La Pubblica Amministrazione non può aggravare i provvedimenti a sua discrezione
Sanzioni ai dipendenti pubblici solo su prove certe PAGINA PRECEDENTE
(Tar Lazio 9823/2004 )
   
   
Ai dipendenti pubblici si possono applicare solo le sanzioni disciplinari previste dalla legge sulla base di prove certe. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha accolto il ricorso di un appartenente al corpo di polizia penitenziaria contro il Ministero della Giustizia che aveva inflitto al dipendente la sospensione dal servizio per due mesi e la corresponsione di un assegno alimentare al posto dello stipendio per essersi addormentato durante il servizio di piantonamento ad un detenuto ricoverato in ospedale. Secondo i giudici amministrativi l'amministrazione non ha fornito la prova dell'addormentamento non essendo a tale proposito sufficiente la documentazione fotografica fornita, effettuata con un cellulare a bassa risoluzione. Inoltre, secondo il Tar, nel caso in esame l'amministrazione avrebbe dovuto applicare la sanzione della deplorazione prevista per legge in quanto quella della sospensione trova applicazione quando la condotta lesiva si ripete due volte a distanza di sei mesi: infatti un analogo rimprovero era già stato mosso al dipendente ma non nell'arco di tempo indicato dalla legge, per cui il Ministero non poteva discrezionalmente decidere di applicare la sanzione più grave. (14 ottobre 2004)  


Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione I Quater, sentenza n.9823/2004

 

 

Il Tribunale Amministrativo regionale per il Lazio

Sez.I Quater

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 2081/04, proposto dal sig. C. G., rappresentato e difeso dall’ avv. R. Gozzi ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in Roma, via S. di Saint Bon, 61;

contro

IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso gli uffici della medesima domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del decreto ministeriale n. 0317175-2003/30238 del 20.2.2004, con cui veniva irrogata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi 2 (due), con correlativa assegnazione di un assegno alimentare, nonchè di ogni atto presupposto, connesso e conseguenziale;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti i motivi aggiunti di gravame, notificati il

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore, alla pubblica udienza del 31 maggio 2004, il Consigliere G. De Michele e uditi, altresì, gli Avvocati delle parti, come da verbale di udienza in data odierna;.

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

Attraverso il ricorso in esame, notificato il 23.02.04, nonché con motivi aggiunti di gravame, notificati il , il sig. G. C. – assistente del corpo di Polizia Penitenziaria, in servizio presso la casa circondariale di Roma/Rebibbia – impugnava il decreto ministeriale n. 0317175-2003/30238 del 20.2.2004, con cui veniva irrogata a carico del medesimo la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi 2 (due), con correlativa assegnazione di un assegno alimentare, di importo pari alla metà dello stipendio e degli altri assegni a carattere fisso e continuativo.

Quanto sopra, per l’infrazione "prevista e punita dall’art. 5, comma 3, lettera h) del D.Lgs. n. 449/1992", essendo contestato all’agente in questione di essere stato sorpreso "in stato di abbandono" – ovvero, addormentato – durante il servizio di piantonamento ad un detenuto, servizio svoltosi fra le ore 24.00 e le ore 06.00 del giorno 16.5.2003, nei locali dell’Ospedale Policlinico Umberto I..

Avverso la misura disciplinare anzidetta venivano prospettati i seguenti motivi di gravame:

a) violazione o falsa applicazione degli articoli 4 e 5 del D.Lgs. 30.10.1992, n. 449; eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti, essendo contestata dall’interessato la veridicità dell’infrazione addebitatagli e dovendosi comunque applicare a norma di legge (art. 4, comma 1, lettera m del Dl.Lgs. n. 449/1992) – in corrispondenza dell’infrazione stessa – la diversa sanzione della deplorazione, fatta salva l’ipotesi di recidiva entro sei mesi, che comporterebbe conseguenze più gravi, ma di cui non sussistono i presupposti nel caso di specie (esistendo a carico del ricorrente una contestazione di analoga natura, ma per fatti risalenti a quattro anni prima);

b) violazione di legge; eccesso di potere per contraddittorietà dell’azione amministrativa, difetto di motivazione e sviamento, non essendo state considerate nemmeno le osservazioni del Funzionario Istruttore, dott. L., che aveva rilevato l’erroneità del presupposto normativo, sottostante alla contestazione degli addebiti (art. 4, anziché 5, del citato D.Lgs. n. 449/92);

c) violazione dell’art. 120 del D.P.R. n. 3/1957, applicabile anche alla Polizia Penitenziaria in forza del richiamo, operato dall’art. 24 del D.Lgs. n. 449/1992, ovvero per estinzione del procedimento disciplinare, "quando siano decorsi novanta giorni dall’ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto".

Con motivi aggiunti di gravame, notificati "alla luce della produzione documentale effettuata dall’Avvocatura dello Stato nella Camera di Consiglio in data 17.3.2004 (in cui è stata emessa l’ordinanza cautelare n. 1617/2004, di sospensione dell’atto impugnato), venivano quindi prospettate le seguenti ulteriori censure:

a. eccesso di potere per travisamento dei fatti, contraddittorietà e difetto di motivazione; violazione o falsa applicazione degli articoli 4, lettera m), 5, lettera h) e 16 del D.Lgs. n. 449/1992, risultando i fatti contestati riferiti in modo erroneo e non suffragati da elementi probatori certi, senza, peraltro, che alcuna motivazione sostenga l’applicazione di una sanzione diversa, rispetto a quella tipizzata dalla norma; erroneamente, inoltre, si farebbe riferimento a ad un presunto "turbamento nella regolarità e continuità del servizio di Istituto", per fatti rimasti privi di qualsiasi conseguenza e che non hanno avuto alcuna risonanza esterna.

L’Amministrazione intimata, costituitasi in giudizio, sottolinea come il ricorrente "abbia, con la sua condotta" meritato "non già la più lieve sanzione della deplorazione, bensì la sospensione dal servizio, per la maggiore gravità e il più sentito turbamento provocato", dovendosi ritenere rimessa al potere discrezionale dell’Amministrazione la valutazione non solo del "comportamento del dipendente, ma anche degli effetti prodotti e degli echi che ne possono derivare, in termini di diminuzione dell’autorevolezza e dell’immagine dell’Amministrazione".

Le considerazioni del funzionario istruttore, inoltre, non inciderebbero in alcun modo sulle competenze esclusive degli "altri organi, chiamati a pronunciarsi e cioè dell’Ufficio che ha disposto l’inchiesta" e nessuna violazione dei termini procedurali, infine, sarebbe ravvisabile, essendo il fascicolo del funzionario istruttore pervenuto all’ufficio disciplina il 31.7.2003 e da questo rimesso (con atto da ritenersi idoneo ad interrompere i termini) il 4.8.2003 al Consiglio Centrale, la cui riunione preliminare risulta tenuta il 31.10.2003.

DIRITTO

Il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato, con prioritario riferimento ai primi due ordini di censure, riportati nella parte in fatto della presente decisione.

Quanto sopra, in considerazione delle seguenti circostanze:

a) applicazione della sanzione disciplinare impugnata sulla base esclusiva di documentazione fotografica di bassa qualità, forse effettuata con un telefono cellulare da un collega dell’interessato ed inidonea ad attestare – al di là delle dichiarazioni dell’unico soggetto presente – l’effettiva consistenza e la durata del comportamento contestato (lieve assopimento o prolungato sonno, nel corso di un servizio di sorveglianza ad un detenuto);

b) applicazione altresì, in corrispondenza della medesima condotta, di una sanzione più grave di quella legislativamente prevista (deplorazione, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lettera m, del D.Lgs. n. 449/1992 [1], esplicitamente riferito all"addormentarsi in servizio"), senza che sussistesse l’aggravante (recidiva entro sei mesi della medesima infrazione), quale circostanza giustificativa dell’aggravamento della predetta sanzione (dalla deplorazione alla sospensione dal servizio), come previsto dall’art. 5, comma 3, lettera a, del medesimo D.Lgs. n. 449/92 [2]: un fatto analogo a quello di cui si discute, infatti, era già stato contestato all’odierno ricorrente, ma ad una distanza temporale ampiamente superiore a quella indicata dalla citata norma;

c) assenza di qualsiasi motivazione o circostanza, documentata in atti, tale da giustificare l’anzidetto inasprimento della sanzione prevista: risulta ignorata, infatti, l’osservazione dello stesso funzionario istruttore, che aveva proposto "la modifica della norma violata", evidentemente rilevandone l’inconferenza, né dalla vicenda in questione risulta prodotto uno specifico "turbamento nella regolarità o nella continuità del servizio di istituto", quale altra circostanza aggravante, ai sensi del medesimo articolo 5, comma 3, lettera h del D.P.R. n. 449/1992: non viene segnalato alcun problema, infatti, per quanto riguarda la custodia del detenuto piantonato, né l’episodio notturno di cui si discute risulta avere avuto qualche risonanza o notorietà, all’interno dell’ospedale o altrove.

Tenuto conto di quanto sopra, le argomentazioni difensive dell’Amministrazione resistente, che invoca la discrezionalità degli organi competenti, in rapporto alla gravità della condotta sanzionata ed alla necessità di difendere il prestigio e l’autorevolezza dell’Amministrazione, appaiono generiche ed apodittiche, in quanto non riferite ad alcuna circostanza concreta, atta a giustificare il discostamento dal dettato normativo in una materia delicata come quella disciplinare, che vede in qualche misura tipizzate le fattispecie di condotte lesive e la correlativa sanzione, quale corretta reazione dell’ordinamento a specifiche fattispecie di condotte lesive.

Le considerazioni svolte appaiono sufficienti per giustificare l’accoglimento dell’impugnativa, anche a prescindere dalla terza ed ultima censura, riferita a violazione dell’art. 120 del D.P.R. n. 3/1957 [3], ovvero a violazione di termini fissati per il procedimento disciplinare, termini di cui si assume la perentorietà, ma che l’Amministrazione eccepisce non superati, tenuto conto delle modalità dell’istruttoria.

A quest’ultimo riguardo, il Collegio ritiene sufficiente richiamare l’indirizzo giurisprudenziale non univoco, ma meritevole di attenta riconsiderazione, che appare orientato per la non perentorietà dei termini del procedimento disciplinare, il cui rispetto non sia imposto con esplicita comminatoria di decadenza, dovendo attribuirsi alla fissazione dei termini in questione per lo più finalità sollecitatorie, in ordine al ragionevole contenimento dei tempi dell’azione disciplinare, per esigenze di garanzia connesse al diritto di difesa del dipendente, senza però che al superamento dei termini stessi consegua automaticamente l’estinzione del procedimento (cfr. in tal senso Cons. St., sez. V, 19.8.95, n. 1191; Cons. St., Comm. Spec. pubbl. impiego, 11.11.91, n. 275; Cons. St., sez. IV, 7.9.94, n. 691 e 28.5.93, n. 571; TAR Lazio, Roma, sez. II bis, 1.3.2000, n. 1395 e 26.9.98, n. 1461; TAR Lazio, Roma, sez. II, 24.2.95, n. 264, 19.11.1997, n. 1830 e 15.3.95, n. 436; TAR Umbria, 7.3.1996, n. 88; TAR Campania, Napoli, 2.5.96, n. 170 e 7.7.1995, n. 269; TAR Piemonte, 4.5.95, n. 391; TAR Liguria, 4.6.93, n. 240).

Quando anche, come nel caso di specie, l’estinzione del medesimo procedimento sia prevista in modo espresso dalla norma, un qualsiasi atto, anche interno, dell’Amministrazione deve essere ritenuto idoneo ad interrompere i termini decadenziali in questione (cfr. in tal senso Cons.St., sez. IV, 20.12.1996, n. 1308, 30.5.1994, n. 466 e 14.7.1995, n. 561; sez. V, 17.12.1990, n. 877; Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 2.3.1991, n. 62), tenuto conto delle esigenze di bilanciamento fra interessi pubblici e privati, che sono ravvisabili nelle procedure in questione.

Da una parte, infatti, i criteri di "buon andamento", desumibili dall’art. 97 della Costituzione, suggeriscono che i provvedimenti disciplinari - cui è affidata anche la tutela del prestigio dell’Amministrazione, in rapporto a condotte devianti dei propri dipendenti - non vengano annullati solo per avvenuto superamento di termini relativamente brevi e, per loro natura, rimessi ad adempimenti di organi anche esecutivi diversi; in presenza di una illegittima inerzia dell’Amministrazione, inoltre, sono ormai codificati a livello legislativo (art. 21 bis L. n. 1034/71, nel testo introdotto dall’art. 2 della legge 21.7.2000, n. 205) rimedi rapidi ed efficaci, che escludono il protrarsi di situazioni di non definita regolamentazione amministrativa dei rapporti per tempi che – in passato – apparivano talvolta indeterminati e indeterminabili, in contrasto con l’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche, di rilievo pubblicistico; le nuove aperture risarcitorie, in materia di lesione di interessi legittimi infine (Cass. SS.UU. n. 500/99 del 22.7.99) consentono in ogni caso, inoltre, al dipendente che sia stato sottoposto ad un procedimento disciplinare dai tempi dilatati, rispetto a quelli legislativamente previsti, di ottenere un adeguato ristoro per il pregiudizio subito, ove un pregiudizio sussista (in via prioritaria, ovviamente, ove il dipendente sia scagionato da ogni addebito).

La valutazione della fondatezza del terzo motivo di gravame, riferito appunto a superamento del termine infraprocedurale di cui all’art. 120 del D.P.R. n. 3/1957, pertanto, non può prescindere della segnalata riunione del Consiglio Centrale (cui gli atti erano stati trasmessi il 4.8.2003) in data 31.10.2003, con successiva irrogazione della sanzione il 13.1.2004; un ulteriore approfondimento della questione, tuttavia, appare superfluo, non essendo la questione decisiva per l’accoglimento dell’impugnativa e chiedendo la stessa parte ricorrente, in via prioritaria, l’accoglimento delle proprie ragioni sostanziali, nei termini già condivisi dal Collegio.

In base alle argomentazioni svolte, in conclusione, il Collegio stesso ritiene che il ricorso in esame debba essere accolto, con conseguente annullamento della misura sanzionatoria impugnata; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio stesso ne ritiene equa la compensazione.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, (Sez. I Quater), ACCOGLIE il ricorso n. 2081/04, indicato in epigrafe e, per l’effetto, ANNULLA il decreto ministeriale n. 0317175-2003/30238 del 20.2.2004, con cui veniva irrogata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi 2 (due) con onere all’Amministrazione di ripristinare la posizione giuridica ed economica; COMPENSA le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 31 maggio 2004 con l'intervento dei Magistrati:

Presidente Pio Guerrieri

Consigliere est. Gabriella De Michele

Referendario Antonella Mangia

 

Depositata in Segreteria il 27 settembre 2004