REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice addetto alle cause di lavoro del Tribunale di Pisa in composizione
monocratica, dr. Fausto Nisticò, ha emesso la seguente
SENTENZA
Nella causa di lavoro iscritta al n. 354/2003 r. g. c. decisa all’udienza del
15.12.2003 e promossa
da
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e
difeso per legge dall’avvocatura distrettuale dello Stato di Firenze, presso
la quale è per legge domiciliato.
CONTRO
STEFANO CARACENI, segretario provinciale COISP, selettivamente domiciliato in
Pisa presso lo studio dell’avv. G. Cutellè che lo rappresenta e difende per
procura in atti.
Oggetto: opposizione ex art. 28 l. n. 300/1970
Il procuratori delle parti hanno concluso come da rispettivi atti
introduttivi.
Svolgimento del processo
Con ricorso 25 febbraio 2003 il Segretario Provinciale del sindacato CO.I.S.P.
esponeva che, con provvedimento risalente all’anno 2002, il Questore di Pisa
aveva disposto la chiusura dei locali adibiti a mensa per l’esecuzione delle
opere di adeguamento ai requisiti di legge. Con una nota del luglio 2002 il
Questore comunicava al responsabile per la sicurezza la riapertura dei locali,
in attesa della erogazione dei finanziamenti necessari per l’esecuzione delle
opere di adeguamento. Il Coisp, ricevuta tale nota, preso atto del progetto di
riapertura dei locali, richiedeva al Questore una serie di notizie sullo stato
dei lavori, sui tempi, sulla sorte dei finanziamenti, lamentando l’omesso
interpello del rappresentate per la sicurezza (v. nota 5 luglio 2002). Il
Questore di Pisa rispondeva alla nota del 5 luglio, spiegando di aver disposto
l’apertura della mensa , sentito il parere favorevole del medico competente,
per ragioni di opportunità: siccome l’iter burocratico per il finanziamento e
quant’altro fosse attinente ai lavori di definitiva sistemazione ex l. n.
626/94 ritardava, egli aveva ritenuto di provvedere alla sistemazione di una
tubazione e quindi a ripristinare il servizio, in considerazione di ragioni di
contenimento delle spese e venendo incontro alle esigenze del personale.
Il 27 luglio del 2002 il Questore, sul presupposto che occorresse provvedere
ai complessivi lavori di ristrutturazione, prospettava al COISP la necessità
di sgombrare i locali della segreteria. Il 29 luglio il Coisp chiedeva di
prendere visione dei documenti di certificazione e conformità relativi alla
riapertura della mensa e notizie sui tempi di ultimazione dei lavori. Il 31
luglio il Questore rispondeva al Sindacato invitandolo ad un atteggiamento più
costruttivo. Il successivo 29 agosto il Coisp reiterava le sue richieste.
In seguito a tale vicenda il Coisp distribuiva all’interno della Questura un
comunicato sindacale che il Questore faceva oggetto di fotosegnalazione,
procedendo alla formazione di fascicoli.
Ciò premesso il sindacato ricorrente lamentava la violazione dell’art. 19
della legge n. 626/1994 nella parte in cui assegnava al rappresentante della
sicurezza il diritto ad essere consultato, a prendere visione della
documentazione aziendale ed il diritto a ricevere copia del piano di sicurezza
e del documento di valutazione del rischio. Qualificate giuridicamente le
omissioni enucleate nella descrizione del fatto, il sindacato ricorrente
chiedeva che venisse accertata l’antisindacalità del comportamento datoriale
ex art. 28 s.l. e che, in concreto, venisse adottato l’ordine di rilasciare
copia del piano per la sicurezza, della documento di valutazione del rischio e
del parere del medico competente sulla riapertura della mensa nonché di dare
le dovute informative in ordine al progetto di adeguamento ex l. n. 626/1994.
All’udienza del 3.3.2003 il giudice investito della fase d’urgenza, dichiarata
la contumacia del Convenuto, assumeva sommarie informazioni e quindi con
decreto motivato in data 7.3.03 accoglieva la domanda impartendo le
prescrizioni ex art. 28 s.l.
Avverso il decreto proponeva opposizione il Ministero dell’interno con il
patrocinio dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Firenze. Ricostruito il
fatto e rilevato che l’unica concreta attività posta in essere fosse stata
quella della riparazione di una tubatura e della relativa nuova
pavimentazione, Il Ministero opponente svolgeva in via preliminare alcune
eccezioni processuali.
Lamentava, in primo luogo, la violazione del diritto di difesa , avendo il
giudice dell’urgenza erroneamente ritenuto contumace il convenuto. Sul punto
l’opponente osservava come la norma di cui all’art. 3 del r.d. n. 1611/1933
fosse da ritenere norma ancora vigente nonostante l’innovazione di cui al
d.lgs. n. 51 del 1998, che, nell’abolire il Pretore, di fatto ne aveva mutato
solo il nomen iuris. Ad ogni buon conto il giudice avrebbe dovuto ammettere la
costituzione ai sensi dell’art. 3 del r.d. n. 1611 cit. In secondo luogo
eccepiva la competenza funzionale del giudice del lavoro, e chiedeva
applicarsi la diversa regola sul c.d. foro erariale. Quindi eccepiva il
difetto di giurisdizione in ordine alla richiesta di conoscenza di documenti,
essendo competente il TAR ai sensi della legge n. 241/1990. Eccepiva, poi, il
difetto di legittimazione ad agire del Sindacato ricorrente ( od il difetto di
interesse ex art. 100 c.p.c.) : sul punto rilevava come il segretario del
sindacato ricorrente avesse agito in tale qualità e non come rappresentate
della sicurezza.
Censurava, ancora, il decreto del Tribunale di Pisa nella parte in cui aveva
ritenuto antisindacale l’eventuale omissione rispetto agli obblighi di cui
alla legge n. 626/1994. Lamentava, infine, un vizio di ultrapetizione in
quanto il decreto ex art. 28 s.l. , su domanda del sindacato, aveva statuito
in favore del rappresentate della sicurezza. Svolti alcuni argomenti di
merito, concludeva per l’annullamento del decreto.
Resisteva in giudizio il Sindacato opposto concludendo per il rigetto
dell’opposizione.
Autorizzate note scritte ed istruito il procedimento con il solo
interrogatorio del Questore di Pisa, il Giudice dell’opposizione invitava le
parti ad una conciliazione. Fallita tale ipotesi, alla successiva udienza del
15.12.2003 decideva la causa dando pubblica lettura del dispositivo.
Motivi della decisione
1) Va esaminata in primo luogo la questione preliminare sulla dichiarazione di
contumacia del Ministero opponente ritenuta dal giudice della fase urgente,
ancorché si tratti di questione meramente formale, posto che la regolare
costituzione in giudizio nella fase di opposizione ( nella quale il Ministero
dell’interno è rappresentato dell’avvocatura distrettuale dello stato) e la
funzione propria del giudizio di merito attivato in opposizione al decreto (
che autorizza la rivisitazione ex novo della materia del contendere) sfumino
la portata processuale del problema. Ad ogni buon conto ritiene il Tribunale
del tutto condivisibile la ricostruzione operata dal giudice dell’urgenza.
Il procedimento, infatti, è stato attivato dal Sindacato secondo la procedura
di cui all’art. 28 s.l., nell’ambito di un rapporto di lavoro che è escluso da
quelli pubblici in regime contrattuale privatistico (art. 3 t.u. n. 165/2001).
La circostanza esclude che qui, sulla rappresentanza in giudizio, possa
assumere operatività il disposto dell’art. 417 bis c.p.c. , che consente alle
Amministrazioni convenute di difendersi con un dipendente, considerato anche
che tale norma non può trovare applicazione se non nelle controversie
individuali di lavoro, per l’esplicito rinvio al 5° comma dell’art. 409 c.p.c.
E’ opinione del Tribunale che qui non trovi neppure applicazione il disposto
di cui al comme 3 dell’art. 63 del t.u. n. 165/2001 che, come è noto, affida
alla giurisdizione ordinaria i procedimenti ex art. 28 s.l.. La norma,
infatti, riguarda le ipotesi di pubblico impiego privatizzato e non quelle –
come pacificamente nella specie – nelle quali il rapporto di impiego è
sottratto esplicitamente alla riforma.
La giurisdizione del giudice ordinario e la competenza funzionale del giudice
del lavoro si afferma, dunque, sulla base del dettato dell’art. 28 s.l. come
novellato dalla legge n. 156 del 1991, vertendosi in ipotesi di denunciato
comportamento antisindacale monoffensivo.
Così stando le cose, il Ministero dell’interno, anche nella fase di urgenza,
non poteva essere rappresentato che dall’avvocatura distrettuale dello Stato,
trattandosi di controversia di competenza del Tribunale (il che esclude anche
la deroga in favore del foro erariale illo tempore prevista per le
controversie pretorili ). Sul punto il difensore pubblico sostiene che ,
avendo la legge n. 51 /1998 soppresso il Pretore e sostituito ad esso il
Tribunale, la possibilità di difesa tramite il funzionario dovrebbe ritenersi
estesa anche nella fattispecie in esame. L’assunto dell’avvocatura dello Stato
è palesemente infondato, perché, così operando, si finirebbe per ammettere
comunque e sempre la regola di cui al r.d. del 1933 , ancorchè la controversia
(di lavoro o meno) sia di competenza del Tribunale. Al contrario
l’agevolazione prevista per il giudizio pretorile deve ritenersi coerentemente
abrogata per incompatibilità con la soppressione dall’ordinamento dell’organo
giudiziario.
Per completezza, poi, si dirà che in sede di urgenza l’avvocatura distrettuale
dello stato aveva confezionato una memoria invitando il Questore alla difesa,
ma non ex art. 2 t.u. 1611/1933, bensì, come constatato in quella sede, ex
art. 3 e dunque come se si trattasse di controversia pretorile.
Correttamente, dunque, il giudice dell’urgenza ha ritenuto di non ammettere la
costituzione ed i documenti dell’odierno opponente.
2) Avuto riguardo alle altre eccezioni di rito sollevate dal difensore
pubblico, il Tribunale ritiene che esse possano essere risolte nel corpo della
motivazione che seguirà, per il loro evidente intreccio con le questioni di
merito.
Il ricorso oggetto del giudizio, promosso da una O.S. ex art. 28 s.l. muove
dall’assunto secondo il quale la (eventuale) compromissione delle prerogative
assegnate dalla legge n. 626/1994 al rappresentante per la sicurezza
realizzino un comportamento antisindacale. E’ dunque questa la questione che
deve essere affrontata per prima.
La tutela della salute e della integrità fisica è affidata dall’art. 9 dello
Statuto dei Lavoratori ai lavoratori “mediante le loro rappresentanze”:
dispone, infatti, la norma statutaria (che anticipava nel nostro ordinamento
le disposizioni dettagliate di cui alla legge n. 626/1994) che “ i lavoratori,
mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l’applicazione
delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali
e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure
idonee a tutelare la loro salute e l’integrità fisica”.
Appartiene al nostro ordinamento lavoristico, dunque, il principio della
gestione (anche) collettiva ( e pertanto sindacale) della sicurezza, nel
possibile concorso con l’azione individuale ex art. 2087 c.c.. Tale principio,
ricavabile dalla lettura dell’art. 9 cit.( e sorretto a livello costituzionale
degli artt. 39 e 41 Cost.) , non solo non appare smentito dalla normativa del
1994 (che, come si sa, ha recepito alcune direttive comunitarie) ma deve
ritenersi da questa addirittura rafforzato dalla specificazione analitica di
una serie di disposizioni ed adempimenti che hanno dato contenuto normativo
alla clausola generale statutaria.
Se così è non vi sono dubbi sul fatto che la violazione delle prerogative che
l’art. 9 s.l. , ed oggi gli artt. 18 e 19 l. n. 626/1994, assegnano alle parti
collettive, per il tramite di rappresentanze, possano essere denunciate in
giudizio con lo speciale procedimento di cui all’art. 28 s.l. che, come è
noto, autorizza le oo.ss. ad esperire la specifica procedura tutte le volte
che vi sia una compromissione delle prerogative collettive ( ed in particolare
delle prerogative che lo Statuto dei Lavoratori assegna esplicitamente al
Sindacato). Non a caso tale principio è stato recepito in numerose pronunce di
merito nell’immediatezza dell’applicazione dello Statuto (fra le più
significative Pret. Reggio Emilia 14.5.1971 in Mass. Giur. Lav.,71,256; Pret.
Taranto 10.1.1972, Orientamenti giur.lav., 1972,32) e continua ad essere
recepito in tempi recenti (Trib. Oristano 26.7.01; Pret. Campobasso 10.2.1999;
Pret. Milano 2.7.1997; Trib. Brescia, 15.6.2000).
Ne consegue che la specifica violazione di un obbligo, normativo o
contrattuale, che abbia contenuto informativo o che stabilisca la
partecipazione del sindacato ( o del rls) nelle procedure dettate a fini di
sicurezza, realizza in astratto indubbiamente un comportamento antisindacale
poiché si risolve nella elisione di diritti affidati dalla legge alla gestione
collettiva (art. 9 s.l., artt. 18 e 19 l. n. 626/1994 e successive
modificazioni). Ed a ben vedere la cosa rimane ampiamento confermata dalla
stessa legge n. 626/1994, art. 19, che garantisce al rappresentanze per la
sicurezza le stesse guarentigie che lo Statuto enuclea per il rappresentante
sindacale.
In tali casi, per altro, non è necessaria alcuna indagine sulla volontarietà
del comportamento, poiché, come si è visto, si tratta di comportamenti
tipizzati, cui una delle parti è tenuta indipendentemente dalla (esplicita od
implicita) intenzione di porre in essere una attività (od una omissione)
finalizzata a ledere le prerogative collettive (sul punto la giurisprudenza di
legittimità e di merito appare del tutto uniforme).
La intenzionalità di realizzare una compromissione delle prerogative tutelate
dallo Statuto dei lavoratori ( o più in generale dai principi derivanti
dall’impianto costituzionale che regola il rapporto di lavoro) è elemento
rilevante , infatti, solo nelle ipotesi in cui si discuta di comportamenti non
tipizzati, rispetto ai quali appare imprescindibile una indagine di tipo
teleologico. Al contrario, quando, come nella specie, si tratti di qualificare
giuridicamente un comportamento che si risolva nella violazione di una
prerogativa collettiva dettata dalla legge o dal contratto, il comportamento
censurabile deve essere valutato sulla base della mera constatazione della sua
esistenza, come comportamento attivo o come comportamento omissivo (fra le più
significative , Cass. 10324/1998, Cass. 6193/1998, Cass. 11573/1997 e Cass.
S.u. 5295/1997).
Tale regola, come si vedrà, realizza anche la chiave di lettura quando, come
nella specie, occorrerà conoscere il contenuto dell’obbligo informativo e
valutare il suo eventuale inadempimento.
Applicando i principi fin qui enucleati – in realtà tutti in linea con le
ricorrenti affermazioni giurisprudenziali – rimane risolta ogni altra
questione che il difensore pubblico ha formulato sotto il profilo della
legittimazione ad agire o dell’interesse, posto che, come si è già visto, il
Sindacato (ex art. 28 s.l.) è certamente legittimato ad esperire la procedura
statutaria per la violazione di obblighi derivanti dalla normativa sulla
sicurezza. Né vi è – come sostiene l’avvocatura dello Stato – questione di
ultrapetizione se, come di fatto si è verificato nella specie, l’ordine
concreto finisca per aver effetto su un soggetto diverso ( Rappresentante per
la sicurezza) di quello che agisce (segretario della organizzazione sindacale
attivamente legittimata ex art. 28 s.l.), poiché tutto ciò è fisiologico
quando la legge affida alla gestione collettiva la tutela di interessi che poi
abbiano effetti ( anche) su soggetti diversi.
3) Ai sensi dell’art. 4 comma 2, lett. m) della legge n. 626 del 1994 “il
datore di lavoro permette ai lavoratori di verificare, mediante il
rappresentante per la sicurezza, l’applicazione delle misure di sicurezza e di
protezione delle salute e consente al rappresentate per la sicurezza di
accedere alle informazioni ed alla documentazione aziendale di cui all’art.
19, comma 1, lettera e)”.
Dispone, poi, quest’ultima norma che “il rappresentante per la sicurezza
riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerente la valutazione
dei rischi e le misure di prevenzione relative, nonché di quelle inerenti le
sostanze ed i preparati pericolosi, le macchine, gli impianti,
l’organizzazione e gli ambienti di lavoro, gli infortuni e le malattie
professionali”.
Più in generale, la lettura complessiva dell’art. 19 cit. consente di
affermare che il rappresentante per la sicurezza è titolare di un diritto di
consultazione e di informazione, di un diritto di accesso, di un diritto a
formulare proposte, segnalazioni ed osservazioni, di un diritto di ricorso
alle autorità competenti, di un diritto ad ricevere la documentazione
aziendale principale in tema di sicurezza; e che, per l’esercizio di tali
diritti, egli goda di uno status particolare (comma 4, art. 19 cit.).
Occorrerà, dunque, verificare se parte datoriale abbia adempiuto agli obblighi
di cui sopra con riferimento alla vicenda concreta.
Risulta, al proposito, che nell’aprile del 2002 la mensa ubicata presso la
Caserma della Polizia di Pisa, fosse chiusa per lavori di ristrutturazione e
di adeguamento alla legge n. 626/1994. La circostanza si evince dalla lettura
del documento acquisito all’udienza del 2.12.2003 a firma dell’allora Questore
G. Valentini ed inoltrata all’Ufficio Territoriale del Governo di Pisa. Da
questo risulta che a quell’epoca il personale della polizia di stato fruisse
del servizio mensa mediante una convenzione con “Air Chef” presso l’aeroporto
.
Se ne deve dedurre che effettivamente i locali in questione necessitassero di
opere di ristrutturazione per la c.d. messa a norma ai sensi della disciplina
vigente in tema di sicurezza. Questo è il contenuto chiaro della nota in esame
e la effettività della circostanza è confermata dal fatto che
l’amministrazione aveva predisposto un servizio pasti alternativo (mediante
convenzione). D’altro canto la Questura di Pisa, per il tramite del suo
vicario dr. Gallucci, conferma la circostanza nella nota 4 luglio 2002 nella
quale si dice che erano in corso di approvazione le pratiche di finanziamento
per i lavori di ristrutturazione e di “adeguamento alla normativa” ed al
contempo che, in attesa del finanziamento, per ridurre al minimo i disagi del
personale, la mensa sarebbe stata riaperta con “l’esecuzione di lavori
provvisori”. Lo stesso vicario dr. Gallucci, comunica, poi che il servizio
mensa sarebbe stata ripristinato il 15 luglio del 2002, “in attesa della
definizione burocratica-amministrativa della pratica relativa alla totale
ristrutturazione”.
Lo stesso Questore dr. Introcaso, nella sua nota 22 luglio 2002, ma
indirizzata solo al Ministero dell’Interno ed al Prefetto, dà atto che nel
marzo del 2002 i locali della mensa erano stati chiusi per procedere ai lavori
di “ adeguamento dell’intera struttura alla normativa d.l.vo 626/1994 ed alle
direttive CEE in materia di igiene e conservazione dei prodotti alimentari”.
E’, dunque, un fatto certo che la mensa fosse stata chiusa nel marzo del 2002
per le ragioni prima evidenziate e che i locali siano stati riaperti nel
luglio dello stesso anno. E’ certo che la chiusura sia stata determinata
dall’esigenza di “messa a norma”.
Le ragioni per le quali appare indispensabile muovere da questo dato (
sostanzialmente de plano ricavabile dalla lettura della documentazione offerta
in comunicazione dalle parti) originano dalla strategia difensiva di parte
convenuta che nel corso di tutto il giudizio, per dimostrare che nessuno degli
obblighi di cui alla legge n. 626/94 era stato violato, ha sostenuto che,
nella sostanza, l’operazione che ha fatto da sfondo alla controversia si era
risolta nella mera sostituzione di una tubazione, in conseguenza della quale
l’organizzazione sindacale ricorrente avrebbe pretestuosamente enfatizzato le
sue prerogative ( e quelle del rappresentante per la sicurezza). Scrive,
infatti, il Questore dr. Introcaso relazionando all’avvocatura di Stato (v.
nota 28 luglio 2003 in atti) che “non può esistere norma che imponga al datore
di lavoro di informare un sindacato dell’avvenuto stasamento di un tubo”).
Al momento della produzione in giudizio della nota del Questore dr. Valentini
e di cui si è detto, il Questore di Pisa dr. Introcaso, rappresentante
sostanziale in udienza, ha dichiarato che il contenuto della nota medesima era
da ritenersi falso specificando testualmente: “ è un falso nella parte in cui
il Questore dell’epoca erroneamente parla di ristrutturazione e di adeguamento
che nella sostanza non erano mai iniziate. Evidentemente si riferiva al lavoro
di riparazione del tubo che già era otturato”.
Osserva, ora, il Tribunale che tali affermazioni appaiono smentite non solo
dagli elementi di certezza fin qui segnalati , ma dalla non contestabile
esistenza del procedimento di finanziamento per i lavori di complessiva
ristrutturazione, quale si ricava, non foss’altro, dalla nota 2 maggio 2002
del Ministero dell’Interno – Dipartimento della pubblica sicurezza
indirizzata, fra gli altri, anche al Questore di Pisa, nella quale si dà atto
della richiesta di messa a norma delle cucine e delle mense per un preventivo
di spesa pari ad e 52.000,00 circa e nella quale si richiese, sulla base del
d.p.r. 20.8.2001 la redazione di una perizia tecnica relativa alla esecuzione
dei lavori. E la Questura di Pisa (nota 26 agosto 2002 a firma dr. Introcaso)
trasmette al Ministero la relazione tecnica illustrativa, il computo metrico,
l’analisi prezzi, l’elenco descrittivo e la tabella offerte, il capitolato, il
piano di sicurezza, i grafici ed il verbale di urgenza.
Non c’è chi non veda, dunque, come la procedura che ha interessato i locali
della mensa della Caserma Mameli di Pisa fosse certamente attinente a lavori
di gran lunga più impegnativi di quanto non fosse la riparazione di una
tubazione e come , pertanto, le affermazioni in udienza del Questore di Pisa
appaiano nettamente smentite dai fatti. Semmai vi è da rilevare che non
corrisponde al vero il contenuto della nota 17 settembre 2002 del Questore di
Pisa (dr. Introcaso) nella quale si comunica all’UTG che la chiusura della
mensa, avvenuta nel marzo dello stesso anno, si era resa necessaria per il
solo ripristino dell’impianto di smaltimento degli scarichi “in occasione di
alcuni lavori intrapresi per eliminare momentanei inconvenienti, derivanti
dall’intasamento delle tubazioni di scarico della cucina”. Tale affermazione,
infatti, si pone in nettissimo contrasto con la evidenza dei fatti ed in
particolare con l’esistenza di una procedura attivata per l’adeguamento dei
locali ai sensi della legge n. 626/1994.
4) Accertato, dunque, che nel marzo del 2002 la mensa era stata chiusa per
l’esecuzione dei lavori di cui sopra , è consequenziale valutare quali
obblighi incombessero al datore di lavoro nel momento in cui, pacifico che i
lavori non siano stati eseguiti, egli si è determinato alla riapertura della
mensa. Occorre, sul punto, constatare che la decisione di riaprire la mensa,
prescindendo (ovviamente) della sua opportunità, è decisione che si inserisce
nel procedimento già attivato per i lavori di adeguamento alla legge n.
626/94: se si chiude per la messa a norma, la riapertura del locale e del
servizio, senza che la messa a norma venisse realizzata, è evento che
appartiene alla dialettica istituzionale prevista dalla normativa sulla
sicurezza (essa, infatti, si concretizza in una attività eguale e contraria a
quella di chiusura dei locali per l’avvia dei lavoro). Certo è che sulla base
del disposto degli artt. 18 e 19 della legge n. 626/94 (nonché dell’art. 9
dello Statuto dei lavoratori) il rappresentante per la sicurezza aveva diritto
ad una informazione preventiva sulla determinazione datoriale e
conseguentemente a prendere visione di tutto quanto fosse attinente alla
riapertura (perché, quali lavori erano stati fatti, se questi lavori
comportassero un mutamento fisico da valutarsi in sede di documento di
rischio, ecc.).
E’ in tale contesto – ed a tale punto della complessa vicenda – che si
inserisce la prima delle richieste dalla o.s. ricorrente (nota 5 luglio 2002)
cui non ha fatto seguito alcuna risposta da parte del datore di lavoro. Tale,
infatti, non è la nota 11 luglio 2002, pure indirizzata al sindacato opposto,
nella quale si dice semplicemente che la riapertura della mensa era stata
determinata dalla necessità di ridurre al minimo i disagi al personale: per la
sua estrema genericità e per il difettare di ogni contenuto ex art. 19 l. n.
626/94, tale risposta non soddisfa ai requisiti di legge. Tale non è, neppure,
la nota 22 luglio 2002 (di analogo contenuto) che non è indirizzata né al
Sindacato né al responsabile per la sicurezza. Tale non è neppure la nota 27
luglio 2002 del Questore di Pisa indirizzata al Coisp nella quale si ribadisce
la necessità di procedere ai lavori di ristrutturazione della Caserma e si
invita il destinatario a sgombrare il locale utilizzato per la Segreteria,
proprio in ragione dei lavori di “miglioramento dell’intero edificio”.
A proposito di tale nota, non è senza significato rilevare una palese
contraddizione del comportamento datoriale ( rilevante ex art. 28 s.l.), che
da un lato afferma la “falsità”(v. supra) della comunicazione nella quale il
Questore dell’epoca preannunciava la chiusura dei locali per i lavori di
adeguamento e dall’altra afferma che tali lavori dovevano essere eseguiti con
urgenza, fino ad invitare il Sindacato a liberare i locali adibiti a
segreteria. Non c’è chi non veda come , a tenore delle dichiarazioni datoriali,
questi lavori di adeguamento diventino urgenti o meramente pretestuosi, a
secondo le circostanze, conseguendo la necessaria valutazione, in tale
contesto, anche della determinazione di far sgombrare i locali da parte del
sindacato.
Nel silenzio datoriale, il sindacato opposto con nota 29 luglio 2002 ha
reiterato le richieste , in particolare evidenziando come la decisione di
riaprire i locali non era stata comunicata al rappresentante per la sicurezza
né tale soggetto aveva potuto visionare la documentazione necessaria.
Anche tale richiesta non viene soddisfatta. Ed infatti, la nota 31 luglio
2002, nell’invitare il sindacato ad uno spirito costruttivo, nulla dice su
quanto previsto dall’art. 19 della legge n. 626.
Anche una successiva richiesta in data 29 agosto 2002 rimane senza alcuna
risposta.
5) Questi i fatti, riassunti anche in una relazione a firma del dr. Domenico
Iannone, Direttore dell’Ufficio Vigilanza ( in data 2.4.2003). E’ veramente
singolare rilevare, leggendo tale relazione, come neppure l’organo di
vigilanza abbia potuto raccogliere notizie precise ed in particolare sulle
ragioni di chiusura della mensa. Appare evidente come il dr. Iannone non abbia
preso visione della nota dell’allora Questore dr. Valentini (ed acquisita al
processo all’udienza del 2.12.2003) nella quale si diceva chiaramente che la
mensa era stata chiusa per i lavori di complessivo adeguamento e che il dr.
Iannone non abbia considerato che non poteva certamente trattarsi di una
chiusura provvisoria, posto che l’Amministrazione aveva addirittura attivato
un servizio in convenzione con altra struttura per assicurare i pasti al
personale (circostanza, questa, nettamente sovradimensionata rispetto alla
mera esigenza di riparare una tubazione).
Ma a parte ciò, pure ipotizzando che si fosse trattato di una chiusura
temporanea per una modesta riparazione , il dr. Iannone ha rilevato la
mancanza del preventivo parere del medico competente e l’omesso aggiornamento
del documento di valutazione del rischio (essendo cambiata la pavimentazione
della cucina), per pervenire alla conclusione della necessaria “previa
consultazione degli organi formati a supporto di tale attività e la successiva
formazione/informazione degli addetti alla lavorazione”.
Dunque, per quanto possa valere, anche l’Organo di vigilanza interna ha
stimato che il rappresentante per la sicurezza (unitamente agli altri
organismi preposti alla applicazione delle procedure ex l. n. 626/94) aveva
diritto alla previa consultazione ed alle successive informazioni.
Per completezza il Tribunale vuole darsi carico della sollecitazione di parte
opponente a leggere nel suo complesso la relazione Iannone, in particolare
nella parte in cui l’estensore afferma che “l’interpretazione del Questore
possa essere ritenuta normativamente corretta”. La difesa dell’opponente,
infatti, ha valorizzato tale elemento, ancorché affermare od escludere la
correttezza del comportamento datoriale sia, ovviamente, compito del giudice.
Ad ogni buon conto deve rilevarsi che è proprio la lettura complessiva di
questo documento che consente di escludere la conformità a legge dell’attività
denunciata ex art. 28 s.l. La relazione, infatti, muove dal presupposto della
mancanza di elementi di certezza per conoscere come esattamente siano andate
le cose ( dice il dr. Iannone: “al fine di una corretta valutazione degli
eventi, sarebbe opportuno capire se la mensa è stata chiusa per
l’effettuazione di tutti i lavori previsti o solo per la risoluzione del
guasto in discussione”) e , come si è già visto, conclude enucleando una serie
di omissioni riferibili anche alla ipotesi formulata dal datore di lavoro, e
cioè alla chiusura dei locali al solo fine di procedere alla riparazione di
una tubazione. Dunque il Dirigente medico non sa le ragioni della chiusura (si
è già detto che egli non ha verisimilmente preso visione della comunicazione
che la aveva disposta) e rileva analitiche omissioni ed una generale
disattenzione nell’attività di riapertura della mensa (“è chiaro, però, che la
riapertura dell’attività dopo un periodo di chiusura che, comunque, risultava
abbastanza lungo, avrebbe dovuto richiedere una maggiore attenzione negli
adempimenti da compiere”).
In tal contesto, come ognuno vede, l’affermazione secondo la quale
“l’interpretazione fornita dal sig. Questore possa essere ritenuta
normativamente corretta” lascia un po’ il tempo che trova, posto che lo stesso
dr. Iannone la fa precedere dalla constatazione di non aver potuto accertare
come si siano svolti i fatti (“l’esame della documentazione allegata non
permette di definire con precisione le esatte intenzioni degli attori nel
corso dei vari avvenimenti, ma si può ritenere che, probabilmente,
l’interpretazione fornita dal sig. Questore possa essere ritenuta
normativamente corretta”). All’evidenza, si tratta di una frase di stile.
6) Si ha , allora e conclusivamente , che, in violazione di precisi obblighi
derivanti dalla legge (art. 19 cit.) il Questore di Pisa, a fronte di
reiterate e legittime richieste, non ha inteso fornire alcuna spiegazione né
offrire in comunicazione quanto riguardasse l’ attività di riapertura della
mensa . E ciò basterebbe per affermare, come già ha fatto questo Tribunale
nella fase di urgenza, la antisindacalità del comportamento datoriale.
Ma vi è di più , perché le convinzioni alle quali è pervenuto il Tribunale
appaiono avvalorate da quanto relazionato dal Questore di Pisa all’avvocatura
distrettuale dello Stato con la nota 28 luglio 2003, che il difensore pubblico
ha prodotto in giudizio , seppure invitando il giudice a non tenerne conto
(testuale dalla memoria autorizzata dall’avvocato dello stato: “si vorrà
prescindere, inoltre, dalla accentuata acrimonia esternata dal Questore di
Pisa, espressa in un rapporto che lo scrivente ritiene opportuno comunque di
ostendere e che dovrà essere ritenuta ininfluente ai fini del decidere”.
Rilevata la singolarità delle difesa, che produce un documento perché il
Tribunale non ne tenga conto, vale la pena considerare come in tale rapporto
all’avvocatura distrettuale il Questore di Pisa qualifichi l’addebito che gli
muove il sindacato tale da suscitare “soltanto ilarità” e da concretizzare
“scarso rispetto…nei confronti dell’autorità giudiziaria”.
Pare di capire, dunque, che anche il difensore di parte opponente abbia colto
nell’atteggiamento del suo assistito elementi si sproporzionata reazione alla
questione che, al contrario, come risulta dalla ricostruzione del fatto, non
appariva e non appare di grande momento dialettico. In definitiva, si vuol
dire, le richieste provenienti dal rappresentante collettivo non erano tali da
impegnare la controparte nella spendita di rilevanti attività, posto che si
trattava semplicemente di dare una informativa e fornire quanta documentazione
inerisse alla vicenda di riapertura dei locali o comunque comunicare che, per
una ragione o per un’altra, parte della documentazione non c’era. Il reiterato
rifiuto di porre in essere una attività così semplice, che non coinvolgeva
rilevanti determinazioni datoriali, denota, dunque, una evidente insofferenza
rispetto al ruolo che la legge assegnava ed assegna al rappresentante e
connota di intenzionalità il ritenuto comportamento antisindacale (così
assumendo significato anche la richiesta di sgombrare i locali della
segreteria nella prospettata imminenza dell’esecuzione di lavori che ad oggi
non risultano neppure iniziati e la non smentita attività di fotosegnalazione
avente ad oggetto un comunicato sindacale sulla vicenda).
Ove, pertanto, si dovesse accedere alla tesi – in realtà ripudiata dalla
giurisprudenza- della necessaria sussistenza di intenzionalità nel
comportamento antisindacale, anche per questo aspetto le conclusioni non
potrebbero essere difformi da quelle già adottate da questo Tribunale nella
fase conclusasi con il decreto ex art. 28 s.l.
7) Il provvedimento in questione (v. dispositivo) aveva impartito l’ordine
concreto di fornire al RLS del COISP il piano di sicurezza, la valutazione dei
rischi, il parere del medico competente, nonché ogni altra comunicazione ed
informazione in ordine alla riapertura provvisoria del locale mensa e del
riavvio del servizio relativo.
E’ pacifico che il Questore di Pisa – o chi per esso – non abbia dato
esecuzione all’ordine giudiziario, ciò realizzando la fattispecie penale di
cui all’art. 650 c.p.
Nel corso del giudizio, sul punto, l’opponente ha sostenuto di non aver dato
esecuzione al decreto del Tribunale di Pisa perché, in sostanza, nulla c’era
da comunicare e da trasmettere. Tale affermazione, tuttavia, non tiene conto,
ancora una volta, del fatto che non già la riparazione di una tubazione, ma la
determinazione di riaprire i locali che erano stati chiusi per l’adeguamento
era attività che ineriva al procedimento di ristrutturazione ex l. n. 626/1994
e che, come tale, costituiva oggetto di indispensabile coinvolgimento degli
organismi cui la legge affidava la gestione dell’operazione. E siccome prima
si era chiuso e poi si decide di aprire e le ragioni dell’una e dell’altra
operazione appartenevano ad una procedura dettata dalla legge n. 626/1994, il
Questore di Pisa avrebbe dovuto preventivamente informare il RLS e quindi
fornire al medesimo il piano di sicurezza, il documento di valutazione dei
rischi ed il parere del medico competente ( ed ove questo, come affermato
dall’opponente fosse stato reso oralmente, darne indicazione sui contenuti),
al fine di consentire agli organismi istituzionalmente preposti di esercitare
le loro prerogative. Il non averlo fatto realizza senz’altro comportamento
antisindacale prima e reato dopo (art. 650 c.p) ., con la conseguente
necessaria trasmissione degli atti all’ufficio del Pubblico Ministero per
l’esercizio dell’azione penale. Appare, poi, doveroso da parte di questo
giudice segnalare al pubblico ministero la possibile configurazione di una
diversa ipotesi di reato nelle affermazioni del Questore dr. Introcaso a
proposito della falsità della nota redatta dal suo predecessore.
8) Un ultimissima questione attiene al preteso difetto di giurisdizione
sollevato dall’avvocatura distrettuale dello Stato avuto riguardo alla istanza
che il COISP ha formulato ai sensi della legge 241. L’argomento era stato
sottoposto all’attenzione del giudice in sede di ricorso introduttivo come
mero elemento di fatto, esplicativo della vicenda e non già come elemento
costitutivo di una specifica domanda giudiziale. E questo basterebbe per
segnalare la pretestuosità dell’eccezione processuale. Ma vi è di più, poiché,
il diritto a prendere visione della documentazione relativa alla procedura ex
l. n. 626/94, affidato dalla legge al RLS, ha natura e contenuto autonomo
rispetto alle generica previsione di cui alla legge 241, e dunque, quanto il
sindacato ricorrente ha chiesto e quanto il giudice dell’urgenza ha ritenuto
di disporre non altro rappresenta che l’affermazione dell’autonomo diritto a
prendere visione degli atti che appartiene al rappresentante per la sicurezza.
L’opposizione va, dunque, rigettata. Parte opponente, secondo la soccombenza,
deve essere condannata al pagamento delle spese di lire relative alla fase di
opposizione, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale rigetta l’opposizione e per l’effetto conferma il decreto del
Tribunale di Pisa in data 7.3.2003. Condanna parte opponente al pagamento
delle spese di lite che liquida nella somma complessiva di € 3.500,00, oltre
Iva,Cap e spese generali, di cui € 2.500,00 per onorari ed € 1000,00 per
diritti.
Pisa li 15.12.2003 Il Giudice