REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo regionale per il Lazio

Sez.I Quater

N.            Reg

Anno 
 

N.            Reg

Anno

 
 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 5943/06, proposto dai signori ....... rappresentati e difesi dall’Avv. G.C. Parente ed elettivamente domiciliati  presso lo stesso  in Roma, via Emilia, 81;

contro

IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA – DIPARTIMENTO DELL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso la medesima domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la declaratoria di illegittimità

del silenzio rifiuto, formatosi sulla diffida notificata in data 1.3.2006, con cui si chiedeva di estendere agli attuali ricorrenti gli effetti di sentenze del TAR del Lazio (4325/03, 149/04, 326/04 e 690/04) passate in giudicato;

          Visto il ricorso con i relativi allegati; 

          Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata; 

      Visti gli atti tutti della causa;

      Relatore, alla Camera di Consiglio del 14.7.2006, il Consigliere  G. De Michele e uditi, altresì, gli Avvocati delle parti, come da verbale di udienza in data odierna;

      Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Attraverso il ricorso in esame, notificato il 25.5.2006, si chiede la declaratoria del silenzio rifiuto dell’Amministrazione penitenziaria, e del conseguente obbligo di provvedere, con riferimento ad una istanza – diffida, avanzata in data 22.3.2004 e seguita da atto di ulteriore diffida ad adempiere e costituzione in mora, notificato in data 1.3.2006.

La richiesta, in rapporto alla quale si rappresenta l’illegittima inerzia dell’Amministrazione, riguardava l’estensione agli attuali ricorrenti degli effetti di alcune sentenze del TAR del Lazio (4325/03, 149/04, 326/04 e 690/04), passate in giudicato, nelle quali si dichiaravano illegittimi i trasferimenti, effettuati in esito ad un concorso interno per la nomina alla qualifica iniziale del ruolo dei Sovrintendenti di Polizia Penitenziaria.

Detti trasferimenti erano stati previsti da un atto del Capo Dipartimento dell’Amministrazione intimata (n. prot. 2/9 del 28.6.2002), sulla base di criteri di assegnazione delle sedi di servizio, estranei e successivi alle disposizioni del bando di concorso (limitandosi, quest’ultimo, a prevedere le nomine secondo ordine di graduatoria).

Preso atto dei nuovi criteri, alcuni partecipanti al corso di formazione per Sovrintendenti, nell’ambito del concorso in via di svolgimento, rinunciavano alla frequenza del corso stesso, mentre altri lo completavano, impugnando poi le assegnazioni di sede, disposte in applicazione dei criteri contestati.

I ricorsi presentati avevano esito favorevole per i relativi proponenti, che ottenevano pertanto la riassegnazione alle originarie sedi di appartenenza.

Gli attuali ricorrenti – rientranti nel gruppo di coloro, che avevano rinunciato alla frequenza del corso di formazione – presentavano quindi istanza all’Amministrazione, affinché quest’ultima operasse una estensione del giudicato, tale da consentire anche ai rinunciatari di partecipare al successivo corso per Sovrintendenti di P.P.

Dopo una prima risposta negativa al riguardo (basata sul divieto di estensione dei giudicati favorevoli per il triennio 2002 – 2004, ex art. 23, comma 3, della L. n. 288/2001) i medesimi soggetti proponevano i già ricordati atti di diffida ed impugnavano, successivamente, il silenzio serbato dall’Amministrazione sulla base dei seguenti motivi di gravame: violazione dell’art. 2 L. n. 241/90, dell’art. 17 L. n. 59/1997 e delle norme sul procedimento amministrativo; violazione dei principi di correttezza dell’azione amministrativa; eccesso di potere per carenza ed illogicità della motivazione, nonché ingiustizia manifesta. Quanto sopra, in quanto risulterebbero alterati nel caso di specie i nuovi principi, che disciplinano i rapporti fra cittadino e amministrazione, continuando quest’ultima ad essere titolare di un potere, che tuttavia imporrebbe “quale elemento di bilanciamento e contemperamento, il potere dell’interessato di pretendere il legittimo esercizio della potestà”. Nella situazione in esame, l’azione amministrativa sarebbe rimasta incompiuta, con violazione dei canoni di buona amministrazione e conseguente sussistenza dei presupposti, per attivare i rimedi giurisdizionali, al riguardo previsti dal legislatore.

L’Amministrazione intimata, costituitasi in giudizio, resiste formalmente all’accoglimento dell’impugnativa.

                                        DIRITTO                                                                       Il ricorso in esame appare infondato, anche a prescindere da problematiche, inerenti al nuovo rito processuale in materia di silenzio rifiuto (art. 21 bis L. n. 1034/71),  nel testo introdotto dall’art. 2 della legge 21.7.2000, n. 205.

La nuova disciplina, infatti, non conteneva originariamente innovazioni, circa i modi prescritti per formalizzare una illegittima inerzia,  accertabile in sede giurisdizionale come violazione di un sussistente obbligo di provvedere.

Significative modifiche alla regolamentazione anzidetta, tuttavia, sono state apportate prima dall’art. 2 della legge 11.2.2005, n. 15 e successivamente dall’art. 3, comma 6 bis della legge 14.5.2005, n. 80, che ha convertito con modificazioni il D.L. 14.3.2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di Azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, nonché deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione, di arbitrato e per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali.

Le norme sopra citate sostituiscono l’art. 2 della legge 7.8.990, n. 241 e successive modificazioni, introducendo al quinto comma di tale articolo il carattere meramente facoltativo della diffida ad adempiere, indirizzata all’Amministrazione; nel testo attuale, il predetto art. 2 della legge n. 241/90 dispone quanto segue: “salvi i casi di silenzio assenso, decorsi i termini di cui ai commi 2 e 3, il ricorso avverso il silenzio dell’Amministrazione, ai sensi dell’art. 21 bis della legge 6.12.1971, n. 1034, può essere proposto anche senza necessità di diffida all’Amministrazione inadempiente, fintanto che perdura l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai predetti commi 2 o 3. Il Giudice Amministrativo può conoscere della fondatezza dell’istanza. E’ fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti”.

Il successivo comma 6 ter del medesimo art. 3 della legge n. 80/2005, inoltre, sostituisce l’art. 20 della legge n. 241/90, rendendo residuale (in quanto riferito solo a determinate materie, ovvero conseguente ad esplicita disposizione di legge) l’equiparazione del silenzio ad inadempimento: è infatti previsto che – al di fuori delle predette ipotesi – l’inerzia dell’Amministrazione “nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi” sia equiparata a tacito assenso.

Resta costante tuttavia (al di là delle problematiche riconducibili, in particolare, alla nuova configurazione del silenzio, come comportamento significativo dell’Amministrazione) la necessità che sussista un obbligo di provvedere, nei termini richiesti da una consolidata giurisprudenza, non incisa dalle più recenti innovazioni legislative.

Il silenzio disciplinato dall’ordinamento, infatti, non può comunque prescindere da un vero e proprio vincolo e non dalla mera facoltà –  di pronuncia dell’Amministrazione, vincolo che può discendere dalla legge, da un regolamento o anche da un atto di autolimitazione dell’Amministrazione stessa, ma in ogni caso deve  corrispondere ad una situazione soggettiva protetta, qualificata come tale dall’ordinamento.

Non sussiste tale obbligo quando, come nel caso di specie, si richieda l’esplicazione di attività ampiamente discrezionale, come quella relativa all’estensione degli effetti di un giudicato: se l’adozione di un atto discrezionale, d’altra parte, non può configurarsi come adempimento di uno specifico obbligo giuridico, appare evidente come, a fronte del medesimo, non possano rinvenirsi pretese, azionabili in sede di giudizio di legittimità (giurisprudenza pacifica: cfr., fra le tante, Cons. St., sez. V, 10.2.2004, n. 496, 4.4.2004, n. 2697, 30.8.2004, n. 5637; Cons. St., sez. IV, 15.11.2004, n. 7462; Cons. St., sez. VI, 24.5.2004, n. 3370 e 29.9.1998, n. 1317; TAR Lazio, Roma, sez. II, 20.5.2003, n. 4372).

Quanto sopra, anche a prescindere da ulteriori considerazioni, che si opporrebbero nel caso di specie all’accoglimento dell’istanza dei ricorrenti. Questi ultimi infatti, oltre ad essere sicuramente estranei all’efficacia inter partes delle sentenze in questione, nei termini deducibili dall’art. 2909 cod. civ., non si trovano, a ben vedere, nemmeno in posizioni giuridiche identiche a quelle dei beneficiari delle sentenze stesse: tale situazione sarebbe ravvisabile, infatti, solo se i ricorrenti avessero completato il corso di formazione e fossero poi stati destinati a sedi non gradite, senza impugnare i relativi atti di assegnazione; essi, invece, hanno prestato acquiescenza ai criteri, in base ai quali dette assegnazioni avrebbero dovuto essere operate, rinunciando alla propria partecipazione al concorso di cui trattasi. Il recupero – ex post – della situazione in cui i medesimi soggetti si sarebbero venuti a trovare, partecipando al corso di formazione cui hanno, invece, rinunciato, appare dunque contrastante anche con il principio della irreversibilità di circostanze di fatto non più ripetibili (principio sintetizzato nella locuzione: “factum infectum fieri nequit”).

Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che il ricorso non possa che essere respinto; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio stesso ritiene equo disporne la compensazione (tenuto conto, peraltro, della non perfetta pertinenza delle ragioni di diniego, in un primo tempo esposte dall’Amministrazione).

                                            P.Q.M.

      Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, (Sez. I Quater), RESPINGE il ricorso n. 5943/06, specificato in epigrafe; COMPENSA le spese giudiziali.

      Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

      Così deciso in Roma, nelle Camere di Consiglio in data 14 luglio e 29 settembre 2006  con l'intervento dei Magistrati:

                  Presidente Pio Guerrieri

                  Consigliere est. Gabriella De Michele

                  Consigliere Giancarlo Luttazi