Il trasferimento dei dipendente sottoposto a procedimento penale
 
Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Vigevano (1) fornisce i primi chiarimenti sull'interpretazione dell'art.3 della Legge 97/2001 che, in materia di trasferimento a seguito di rinvio a giudizio del pubblico dipendente, stabilisce che

1. Salva l'applicazione della sospensione dal servizio in conformità a quanto previsto dai rispettivi ordinamenti, quando nei confronti di un dipendente di amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica è disposto il giudizio per alcuni dei delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter e 320 del codice penale e dall'articolo 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383, l'amministrazione di appartenenza lo trasferisce ad un ufficio diverso da quello in cui prestava servizio al momento del fatto, con attribuzione di funzioni corrispondenti, per inquadramento, mansioni e prospettive di carriera, a quelle svolte in precedenza. L'amministrazione di appartenenza, in relazione alla propria organizzazione, può procedere al trasferimento di sede, o alla attribuzione di un incarico differente da quello già svolto dal dipendente, in presenza di evidenti motivi di opportunità circa la permanenza del dipendente nell'ufficio in considerazione del discredito che l'amministrazione stessa può ricevere da tale permanenza.

2. Qualora, in ragione della qualifica rivestita, ovvero per obiettivi motivi organizzativi, non sia possibile attuare il trasferimento di ufficio, il dipendente è posto in posizione di aspettativa o di disponibilità, con diritto al trattamento economico in godimento salvo che per gli emolumenti strettamente connessi alle presenze in servizio, in base alle disposizioni dell'ordinamento dell'amministrazione di appartenenza.
 

3. Salvo che il dipendente chieda di rimanere presso il nuovo ufficio o di continuare ad esercitare le nuove funzioni, i provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 perdono efficacia se per il fatto è pronunciata sentenza di proscioglimento o di assoluzione anche non definitiva e, in ogni caso, decorsi cinque anni dalla loro adozione, sempre che non sia intervenuta sentenza di condanna definitiva. In caso di proscioglimento o di assoluzione anche non definitiva, l'amministrazione, sentito l'interessato, adotta i provvedimenti consequenziali nei dieci giorni successivi alla comunicazione della sentenza, anche a cura dell'interessato.
 

4. Nei casi previsti nel comma 3, in presenza di obiettive e motivate ragioni per le quali la riassegnazione allo ufficio originariamente coperto sia di pregiudizio alla funzionalità di quest'ultimo, l'amministrazione di apparte nenza può non dare corso al rientro.
 

5. Dopo il comma 1 dell'articolo 133 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, è aggiunto il seguente:
"1-bis. Il decreto è altresì comunicato alle amministrazioni o enti di appartenenza quando è emesso nei con- fronti di dipendenti di amministrazioni pubbliche o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica, per alcuno dei delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter e 320 del codi- ce penale e dall'articolo 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383".

Com'è noto, la legge 27 Marzo 2001 n.97 ha, di recente, introdotto la nuova disciplina in materia di rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare nel lavoro alle dipendenze della Pubblica amministrazione.
 

Una significativa novità della riforma è costituita dall'introduzione della misura del trasferimento del pubblico dipendente a seguito di rinvio a giudizio per i delitti contro la P. A. contemplati dallo stesso articolo.
 

In particolare, l'articolo 3 della Legge regolamenta l'ipotesi del rinvio a giudizio del pubblico dipendente per alcuni delitti tassativamente individuati dalla norma, ricollegandovi l'applicazione delle misure restrittive del trasferimento d'ufficio e della collocazione in aspettativa retribuita.
 

Il secondo comma dello stesso articolo prevede, altresì, il potere dell'amministrazione datrice di lavoro di collocare il dipendente in posizione di aspettativa o di disponibilità (e con il diritto dello stesso al trattamento economico in godimento) nei casi in cui in relazione alla qualifica rivestita dal dipendente o per obiettivi motivi organizzativi non sia possibile attuare il trasferimento d'ufficio.
 

Fermo restando quest'ultimo potere del datore di lavoro, il trasferimento d'ufficio del dipendente a seguito di rinvio a giudizio deve assicurare allo stesso dipendente, ai sensi dell'art. 2103 c.c., l'equivalenza professionale tra le mansioni precedentemente esercitate e quelle assegnate per effetto del trasferimento.
 

Il comma 3° della stessa norma,infine,sancisce l'inefficacia della misura adesso in esame nel caso di intervenuta sentenza di proscioglimento o assoluzione, anche non definitiva, o di decorso del termine di cinque anni dalla sua adozione (sempre che non sia intervenuta sentenza di condanna definitiva).
 

Il Tribunale di Vigevano, con una decisione innovativa di cui non constano precedenti, ha stabilito che il rinvio a giudizio per uno dei reati di cui all'articolo 3 della legge 27 marzo 2001 n. 97 non può comportare in via automatica l'adozione della misura cautelare del trasferimento d'ufficio o della sospensione dal servizio del dipendente,senza che a l'atto sia preceduto da una approfondita e motivata valutazione sulla opportunità del provvedimento,
 

La sezione lavoro del Tribunale, chiamata ad applicare la norma in un procedimento cautelare promosso per la revoca di un provvedimento di sospensione dal servizio,ha stabilito,con Ordinanza del 10 Agosto 2004,che l'articolo 3 non configurerebbe per la pubblica amministrazione l'obbligo inderogabile di procedere al trasferimento d'ufficio del dipendente rinviato a giudizio o,in alternativa, alla sua collocazione in aspettativa retribuita.
 

Al contrario, sostiene il Giudice, una lettura della norma coerente con lo spirito complessivo della legge e conforme ai precetti costituzionali, evidenzierebbe il carattere facoltativo delle due misure cautelari e la discrezionalità di cui la Pubblica Amministrazione usufruisce in ordine alla loro applicazione.
 

In conseguenza, deve ritenersi come il provvedimento del trasferimento, così come quello del collocamento in aspettativa retribuita,siano subordinati alla sussistenza di evidenti motivi di opportunità circa la permanenza in ufficio del dipendente rinviato a giudizio e ciò in considerazione del discredito che l'amministrazione di appartenenza potrebbe riceverne.
 

Pertanto, l'adozione delle misure cautelari del trasferimento d'ufficio e della sospensione dal servizio deve essere sempre preceduta dalle valutazioni di merito che la pubblica amministrazione non può omettere di effettuare specie se derivanti dai riflessi negativi che una immutata conservazione delle condizioni di lavoro e' in grado di esprimere sulla corretta erogazione del pubblico servizio e per il prestigio e l'autorevolezza dell'ente.
 

L'ordinanza puntualizza che le due misure del trasferimento ad altro ufficio e della collocazione in aspettativa retribuita,previste rispettivamente dal primo e secondo comma dell'articolo 3 della legge 27 marzo 2001 n. 97,sono dirette a salvaguardare uno stesso bene giuridico, che si identifica con l'interesse pubblico dell'amministrazione datrice di lavoro a non ricevere danno e discredito dalla permanenza sul posto di lavoro del dipendente rinviato a giudizio.
 

E' proprio in forza di queste considerazioni sul significato e la ratio della norma che viene sottolineata la necessità di ricollegare l'adozione della misura cautelare alla presenza di effettive ragioni di opportunità per l'ente di appartenenza del dipendente, in funzione di salvaguardia del prestigio e dell'autorità della pubblica amministrazione.
 

Nell'ipotesi contraria,prosegue l'Ordinanza, se la norma fosse interpretata nel senso che l'adozione di una tra le due misure restrittive previste dall'articolo 3 della legge 27 marzo 2001 n. 97 costituisca un atto dovuto, risulterebbero irragionevolmente pregiudicate elementari garanzie di tutela del lavoratore rinviato a giudizio.
 

In particolare, il Giudice osserva che l'automatica irrogazione del trasferimento d'ufficio o, in alternativa, del collocamento in aspettativa retribuita equivarrebbe ad una vera e propria sanzione anticipata nei confronti del lavoratore rinviato a giudizio, ponendosi in aperta violazione del principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza,come sostenuto dalla Dottrina a commento della nuova Legge (2).
 

Applicare le misure restrittive delineate dall'articolo 3 per l'ipotesi del rinvio a giudizio in assenza di una previa valutazione delle eventuali, effettive e proporzionate ragioni cautelari idonee a giustificarne l'adozione significherebbe,in sostanza, esporre il dipendente ad un provvedimento di condanna anticipata prima ancora che il processo penale sia celebrato.
 

Si tratterebbe, quindi, di una misura discrezionalmente adottabile dall'amministrazione di apparte nenza sulla base di un prudente apprezzamento dell'opportunità o meno della permanenza del dipendente nell'ufficio in relazione al discredito che la stessa amministrazione può eventualmente subire per effetto di tale permanenza.
 

In definitiva ed anche alla luce del provvedimento in commento,la legittimità o meno della scelta al riguardo,discrezionalmente operata dall'amministrazione, può essere sindacata in sede giudiziaria, non tanto sulla base dei tradizionali canoni di valutazione e di individuazione delle c.d. fattispecie sintomatiche di eccesso di potere, bensì sul piano dei doveri strumentali di correzione (correttezza e buona fede) che hanno acquisito ormai preminente rilevanza a seguito della privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico.
 

In ogni caso l'ipotesi di trasferimento introdotto dalla norma in esame si porrebbe in termini di specialità rispetto al generale potere datoriale - ex art. 2103 c.c.- di trasferire il dipendente per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive
 

La norma, poi, (fatta salva l'applicazione della sospensione dal servizio in conformità a quanto previsto dai rispettivi ordinamenti) dispone che quando un dipendente è rinviato a giudizio per alcuni dei delitti contro la P.A. quali peculato, concussione o corruzione, l'amministrazione di appartenenza lo trasferisce ad un ufficio diverso da quello in cui prestava servizio al momento del fatto, con attribuzione di funzioni corrispondenti, per inquadramento, mansioni e prospettive di carriera, a quelle svolte in precedenza.
 

Quanto sopra non impedisce all'amministrazione, in relazione alla propria organizzazione, di procedere al trasferimento di sede, od all'attribuzione di un incarico differente da quello già svolto dal dipendente, sebbene in presenza di evidenti motivi di opportunità circa la permanenza del dipendente nell'ufficio ovvero in relazione del discredito che l'amministrazione stessa può ricevere da tale permanenza.
 

Inoltre, qualora, in ragione della qualifica rivestita, ovvero per oggettivi motivi organizzativi, non sia possibile attuare il trasferimento di ufficio, il dipendente è posto in posizione di aspettativa o di disponibilità, con diritto al trattamento economico in godimento, salvo che per gli emolumenti strettamente connessi alle presenze in servizio, in base alle disposizioni dell'ordinamento dell'amministrazione di appartenenza.
 

In ogni caso, incombe alla P.A. corredare il provvedimento assunto nei confronti del pubblico dipendente di una motivazione adeguata in relazione all'adozione del provvedimento di trasferimento.
 

Giova rilevare, al riguardo, che la funzione della motivazione del provvedimento amministrativo consiste nelle indicazioni delle circostanze di fatto e delle ragioni di diritto al fine di consentire al cittadino di ricostruire l'iter logico - giuridico attraverso cui l'amministrazione si è determinata ad adottarlo, per controllare, quindi, il corretto esercizio del potere ad essa conferito dalla legge, facendo valere eventualmente nelle opportune sedi giurisdizionale le proprie ragioni (3).
 

E' stato, inoltre, sottolineato che la garanzia di adeguata tutela delle proprie ragioni non viene meno per il fatto che nel provvedimento non risultano chiaramente e compiutamente esplicitate le ragioni sottese alle scelte, allorché le stesse possano essere agevolmente colte dalla letturadegli atti delle varie fasi del procedimento (4).
 

Ad ulteriore conforto delle richiamate censure della normativa applicata nel caso di specie,va ricordato che anche alcuni Tribunali amministrativi regionali hanno sollevato, in varie decisioni, numerosi dubbi di legittimità costituzionale del successivo art. 4 L.97/01 in quanto <<la sospensione prevista dalla disposizione in esame conseguirebbe automaticamente alla condanna non definitiva del dipendente e si configurerebbe come misura cautelare, finalizzata all'allontanamento temporaneo dello stesso dal servizio. Il legislatore avrebbe in tal modo operato una valutazione ex ante circa l'incompatibilità del mantenimento in servizio di un pubblico dipendente condannato in via non definitiva, per determinati reati>>( v.tra gli altri Tar Emilia - Romagna, sez. I, ord. n. 548 del 11 luglio 2001) e che la sospensione automatica <<sarebbe in conflitto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità in base ai quali dovrebbe in linea generale essere invece consentito di valutare discrezionalmente alla P.A., in relazione alla gravità del fatto ed alle sue circostanze nonché alla personalità del soggetto agente, l'opportunità di applicare o meno la misura cautelare. Tanto più che la sospensione opererebbe in base al presupposto meramente formale della pendenza del procedimento penale, qualunque sia la fase in cui esso si trova, e non avrebbe altro limite di durata se non quello della definizione del procedimento medesimo, che può ritardare a lungo nel tempo (v.sent. citata.).
 

Anche nell'ottica dei Giudici Amministrativi,quindi,il Legislatore avrebbe completamente disatteso i suddetti principi,prevedendo l'applicazione "automatica" di una misura cautelare con la conseguenza che un tale "automatismo" impedirebbe, così, all'organo disciplinare preposto,di valutare sia la opportunità che la "meritevolezza"- della sanzione cautelare con riferimento al caso concreto, graduandola in base alla personalità del dipendente,allo stato di servizio ed alle effettive esigenze cautelari.
 

Le considerazioni finora esposte portano la stessa giurisprudenza amministrativa a dubitare anche della violazione dell'art. 97, primo comma, Cost. con riferimento al principio del buon andamento della P.A., inteso come efficienza ed economicità dell'azione amministrativa,in quanto l'amministra zione, cui appartiene il dipendente-imputato,si troverebbe privata della possibilità di compiere le valutazioni del caso con riferimento alla consistenza della condotta illecita del dipendente ed alla comparazione con lo stato di servizio e gli specifici incarichi fino ad allora svolti dal medesimo, mentre, specularmente, la durata non prevedibile dell'allontanamento dal servizio legata a vicende processuali autonome, interferisce con l'organizzazione degli Uffici e la distribuzione delle competenze e nel caso di perdita di efficacia della misura cautelare o di una sospensione disciplinare di durata inferiore, determina un onere finanziario per l'amministrazione privo di qualunque utilità economica a causa della mancanza della prestazione sinallagmatica del dipendente (6).
 

Sul punto,va ricordato che anche la Corte Costituzionale in varie sentenze ha più volte ribadito non solo la necessità che le misure cautelari sospensive nei confronti di pubblici impiegati o di esercenti funzioni pubbliche siano adottate, in linea di principio, in base ad un apprezzamento concreto sia degli addebiti, sia delle esigenze cautelari ma ha anche affermato che "ove la misura cautelare si colleghi esclusivamente, come effetto "automatico", alla pendenza di un procedimento penale, un corretto contemperamento degli interessi di rilievo costituzionale in gioco esige che sia fissata una ragionevole durata massima alla misura cautelare"(7)

Una recente giurisprudenza di legittimità,formatasi proprio in relazione ad un caso analogo a quello in esame,ha sancito che la misura cautelare può essere disposta non già sul mero presupposto della pendenza del procedimento penale né sulla base di un esame solo formale dell'accusa contestata in quel procedimento, ma in base ad una autonoma delibazione "del merito … in ordine alla responsabilità dell'impiegato, al rilievo disciplinare della condotta attribuitagli e alla sussistenza di esigenze che in concreto" renderebbero "inopportuna la sua permanenza in servizio", e dunque in base ad un apprezzamento "in ordine alla sussistenza del 'fumus' degli addebiti e delle esigenze cautelari,ancorché pur sempre in relazione alla pendenza del procedimento penale ed ai fatti per i quali in esso si procede.(8)

Deve essere, quindi, ritenuta dal Giudicante censurabile e del tutto insufficiente, proprio ai fini della salvaguardia del principio di non colpevolezza, una motivazione che nei confronti del dipendente è iniziato un procedimento penale (qualunque esso sia) e che non specifichi se la permanenza in servizio dell'impiegato stesso arrechi un qualche grave pregiudizio per la P.A., anche tenendo conto delle mansioni svolte dallo stesso (9)

Il Giudice di Vigevano ha quindi recepito un orientamento ormai conforme in materia affermando la necessità di una preventiva valutazione del caso da parte della P.A. prima di procedere alla irrogazione della misura cautelare del trasferimento del dipendente.

L'unica vera perplessità sarebbe costituita dalla mancata previsione ,nel contesto di tutta la Legge, di un procedimento nel quale il dipendente possa fare valere le proprie ragioni in contraddittorio ed in un termine stabilito e prima ancora che la P.A. pervenga alla decisione.
Non è l'unica lacuna della controversa Legge.

La Corte Costituzionale ha già avuto modo di dichiarare la incostituzionalità dell'art.4, nella parte in cui non prevedeva un termine quinquennale di durata della misura,in linea con la legislazione precedente in materia (sentenza n.145/2002) e dell'art.10 nella parte in cui essa prevedeva che gli articoli 1 e 2 della stessa legge si riferiscono anche alle sentenze di applicazione della pena su richiesta pronunciate anteriormente alla sua entrata in vigore (sentenza n.394/2002).
 

Le recenti decisioni assunte da vari magistrati potrebbero determinare il Legislatore a procedere ad una riesame complessivo della intera materia che ha riguardato, di recente, anche il problema del reintegro del pubblico dipendente prosciolto sul quale è intervenuta la Legge 126/2004.


 

(1) Ordinanza del 10 Agosto 2004 in Il Sole 24 Ore con nota di Giuseppe Bulgarini D'Elci

(2) v.dello stesso Autore "Profili di incostituzionalità della sospensione cautelare dei pubblici dipendenti" e "Nuovi profili di incostituzionalità della Legge 97/2001" in Altalex it

(3) v.. ex pluribus C.d.S., sez. IV, 6 ottobre 2003, n. 5868; 29 aprile 2002, n. 2281

(4) v. CdS ,Sez.IV 7/11/2002 n.6066;29/102000 n.5346;Sez.IV 14/7/2004 n.5099

(5) v.tra gli altri Tar Emilia - Romagna, sez. I, ord. n. 548 del 11 luglio 2001

(6) v. Tar Campania,Ordinanza 8/8/2001 n.949

(7) cfr. sentenze n. 766 del 1988, n. 595 del 1990, n. 239 del 1996, n. 447 del 1995, n. 206 del 1999, n. 454 del 2000, n. 145 del 2002.

(8) Cass., sez. un. civ., 3 giugno 1997, n. 4965; 8 luglio 1998, n. 6631

(9) v. in tal senso T.A.R. Calabria, Sez. Reggio Calabria, 10 giugno 1999, n. 830 in Ragiusan 2000, f. 198, 298; v. anche, in senso analogo, T.A.R. Lazio, Sez. III, 21 febbraio 1984 n. 108, in T.A.R. 1984, I, 864 e TA.R. Calabria sent. n.232/2002 per il quale è illegittimo il provvedimento di sospensione basato su mere affermazioni non suffragate da idonei riscontri fattuali.