REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

DEL LAZIO

ROMA – SEZIONE PRIMA QUATER

N            /

Reg. Sent.

N. 9083/1999 Reg. Ric.

composto dai Magistrati:

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso N. 9083/1999 R.G. proposto dal Sig. XYXYXY XYXYXY, rappresentato e difeso dall’Avv. ... ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore, situato in Roma, Via ...

CONTRO

il MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA, ora MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato presso il cui Ufficio sito in Roma, Via dei Portoghesi n. 12 è, ope legis, domiciliato;

PER L'ANNULLAMENTO,

previa sospensiva,

del provvedimento adottato in data 7 giugno 1999 dal Direttore Generale f.f. del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria con il quale il ricorrente veniva “dimesso dal Corpo di polizia penitenziaria a decorrere dal 29 dicembre 1998 data di presentazione alla Scuola di Cairo Montenotte e il servizio prestato sino alla data di effettiva dimissione dal Corpo in virtù del presente decreto è considerato servizio di fatto, per essergli stati attribuiti punti 1,50 in più nella graduatoria formulata ai sensi dell’art. 2, co. 2, del decreto interministeriale 12 novembre 1996 e approvata con P.D.G. 23 giugno 1997, che deve intendersi modificato ai sensi indicati nelle premesse”; nonché di ogni altro atto e provvedimento allo stesso consequenziale, correlato, presupposto e comunque connesso con riferimento al medesimo oggetto;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;

Visti le memorie ed i documenti prodotti dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 6 novembre 2007 il I Referendario .....; uditi, altresì, i procuratori delle parti come da verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

F A T T O

Espone il ricorrente:

- di aver presentato domanda di assunzione nel Corpo di Polizia Penitenziaria, ai sensi del Decreto Interministeriale 12 novembre 1996;

- di aver conseguito il punteggio di 4,50 e cioè punti 2,50 per aver esibito l’attestato di qualifica professionale di “riparatore auto”, rilasciatogli dalla Regione Liguria Servizio Formazione professionale il 15 febbraio 1991, e punti 2,00 per non aver riportato alcuna sanzione disciplinare nel corso del servizio prestato in qualità di carabiniere ausiliario;

- di essere stato collocato al 1125° posto utile della graduatoria finale stilata e di essere stato avviato – dopo essere stato giudicato idoneo alla visita medica prevista – al corso di formazione presso la Scuola di Formazione ed Aggiornamento del Corpo di Polizia e del Personale dell’Amministrazione Penitenziaria di Cairo Montenotte;

- che, superato il corso, prestava giuramento e, quindi, in data 10 aprile 1999 assumeva servizio in qualità di agente effettivo del Corpo di Polizia Penitenziaria presso la Casa Circondariale ....

- che in data 7 giugno 1999 gli veniva notificato il provvedimento in epigrafe, che decretava la sua dimissione dal Corpo di Polizia Penitenziaria “per essergli stati attribuiti punti 1,50 in più nella graduatoria formulata ai sensi dell’art. 2, comma 2, del decreto interministeriale 12 novembre 1996 e approvata con P.D.G. 23 giugno 1997, che deve intendersi modificato ai sensi indicati nelle premessse”.

Ritenendo il suddetto provvedimento illegittimo, il ricorrente ne chiede l’annullamento deducendo i seguenti motivi di impugnativa:

Violazione di legge – Eccesso di potere per sviamento – Eccesso di potere per illogicità manifesta – Eccesso di potere per disparità di trattamento – Eccesso di potere per errata valutazione dei presupposti – Eccesso di potere per omessa motivazione – Eccesso di potere per violazione del bando di concorso. La contraddittorietà dell’agire dell’Amministrazione, che dapprima ha disposto in via definitiva l’ammissione del ricorrente in servizio e poi ne ha ordinato la cessazione, è palese. I rilievi sollevati nel provvedimento impugnato ben potevano essere sollevati al momento di provvedere o meno all’assunzione e non – illegittimamente, dunque – molti mesi dopo che la posizione lavorativa e professionale del ricorrente si è consolidata proprio in forza di determinazioni dell’Amministrazione. Il disposto di cui all’art. 2, comma 3, del D.I. 12 novembre 1996 riporta, infatti, la locuzione “in ogni fase degli accertamenti”, la quale non può che riferirsi alla fase prodromica all’ammissione in servizio del candidato e non – come pretende l’Amministrazione - ad un momento successivo. Il provvedimento è viziato, altresì, dall’omessa osservanza dell’art. 7 della legge n. 241/90. Dalla motivazione del provvedimento non risulta l’esistenza di un concreto e specifico interesse pubblico.

Con atto depositato in data 26 luglio 1999 si è costituita l’Amministrazione intimata.

Con ordinanza n. 2364 del 28 luglio 1999 il Tribunale ha respinto la domanda incidentale di sospensione.

Con memoria depositata in data 13 ottobre 1999 l’Amministrazione ha sostenuto la legittimità del proprio operato.

Con ordinanza n. 2139/99 il Consiglio di Stato ha riformato la già citata ordinanza n. 2364/99.

Dopo aver provveduto al deposito di documenti, comprovanti il corretto espletamento del servizio nel corso degli anni, in data 15 ottobre 2007 il ricorrente ha depositato una memoria conclusionale nell’ambito della quale ha ribadito l’impossibilità per l’Amministrazione di rideterminare i punteggi attribuiti in una fase successiva all’immissione in ruolo nonché posto in risalto che alcuna riserva è stata formulata dall’Amministrazione al momento decisivo della costituzione del rapporto di impiego.

Alla pubblica udienza del 6 novembre 2007, la causa è stata trattenuta per la decisione.

D I R I T T O

Il ricorso è fondato.

Forma oggetto di impugnativa il decreto del Direttore Generale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia in data 7 giugno 1999 con il quale è stata disposta la dimissione del ricorrente dal Corpo di Polizia penitenziaria per riduzione del punteggio attribuito in esito all’esame degli atti di concorso da 4,50 a 3,00 (in particolare, il punteggio originariamente attribuito all’attestato di qualifica professionale di “riparatore auto” di punti 2,50 è stato ridotto a 1).

Per un più agevole inquadramento della vicenda va ricordato che con l’art. 1 del decreto-legge 13 settembre 1996 n. 479 fu incrementato l’organico del Corpo di Polizia penitenziaria e venne previsto che alla copertura dei nuovi posti si sarebbe provveduto prioritariamente mediante assunzione del personale delle Forze Armate che stava prestando servizio volontario nel Corpo, e, per le residue vacanze, nella misura del cinquanta per cento “mediante assunzione su domanda dei volontari delle Forze Armate congedati senza demerito, in possesso dei requisiti per l’assunzione del Corpo”, e per la restante parte attingendo agli ausiliari in congedo dell’Arma dei Carabinieri e delle altre Forze di polizia non cessati dal servizio per motivi disciplinari né per infermità (art. 1, comma 2).

Venne disposto, inoltre, che fino al 31 dicembre del 1997 (termine prorogato poi al 31 dicembre del 2001) le assunzioni per l’accesso alla qualifica di agente avrebbero avuto luogo anche in eccedenza rispetto alla consistenza numerica del ruolo degli agenti e degli assistenti modificata dal comma 1 (ma non oltre il limite delle vacanze esistenti nel ruolo dei sovrintendenti e degli ispettori), con il futuro graduale riassorbimento delle conseguenti eccedenze, con la prescrizione che alla copertura dei relativi posti si sarebbe proceduto mediante l’assunzione degli idonei di precedenti concorsi nonché, per il residuo, anche qui “mediante l’assunzione dei volontari delle Forze Armate congedati senza demerito, e successivamente mediante assunzione degli ausiliari in congedo dell’Arma dei Carabinieri e delle altre Forze di polizia” (art. 1, commi 4 e 5).

Con decreto interministeriale del 12\11\1996 (pubblicato in G.U. 3\12\1996) vennero, dunque, regolate le modalità della presentazione delle domande per l’assunzione nel Corpo e dell’accertamento del possesso dei relativi requisiti.

In particolare, veniva stabilito che gli aspiranti sarebbero stati ordinati in graduatorie redatte tenendo conto dei titoli posseduti, secondo uno schema che contemplava la valutazione dei titoli di studio, dell’anzianità di servizio, delle condizioni familiari, del profilo sanitario e delle eventuali benemerenze civili e militari conseguite.

Si prevedeva poi che per la formazione delle graduatorie l’Amministrazione si sarebbe avvalsa delle dichiarazioni rese dai candidati nelle loro istanze, “con riserva di accertamento dei requisiti e dei diritti risultanti dall’esame successivo della documentazione”. Veniva puntualizzato, inoltre, che con provvedimento motivato del Direttore generale sarebbe stata disposta l’esclusione, in ogni fase degli accertamenti, dei candidati che risultino cessati dal servizio per motivi disciplinari o per infermità o che comunque non risultino in possesso dei requisiti richiesti per l’assunzione nel Corpo” (art. 2, comma 3, d.i.). Era precisato, infine, che “l’accertamento dei requisiti generali di cui all’art. 5, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443, può essere svolto in ogni fase o grado della procedura, fino all’immissione in ruolo” (art. 3, ult. comma, d.i.).

Ai fini della presente controversia assume rilievo, come si è accennato, la circostanza della riduzione per punti n. 1,50 dei punti n. 4,50 in origine attribuiti al ricorrente, derivata dal riconoscimento per i due cicli formativi superati per il conseguimento dell’attestato di qualifica professionale di “riparatore auto” del punteggio di 1,00 (pari al superamento di “due classi dopo la scuola media dell’obbligo”) e non di 2,50, con conseguente esclusione dalla graduatoria dei vincitori, provvedimento adottato il 7 giugno 1999, dopo l’effettiva immissione in ruolo.

Come già diffusamente esposto nella narrativa che precede, l’istante insiste nel denunciare l’illegittimità del provvedimento impugnato sotto il profilo della sua adozione intempestiva.

Al riguardo, appare doveroso ricordare che - secondo i principi generali - l’esclusione da un concorso può essere disposta in qualsiasi momento della procedura concorsuale ed anche dopo l’approvazione della graduatoria, ma non oltre l’assunzione in servizio del vincitore, dopo di ciò potendo unicamente porsi la diversa questione di una possibile invalidità di tale ultimo atto e di un suo conseguente, ma solo eventuale, annullamento discrezionale in autotutela, qualora suggerito da congrue e precise ragioni di interesse pubblico.

Questo principio può fungere da idoneo criterio di orientamento anche rispetto alla presente controversia. Ad esso, tra l’altro, appaiono ispirate le disposizioni contenute nel decreto del 12\11\1996 più volte citato. Ciò vale in particolare per quella, già ricordata, che prevede che fino all’estremo limite dell’immissione in ruolo sia possibile l’accertamento dei requisiti generali di cui all’art. 5, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 443 (art. 3, ult. comma, d.i.), tra i quali rientrano, ad esempio, quello dell’idoneità fisica, psichica ed attitudinale al servizio di polizia penitenziaria, e quello del non essere stati espulsi da corpi militarmente organizzati, destituiti da pubblici uffici né colpiti da qualificati precedenti penali o di prevenzione (requisiti di particolare rilevanza, la cui carenza è suscettibile di riverberarsi negativamente sulla stessa qualità della prestazione del servizio erogabile dal singolo).

Quanto detto consente, perciò, una prima puntualizzazione. Il più ampio potere di controllo immaginabile ai fini dell’esatto accertamento del requisito prodotto dall’odierno ricorrente non potrebbe comunque estendersi oltre i confini del potere-dovere di verifica dell’esistenza dei suddetti requisiti generali, il quale trova il suo limite finale, come si è detto, nell’immissione in ruolo.

Tanto premesso, preme ricordare che l’art. 6 del d.lgs. n. 443\1992 prevede che gli agenti in prova che abbiano superato gli esami di fine corso vengano nominati agenti di polizia penitenziaria, prestino il giuramento di rito e siano immessi nel ruolo, potendo così essere finalmente impiegati nei servizi di istituto.

Nella presente vicenda, tuttavia, l’Amministrazione non si è attenuta a questa sequenza.

Il ricorrente, dopo avere favorevolmente concluso il corso di formazione e prestato giuramento, è stato immesso in servizio, dall’aprile 1999, presso la Casa circondariale di Torino “Le Vallette”, diventando agente di Polizia Penitenziaria a tutti gli effetti, e dopo è stato escluso con l’impugnato atto.

Ne consegue che – in applicazione del suesposto principio – la gravata esclusione risulta adottata oltre il termine previsto, peraltro rispondente a criteri di ragionevolezza e buon andamento dell’azione amministrativa.

Sotto il profilo denunciato, l’illegittimità del provvedimento appare evidente anche per la circostanza che il Dipartimento era già in possesso del certificato scolastico dal quale risultava che il ricorrente aveva conseguito il solo “attestato” di riparatore auto, articolato in due cicli formativi, e, pertanto, l’accertamento del requisito sarebbe stato del tutto agevole.

Non meritano, comunque, accoglimento le obiezioni svolte dalla difesa erariale, in ordine all’inserimento della clausola di riserva dell’accertamento dei requisiti nei vari atti della procedura selettiva, che avrebbe permesso all’amministrazione di poter valutare con tempi ampi la sussistenza dei requisiti in capo ai candidati.

Al riguardo si deve obiettare che una clausola di riserva, la quale integra in sé stessa solo una modalità accessoria ed accidentale di un provvedimento amministrativo, per poter avere valore giuridico e produrre gli effetti di cui è capace deve essere contemporanea all’atto al quale accede. Una sua anticipata formulazione (come quella verificatasi in occasione della convocazione per gli accertamenti sanitari), compiuta quando il provvedimento principale sia ancora futuro ed eventuale, se può avere l’apprezzabile fine empirico di prevenire equivoci o affidamenti mal riposti non ha, tuttavia, alcun effetto giuridico, poiché la riserva è una clausola priva di una propria autonomia e di un’attitudine a produrre conseguenze giuridiche sue proprie.

E’ vero che anche il successivo atto con il quale l’Amministrazione ha convocato l’interessato per il corso di formazione (16 novembre 1998) conteneva delle formule di riserva. Non è superfluo notare, però, che detto atto si premurava di avvertire che, ove gli accertamenti avessero fatto emergere la mancanza di titoli e\o requisiti, sarebbe stata disposta l’esclusione “anche durante la frequenza del corso di formazione”, così generando il rischio di far intendere che gli accertamenti in questione si sarebbero comunque conclusi entro l’ultimazione dello stesso corso.

Quel che più conta, poi, è che nessuna riserva risulta essere stata apposta nel decisivo momento in cui l’interessato è stato formalmente assegnato alle funzioni di istituto, nel mese di aprile del 1999, e si è dato con ciò vita alla costituzione a tutti gli effetti del rapporto di impiego, integrandone tutti gli indici caratteristici.

Va poi rimarcato che, quando il decreto interministeriale del 12\11\1996 ha disposto che l’accertamento dei requisiti sarebbe stato possibile fino all’immissione del personale in ruolo, tale regola è stata concepita -e oggi non può essere interpretata se non- riferendosi al fisiologico modello procedimentale delineato dal d.lgs. n. 443\1992, nel quale il momento dell’immissione in ruolo viene correlato all’assegnazione in servizio attivo del personale risultato idoneo al corso.

Da quanto detto emerge, pertanto, che è proprio all’atto dell’immissione in servizio attivo che una riserva avrebbe dovuto essere espressa per poter servire allo scopo di conservare ulteriormente all’Amministrazione il suo potere di accertamento.

Si può ben ammettere, infatti, che, mercé apposita clausola di riserva, il potere dell’Amministrazione di escludere un soggetto da un concorso possa essere fatto sopravvivere anche al di là del momento in cui questi sia divenuto ad ogni effetto suo dipendente. Sembra chiaro, però, che la presenza di una clausola siffatta dovrebbe essere resa sicuramente percepibile da parte dell’interessato al momento della sua concreta assunzione, sì da renderlo adeguatamente edotto della nota di precarietà annidata nel rapporto nascente e da permettergli di fare tutte le valutazioni di convenienza del caso.

Per le ragioni esposte, in conclusione, manifestandosi illegittimo il provvedimento impugnato, il ricorso deve essere accolto, potendo rimanere assorbiti i profili di censura che residuano.

Si rinvengono motivi tali da giustificare la compensazione delle spese processuali tra le parti in causa.

P Q M

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione I quater, accoglie il ricorso n. 9083 del 1999, e per l’effetto annulla il decreto con il quale in data 7 giugno 1999 il Direttore Generale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha disposto la dimissione del ricorrente dal Corpo di Polizia Penitenziaria.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 6 novembre 2007.


 

N.R.G.