TAR LAZIO, SEZ. III BIS – sentenza 8 ottobre 2003 n. 8128 Pres. Cossu, Est. Pugliese - Unione Musulmani d’Italia (Avv. Recchia) c. Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ed altri (Avv. Stato Soldani) – (dichiara il ricorso inammissibile).

Silenzio della P.A. – Silenzio-rifiuto – Formazione – Nel caso di procedimenti non di ufficio – Istanza della parte – Necessità ex art. 25, 2° comma, T.U. imp.civ. Stato – Mancanza – Inammissibilità del ricorso.

E’ inammissibile il ricorso proposto avverso il silenzio-rifiuto nel caso in cui, pur trattandosi di procedimento non di ufficio, l’atto di diffida non sia stato preceduto da apposita istanza dell’interessato, così come previsto dall’art. 25, 2° comma, del T.U. delle disposizioni sugli impiegati civili dello Stato, approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (alla stregua del principio è stato dichiarato inammissibile il ricorso con il quale era stato richiesto l’annullamento del silenzio-rifiuto che si sarebbe formato sugli atti di diffida – non preceduti da apposite istanze - con i quali l’Unione Musulmani d’Italia aveva invitato alcuni Ministeri a rimuovere dai locali di rispettiva competenza quel particolare tipo di simbolo religioso costituito dal crocifisso) (1).

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(1) Dispone l’art. 25, 2° comma, del T.U. imp. civ. Stato (il quale tuttora costituisce la norma alla quale fare riferimento per il procedimento volto alla formazione del silenzio-rifiuto), che: "quando si tratti di atti o di operazioni da compiersi ad istanza dell’interessato, la diffida è inefficace se non siano trascorsi sessanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza stessa".

Alla stregua di tale norma di legge, pertanto, nel caso in cui si tratti di un procedimento da iniziare ad istanza di parte, ove manchi l’istanza stessa, nessun procedimento amministrativo può dirsi iniziato e dunque nessun obbligo di provvedere a carico della Pubblica amministrazione sorge, essendo a tal fine irrilevanti gli atti di diffida giudizialmente notificati, dato che, a ben vedere, il vero e proprio "silenzio procedimentale" non è tanto quello relativo al periodo intercorrente tra la notifica della diffida ed i 30 giorni successivi, quanto piuttosto quello relativo al periodo intercorrente tra la proposizione dell’istanza a provvedere, ad iniziativa del privato, ed i successivi giorni entro i quali l’Amministrazione, pur essendo tenuta a provvedere, non provveda, così rimanendo inerte.

Come osservato dal T.A.R. Lazio con la sentenza in rassegna, perché si abbia silenzio giurisdizionalmente impugnabile, l’inerzia dell’Amministrazione (beninteso nell’ipotesi di cui al secondo comma e cioè di procedimento da iniziare non di ufficio) è da individuarsi non solo con riferimento ai 30 giorni successivi alla diffida (necessari laddove la Pubblica Amministrazione non abbia provveduto dopo l’iniziale istanza) ma anche, ed in primo luogo, con riferimento agli iniziali 60 giorni successivi all’istanza ad adempiere, senza che l’Amministrazione abbia adempiuto.

E’ stato conseguentemente ritenuto che, nel caso di procedimento ed iniziativa del privato e non d’ufficio, laddove non vi sia stata l’iniziale istanza dell’interessato, è il procedimento stesso a venire a mancare: e se non vi è procedimento, non può esservi neanche provvedimento, con la conseguenza che il soggetto interessato non può dolersi di alcun silenzio provvedimentale.

 

 


 

(omissis)

AVVERSO

il silenzio dei predetti Ministeri a seguito degli atti di diffida tutti datati 3 marzo 2003 ad essi notificati in data 4 e 5 marzo 2003.

(omissis)

 

F A T T O

Con ricorso notificato alle Amministrazioni in epigrafe indicate il 30 maggio 2003, e depositato nei termini, la ricorrente Unione Musulmani d’Italia chiede a questo Tribunale che voglia "annullare il silenzio del Ministero dell’Università e Ricerca, del Ministero della Salute e del Ministero dell’Interno alle diffide loro inoltrate e sopra meglio specificate (notificate il 4 e 5 marzo 2003) nonché ordinare al Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, al Ministero della Salute ed al Ministero dell’Interno di provvedere sugli atti di diffida loro rispettivamente notificati entro il termine di cui all’art. 21 bis L. 1034/1971".

Con tali atti i Ministeri appena indicati sono stati diffidati ed invitati a rimuovere dai locali di rispettiva competenza quel particolare tipo di simbolo religioso costituito dal crocifisso.

Lamenta in particolare la ricorrente il fatto che pur essendo la chiesta attività da parte di dette P.A. "doverosa in ragione delle motivazioni tutte compiutamente esposte negli atti di diffida ai quali, tuttavia, non è stato dato seguito alcuno" "i Ministeri prima detti sono rimasti del tutto inerti in tal modo ponendo in essere una palese violazione di legge per tramite del loro comportamento del tutto omissivo".

Si costituiva in giudizio, in nome e per conto delle Amministrazioni intimate, l’Avvocatura generale dello Stato che, con memoria del 19 luglio 2003, chiedeva la reiezione dell’interposto gravame ed eccepiva, preliminarmente, l’inammissibilità del ricorso per carenza dei presupposti di formazione del silenzio rifiuto.

Alla Camera di Consiglio odierna la causa veniva spedita in decisione.

D I R I T T O

Con il ricorso in epigrafe indicato la ricorrente Unione Musulmani d’Italia impugna il silenzio rifiuto che si sarebbe formato su propri atti di diffida – tutti datati 3 marzo 2003, notificati ai Ministeri dell’Istruzione, Università e Ricerca, della Salute e dell’Interno, rispettivamente in data 4 marzo, 5 marzo e 4 marzo 2003 – perché ciascun Ministero provvedesse "ad adottare nei termini di legge ogni atto e provvedimento necessario ed idoneo ad assicurare la rimozione da tutti i locali pubblici ricompresi negli uffici di competenza dei crocifissi ivi esposti".

Il ricorso è inammissibile, essendo fondata ed assorbente l’eccezione in proposito sollevata in memoria dall’Avvocatura generale dello Stato relativa a "carenza dei presupposti di formazione del silenzio rifiuto".

E’ giurisprudenza ormai univoca e costante nel tempo, dei TT.AA.RR. e del Consiglio di Stato, quella secondo cui il procedimento di formazione del silenzio rifiuto è regolamentato dall’art. 25 del T.U. delle disposizioni sugli impiegati civili dello Stato, approvato con DPR 10 gennaio 1957 n. 3.

Detto articolo, dopo aver previsto, al primo comma, che "l’omissione di atti e di operazioni, al cui compimento l’impiegato sia tenuto per legge o per regolamento, deve esser fatta constare da chi vi ha interesse mediante diffida notificata all’impiego e all’amministrazione a mezzo di ufficiale giudiziario", stabilisce, in particolare, al comma successivo, che "quando si tratti di atti o di operazioni da compiersi ad istanza dell’interessato, la diffida è inefficace se non siano trascorsi sessanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza stessa".

Ciò posto, è agevole osservare come nel caso specifico, in cui si versa indubbiamente in un’ipotesi di cui al citato secondo comma, la sequenza procedimentale disegnata dalla norma (e cioè, presentazione dell’istanza dell’interessato; inerzia dell’Amministrazione per almeno 60 gg. dalla presentazione dell’istanza stessa; formale diffida ad adempire, notificata a mezzo di ufficiale giudiziario; ulteriore inerzia dell’Amministrazione per ulteriori 30 giorni) non sia stata rispettata, posto che parte ricorrente – così come si evince dagli atti di causa, nonché dalla stessa prospettazione fattane in ricorso – si è limitata a notificare, a mezzo di ufficiale giudiziario, una diffida ad adempire, "significando, altresì, che in mancanza si procederà in via giurisdizionale": così facendo mancare, si osserva, proprio quel primo, indispensabile anello della catena procedimentale.

L’omissione di che trattasi – come ben osservato dall’Avvocatura generale dello Stato nella memoria difensiva depositata nell’imminenza dell’odierna Camera di Consiglio – comporta che nessun procedimento amministrativo è iniziato e dunque nessun obbligo di provvedere a carico della Pubblica Amministrazione è mai sorto: tanto più che, a ben vedere, il vero e proprio "silenzio procedimentale" non è tanto quello relativo al periodo intercorrente tra la notifica della diffida ed i 30 giorni successivi, quanto piuttosto quello relativo al periodo intercorrente tra la proposizione dell’istanza a provvedere, ad iniziativa del privato, ed i successivi giorni entro i quali l’Amministrazione, pur essendo tenuta a provvedere, non provveda, così rimanendo inerte: in altri termini, perché si abbia silenzio giurisdizionalmente impugnabile, l’inerzia dell’Amministrazione ((beninteso nell’ipotesi di cui al secondo comma) è da individuarsi non solo con riferimento ai 30 giorni successivi alla diffida (necessari laddove la Pubblica Amministrazione non abbia provveduto dopo l’iniziale istanza) ma anche, ed in primo luogo, con riferimento agli iniziali 60 giorni successivi all’istanza ad adempiere, senza che l’Amministrazione abbia adempiuto.

Deve quindi concludersi, con la predetta Avvocatura, che trattandosi dunque, nel caso di specie, di procedimento ed iniziativa de privato, e non d’ufficio, laddove non vi sia stata l’iniziale istanza di che trattasi, è il procedimento stesso a venire a mancare: e se non vi è procedimento, non può esservi neanche provvedimento, con la conseguenza che il soggetto volta per volta interessato non può dolersi di alcun silenzio provvedimentale.

Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, ma si rinvengono sussistere giusti motivi perché sia disposta l’integrale compensazione tra le parti delle spese, delle competenze e degli onorari di causa.

P. Q. M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione III bis – dichiara inammissibile il ricorso indicato in epigrafe e compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 23 luglio 2003.

Il Presidente Luigi COSSU

Il Consigliere, est. Eduardo PUGLIESE

Depositata in Segreteria in data 8 ottobre 2003.