche della disabile a seguito “della vicinanza del proprio figlio, attualmente distante per motivi di lavoro”; detta certificazione fa seguito, in effetti, ad un periodo di distacco, in scadenza il 30.7.2003, ma ancora in data 9.11.2004 una certificazione del responsabile del Corpo di Polizia Municipale del Comune di Caivano, attesta che “il sig. .........….nei periodi di congedo e, in ogni caso, quando ritorna presso il proprio domicilio….assiste la madre…, la quale e’ persona disabile”.

In presenza del quadro probatorio sopra sintetizzato, il        Collegio ritiene che sia stata prodotta documentazione idonea, per rappresentare una situazione conforme alla fattispecie tutelata dalla normativa in esame. 

E’ gia’ stato chiarito, infatti, come il Collegio stesso ritenga troppo restrittiva una interpretazione di tale normativa che richieda effettiva e regolare presenza del dipendente presso l’abitazione del familiare disabile, potendo detta presenza, anche saltuaria, risultare compensata da una oggettiva, assidua supervisione o comunque centralita’ dell’assistenza (medica, infermieristica e/o morale) da prestare al familiare infermo, tenuto conto delle specifiche esigenze di quest’ultimo.

Nella situazione in esame, il Collegio ritiene che la motivazione dell’atto impugnato – di per se’ generica e quindi da supportare con elementi integrativi, circa la completezza dell’istruttoria espletata – non trovi riscontro nelle circostanze documentate dall’interessato, circa i particolari profili assistenziali individuabili, in rapporto alla patologia di cui trattasi ed all’evento traumatico che ne e’ causa, con conseguente fondatezza della censura di violazione della legge n. 104/92, nonche’ di eccesso di potere, in particolare, per difetto di motivazione e di istruttoria (vizio, quest’ultimo, aggravato dai non brevi tempi procedurali, intercorsi dalla data della domanda: circa nove mesi).

Il ricorso in esame puo’ dunque essere accolto, con conseguente annullamento del diniego impugnato e fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione; le spese giudiziali, da porre a carico della parte soccombente, vengono liquidate nella misura di €. 1.500,00 (euro millecinquecento).

                                    P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sezione I Quater, DICHIARA in parte INAMMISSIBILE ed in parte ACCOGLIE, nei termini di cui in motivazione, il ricorso n. 12115/04, specificato in epigrafe e, per l’effetto, ANNULLA il diniego di trasferimento n. 0248312 in data 1.7.2004; CONDANNA l’Amministrazione resistente al pagamento delle spese giudiziali, nella misura di €. 1.500,00 (euro millecinquecento/00).

         Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorita’ amministrativa.

 Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di Consiglio in data 10 marzo 2005, con l'intervento dei Magistrati:

                            Presidente Pio Guerrieri

                            Consigliere est. Gabriella De Michele

                            Referendario Antonella Mangia