R E P U B B L I C A I T A L I A N A

Reg. Sent. n. 93/07

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Reg. Gen. n. 1712/01

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

- Prima Sezione -

composto dai magistrati:

 

- Alfredo GOMEZ de AYALA - Presidente

- Roberta VIGOTTI - Consigliere

- Richard GOSO - Referendario, estensore

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso n. 1712/2001, proposto da ...OMISSIS.... ...OMISSIS...., rappresentato e difeso dagli avv.ti Vittorio Barosio e Teodosio Pafundi, elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Torino, corso Galileo Ferraris n. 120;

contro

il MINISTERO della GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino, domiciliataria ope legis in corso Stati Uniti n. 45;

per l’annullamento

a) della nota 9 luglio 2001, n. 10822/GRA/1563, con la quale il Direttore dell’Ufficio I, Direzione generale dell’organizzazione giudiziaria e degli affari generali, ha comunicato al ricorrente che “la sua istanza del 28.3.2001, tendente ad ottenere il diritto alla conservazione del trattamento economico goduto nella precedente amministrazione (Avvocato I.N.P.S.), non può essere accolta attesa l’inapplicabilità dell’art. 202 del D.P.R. n. 3/1957 ai dipendenti I.N.P.S.”;

b) di ogni altro atto presupposto, preparatorio, connesso o consequenziale,

nonché per l’accertamento

del diritto del ricorrente ad ottenere la differenza tra il trattamento economico (comprendente tutte le voci della cd. retribuzione pensionabile e, in particolare, la cd. quota onorari e l’indennità di toga) di cui fruiva nella qualità di Avvocato presso l’I.N.P.S. a quello (inferiore) di cui ha goduto quale uditore giudiziario a partire dal 28.9.1998 e di cui gode attualmente quale magistrato, ai sensi dell’art. 202 del T.U. 10 gennaio 1957, n. 3,

e per la condanna

del Ministero della giustizia, in persona del Ministro in carica, al pagamento delle relative differenze retributive spettanti al ricorrente, così come risultanti a seguito dell’accertamento del diritto in questione, oltre interessi legali dalla data di debenza di ogni singolo rateo di stipendio al saldo effettivo e rivalutazione monetaria.

Visti gli atti e i documenti allegati al ricorso;

Visto l’atto di costituzione e la memoria difensiva del Ministero della giustizia;

Visti gli atti tutti del giudizio;

Giudice relatore alla pubblica udienza del 17 gennaio 2007 il referendario Richard Goso;

Uditi i difensori delle parti, come da verbale di udienza;

Rilevato in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

Il dott. ...OMISSIS.... ...OMISSIS...., attuale ricorrente, ha prestato servizio di ruolo alle dipendenze dell’I.N.P.S., con il profilo di Dirigente Avvocato – X qualifica funzionale, dal 10 febbraio 1997 al 27 settembre 1998.

In seguito, il ricorrente era nominato uditore giudiziario, con D.M. del 28 luglio 1998, e iniziava a prestare servizio nei ruoli della magistratura ordinaria.

La retribuzione annua percepita dall’esponente quale uditore giudiziario ammontava a complessive £ 28.310.738 e risultava inferiore alla retribuzione pensionabile erogatagli dall’I.N.P.S. che, come risulta dalla certificazione in atti, era pari per il 1998 all’importo di £ 83.898.597.

Anche la retribuzione percepita al momento della notificazione del ricorso, pari a £ 34.017.814, rimane sensibilmente inferiore al trattamento economico goduto alle dipendenze dell’I.N.P.S.

Con istanza del 28 marzo 2001, l’interessato chiedeva il mantenimento del precedente trattamento retributivo, ma la richiesta era respinta dal Ministero della giustizia con nota del 9 luglio 2001, supportata dalla (peraltro scarna) motivazione riportata in premessa.

Tanto premesso, il dott. ...OMISSIS.... ...OMISSIS.... agisce in giudizio perché, previo annullamento della nota da ultimo indicata, sia accertato il suo diritto a conseguire la differenza tra la retribuzione già corrispostagli dall’I.N.P.S. (comprensiva di “quota onorari” e “indennità di toga”) e quella goduta quale magistrato; chiede, altresì, che il Ministero della giustizia sia condannato al pagamento delle relative differenze retributive, con maggiorazione di interessi legali e rivalutazione monetaria.

Deduce, al riguardo, il seguente motivo di gravame:Violazione di legge, con particolare riferimento all’art. 202 del testo unico 3/1957, nonché all’art. 12 D.P.R. 1079/1970 ed all’art. 3, comma 57, legge 537/1992”.

Ad avviso del deducente, l’art. 202 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, che vieta la reformatio in pejus del trattamento retributivo del pubblico dipendente nel caso di passaggio di carriera, troverebbe applicazione anche nel caso di passaggio, attraverso concorso, da un ente previdenziale ai ruoli della magistratura ordinaria.

L’art. 202 citato, infatti, non riguarderebbe le sole ipotesi di passaggio da un’amministrazione statale ad altra amministrazione dello Stato (o, comunque, riconducibile al “plesso” statale), ma tutti i casi di transito da organismi pubblici giuridicamente distinti dallo Stato ad un’amministrazione statale.

Tale conclusione si imporrebbe alla luce del d.lgs n. 29/1993 (poi sostituito dal d.lgs. n. 165/2001) che ha dettato una nuova disciplina del rapporto di impiego alla dipendenza di pubbliche amministrazioni non applicabile, come il testo unico del 1957, alle sole amministrazioni statali, ma anche a tutti gli enti pubblici non economici nazionali, con la conseguenza che il precedente concetto di “amministrazioni statali” dovrebbe essere sostituito da quello più ampio di “amministrazioni pubbliche”.

Si è costituito in giudizio con comparsa di stile il Ministero della giustizia, patrocinato dall’Avvocatura dello Stato; con memoria depositata in prossimità della pubblica udienza, la difesa erariale articolava la propria difesa, opponendosi all’accoglimento del gravame.

Chiamato all’udienza del 17 gennaio 2007, infine, il ricorso è stato ritenuto in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La questione giuridica dedotta nel presente giudizio è la seguente: se un pubblico dipendente, già dirigente di ruolo dell’I.N.P.S. e successivamente transitato attraverso concorso nei ruoli della magistratura ordinaria, abbia titolo a mantenere il più elevato trattamento retributivo assicuratogli nel precedente impiego.

La controversia riguarda, pertanto, l’applicabilità dell’art. 202 del d.lgs. n. 3/1957, che sancisce il divieto di reformatio in pejus del trattamento retributivo, prevedendo che “nel caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica è attribuito un assegno personale, utile a pensione, pari alla differenza fra lo stipendio già goduto ed il nuovo, salvo riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per la progressione di carriera anche se semplicemente economica”.

Deve essere richiamato anche l’art. 3, comma 57, della legge 24 dicembre 1993, n. 537: “Nei casi di passaggio di carriera di cui all’articolo 202 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, ed alle altre analoghe disposizioni, al personale con stipendio o retribuzione pensionabile superiore a quello spettante nella nuova posizione è attribuito un assegno personale pensionabile, non riassorbibile e non rivalutabile, pari alla differenza fra lo stipendio o retribuzione pensionabile in godimento all’atto del passaggio e quello spettante nella nuova posizione”.

Tale essendo (nelle sue componenti essenziali) il quadro normativo di riferimento, osserva il Collegio che il citato art. 202 (e il connesso principio di “trascinamento” del trattamento retributivo) hanno conosciuto, in passato, applicazioni non del tutto uniformi da parte del giudice amministrativo.

Tali incertezze giurisprudenziali sono state sostanzialmente rimosse dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 8 del 16 marzo 1992 che ha precisato come la disposizione in esame trovi applicazione soltanto nei casi di passaggio di carriera presso la stessa amministrazione o diversa amministrazione, ma anche essa statale.

L’intento del legislatore del testo unico, infatti, era stato quello di conservare al personale che passava dall’uno all’altro ruolo della stessa o di altra amministrazione la posizione economica acquisita al momento del passaggio, in modo che il mutamento di carriera nell’ambito dell’organizzazione burocratica dello Stato, favorito dall’orientamento verso la mobilità dei dipendenti, non potesse comportare per gli interessati un regresso nel trattamento economico raggiunto.

Ma di regresso si poteva parlare, intanto, solo con riferimento a posizioni omogenee nell’ambito di un sistema burocratico unitario, nel quale il dipendente statale si spostava con le modalità previste per il “passaggio” ad altra carriera o amministrazione.

Tali principi hanno ricevuto applicazione pressoché costante, anche nelle più recenti pronunce giurisprudenziali (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 maggio 2003, n. 2682, e 5 aprile 2005, n. 1490), e inducono tutt’oggi ad escludere che il meccanismo di “trascinamento” previsto dall’art. 202 del d.lgs. n. 3/1957 possa trovare applicazione al di fuori dei passaggi di carriera o di amministrazione che si svolgono nel contesto dello Stato amministrazione in senso stretto.

Le sole eccezioni di rilievo, infatti, hanno riguardato situazioni particolari in cui si è ritenuto di poter pervenire ad un’interpretazione estensiva dell’art. 202 in ragione dello strettissimo collegamento funzionale tra gli enti o gli organismi pubblici cui appartenevano i dipendenti transitati e lo Stato.

In tal senso, la disposizione di interesse è stata applicata estensivamente dai giudici nei riguardi di pubblici impiegati già dipendenti della Banca d’Italia, del Senato della Repubblica o delle Università, ritenendo che tali enti od organi perseguissero funzioni coessenziali a quelle dello Stato amministrazione, di talché si verificava più l’apparenza che la sostanza di una separazione fra di essi e lo Stato.

Ritiene il Collegio che, nel caso in esame, non si possa invece dilatare l’interpretazione della disposizione fino ad assorbire l’I.N.P.S. nel genus delle amministrazioni statali, neppure in senso ampio, trattandosi di ente pubblico dotato di personalità giuridica (pertanto distinto dallo Stato) e deputato al perseguimento di interessi che integrano l’attività dello Stato, ma non sono considerati direttamente statali (perciò esso è solitamente classificato tra gli enti ausiliari e non tra quelli strumentali dello Stato).

Per completezza, si deve anche fare riferimento, tra le pronunce recenti, alla decisione del Consiglio di Stato n. 4681 del 7 settembre 2001 che si pone in controtendenza rispetto al prevalente orientamento giurisprudenziale, ma si caratterizza innanzitutto per la peculiarità della fattispecie, concernendo un caso di trasferimento d’ufficio del pubblico dipendente, già docente presso un civico istituto e reinquadrato quale funzionario tecnico dell’ente locale.

Si deve pertanto ritenere che anche il più recente orientamento giurisprudenziale confermi i principi enunciati dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 8 /1992, cosicché il meccanismo previsto dall’art. 202 del d.lgs n. 3/1957 non può considerarsi operativo se non nei casi di passaggio di carriera nell’ambito dell’impiego statale in senso stretto.

Sono conseguentemente infondate le pretese azionate in giudizio dall’attuale ricorrente che era transitato, attraverso pubblico concorso, da un ente pubblico autonomo e distinto dallo Stato ai ruoli della magistratura ordinaria (in senso conforme, in un caso del tutto analogo, T.R.G.A., Bolzano, 30 ottobre 2000, n. 323).

Né vale obiettare, come fa il ricorrente, che, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 29/1993 (oggi sostituito dal d.lgs. n. 165/2001), il quale ha dettato una disciplina unitaria di tutto il pubblico impiego e non più del solo impiego statale, i riferimenti alle amministrazioni dello Stato dovrebbero intendersi sostituti con quelli alle amministrazioni pubbliche nel loro complesso.

Le leggi richiamate, infatti, non contengono una disposizione corrispondente all’art. 202 del d.lgs. n. 29/1993 e non può certo ritenersi che la nuova disciplina abbia implicitamente modificato i limiti soggettivi e oggettivi di tale disposizione, con la quale il legislatore, come si è visto, non intendeva porre un principio di ordine generale per tutto il settore del pubblico impiego, da valersi per ogni caso di passaggio e indipendentemente dalla natura statale o meno dell’organizzazione dalla quale o verso la quale avveniva il transito del dipendente.

Per tali motivi, il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, sez. I, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Amministrazione.

Così deciso in Torino il 17 gennaio 2007.

IL PRESIDENTE L’ESTENSORE

f.to. A. Gomez de Ayala f.to R. Goso

il Direttore di segreteria

f.to M. Luisa Cerrato Soave

Depositata in segreteria a sensi di legge

il 23 gennaio 2007

il Direttore di segreteria

f.to M. Luisa Cerrato Soave

R.G. 1712/01