Ricorso n. 1885/2005       Sent. n. 3737/06

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

  Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, prima Sezione, con l’intervento dei magistrati:

Avviso di Deposito

del

a norma dell’art. 55

della   L.   27  aprile

1982 n. 186

Il Direttore di Sezione

    Bruno Amoroso  Presidente

    Lorenzo Stevanato  Consigliere

    Italo Franco   Consigliere, relatore

  ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 1885/2005, proposto da xxxxxxxxxxxxx, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Attilio De Martin, domiciliato presso la segreteria del TAR, ai sensi dell’art. 35 del R.D. 26.06.24 n. 1054, come da mandato a margine del ricorso,

contro

- il Comitato di verifica per la cause di servizio (CVCS) istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del legale rappresentante in carica, non costituitosi in giudizio,

per l’accertamento

della violazione dell’art. 2 della legge n. 241/90 in combinato disposto

con il DPR n. 461/2001, in ordine all’emissione del provvedimento di riconoscimento della causa di servizio e dell’equo indennizzo,

e per la condanna

degli organi intimati, ciascuno per la propria competenza, in conseguenza del formarsi del silenzio- inadempimento, alla definizione del procedimento amministrativo con l’emissione del provvedimento finale.

   Visto il ricorso, notificato l’11.08.2005 e depositato presso la Segreteria il 17 agosto 2005, con i relativi allegati;

      visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

    visti gli atti tutti della causa;

    visto l’art. 21-bis della L. 6.12.1971 n. 1034, introdotto dall’art. 2 della L. 21.7.2000 n. 205;  

    uditi, nella camera di consiglio dell’11 ottobre 2006, relatore il Consigliere  Italo Franco, l’avv. De Martin  per la parte ricorrente e l’avv. dello Stato Cerillo per la P.A. resistente.

    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

Già commissario di polizia in servizio presso la questura di Venezia ed oggi in quiescenza, il dr. xxxxx (che aveva ottenuto in precedenza il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di varie infermità) inoltrava al Ministero –per il tramite della Questura di appartenenza- istanza (in data 26 gennaio 2005) di attribuzione ad una delle categorie di invalidità previste dalla legge e di liquidazione della pensione privilegiata e dell’equo indennizzo in relazione all’infermità “sindrome ansiosa in trattamento”. Per tale infermità la C.M.O. di Padova, con verbale del 25 gennaio, lo aveva riconosciuto “non idoneo permanentemente e in modo assoluto al servizio nella P.d.S.”. Dopo averlo sottoposto ad altra visita medica, la C.M.O., con verbale del 17.03.2005, ascriveva l’infermità alla tabella A, categoria 7.

L’Amministrazione, che pure era tenuta a provvedere entro il termine di 110 giorni decorrenti dal 17 marzo 2005, non assumeva nessuna determinazione. A fronte di tale inerzia provvedimentale l’interessato ha, quindi, adito questo G.A. con il ricorso contro il silenzio, di cui in epigrafe.

Premesso che non occorreva notificare apposita diffida e messa in mora, in forza della modifica arrecata all’art. 2 della legge n. 241 del 1990 dall’art. 2 della legge 11 febbraio 2005 n. 15, il ricorrente deduce con il primo motivo violazione e omessa applicazione degli art. 11 e 14.3 del DPR 29.10.2001 n. 461. Con il secondo mezzo egli deduce violazione degli art. 1 e 2 della legge  7 agosto 1990 n. 241.

Il DPR citato prevede termini perentori per la definizione dei procedimenti di riconoscimento dell’infermità da causa di servizio e di liquidazione tanto della pensione privilegiata quanto dell’equo indennizzo. Tali termini (110 giorni) sono stati superati senza che la P.A. competente abbia in alcun modo provveduto.

Né rileva la giustificazione che l’amministrazione di P.S., che attribuisce al parere del CVCS la natura di valutazione tecnica, è solita portare in ordine alla mancata adozione di detto parere. Per tale ragione è stato intimato con il ricorso anche tale organo, a sua volta tenuto al rispetto dei termini procedimentali. Il ricorrente vanta una pretesa a che la P.A. competente adotti una decisione sulla sua istanza, indipendentemente dal suo contenuto, ed è chiaro che anche il CVCS va ritenuto responsabile, nel caso di inerzia in ordine all’obbligo di emettere il parere, nei termini e nei modi specificati dal DPR n. 461/2001.

Conclude parte ricorrente con la domanda di accertamento dell’inadempimento da parte dei due organi evocati in giudizio, nonché di condanna degli stessi all’emissione dei provvedimenti di competenza, e alla contestuale liquidazione dell’equo indennizzo.

Con ordinanza istruttoria n. 2777/2006 emessa nella camera di consiglio del 6 luglio 2006 il Collegio, nella mancata costituzione delle P.A. intimate, disponeva l’acquisizione di elementi informativi circa l’attività svolta dall’Amministrazione (ivi compreso il CVCS).

Il Ministero dell’Interno, nel costituirsi in giudizio chiariva di avere assolto ai propri compiti trasmettendo già il 7.10.2005 – richiesta di equo indennizzo formulata dal ricorrente al CVCS (facendo così venir meno i presupposti del silenzio per gli adempimenti di sua competenza). Nel contempo la P.A. resistente eccepiva che, essendo stato il ricorso proposto anteriormente alla data di trasmissione a detto Comitato della documentazione relativa all’istanza del Menon, il ricorso medesimo si appalesa inammissibile per inesistenza del silenzio nei suoi confronti.

Dal canto suo, l’Ufficio di segreteria del CVCS, in adempimento dell’ordinanza istruttoria, nel confermare la ricezione degli atti trasmessi dal Ministero il 7.11.2005, chiariva che il Comitato medesimo non aveva svolto attività di nessun genere al riguardo, nemmeno di tipo istruttorio.

Alla nuova udienza camerale i difensori comparsi, tale essendo la situazione, insistevano sulle rispettivi tesi.

Tanto premesso e considerato, il Collegio non può che delibare la fondatezza del ricorso, palese essendo la violazione delle norme che impongono alla P.A. in generale e all’Amministrazione evocata in giudizio in particolare (con le disposizioni invocate dal D.P.R. 29.10.2001 n. 461), di concludere il procedimento entro termini ben precisi, secondo la nota prescrizione di cui all’art. 2 della legge n. 241/90. Ed invero, il termine previsto normativamente per la conclusione del procedimento di equo indennizzo (a istanza di parte) era più che abbondantemente (e inutilmente) trascorso dalla data di proposizione del ricorso, oggi proponibile, come è noto (in forza della novella arrecata all’art. 2 citato dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15), a prescindere dalla previa notificazione di apposita diffida prima ritenuta, invece, necessaria.

Né è opponibile, in contrario, il rilievo che, alla data di proposizione del gravame non sussisteva ancora il silenzio per quanto concerne il CVCS (come fa la difesa della P.A. resistente).

Il procedimento di equo indennizzo, invero, compete alla P.A. procedente (nella fattispecie il Ministero dell’Interno). Il parere che questa è tenuta ad acquisire (dal Consiglio di Stato assimilato ad una valutazione tecnica, come ricorda la P.A. resistente) deve considerarsi, invero, atto endoprocedimentale, nonostante che debba essere acquisita da un organo esterno alla P.A. procedente nell’ambito di una visione unitaria  del procedimento, che non potrebbe considerarsi scisso, per la parte concernente il parere del CVCS. Infatti, esistono (e non sono certo rari) anche procedimenti che interessano più amministrazioni, senza che ciò faccia venir meno l’ascrizione della gestione del procedimento alla P.A. procedente.

Se così stanno le cose, non essendosi concluso il procedimento che ne interessa, sia pure per l’inerzia di un organo esterno che partecipa al medesimo (il cui rilievo si esaurisce nell’ambito dei rapporti con la P.A. procedente), appare ovvio che elementari esigenze di tutela sostanziale del cittadino postulano, allorquando il procedimento iniziato non sia pervenuto alla conclusione, e nemmeno vi siano state pronunce interlocutorie (come nel caso di specie), che l’inutile decorso del termine complessivamente previsto per la conclusione del procedimento configura inerzia (e inadempimento dell’obbligo di pronunciarsi sull’istanza dell’interessato) della P.A. procedente, responsabile dell’emissione del provvedimento finale.

Tutto ciò premesso e considerato, il ricorso contro il silenzio si manifesta fondato e va accolto. Per l’effetto, si ordina, congiuntamente all’Amministrazione dell’Interno (P.A. procedente) e al CVCS, di pronunciarsi sull’istanza di equo indennizzo formulata dal ricorrente, entro il termine di giorni 40 a decorrere dalla data di comunicazione in via amministrativa – o dalla notifica a cura di parte, se anteriore – della presente sentenza.

Le spese seguono la soccombenza, e sono liquidate come da dispositivo.

P. Q. M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione prima, definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie. Per l’effetto

ORDINA

all’Amministrazione intimata di pronunciarsi sulla richiesta di equo indennizzo del ricorrente, entro il termine specificato in motivazione.

      Condanna l’Amministrazione dell’Interno al pagamento delle spese e onorari di giudizio, che liquida forfettariamente in € 2.000,00 (duemila/00) oltre i.v.a. e c.p.a..

      Ordina che la presente ordinanza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

      Così deciso in Venezia, in camera di consiglio, addì 11 ottobre 2006.

            Il Presidente                                         l'Estensore 
 

                              il Segretario 
 
 

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il……………..…n.………

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Direttore della Prima Sezione 
 

T.A.R. per il Veneto – I Sezione n.r.g. 1885/05