T.A.R. Lombardia–Milano – Sez. III - Sentenza 13 marzo 2009, n. 1931 
 

Reg. Ric. n.  2372/2004

Registro sentenze:      1931/2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE per la LOMBARDIA,

MILANO

SEZIONE III

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 2372/2004 proposto da @@@@@@@ @@@@@@@, rappresentata e difesa dall’avv. -

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato con domicilio ex lege presso i suoi uffici in Milano, via Freguglia n. 1 

per l’annullamento, previa sospensione

- del provvedimento  n. 333-C/2112.3.3117.2007 del 3 agosto 2007 con cui il Ministero dell’Interno, Dipartimento di P.S., Direzione Centrale per le risorse umane, ha comunicato alla ricorrente il diniego al riconoscimento del periodo di servizio effettuato alle dipendenze di altre Amministrazioni al fine della progressione economica, giuridica e di carriera;

- di ogni altro atto ad essi preordinato, presupposto, consequenziale e/o comunque connesso;

VISTI il ricorso, i documenti e la memoria depositata dalla ricorrente;

VISTI l’atto di costituzione in giudizio, i documenti e la memoria prodotti dall’amministrazione resistente;

VISTI gli atti tutti di causa;

Uditi alla pubblica udienza del giorno 5 marzo 2005 il relatore, dott. -

FATTO

Con ricorso notificato in data 14.11.2007 e depositato in data 15.11.2007, la ricorrente ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe chiedendone l’annullamento e deducendone l’illegittimità per difetto di motivazione, violazione di legge in relazione sia all’art. 10 bis della legge 1990 n. 241, sia all’art. 5 della legge 2000 n. 78 e all’art. 1, comma 2, del d.l. 2003 n. 253, nonché per eccesso di potere sotto vari profili.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno eccependo – anche in sede di memoria - la tardività del ricorso, nonché, comunque, la sua infondatezza e chiedendone il rigetto.

Entrambe le parti hanno prodotto memorie e documenti. 

All’udienza del 5 marzo 2009 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1) In via preliminare deve essere esaminata l’eccezione con la quale l’amministrazione deduce l’irricevibilità del ricorso per tardività, evidenziando che il provvedimento impugnato è stato notificato all’interessata in data 04.09.2007, mentre l’amministrazione ha ricevuto la notifica del ricorso in data 20.11.2007, quindi oltre il termine legale previsto per la proposizione del ricorso stesso.

L’eccezione è infondata.

In primo luogo, va osservato che la notificazione è stata effettuata dall’interessata a mezzo del servizio postale e dalla cartolina di accettazione della raccomandata (cfr. documentazione in atti) emerge che la spedizione è stata effettuata in data 14.11.2007.

Inoltre, la tempestività dell’impugnazione va valutata in relazione al momento in cui il ricorrente ha posto in essere gli adempimenti necessari ai fini della notificazione dell’atto all’amministrazione interessata, mentre è del tutto irrilevante, rispetto alla tempestività della notifica, il tempo in cui l’amministrazione resistente ha ricevuto la notificazione stessa (giurisprudenza costante a seguito della sentenza della Corte Cost. 26 novembre 2002 n. 477, si veda a titolo di esempio T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 05 dicembre 2007, n. 15779).   

Va poi osservato che il provvedimento impugnato è stato notificato in data 04.09.2007, pertanto, considerato che nella materia del pubblico impiego non privatizzato, cui attiene la controversia in esame, trova applicazione la regola della sospensione feriale dei termini processuali nel periodo compreso tra il 1° agosto e il 15 settembre di ogni anno, ai sensi degli artt. 1 e 5 della legge 1969 n. 742 (cfr. tra le tante C.d.S., sez. V, 23 maggio 2003, n. 2788; C.d.S., sez. V, 23 marzo 2004, n. 1529), la tempestività della notificazione del ricorso deve essere valutata tenendo presente che il termine di impugnazione ha iniziato a decorrere dalla fine del periodo feriale, ossia dal 16.09.2007.

Di conseguenza, siccome la notificazione è stata effettuata dalla ricorrente in data 14.11.2007, il termine di 60 giorni per la proposizione dell’impugnazione, previsto dall’art. 21, comma 1, della legge 1971 n. 1034, risulta rispettato.

Ne deriva l’infondatezza dell’eccezione in esame.

2) In punto di fatto va osservato che, dalla documentazione versata in atti, emerge che  la ricorrente, vice questore aggiunto della Polizia di Stato, è stata immessa in ruolo in data 10.12.1987 ed è poi transitata su domanda presso il Ministero dei beni e delle attività culturali con decorrenza dal 18.07.2001, ai sensi dell’art. 5, comma 3, della legge 2000 n. 78.

Quindi, a seguito di apposita domanda presentata ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.l. 2003 n. 253 (convertito dalla legge 2003 n. 300), la ricorrente è stata riammessa in servizio presso l’amministrazione della pubblica sicurezza, con decreto ministeriale datato 31.12.2004 ed ha ripreso il servizio in data 18.01.2007.

Successivamente, con istanza datata 18.07.2007, l’interessata ha chiesto all’amministrazione di appartenenza che il periodo di servizio prestato dal 18.07.2001 al 30.12.2004 presso altra amministrazione dello Stato fosse valutato ai fini della sua progressione in carriera e ad ogni altro effetto giuridico ed economico.

L’amministrazione con il provvedimento impugnato ha respinto l’istanza, rilevando che “tanto le norme che disciplinano la progressione in carriera, quanto quelle che disciplinano il trattamento economico, tengono in considerazione di volta in volta il solo servizio prestato alle dipendenze dell’amministrazione della pubblica sicurezza, ovvero nella carriera direttiva della stessa amministrazione, ovvero ancora in una determinata qualifica”, precisando, da un lato, che non è possibile “riconoscere l’anzianità pregressa ai fini della riammissione agli scrutini di promozione in forza dell’art. 51 della legge 10 ottobre 1986 n. 668” in ragione dell’abrogazione della disposizione, dall’altro, che ciò “lascia impregiudicata la possibile applicazione di specifiche norme di legge che riconnettano un qualche effetto all’anzianità maturata “alle dipendenze di pubbliche amministrazioni” o formulazioni similari”.

Ne deriva che la controversia in esame è incentrata, sul piano sostanziale, sulla possibilità per la ricorrente di ottenere il riconoscimento, ai fini della progressione in carriera e degli avanzamenti retributivi, del periodo di servizio prestato presso il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali.

Pertanto, il Tribunale ritiene opportuno valutare congiuntamente i tre motivi di impugnazione articolati nel ricorso, al fine di verificare – stante la giurisdizione esclusiva esistente nella materia de qua – la fondatezza della pretesa avanzata dalla ricorrente, che, del resto, ritiene che proprio la normativa che ha ammesso la mobilità nel caso concreto garantirebbe il riconoscimento dei periodi di servizio prestati aliunde, di qualunque natura essi siano (cfr. pagg. da 7 a 9 del ricorso).

In particolare, la ricorrente lamenta, da un lato, la violazione di legge in relazione all’applicazione fatta dall’amministrazione degli artt. 5 della legge 2000 n. 78 e dell’art. 1, comma 2, del d.l. 2003 n. 253, in quanto non ha considerato che proprio dalla prevista possibilità di riammissione nei ruoli della pubblica sicurezza discenderebbe il necessario riconoscimento del servizio prestato presso altra amministrazione ai fini della progressione in carriera e del trattamento economico, dall’altro, l’insufficienza della motivazione del provvedimento impugnato che non individua la norma ostativa al riconoscimento richiesto, con conseguente configurabilità di vari profili di eccesso di potere, infine, la violazione delle regole procedimentali con particolare riferimento all’art. 10 bis in ordine alla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.

I motivi sono infondati.

In primo luogo, va osservato che l’art. 5, comma 3, della legge 2000 n. 78 – in base al quale la @@@@@@@ ha ottenuto il trasferimento presso il Ministero dei Beni e delle Attività culturali – prevede che  “3. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, è consentito, a domanda e previa intesa tra le amministrazioni interessate, il trasferimento dei dipendenti appartenenti alle qualifiche dirigenziali e direttive della Polizia di Stato nelle altre amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, nei limiti dei posti disponibili per le medesime qualifiche possedute nelle rispettive piante organiche, nel rispetto delle disposizioni di cui all'articolo 20 della legge 23 dicembre 1999, n. 488. Qualora il trattamento economico dell'amministrazione di destinazione sia inferiore a quello percepito nell'amministrazione di provenienza, il dipendente trasferito percepisce, fino al suo riassorbimento, un assegno ad personam di importo corrispondente alla differenza di trattamento. Per un periodo non superiore a novanta giorni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1 il trasferimento può essere effettuato, con le medesime modalità, ad istanza dei dipendenti interessati, salvo rifiuto dell'amministrazione destinataria dell'istanza, da esprimere entro trenta giorni dal ricevimento dell'istanza medesima”.

La norma, contrariamene a quanto sostenuto dalla ricorrente, non prevede che in caso di riammissione in servizio presso l’amministrazione della Polizia di Stato, il dipendente possa ottenere il riconoscimento, ai fini retributivi e degli avanzamenti di carriera, del periodo di servizio svolto alle dipendenze dell’amministrazione ove era stato trasferito, ma si limita a prevedere, sul piano economico, l’attribuzione di un assegno ad personam fino al riassorbimento del lavoratore, diretto a compensare l’eventuale decremento retributivo subito per effetto del trasferimento.  

Parimenti, l'articolo 20 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, cui rinvia l’art. 5, comma 3, della legge 2000 n. 78, ha introdotto delle modifiche all’art. 39 della legge 1997 n. 449, che si limita a dettare “disposizioni in materia di assunzioni di personale delle amministrazioni pubbliche e misure di potenziamento e di incentivazione del part-time”, senza prevedere il riconoscimento preteso dalla ricorrente.

Neppure tale riconoscimento è desumibile dall’art. 1, comma 2, del d.l. 2003 n. 253 – in base al quale la ricorrente è stata riammessa nei ruoli dell’amministrazione della Polizia di Stato - in quanto tale norma si limita a prevedere la possibilità per l'amministrazione della Pubblica Sicurezza di riammettere in servizio, “in deroga a quanto previsto dall'articolo 132, quarto comma, del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, il personale già appartenente ai ruoli del personale dirigente e direttivo della Polizia di Stato, trasferito, ai sensi dell'articolo 5, comma 3, della legge 31 marzo 2000, n. 78, ad altre amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”, senza introdurre un meccanismo di riconoscimento ai fini economici e di carriera del servizio prestato presso altra amministrazione.

Anzi, questa disposizione, nel consentire all’amministrazione di derogare solo al comma 4 dell’art. 132 del d.p.r. 1957 n. 3, rende indubitabile l’applicabilità alla fattispecie delle altre disposizioni poste dal medesimo art. 132.

Pertanto, in relazione alla questione in esame, assume rilevanza il comma 3 dell’art. 132, ove si prevede che “L'impiegato riammesso è collocato nel ruolo e nella qualifica cui apparteneva al momento della cessazione dal servizio, con decorrenza di anzianità nella qualifica stessa dalla data del provvedimento di riammissione”.

In base a questa disposizione l’unico effetto ricollegabile alla riammissione in servizio - anche nelle ipotesi di trasferimento su domanda ai sensi dell’art. 5, comma 3, della legge 2000 n. 78 e di successiva riammissione ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.l. 2003 n. 253 – è la collocazione del dipendente nel ruolo e nella qualifica già rivestiti al momento del trasferimento, sicché rimane esclusa la possibilità di ottenere il riconoscimento del servizio prestato presso altre amministrazioni ai fini retributivi e di carriera, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente.

La soluzione è del tutto coerente con i principi affermati in materia dalla Corte Costituzionale, che ha escluso l’esistenza di un principio generale riferibile a tutto il pubblico impiego in ordine al necessario riconoscimento ai fini della carriera dei servizi comunque prestati, essendo ciò rimesso a specifiche scelte legislative (cfr. Corte Cost., 07 luglio 1995, n. 305, in ordine all’ampia discrezionalità del legislatore nella materia de qua si veda anche Corte cost. 22 luglio 1999, n. 344 e giurisprudenza ivi richiamata).

In definitiva, in base alla disciplina riferibile alla fattispecie in esame va evidenziata l’infondatezza della pretesa della ricorrente di ottenere il riconoscimento, agli effetti degli avanzamenti retributivi e di carriera, dell’attività prestata presso il Ministero dei Beni culturali ed ambientali.

D’altro canto, sul piano motivazionale il provvedimento non presenta il vizio dedotto nel ricorso, in quanto l’amministrazione, coerentemente con il quadro normativo generale suindicato, ha precisato che la disciplina della progressione in carriera e del trattamento economico consente di valorizzare solo il servizio prestato “alle dipendenze dell’amministrazione della pubblica sicurezza ovvero nella carriera direttiva della stessa amministrazione, ovvero ancora in una determinata qualifica”, precisando, pure in mancanza di una specifica richiesta da parte dell’interessata, l’inapplicabilità dell’art. 51 della legge 1986 n. 668 in materia di scrutini di promozione, stante l’abrogazione della norma.

In tale contesto argomentativo, il riferimento, contenuto nel provvedimento impugnato, alla possibilità di applicare specifiche norme che dovessero riconoscere rilevanza giuridica in generale all’anzianità comunque maturata alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, non introduce un elemento di equivocità, ma tende a chiarire che la valorizzazione dell’anzianità acquisita presso altre amministrazioni dipende da eventuali scelte del legislatore.

In definitiva, il provvedimento impugnato reca una motivazione adeguata, che dà atto della carenza di base normativa della pretesa avanzata dalla ricorrente, la quale, del resto, aveva presentato un’istanza connotata da genericità e non fondata sull’applicabilità di specifiche norme, con conseguente infondatezza della censura in esame.

Quanto poi alla dedotta violazione delle regole procedimentali ed, in particolare, dell’art. 10 bis della legge 1990 n. 241, lamentata in quanto con il provvedimento impugnato l’amministrazione ha compreso in un unico documento sia il preavviso di rigetto, sia la determinazione finale, subordinandone l’efficacia alla mancata produzione di osservazioni e memorie entro il termine prescritto, va osservato che in concreto siffatto modo di procedere, pur non strettamente aderente alla disciplina dell’art. 10 bis della legge 1990 n. 241 – che distingue nettamente il preavviso di rigetto dal provvedimento finale – non si è tradotto in una sostanziale deminutio delle prerogative partecipative riconosciute dal medesimo art. 10.

Invero, l’interessata è stata posta in condizione di presentare memorie e osservazioni, sicché risulta raggiunto lo scopo, cui tende la norma in questione, di permettere un effettivo confronto tra l'amministrazione e i privati anteriormente all'adozione di un provvedimento negativo, in un’ottica di necessaria valorizzazione sostanziale e non meramente formale delle regole partecipative (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 15 gennaio 2008, n. 5).

In ogni caso, il quadro normativo di riferimento suindicato rende evidente che l’amministrazione era tenuta a non valorizzare, ai fini richiesti, i periodi di servizio prestati dalla ricorrente presso il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, sicché il potere esercitato nel caso concreto risulta vincolato, con conseguente esclusione dell’annullabilità del provvedimento per vizi attinenti al procedimento o alla forma degli atti, ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, della legge 1990 n. 241.

Va, pertanto, ribadita l’infondatezza dei motivi proposti.

3) In definitiva il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Nondimeno la complessità delle questioni trattate consente di ravvisare giusti motivi per compensare tra le parti le spese della lite.

P.Q.M

 Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Milano, sezione terza, respinge il ricorso.

Compensa interamente tra le parti le spese di lite. 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. 

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 5 marzo 2009, con l’intervento dei signori magistrati: 

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