Sentenza.
Giudice: Dott.ssa Lisa Gatto
Svolgimento del processo
Con ricorso
depositato in data
23/9/2003, F. C. ha esposto: che dal 12/10/1975 presta servizio presso
l’Istituto, con le funzioni di “direttore dei servizi generali e
amministrativi” (DSGA);
che l’insediamento del dirigente
scolastico prof. M. C., a partire dall’1/9/2001, aveva da subito
determinato, a causa dell’atteggiamento dallo stesso assunto, un clima
di distacco, tensione e mancanza di fiducia con tutto il personale di
segreteria;
che nei suoi confronti l’operato del prof.
M. C. si era sostanziato esclusivamente in ordini di servizio di
carattere minatorio, con cui veniva richiesto il compimento di atti
spesso non dovuti o addirittura contrari alle norme che disciplinano
il funzionamento e le competenze degli uffici scolastici, in repliche,
contestazioni di addebiti per lo più contenenti apprezzamenti di
cattivo gusto, in frasi ingiuriose e lesive del ruolo, del decoro e
della dignità del ricorrente, in minacce di sanzioni, disciplinari e
non, mai irrogate;
che per ordine del prof. M. C. era stato
privato del computer in dotazione alla segreteria, invitato a
consegnare le chiavi dell’ufficio di segreteria e di tutti i cassetti
e armadi ivi contenuti, e, inoltre, gli era stato proibito di
rivolgersi personalmente al dirigente scolastico per le ordinarie
comunicazioni riguardanti l’attività degli uffici scolastici;
che in conseguenza dei puntuali e
specifici, quanto arbitrari, ordini di servizio, il ricorrente non
aveva più potuto svolgere le proprie mansioni con l’autonomia
operativa riconosciutagli dalla contrattazione collettiva, secondo la
declaratoria del profilo, e aveva così subito un grave danno
patrimoniale, derivante sia dall’impoverimento della capacità
professionale acquisita e dalla mancata acquisizione di una maggiore
capacità, sia dalla lesione del diritto all’immagine e alla vita di
relazione;
che attraverso la costante pressione di
una minaccia più o meno velata, il comportamento del dirigente
scolastico aveva determinato nel ricorrente una condizione patologica
caratterizzata da una sensazione di timore, associata a segni somatici
indicativi di iperattività del sistema nervoso autonomo, sfociata in
sindrome postraumatica da stress;
che con le condotte poste in essere il
dirigente scolastico aveva operato in violazione della disciplina
delle obbligazioni contrattuali, sotto il duplice profilo del diritto
del lavoratore a svolgere le mansioni corrispondenti alla qualifica
(art.2103 cod. civ.) e del diritto di espletare l’attività lavorativa
in un ambiente lavorativo salubre, sia sotto l’aspetto materiale, che
socio-psicologico, idoneo a consentire la libera esplicazione delle
istanze di sviluppo personale e professionale collegate alla
prestazione (art.2087 cod. civ.);
che, per la reiterazione, la durata e la
finalità di isolare il ricorrente dall’ambiente di lavoro,
esautorandolo dalle funzioni attribuitegli dalla normativa (art.25, co.5,
D. Lgs. 165/2001), i comportamenti posti in essere dal prof. M. C. si
inquadravano nella fattispecie del “mobbing” e, oltre a doverne
rispondere direttamente l’autore ex art.2043 cod. civ., si
riverberavano in capo all’ente datore di lavoro, doppiamente
responsabile dei danni conseguenti, sia contrattualmente, in relazione
agli obblighi connessi al dovere di buona fede nell’esecuzione del
rapporto, sia in qualità di preposto ex art.2049 cod. civ..
Sulle premesse di
fatto e di diritto che precedono, dando atto di aver infruttuosamente
esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione, il ricorrente ha
convenuto in giudizio l’Istituto e il prof. M. C., per sentir
condannare l’Istituto alla reintegrazione del ricorrente nelle
mansioni spettategli e condannare, in solido, i convenuti al
risarcimento del danno biologico, morale, patrimoniale e
professionale, nella misura complessiva di € 25.000,00 o in quell’altra
maggiore e/o minor somma accertata in corso di causa.
L’Istituto ,
costituitosi in giudizio in persona del Dirigente Scolastico
pro-tempore, ha chiesto di essere estromesso dal giudizio, ritenendosi
privo della qualità e dei poteri del datore di lavoro nei confronti
del ricorrente.
Anche il prof. M.
C. si è costituito in giudizio e, preliminarmente, ha eccepito la
carenza di legittimazione passiva, sia rispetto alla richiesta di
reintegrazione nelle mansioni, in quanto cessato dal servizio il
30/4/2003, sia rispetto alla domanda risarcitoria, il cui unico
destinatario poteva essere il datore di lavoro. Nel merito, deducendo
l’infondatezza delle domande proposte in ricorso, ne ha chiesto il
rigetto. In particolare, ha contestato il demansionamento, sostenendo
che semmai si era verificata la situazione opposta, per il sistematico
boicottaggio posto in essere dal ricorrente sin dal suo insediamento,
che gli aveva impedito di svolgere a pieno le sue funzioni e procurato
conseguenze psicologiche e fisiche, sfociate in uno stato di
infermità, con lunghi periodi di assenza dal servizio per le
necessarie cure (dal 14/10/2002 al 14/11/2002 e dal 14/11/2002 alla
data di cessazione del servizio) e che lo avevano determinato a
presentare le dimissioni con decorrenza dall’1/5/2003.
La causa è stata
istruita con documenti e con i testi F. C., B. A., D. G., S. W., A. L.,
F. V., S. M., M. G..
All’esito, è stata
espletata consulenza tecnica d’ufficio sulle condizioni di salute del
ricorrente.
Autorizzato il
deposito di note conclusive, nelle note depositate il ricorrente,
riconoscendo di essere stato reintegrato nelle mansioni di sua
competenza di seguito all’avvicendamento del dirigente scolastico, ha
dichiarato di voler abbandonare la relativa domanda.
All’odierna udienza
sulle riportate conclusioni la causa è stata discussa e decisa con
lettura pubblica del dispositivo steso in calce alla presente
sentenza.
Motivi della decisione
Il ricorrente
chiede di essere risarcito dei danni, patrimoniali e non, che
ricollega all’attività “mobbizzante” del Dirigente Scolastico, prof.
M. C..
Per valutare se
realmente vi sia stata un’attività persecutoria nei confronti del
ricorrente da parte del prof. M. C. occorre ricostruire i fatti e
verificare se siano stati posti in essere atti e/o comportamenti,
anche non autonomamente sanzionabili, ripetuti in maniera frequente e
duratura al fine di danneggiare il lavoratore. Il mobbing, infatti,
secondo la nozione elaborata dalla psicologia del lavoro (i primi
studiosi sono stati Hans Leymann ed in Italia Harald Ege) è una
situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente e in
costante progresso all’interno del luogo di lavoro, in cui gli
attacchi reiterati e sistematici hanno lo scopo di danneggiare la
salute, i canali di comunicazione, il flusso di informazioni, la
reputazione e/o la professionalità della vittima.
Appare utile
muovere, anche se in ordine cronologico rappresenta l’epilogo della
vicenda, dalle risultanze dell’indagine ispettiva disposta dal
Ministero dell’Istruzione presso l’Istituto negli ultimi mesi del
2002, di seguito all’esposto con cui il personale della segreteria
denunciava diversi eventi e situazioni che vedevano protagonista il
prof. M. C. e, in generale, lamentava che il Dirigente Scolastico non
aveva mai stabilito un dialogo con le diverse componenti della scuola
(ATA, docenti, genitori e alunni) e, anzi, organizzava la scuola
secondo criteri autoritari.
Sulla base degli
accertamenti condotti, l’organo ispettivo ha espresso il parere che
fosse auspicabile utilizzare il Dirigente Scolastico ad altri compiti
o trasferirlo per incompatibilità ambientale, avendo rilevato nella
scuola una situazione di continua denigrazione della professionalità
nei confronti del D.G.S.A. odierno ricorrente, come della maggior
parte del personale dell’Istituto, oltre a diverse disfunzioni sia
sotto il profilo relazionale, che normativo.
Del personale di
segreteria fanno parte gli assistenti amministrativi B. A., D. G. e S.
M., i quali, sentiti come testimoni, hanno riferito che il prof. M. C.
sin dal suo insediamento in Istituto, dove i rapporti con i precedenti
dirigenti si erano sempre distinti per spirito di collaborazione
funzionale e fiducia reciproca, ha alimentato con il suo modo di fare
un contesto di tensioni e di relazioni conflittuali con tutti,
compreso il corpo docenti; in particolare, nei confronti del personale
della segreteria non ha stabilito un rapporto di fiducia e di
collaborazione, giungendo al punto di far affiggere all’albo la
comunicazione di servizio datata 31/8/2002 con cui si avvisava che i
rapporti tra la segreteria e la presidenza dovevano essere tenuti
soltanto dalla dott.ssa A. L. (riguardo a questa specifica
circostanza, l’organo ispettivo ha evidenziato che non sono soggetti a
pubblicazione all’albo gli atti concernenti singole persone).
Da quanto
sopra (risultati dell’indagine ispettiva ed emergenze testimoniali),
si ricava un dato di fatto senz’altro significativo, che induce a
ravvisare nella scuola diretta dal prof. M. C. l’esistenza di una
situazione di conflitto generalizzato e latente nei rapporti tra il
D.S. e le varie componenti di Istituto, anche se i testi non hanno
mancato di confermare che i contrasti maggiori il prof. M. C. li aveva
con il ricorrente. Sarebbe, tuttavia,
prematuro trarne delle valutazioni in merito alla condizione
lavorativa lamentata dal ricorrente, perché l’ambiente di lavoro teso,
la gestione della scuola secondo moduli autoritari o in forme
inadempienti delle norme vigenti in materia di lavoro, di gestione
amministrativo-contabile, in materia didattica, per un verso, non sono
ancora “il mobbing”, fenomeno che per esistere ha bisogno di una
strategia persecutoria mirata nei confronti di una persona o di un
gruppo determinato di persone; per altro verso, non lo escludono a
priori, perché, anzi, la psicologia del lavoro insegna che la
situazione di conflitto generalizzato, del tutto contro tutti o, come
in questo caso, dell’uno contro tutti, può essere un terreno fertile
allo sviluppo del mobbing.
Bisogna,
allora, approfondire i rapporti del prof. M. C. con il F. C., per
vedere se lo stato di conflittualità alimentato nella scuola abbia
creato le condizioni per una violenza psicologica particolarmente
accanita nei confronti del D.S.G.A., ovvero della figura professionale
che, insieme al Dirigente Scolastico, costituisce un elemento fondante
del sistema funzionale di Istituto, in quanto preposto, con autonomia
operativa, ai servizi amministrativi e generali dell’istituzione
scolastica, di cui coordina il personale. Non
è un caso che si sia rimarcato qual è la qualifica del ricorrente e la
ragione risiede nel fatto che non pare si possa trascurare che proprio
le funzioni da egli ricoperte possono averne facilitato il ruolo di
vittima; nell’ambito di una gestione dell’istituzione scolastica non
informata a criteri partecipativi, infatti, chi rischia più di altri
di diventarne il capro espiatorio è colui che è inchiodato dalla
posizione funzionale che occupa ad un rapporto di collaborazione
istituzionale e professionale con il capo d’istituto da cui dipende
l’organizzazione autoritaria e nello specifico la persona in questione
è il ricorrente, visto che le competenze del Dirigente Scolastico e
del Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi si intrecciano in
modo da costituire un unicum normativo (art.25 D. Lgs. 165/2001).
A parlare,
comunque, devono essere fatti oggettivi e comprovati, non mere
congetture e, allora, si passi ad esaminare la cronologia degli
accadimenti documentati.
- In data 11/1/2002
il D.S. ha inviato un ordine di servizio al D.S.G.A., avente ad
oggetto la liquidazione di emolumenti in favore di determinati
dipendenti, avvertendolo che in caso di inadempienza entro 15 giorni,
sarebbe stato sottoposto a provvedimento disciplinare. L’organo
ispettivo ha accertato che i fondi per le liquidazioni non erano stati
erogati.
- Il 4/3/2002 il
D.S. ha chiesto formalmente al D.S.G.A. chiarimenti per i seguenti
punti: conferimento delle supplenze; pagamento dello stipendio alle
insegnanti supplenti; acquisto di P.C., fotocopiatrice e armadio;
situazione di cassa dell’Istituto. L’organo ispettivo ha accertato a
tal proposito, nell’ordine: che, dopo un primo momento, in cui era
stato rispettato l’ordine della graduatoria fornita dalla scuola
pilota, il procedimento per le nomine era stato impartito dal prof. M.
C., essendo, peraltro, il D.S. che conferisce le supplenze in base al
C.c.n.l.; che non erano stati erogati i fondi per il pagamento degli
stipendi ai supplenti; che gli acquisti di PC, fotocopiatrice e armadi
non erano stati apportati nei capitoli di spesa in conto capitale e
che il D.S. non aveva tenuto conto delle normative per attivare le
procedure previste dal regolamento contabile D.I. n. 4/2002 e D.A.
895/2001.
- Con prot. ris. n.
5 dell’11/3/2002 il D.S. ha inoltrato al Dirigente del C.S.A. di
Agrigento una richiesta di informazioni sui flussi di cassa, che così
recitava: “… sospetto di essere continuamente boicottato dal D.S.G.A.
dell’Istituto”.
- In data 13/3/2002
il D.S. ha reiterato l’ordine di servizio al D.S.G.A. riguardante la
richiesta di una relazione sulla situazione di cassa, benché il F. C.
avesse formalmente precisato, nei chiarimenti forniti, che solo in
data 8/3/2002 erano pervenute le istruzioni per la predisposizione del
programma annuale, riservandosi di fornire dettagliatamente l’avanzo
di amministrazione dei fondi statali e regionali.
- In data 15/3/2002
il D.S. ha inviato una contestazione di addebiti al D.S.G.A.,
sostenendo che i chiarimenti forniti erano falsi e insoddisfacenti.
- In data 16/3/2002
il D.S. ha chiesto al D.S.G.A. il resoconto delle somme disponibili.
- In data 2/7/2002
il D.S. ha mandato al D.S.G.A. un ordine di servizio, riguardante la
decurtazione di un giorno di stipendio al personale ausiliario LSU
Clemente e Polizzi. L’organo ispettivo ha evidenziato che la
retribuzione viene erogata dall’IPACEM e non dalla scuola.
- In data 4/7/2002
il D.S. ha replicato ordine di servizio al D.S.G.A., sul presupposto,
esplicitato nella nota, che competeva al responsabile amministrativo
dirigere il personale ausiliario, minacciando l’adozione dei
provvedimenti urgenti del caso.
- Lo stesso giorno,
con nota ris. 12, ha invitato il D.S.G.A. a consegnare entro 24 ore le
chiavi delle segreterie, dei cassetti e degli armadi e lo ha diffidato
“dallo spendere anche un euro senza l’autorizzazione scritta del
Dirigente o in sua assenza del Vicario”.
- Con nota ris. 13,
in pari data, ha contestato i seguenti addebiti al D.S.G.A.: oltraggio
e calunnie gravi rivolte al D.S.; minacce al D.S.; ostruzionismo e
abuso di potere.
- Il D.S. ha
inviato una precisazione sull’ordine di servizio n. 12 del 4/7/2002,
con cui ha escluso dall’autorizzazione preventiva le spese postali e
per l’ordinaria pulizia dei locali.
- Il 13/7/2002 il
D.S. ha annotato nel foglio di presenza del personale ATA l’assenza
arbitraria del D.S.G.A.. Risulta dalla relazione ispettiva che il
D.S.G.A. aveva presentato domanda il 4/7/2002 per fruire delle quattro
giornate di festività soppresse, regolarmente protocollata, e le
festività erano state accordate dal D.S..
- Il 17/7/2002 il
D.S. ha richiesto all’Ufficio Scolastico Regionale di Palermo e al
C.S.A. di Agrigento “visita ispettiva urgente per accertare le
responsabilità del D.S.G.A.”.
- Il 5/9/2002 il
D.S. ha invitato il D.S.G.A., con comunicazione di servizio, ad
ordinare tutto il materiale necessario per il nuovo anno scolastico.
- Con prot. 24/ris
dell’11/10/2002 il D.S. ha sollecitato all’Ufficio Scolastico
Regionale di Palermo la visita ispettiva.
- In data
21/10/2002 ha emanato un o.s. al D.S.G.A., avente per oggetto il
trasferimento immediato del P.C. dall’ufficio del D.S.G.A. all’ufficio
del D.S. L’organo ispettivo ha appurato che in quel P.C. erano
caricati tutti i programmi necessari alla funzione.
- Lo stesso giorno,
gli ha inviato un ulteriore o.s., a parziale modifica del precedente,
in cui ha specificato che si trattava di prelevare “solo il Monitor,
la tastiera e il mobiletto porta P.C.”.
- In data
29/10/2002 il D.S. ha replicato l’ordine di servizio con cui invitava
il D.S.G.A. a consegnare le chiavi delle due segreterie e lo diffidava
formalmente in caso di inadempienza dei suoi compiti.
- Il 6/11/2002 il
D.S. ha sporto formale denuncia contro il D.S.G.A. alla Procura della
Repubblica di Agrigento, alla D.I.A. di Agrigento, al Comandante della
Stazione dei Carabinieri, per la scomparsa di importanti documenti di
ufficio e la manomissione del registro di protocollo.
- Nel corso della
visita ispettiva, il D.S. ha affermato, nel colloquio avuto con
l’organo ispettivo, che il D.S.G.A. voleva comandare, che aveva
firmato i certificati sostitutivi della terza media al suo posto. In
base alla normativa vigente (art.187, commi 1 e 2, T.U. 297/94),
l’organo ispettivo ha ritenuto che il D.S.G.A. possa firmare i
certificati, in quanto di sua competenza.
Singolarmente
presi, molti degli atti e dei comportamenti elencati rivelano, in
alcuni casi autonomamente, in altri sulla base di quanto accertato in
sede ispettiva, chiare disfunzioni sia sotto il profilo relazionale
del Dirigente, sia sotto il profilo normativo, che già l’organo
ispettivo, del resto, ha evidenziato: il D.S. non conosce la
situazione finanziaria dell’Istituto in cui opera e chiede
informazioni al dirigente del CSA, accusando il DSGA di boicottarlo;
immancabilmente sotto la minaccia della sanzione disciplinare, ma
senza mai farne ricorso, pretende dal D.S.G.A. la corresponsione di
finanziamenti senza che i relativi fondi siano stati ancora erogati;
gli chiede chiarimenti su procedure da egli stesso impartite
(supplenze); lo accusa di dichiarazioni false e insoddisfacenti in
merito a dati contabili non ancora disponibili; gli ordina di emettere
provvedimenti estranei alle competenze del DSGA (retribuzione degli
l.s.u.) e lo accusa, senza che sia risultato vero, di compiere atti al
di fuori delle sue funzioni (certificati sostitutivi degli attestati
di licenza); gli sottrae l’autonomia di spesa; gli annota come
arbitrarie assenze che egli stesso aveva autorizzato; lo priva degli
strumenti di lavoro (computer contenente tutti i programmi necessari
alla funzione); lo accusa di malefatte mai accertate (sparizione di
documenti, manomissione del registro protocollo) e richiede
formalmente una visita ispettiva per accertarne le responsabilità.
Considerati nel
loro insieme sotto il profilo delle norme regolatrici del rapporto di
lavoro, non sembra si possa dubitare che i reiterati ordini di
servizio, le continue richieste di chiarimenti e di resoconti,
l’abusiva ingerenza nelle procedure di spesa da parte del prof. M. C.,
in effetti, abbiano marcatamente ridotto l’ambito di autonomia
operativa che compete al responsabile amministrativo, con una
progressività che è giunta al punto, con la sottrazione del P.C.
contenente i dati necessari alla funzione, di creare condizioni
ostative alla possibilità per il ricorrente di svolgere l’attività
lavorativa.
Oltre che
sul piano della professionalità, mortificata sotto l’aspetto
dell’autonomia funzionale, l’attacco è stato sferrato sotto il profilo
della personalità morale del lavoratore, mediante frasi ingiuriose,
come l’accusa di mantenere la segreteria in “stato di disservizio …
tendente a provocare disordine e a screditare il suo legale
rappresentante, con una tattica di boicottaggio subdola, ma fin troppo
evidente” (cfr. richiesta di chiarimenti del 4/3/2002), frasi
diffamatorie tese a screditare il D.G.S.A. agli occhi del dirigente
del C.S.A. (“… sospetto di essere continuamente boicottato dal
D.S.G.A. dell’Istituto”), reiterate minacce di punirlo con sanzioni
disciplinari, addebiti di responsabilità insussistenti, anche con
formali contestazioni, e finanche ripicche (vedi l’ordine di consegna
delle chiavi dell’ufficio e di tutti i cassetti e gli armadi ivi
contenuti).
Il raggio
dell’azione denigratoria si allunga ulteriormente passando ad
esaminare le emergenze dell’istruttoria testimoniale. I testi B. A.,
S. M. e D. G. hanno riferito che il prof. M. C. ha offeso il
ricorrente in presenza dei colleghi definendolo “lestofante, ladro,
turbatore d’asta ” e la circostanza è chiaramente indicativa di
un’aggressione al D.S.G.A. anche sotto il profilo della reputazione
nell’ambito della comunità scolastica, volta a screditarlo agli occhi
del personale che da lui dipendeva per il coordinamento.
A questo punto, la
ricostruzione dei fatti è completa e si tratta di stabilire se si
possa riconoscere una strategia mobbizzante nell’operato del titolare
dell’istituzione scolastica, non ignorando il Tribunale che il
mobbing in prima battuta è una realtà fenomenica, non un concetto
giuridico, e che, pertanto, intanto si potrà riconoscerlo nella
fattispecie concreta, in quanto la fattispecie medesima sia
perfettamente sussumibile nei requisiti richiesti dalla psicologia del
lavoro, nazionale e internazionale, compreso l’andamento nelle sei
fasi successive del modello Ege.
Iniziando dalle
categorie di attacchi mobbizzanti, si osserva che le azioni ostili ai
danni del D.S.G.A. rientrano in almeno tre delle cinque categorie
elaborate dallo studioso. In effetti, il ricorrente ha subito attacchi
ai contatti umani, con continue critiche alle sue prestazioni
(situazione di cassa, supplenze, lavoro della segreteria), ripetute
minacce scritte (irrogazione di sanzioni disciplinari), accuse
ingiustificate, frasi ingiuriose e diffamatorie.
Inoltre, il
ricorrente è stato dequalificato sul piano delle mansioni, a causa
della pressante ingerenza arbitrariamente esercitata dal convenuto
nella sfera di autonomia operativa riservata alle funzioni di D.G.S.A.,
e, sia pure per un breve lasso di tempo, è stato privato degli
strumenti di lavoro.
Ha subito attacchi
contro la reputazione, con le false voci fatte circolare sul suo conto
(accuse di boicottaggio denunciate al Dirigente del CSA, richiesta di
visita ispettiva per farne accertare le responsabilità) e in occasione
delle offese rivoltegli in presenza dei colleghi.
Passando ai
parametri di riconoscimento del mobbing, si osserva che gli atti
persecutori hanno avuto una durata complessiva superiore a sei mesi,
da gennaio ad ottobre 2002, e in questo arco temporale si sono
concentrati particolarmente in alcuni mesi.
La
conflittualità ha avuto un andamento successivo, fino alla fase di
insorgenza dei sintomi psicosomatici (cfr. certificazione medica e
relazione di C.T.U. medico-legale).
In tale ambito,
l’elemento materiale del mobbing è senz’altro integrato, perché
secondo la definizione data dagli psicologi del lavoro il mobbing è un
attacco ripetuto, continuato, sistematico, duraturo e il ricorrente in
un arco temporale di circa otto mesi, non senza trascurare l’ostilità
latente manifestatagli dal capo d’istituto nei rapporti quotidiani
(“ogni giorno il prof. M. C. mandava una lettera al segretario”, teste
S. M.), è stato vittima di almeno venti comprovate azioni mobbizzanti,
fra atti illegittimi sotto il profilo delle regole che governano il
rapporto di lavoro (ordini di servizio lesivi dell’autonomia
professionale del D.G.S.A.) e condotte aggressive sul piano dei
rapporti umani.
Più difficile
capire le ragioni dell’intento persecutorio, che senz’altro trapela
dai chiarimenti richiesti su procedure gestite dal richiedente, dalle
continue minacce di sanzioni mai irrogate, dalle accuse
ingiustificate, dalle ingiurie e dalle diffamazioni, dalle critiche
soggettive e che fa da collante delle diverse aggressioni, in un
unicum strategico che colora di significato persecutorio anche
comportamenti di per sé innocui (richiesta di consegna delle chiavi).
Un contributo può venire dalle dichiarazioni che il prof. M. C. ha
reso all’ispettrice a proposito del ricorrente: “... vuole comandare,
ha firmato i certificati sostitutivi della 3^ media; non ha provveduto
all’acquisto di una cassaforte e di un computer per l’Ufficio della
Presidenza”, circostanze indicative di una volontà mirata nei
confronti del ricorrente, di fargliela pagare per determinate cose
fatte e non fatte.
Si
aggiunga la possibilità, come si diceva all’inizio, che le disfunzioni
relazionali abbiano portato il D.S. a sviluppare un sentimento di
rivalsa nei confronti della figura professionale con cui più avrebbe
dovuto instaurare un rapporto di cooperazione funzionale; in altre
parole, è verosimile ritenere che la posizione funzionale ricoperta
dal F. C. ne abbia facilitato il ruolo di vittima, considerata,
peraltro, la considerazione di cui il ricorrente godeva nel settore
della scuola (“era il punto di riferimento
per la provincia e per il provveditorato che a lui si rivolgeva per le
questioni di segreteria”, cfr. teste F. C., Preside dell’Istituto dal
1992 al 1995).
Anche in questo
secondo caso, comunque, è essenziale rilevare che non è indifferente
che nella posizione di D.G.S.A. ci si sia trovato il ricorrente, non
potendosi escludere, perché ogni individuo è irripetibile, che, a
fronte dei metodi oggettivamente poco empatici del D.S., reazioni
comportamentali diverse da quelle che ha avuto il ricorrente non
avrebbero portato il primo ad un sentimento altrettanto ostile. In
altri termini, ad essere chiamate in causa - come sempre, del resto,
nelle questioni di mobbing -, sono le caratteristiche personologiche
del ricorrente, che la consulenza tecnica d’ufficio ha puntualmente
evidenziato, sia pure, com’è inevitabile, dopo che il lavoratore è
stato mobbizzato: tendenza al perfezionismo e alla ricerca della
minuziosità, tratti di timidezza e riservatezza, una certa difficoltà
ad esprimere i sentimenti e le emozioni, sensibilità alle critiche.
Per quel che vale, visto che non è possibile sapere come fosse la
personalità del periziato prima di essere vittima della violenza
psicologica sul luogo di lavoro, l’analisi del c.t.u. si sovrappone
agli studi psichiatrici del danno da mobbing, che hanno riscontrato
nell’indole scrupolosa, sensibile ai riconoscimenti e alle critiche e
con un elevato senso del dovere le caratteristiche caratteriali che
agevolano il ruolo di vittima.
Riassumendo, quanto
emerso dall’istruttoria prova che nel caso concreto si ravvisano i
requisiti tipici della condotta lamentata in ricorso, mentre le
giustificazioni addotte dal prof. M. C., di essere stato lui
ostacolato dal F. C. nello svolgimento delle sue funzioni, già
difficilmente credibili alla luce dei risultati dell’indagine
ispettiva, non hanno trovato alcun riscontro.
Venendo a questo
punto alle valutazioni giuridiche, si osserva che le fonti di
responsabilità del prof. M. C., autore dei fatti illeciti, sono da
ricercare nel generale principio del neminem laedere espresso dall’art.2043
cod. civ., la cui violazione è fonte di responsabilità aquiliana.
Una concorrente
responsabilità contrattuale del datore di lavoro ex art.2087 c.c.,
pure evocata in ricorso, non si attaglia all’Istituto, la cui avvenuta
entificazione (legge 59/97 e DPR 275/99) non implica che tanto il
potere disciplinare, quanto la gestione degli aspetti giuridici ed
economici del rapporto di lavoro con il personale scolastico si siano
trasferiti all’istituzione scolastica-persona giuridica, continuando a
far capo agli organi ministeriali centrali, ovvero decentrati sul
territorio, che la esercitano per mezzo degli atti di gestione del
rapporto di lavoro che il Dirigente Scolastico pone in essere come
organo dell’amministrazione statale; la conseguenza è che il datore di
lavoro del personale scolastico continua ad essere lo Stato, nella sua
personificazione del Ministero dell’Istruzione. Da tanto discende che
per avvantaggiarsi della responsabilità contrattuale del datore di
lavoro ai sensi dell’art.2087 c.c., in solido con il dipendente autore
dei fatti illeciti, il lavoratore avrebbe dovuto chiamare in giudizio
il Ministero, non l’Istituto, ammesso che al datore di lavoro fosse
imputabile nella fattispecie concreta di aver omesso di adottare le
misure necessarie ad impedire la reiterazione dei comportamenti
vessatori da parte del Dirigente Scolastico. Non avendolo fatto, non
può prospettare un concorso di azioni e avvalersi dei benefici della
responsabilità solidale, per cui il danno ingiusto è soltanto quello
che si ponga in rapporto di causalità con la violazione da parte del
superiore gerarchico dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede e
correttezza in ambito extracontrattuale.
In tale ambito,
la regola del neminem laedere trova la sua consacrazione nell’art.2059
c.c., ora che questa norma, dopo essere rimasta per lungo tempo quasi
del tutto inutilizzata, è risorta nella nuova sistemazione dogmatica
del danno civile elaborata con il fondamentale contributo delle due
sentenze gemelle della Suprema Corte di Cassazione del maggio 2003 (nn.
8827 e 8828 del 31/5/2003). Secondo l’interpretazione
costituzionalmente orientata che analogamente alla Cassazione ne ha
dato la Corte Costituzionale (sent. n. 233 dell’11/7/2003), la norma,
infatti, chiarisce il portato della regola del neminem laedere nelle
relazioni interpersonali con specifico riferimento alle situazioni
normativamente previste e tipizzate, oltre l’aspetto meramente
patrimoniale del danno; il risultato non è più quello di un ambito di
tutela risarcitoria ristretto al danno morale (che, a questo punto,
diventa riparabile anche quando non derivi da un fatto penalmente
rilevante), ma la possibilità di una tutela piena dei diritti
inviolabili della persona (art.2 Cost.). Nella categoria del danno non
patrimoniale, quindi, superata la bipartizione nelle componenti del
danno morale e del danno biologico, la figura aggiuntiva del danno
esistenziale si presta a salvaguardare il profilo relazionale-sociale
dell’individuo, che viene così protetto in tutte le attività e
manifestazioni espressive della personalità.
Sulla scorta di
tali principi, il lavoratore vittima del mobbing che provi che le
conseguenze pregiudizievoli sono in rapporto di causalità con le
attività persecutorie compiute per nuocerlo ha diritto alla
riparazione di tutti gli aspetti non patrimoniali di danno sofferti,
anche se per la liquidazione non potrà che farsi ricorso al criterio
dell’equità, trattandosi di riparare la lesione di valori inerenti
alla persona.
Ebbene, la prova
che l’attività mobbizzante posta in essere dal prof. M. C. abbia
arrecato nocumento al ricorrente può dirsi acquisita.
Aspetti di danno di
natura patrimoniale si rinvengono nella lesione della professionalità
specifica, desumibile in base agli elementi di fatto emersi
relativamente alla qualità e alla durata della dequalificazione,
rispetto ai quali la consequenzialità del danno è normale secondo l’id
quod plerumque accidit. Ordini di servizio e richieste di chiarimenti
in continuazione, reiterate accuse ingiustificate e minacce di
sanzioni, divieto di esercitare l’autonomia di spesa (“ogni giorno il
prof. M. C. mandava una lettera al segretario, … ha tolto il computer
dalla sua stanza … Lo accusava di ritardare il pagamento degli
stipendi … gli vietava di spendere soldi senza la sua autorizzazione ”
- teste S. M.) implicano per il responsabile amministrativo di una
scuola, le cui funzioni consistono nell’organizzare i servizi generali
amministrativo-contabili dell’istituzione scolastica nell’ambito degli
obiettivi assegnati e degli indirizzi impartiti, senz’altro una
sottoutilizzazione delle esperienze lavorative. Le esperienze
lavorative sono beni che hanno un valore economico, perché la
professionalità specifica non è solo il portato delle nozioni
teoriche, ma anche dell’applicazione pratica, e considerato che è
stato prolungato il periodo di tempo durante il quale il ricorrente è
stato limitato nelle possibilità applicative della proprie capacità ed
attitudini (da gennaio ad ottobre 2002), deve ritenersi che il danno
patrimoniale si sia prodotto nella sua sfera giuridica in conseguenza
della dequalificazione professionale subita.
Aspetti di danno
non patrimoniale sono pure presenti, nelle tre componenti del danno
biologico, morale ed esistenziale.
Il “disturbo
post-tramautico da stress cronico moderato in personalità di tipo
dipendente” è la diagnosi in ambito psicopatologico che descrive il
quadro clinico del ricorrente secondo il giudizio medico-legale del
c.t.u., il quale ha precisato, quanto alle cause dell’infermità, che
le situazioni collegate all’attività lavorativa sono state senz’altro
un fattore di lesività, ma che il disturbo visivo presente nella
storia clinica del periziato fin dal 1984 è da includere fra gli
eventi stressogeni, perché responsabile di una forte vulnerabilità
nello stato d’animo del lavoratore, che lo ha predisposto
ulteriormente a nuovi stress. In ambito somatico il ricorrente è
risultato affetto, oltre che dal predetto disturbo visivo, da
“malattia da reflusso gastro-esofageo per disordine motorio di
transizione sec. Hellemans-Vantrappen”.
La diagnosi e le
considerazioni medico-legali formulate dal consulente tecnico
d’ufficio sono senz’altro suffragate da ogni necessario accertamento
clinico e specialistico, compiuto con particolare riferimento alla
peculiare strutturazione della personalità del periziato (indagini
clinico-anamnestetiche, psichiche e testologiche), ma il convincimento
del giudice, supportato dalla documentazione sanitaria a firma degli
specialisti ai quali il periziato si è rivolto per le cure, è che il
quadro clinico accertato deponga per una condizione psicopatologica di
più lieve entità. Tanto l’anamnesi, quanto l’esame obiettivo e
testologico, infatti, nemmeno lontanamente rivelano, ora come al tempo
dei fatti accaduti nell’ambiente lavorativo, i sintomi peculiari del
DPTS: persistente rievocazione dell’esperienza traumatica attraverso
immagini, pensieri, incubi notturni, accompagnata da sensazioni di
vergogna, rabbia, tristezza, paura, sentimenti di irrealtà e/o di
estraneità, sensazioni fisiche quali sudorazione profusa, dispnea,
pianto improvviso, tachicardia, nausea, diarrea, tremori; rapporto
fobico con tutti gli stimoli che possono rievocare l’evento (persone,
luoghi, attività, ascolto di programmi televisivi, lettura di
giornali, situazioni sociali); amnesia psicogena, intorpidimento
emozionale, apatia; stato di iperattivazione costante che si manifesta
con disturbi del sonno, maggiore irritabilità e aggressività, deficit
di concentrazione, stato di ipervigilanza.
Rispetto a questo
genere di disturbi, che il c.t.u. ha escluso nel periziato affermando
che non sono emersi disturbi psicosensoriali, che il pensiero è stato
logico, l’ideazione lucida, i processi ideativi coerenti (cfr. pag. 8
della relazione), l’analisi delle funzioni psichiche ha evidenziato
nel ricorrente un quadro clinico ben distante dal punto di vista
nosografico e tipico della personalità di tipo dipendente: tendenza
alla ricerca della minuziosità, difficoltà ad esprimere con parole i
sentimenti e le emozioni esperite, sentimenti di scarsa autostima,
preoccupazione del giudizio degli altri, incertezze nel prendere
decisioni, vita affettiva nel complesso poco equilibrata e facilmente
influenzabile, particolare sensibilità alle stimolazioni esterne ed
ambientali, sbilanciamento verso l’intellettualizzazione, insofferenza
alle critiche, contatto sociale condizionato da una migliorabile
adattività intellettuale indicativa di una polarizzazione sul proprio
sé e da un bisogno di assertività, fattore ostacolante la
realizzazione di una piena vita di relazione.
Di contro, sono
testimoniate testologicamente valenze nevrotiche (incidente nevrosi
astenica, la cui entità sintomatologica è espressa dal numero
considerevole di fenomeni particolari) e aura depressiva, che sono
comunque sintomi di una condizione psicopatologica di entità
notevolmente più lieve del DPTS e che il c.t.u. ha condivisibilmente
inquadrato nella fragilità dei processi identificativi tipici della
personalità di tipo dipendente.
Unitamente
alla storia personale del lavoratore (familiarità negativa quanto a
malattie nervose e mentali, inizio nel gennaio 2002 del trattamento
psicoterapico, che il ricorrente ha praticato per circa un anno,
insieme al trattamento farmacologico prescrittogli da medico
specialista neurologo in servizio nella struttura pubblica, assenza di
precedenti patologie psichiche o nervose, notevole miglioramento del
quadro clinico in seguito alla cessazione dal servizio del prof. M.
C.), le risultanze dell’indagine
psicodiagnostica permettono di ritenere che la patologia psichica da
cui è affetto il periziato, oltre a rappresentare una comune risposta
a situazioni stressanti esogene, denoti caratteristiche morfologiche
tali da far desumere un sicuro nesso eziologico con la conflittualità
relazionale determinatasi sul posto di lavoro, che, pertanto, non
senza risentire del preesistente deficit sensoriale visivo, ha agito
come fattore (con)causale nel determinismo e nell’evoluzione della
menomazione.
Aspetti di danno
esistenziale, ovvero alla sfera relazionale-sociale, sono evidenti
negli esiti dell’intervista psichiatrica, che, in sintesi, hanno messo
in luce una condizione di << profondo bisogno di ripiegamento su se
stesso vissuto come necessario ad incrementare la consapevolezza di sé
>>.
Aspetti di danno
morale, infine, sono desumibili in base agli elementi di fatto emersi
relativamente alla qualità, alla frequenza e alla durata delle azioni
ostili, rispetto ai quali la consequenzialità delle ripercussioni
sullo stato d’animo in termini di transeunte turbamento può dirsi
normale secondo i dati dell’esperienza.
Venendo alla
liquidazione del pregiudizio, la lesione patrimoniale può essere
risarcita facendo riferimento alla retribuzione, pacificamente
ritenuta in giurisprudenza un accettabile parametro per la
quantificazione in via equitativa del danno alla professionalità,
essendo espressione della qualità e quantità del lavoro prestato (art.
36 Cost.). Circa la misura della retribuzione cui far corrispondere il
pregiudizio, deve considerarsi, per un verso, la qualità intrinseca
delle mansioni negate (<< attività lavorativa di rilevante complessità
ed avente rilevanza esterna >> secondo la declaratoria contrattuale
collettiva) in rapporto alla durata del demansionamento (circa otto
mesi), posto che la perdita del valore della professionalità è
direttamente proporzionale al contenuto professionale delle mansioni
non esercitate e al trascorrere del tempo di dequalificazione; per
altro verso, va detto che il demansionamento non si è verificato nelle
forme più gravi dello svuotamento di mansioni o dell’assegnazione a
mansioni inferiori. In tale prospettiva, appare proporzionato
all’entità del danno risarcirlo con una somma pari a un 1/4 della
retribuzione mensile per i primi cinque mesi di demansionamento, ad un
1/3 per i successivi quattro mesi (escluso il mese di ferie in
agosto); in base alle buste paga del periodo, la retribuzione lorda
utile come parametro di riferimento è di € 2170,00 (grosso modo) e,
pertanto, a titolo di danno patrimoniale spetta al danneggiato la
complessiva somma di € 5606,00.
Per il
risarcimento della lesione sanitariamente accertata, considerato che
secondo il parere espresso dal c.t.u. il quadro clinico è in atto
consolidato, anche se in parziale remissione, può farsi riferimento
per l’individuazione del grado di invalidità permanente ai valori
delle tabelle approvate con decreto del Ministero del Lavoro, D.M.
12/7/2000 (le tabelle allegate al d.m. Sanità del 5/2/1992 per la
valutazione dell’invalidità civile non prevedono un’infermità
corrispondente dal punto di vista nosografico alla patologia da cui è
risultato affetto il ricorrente e neanche prevedono il DPTS). Su tale
base, può ritenersi che l’infermità comporti un danno biologico
decisamente inferiore al 6% (che è la percentuale di danno biologico
attribuita dalle tabelle al disturbo post-traumatico da stress cronico
moderato), del quale, si noti, il danneggiante risponde interamente.
La precisazione origina dal fatto che, come si è visto, precedenti
condizioni soggettive della vittima hanno interferito con l’eziologia
degli eventi dannosi, comprese le problematiche personologiche del
lavoratore (profilo di tipo dipendente), il ctu essendo del parere che
si tratti di problematiche strutturali (pag. 15 della relazione, in
relazione all’ultimo quesito). Anche se non
si dubita che le condizioni soggettive preesistenti possano aver reso
il lavoratore particolarmente sensibile e reattivo alle stimolazioni
esterne, l’eventualità che abbiano esercitato un’azione concorrente
(il c.t.u. l’ha affermato senza mezzi termini per il disturbo visivo)
non potrebbe comunque comportare alcuna riduzione della responsabilità
civile del danneggiante per il minor grado di efficienza causale della
condotta, perché una comparazione del grado di incidenza eziologica è
ammessa nell’ordinamento positivo del danno ingiusto civile solo nel
caso di concorso di comportamenti umani colpevoli, ai sensi e per gli
effetti degli artt.1227 e 2055, co.1, c.c. (Cass. 9/4/2003, n. 5539).
Sicché, il danneggiante resterebbe responsabile anche per gli aspetti
di danno non direttamente ricollegabili alla sua condotta e, sulla
scorta di tali principi, considerata l’età del ricorrente (58 anni),
risponde ad equità risarcire la lesione medico-legale con la somma di
€ 2.500,00 (del resto, secondo la tabella di liquidazione del danno
biologico del Tribunale di Palermo per l’anno 2004, ipotizzando una
percentuale di invalidità del 4% la liquidazione sarebbe pari a €
2570,71, considerato che il valore punto corrispondente al grado di
lesione è di € 805,67, il coefficiente di rivalutazione ex Dm
22/7/2003 è pari a 1,0496 e il coefficiente di devalutazione riferito
all’età del danneggiato è pari a 0,760).
Per le altre
voci di danno non patrimoniale, considerate tutte le specificità del
caso (qualità, frequenza e durata delle azioni ostili, posizione
occupata dal danneggiato nell’organizzazione dell’Istituto scolastico,
età e profilo personologico del danneggiato, risultati dell’analisi
delle sue funzioni psichiche) e non potendosi trascurare che la
lesione è direttamente proporzionale al trascorrere del tempo, si
ritiene equo liquidare il danno morale in misura di una frazione del
danno biologico, pari a 1/5, per ogni mese di attività mobbizzante e,
quindi, nel complessivo ammontare di € 5000,00 e altrettanto, grosso
modo, appare congruo liquidare per il danno esistenziale.
In conclusione, le
somme spettanti al ricorrente a titolo di risarcimento del danno
ammontano complessivamente ad € 18.000,00 a carico del prof. M. C., e
possono così riepilogarsi:
€ 5606,00 per danno
patrimoniale;
€ 2500,00 per danno
biologico;
€ 5000,00 per danno
morale;
€ 4894,00 per danno
esistenziale.
La domanda
risarcitoria nei confronti dell’Istituto deve invece essere rigettata,
essendosi rilevato, contrariamente a quanto dedotto in ricorso, che
l’Istituto non riveste nei confronti del ricorrente la qualità di
datore di lavoro.
Le spese del
giudizio, nei rapporti tra il ricorrente e il prof. M. C., vengono
liquidate in € 939,95 per onorari, € 581,55 per diritti, € 190,18
forfettario 12,5% spese generali e poste a carico del convenuto.
Nei confronti
dell’Istituto non v’è luogo a provvedere, essendo stata scelta
dall’Avvocatura dello Stato la rappresentanza e difesa in giudizio ai
sensi dell’art.417-bis, co.1, c.p.c. e non sono state documentate
spese vive.
Le spese
separatamente liquidate al c.t.u. restano definitivamente a carico del
prof. M. C..
P.Q.M
Il Giudice del
Lavoro
respinta ogni altra
istanza, eccezione e difesa,
condanna M. C. a
corrispondere a F. C. la complessiva somma di € 18.000,00, a titolo di
risarcimento del danno, con gli interessi legali e la rivalutazione
monetaria dalla data di cessazione della lesione al soddisfo.
Rigetta nel resto.
Condanna M. C. alla
rifusione delle spese processuali, liquidate, in favore del ricorrente
in complessivi € 1711,68.
Non luogo a
provvedere per le spese del giudizio nei confronti dell’Istituto.
Pone
definitivamente a carico di M. C. le spese separatamente liquidate al
c.t.u.
Agrigento, 1/2/2005
Il Cancelliere
Il Giudice del
Lavoro
Lisa Gatto
TRIBUNALE DI
AGRIGENTO
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
All’udienza del 1/2/2005 il Giudice del lavoro, dott.ssa Lisa Gatto,
nella causa n. 2700/2003 R.G.C. ha pronunciato la seguente
SENTENZA
F. C. –
contro
Istituto –
M. C. –
Definitivamente
pronunciando, respinta ogni contraria domanda, eccezione e difesa,
condanna M. C. a
corrispondere a F. C. la complessiva somma di € 18000,00, a titolo di
risarcimento del danno, con gli interessi legali e la rivalutazione
monetaria dalla data di cessazione della lesione al soddisfo.
Rigetta nel resto.
Condanna M. C. alla
rifusione delle spese processuali, liquidate, in favore del ricorrente
in complessivi € 1711,68.
Non luogo a
provvedere per le spese del giudizio nei confronti dell’Istituto
Scolastico Istituto.
Pone
definitivamente a carico di M. C. le spese separatamente liquidate al
c.t.u.
Agrigento, 1/2/2005
Il Cancelliere
Il Giudice del
Lavoro
Lisa Gatto |